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                   La
                  sirena Avevo giocato a pallone. Buttato sul letto,
                  le ossa rotte, riflettevo sull'incipiente
                  vecchiaia, sulla fatidica soglia dei trent'anni che
                  a molti pare l'iniziazione ufficiale alla decadenza
                  fisica. E, a giudicare dalla mia spossatezza, di
                  riscontri in questo senso ce n'erano in abbondanza.
                  Potevano essere le undici di sera o le due di
                  notte. Mi addormentai lasciando evaporare i
                  pensieri.Il risveglio fu repentino. Come un ago
                  infilato di prepotenza nelle orecchie, l'urlo
                  accecante di una sirena mi restituì alla
                  coscienza. L'orologio segnava le quattro e
                  mezza.Impossibile riprendere sonno. La cadenza
                  martellante di un antifurto non lasciava tregua. Mi
                  alzai cercando di studiare un piano. Dalla finestra
                  lo vidi. Il bagliore giallo, ritmico, dell'allarme
                  che assecondava il suono monotono e potente.
                  L'appartamento della palazzina a fianco sembrava
                  disabitato. Chiuso, impermeabile alle proteste che,
                  fiacche, cominciavano ad arrivare da qualche vicino
                  di casa. Volti assonnati, svogliati, gli occhi
                  gonfi e preoccupati per gli impegni del giorno
                  imminente.Di ipotesi potevano farsene molte. Ladri
                  penetrati nella casa avevano forse attivato la
                  sirena, che ora sembrava riempire ogni spazio del
                  vuoto notturno, con la sua prepotente cantilena.
                  Più probabilmente, al di là di
                  qualunque tentativo di scasso, il fragore impazzito
                  e monocorde era scattato così, per puro caso
                  o per errore. Dall'appartamento non giungevano
                  segni di vita: finestre sigillate, tapparelle
                  ermetiche, solo il movimento rotatorio
                  dell'allarme, compagno indesiderato, con il suo
                  lacerante grido: più forte delle bestemmie,
                  più forte delle proteste, più forte
                  del sonno. *** «Non possiamo penetrare nella casa,
                  signora. Si configurerebbe una violazione di
                  domicilio. Occorre attendere il parere del
                  magistrato, non prima di mezzogiorno». La
                  secca risposta burocratica del funzionario di
                  polizia calò gelida sul capannello di
                  pigiami e volti infreddoliti che si erano radunati
                  all'ingresso del palazzo. Quella spiegazione aveva
                  tutta la solennità di una dichiarazione
                  senza appello, e come tale sembrava prefigurare un
                  orrendo destino. Neanche la tanto invocata
                  autorità poteva spezzare, almeno per il
                  momento, l'angosciante convivenza con il cieco
                  furore dell'allarme.Prima dell'arrivo della polizia, aveva
                  concesso un breve momento di tregua. D'improvviso
                  si era fermato, quasi a chiudere la parentesi
                  molesta di una notte. Una leggera ovazione,
                  delicata e assonnata, aveva salutato l'evento dai
                  balconi. Il ragionier Filetti, intraprendente
                  organizzatore di petizioni, aveva rassicurato:
                  «Vabbé! andiamo a casa» senza
                  badare troppo alla coerenza, visto che aveva
                  assistito alla scena dal suo salotto.Fu allora che la sirena dispiegò il
                  massimo delle forze e tornò a ritmare il suo
                  canto assordante. Non c'era tregua, l'incubo
                  tornava a prendere la forma gialla e tozza
                  dell'allarme. *** Il mattino era sceso gravido e pesante di
                  conseguenze. Non avevo chiuso occhio, come gran
                  parte dei vicini. A differenza di loro,
                  però, potevo trastullarmi all'idea dei
                  giorni di ferie che, quasi profeticamente, avevo
                  deciso di concedermi. La tazza di thè mi
                  ballava tra le mani, calda e amica.Dalla finestra vidi la triste processione
                  dei condomini diretti al lavoro: stretti nei
                  giacconi e nei cappotti stiracchiati, esibivano
                  occhi stralunati, appesantiti da vistose borse. Le
                  valigette da lavoro, così orrendamente
                  uguali, dondolavano malferme, sorrette a stento da
                  mani ingiallite.Ad accompagnare il corteo, era una sirena
                  diversa da quelle delle fabbriche. Era l'aggeggio
                  post-industriale brevettato a tutela del
                  patrimonio, che si era incantato, che aveva deciso
                  di propagare le sue onde ostili all'infinito, che
                  nessuna legge sapeva fermare.Anche i miei nervi erano a pezzi. Avevo
                  deciso di trasferirmi dai miei genitori e l'idea mi
                  aveva ridato slancio. Ma c'erano voluti pochi
                  secondi per ricordare che il loro concomitante
                  trasloco demoliva il mio acuto stratagemma.
                  Insomma, dovevo restare o partire per mete
                  lontane.«In fondo - pensai - sarà solo
                  questione di ore». La realtà purtroppo
                  non tardò a trafiggere le mie speranze. Il
                  trapano acustico non poteva essere disattivato fino
                  a quando i proprietari non fossero tornati. La
                  polizia, ci spiegò il solerte funzionario
                  (non era lo stesso della notte precedente), stava
                  cercando di rintracciare l'ingegner Pistolfi, che
                  di quell'appartamento risultava il legittimo
                  proprietario, ma il suo soggiorno in Kenya rendeva
                  difficile le operazioni di ricerca.«Capirà, con quel casino che sta
                  succedendo in Africa, non ci sembra il caso di
                  scomodare l'ambasciata per simili fesserie»
                  aggiunse imprudentemente il funzionario, che solo
                  la divisa riuscì a salvare dal
                  linciaggio.I pochi sopravvissuti della notte, i volti
                  tirati e stravolti dalla rabbia (una rabbia
                  impotente, che così simili ci rende in mezzo
                  al traffico) decisero di convocare per quella sera
                  una pubblica assemblea, con tanto di inviti alla
                  stampa.«Lei, che lavora in televisione, chiami
                  i suoi capi e faccia un bel servizio» mi
                  ammonì una signora cinquantenne che mai
                  avevo creduto di conoscere. Accese la miccia, altri
                  si unirono al coro. «Calma - spiegai - nessuno
                  si muove per un antifurto impazzito che suona da
                  poche ore. I giornali si interessano a queste cose
                  almeno dopo una settimana». Ma dagli occhi
                  iniettati di odio e stupore compresi che non era
                  quella la sede ideale per una dissertazione su
                  mass-media e notiziabilità. Dovetti
                  telefonare al caporedattore e subirne il
                  dileggio. *** Hai voglia a uscire, a comprare dischi,
                  libri, giornali, pane, latte. Hai voglia a
                  confonderti in mezzo alla folla anonima della
                  città: ma cosa te ne fai dei tuoi acquisti
                  se non hai un luogo dove consumare? Oltre che
                  profondamente molesto, l'allarme sembrava anche
                  irrispettoso delle più elementari leggi di
                  mercato. Erano passati tre giorni, e il suo
                  assordante cantilenare continuava a imperversare,
                  con una ferocia senza pari, impedendo qualunque
                  attività. Tra i privilegiati, quelli con la
                  seconda casa o con le giuste conoscenze per farsi
                  ospitare altrove, il fatalismo era subentrato alla
                  rabbia. Sarebbero tornati a vicenda conclusa: per
                  ora, arrivederci e buona fortuna a chi restava in
                  trincea. In balia del fragore ritmico e pervasivo,
                  rimanevano i più indifesi: donne, anziani,
                  bambini. Un popolo muto e succube, stanco e vinto,
                  persino rinunciatario di fronte all'ennesima
                  petizione promossa dal ragionier Filetti, che nel
                  frattempo era stato colto da collasso e trasportato
                  all'ospedale.Tre giorni: un'infinità di tempo per
                  le agitate e insonni persone dello stabile, una
                  minuzia per le persone che contano. Erano stati
                  mobilitati agenti, contattati avvocati, avvicinati,
                  per il mio tramite, alcuni giornali. Tutti
                  dispensavano sorrisi malcelati, più di
                  compatimento che di solidarietà.Occorreva aspettare, l'evento in fondo non
                  era poi così anomalo. «Casi come questi
                  accadono ogni giorno» ripeteva il solerte
                  funzionario, sempre diverso eppure uguale agli
                  altri che si erano succeduti nel fastidioso compito
                  di rappresentare l'autorità. «A vederla
                  bene - aggiungevano altri - la colpa è di
                  quelli che rubano, dell'immigrazione
                  incontrollata». Cavoli a merenda, aveva
                  ribattuto con inaspettata audacia la signorina
                  Rubella, 75 anni, che già nel condominio
                  avevano ribattezzato la 'pasionaria dei
                  timpani'.Il magistrato competente, il dottor Fratosti
                  si era detto dispiaciuto, ma avrebbe atteso gli
                  sviluppi prima di decidere un intervento.
                  Dell'ingegner Pistolfi nessuna notizia, si stava
                  facendo il possibile per rintracciarlo in Kenya.
                  Alcuni parenti, contattati dalla polizia, avevano
                  spiegato che il professionista, uomo da 300 milioni
                  all'anno, era partito una settimana prima per
                  raggiungere la famiglia, ma nulla era dato sapere
                  sul programmato rientro.Intanto, la sirena martellava la sua
                  ossessiva cantilena, penetrava nelle menti
                  ottenebrate dalla stanchezza, smorzava qualunque
                  pensiero. «Uiuiuiuiuiuiuiuiui»: potente e
                  inesorabile, fiaccava la già debole
                  volontà di resistenza degli
                  abitanti.Un comitato per la salvaguardia del
                  benessere acustico si era formato spontaneamente,
                  ma mancava di interlocutori. Una lettera al
                  prefetto era stata spedita senza troppe speranze,
                  dato che la risposta sarebbe arrivata al minimo
                  entro una settimana. La 'barricadera' vecchina, la
                  signorina Rubella, aveva improvvisato un blocco
                  stradale lungo la via adiacente al palazzo. Si era
                  piazzata in mezzo alla carreggiata armata del suo
                  bastone e con addosso due vistosi cartelloni a mo'
                  di sandwich: «Fermate la sirena. Gli abitanti
                  di via... vogliono dormire».L'unico risultato tangibile, tuttavia, era
                  stato di aumentare il livello di inquinamento
                  acustico, dato che il blocco stradale aveva solo
                  incattivito gli automobilisti e provocato massicce
                  dosi di clacson.Per conto mio, avevo cercato di persuadere
                  il dottor Airolfi, responsabile dei programmi di
                  Telestar, a diramare un breve comunicato nel corso
                  della trasmissione 'Buongiorno Metropoli'. Mi ero
                  sintonizzato sulla stazione televisiva, quella
                  mattina, anche per approfittare della conduzione
                  soporifera e cercare di prendere sonno. Ero
                  riuscito a dormire solo poche ore nel corso di quei
                  tre giorni e si trattava di un sonno instabile,
                  sempre rotto da quell'urlo insensato. Sognavo di
                  essere nel mezzo di un incendio ed ecco che
                  arrivavano i pompieri a domare le fiamme.
                  Naturalmente a sirene spiegate. Oppure mi trovavo
                  allo stadio e il mio vicino, brandendo una tromba,
                  salutava il gol frantumandomi i timpani. Il
                  risveglio, in tutti i casi, sanciva il passaggio
                  dal sogno all'incubo del presente. Quella maledetta
                  sirena era diventata la nota dominante della mia
                  vita, di tutte le nostre vite.Del nostro comunicato, durante la
                  trasmissione, non venne fatta alcuna menzione. In
                  compenso il glaciale presentatore, rigido nella sua
                  giacca cammello e impettito dall'alto del suo collo
                  esagerato, dispensò le lodi di un celebre
                  antifurto, sponsor della trasmissione. 'Sireen
                  (pronuncia di un inglese inesistente: sairin)
                  è la migliore garanzia contro i
                  malintenzionati'. Era troppo: lanciai un voluminoso
                  libro contro lo schermo, neppure scalfito. Ero in
                  preda a un travaso di bile, quell'aggeggio infame
                  suonava come la propaggine più aggressiva e
                  arrogante del sacro diritto di proprietà.
                  Inviolabile, intoccabile, inaccessibile,
                  troneggiava dal balcone scandendo la nota del suo
                  trionfo: 'Uiuiuiuiuiuiuiuiuiuiiu...'. *** L'azione venne decisa alla 17 del quarto
                  giorno, dopo che tutti i tentativi di
                  sensibilizzazione si erano infranti contro l'ottuso
                  dominio delle regole. Le previsioni più
                  ottimistiche parlavano di una settimana di attesa,
                  tempo minimo concesso all'ingegnere per tornare a
                  casa e spegnere, con le sue legittime mani,
                  l'odiato antifurto. Troppo per la frangia
                  irriducibile dei condomini, una decina di persone
                  in tutto, che optò per una soluzione di
                  forza. Anch'io facevo parte del gruppo, che
                  comprendeva un paio di studenti, l'arzilla
                  signorina Rubella e un commando di pensionati, tra
                  cui un camionista a riposo.Per prudenza, si decise di somministrare un
                  potente sedativo alla signorina Rubella. Fu vinta
                  dal sonno mentre in vestaglia stava armeggiando con
                  rozze bottiglie molotov, ricavate da contenitori di
                  sughi. I preparativi non furono lunghi: Mario,
                  studente in architettura fuori corso da due anni,
                  si procurò un vistoso piede di porco e
                  nessuno gli chiese spiegazioni.Alle due di notte, attaccammo l'appartamento
                  dell'ingegnere. La porta blindata fece resistenza,
                  vacillò sotto i colpi del camionista,
                  più che del piede di porco, rimase sospesa
                  sugli stipiti e crollò sotto i calci
                  poderosi del gruppo. Infilammo un corridoio buio e
                  il camionista andò a urtare contro un
                  simil-trofeo di caccia appartato in un angolo della
                  casa.Quasi a presagire la sua imminente fine, la
                  sirena sembrò urlare con ancora maggior
                  vigore, con rinnovata soperchieria. Il trofeo venne
                  devastato a colpi d'ascia da un pensionato,
                  contadino a tempo perso. Non risparmiammo nulla:
                  suppellettili, quadri, divani, stoffe, tappeti. Il
                  sacro dominio dell'ingegnere subì la cieca
                  determinazione del furore, covato a lungo e a lungo
                  represso.Fu Osvaldo, anni 33, di professione
                  cameriere e a carico dei genitori, a individuare il
                  comando di disattivazione dell'allarme. Avvicinarsi
                  a esso pareva impossibile: il fragore
                  dell'antifurto era insostenibile, esplodeva nei
                  timpani, si trasfigurava in un'invisibile ma
                  invalicabile barriera fisica. Lo schianto ci colse
                  di sorpresa. Brandendo il suo piede di porco, lo
                  studente Mario infranse in mille pezzi di vetro la
                  campana giallastra dell'allarme. Poi recise i fili
                  con il taglio netto del suo coltellino da ex
                  boy-scout. Fine dell'incubo.Fu come essere gettati nel vuoto. Del rumore
                  originario, rimaneva una traccia sottile e
                  impalpabile nelle nostre orecchie, un fischio
                  prolungato e flebile, temporanea testimonianza di
                  quell'antifurto messo fuori combattimento.A ben sentire, tuttavia, non sembrava che la
                  sirena avesse smesso di suonare. Solo era diminuita
                  di intensità e pareva anzi riguadagnare
                  energie con il passare del tempo. Eppure il
                  congegno infernale dell'ingegnere era stato
                  polverizzato. Pazzia? Psicosi collettiva? Ci
                  pensò Mario a restituire lucidità
                  alle nostre combattive menti: «Cazzo, la
                  polizia!» ***Mi trovo in una cella di due metri per tre,
                  insieme al camionista e a un tossico, da ormai due
                  settimane. Il quadro accusatorio si sta definendo.
                  'Violazione di domicilio e danni per circa 150
                  milioni' ha sentenziato il magistrato di turno,
                  quando ha convalidato l'arresto. Forse è lo
                  stesso che, con zelo lodevole, ha difeso
                  strenuamente il diritto di proprietà
                  dell'ingegner Pistolfi. O forse no. Commovente la
                  signorina Rubella: mi viene a trovare almeno una
                  volta alla settimana e mi porta delle eccellenti
                  torte. Mi tiene anche informato degli umori di
                  casa. La maggior parte del vicinato si è
                  dissociata dalla nostra iniziativa, non appena
                  tornata dalle vacanze. Gli altri, quanti sono
                  rimasti, hanno organizzato una colletta per gli
                  avvocati.Per ciò che riguarda le mie ferie,
                  sono state forzosamente allungate. Sono stato
                  sospeso dal lavoro e dall'ordine professionale,
                  dopo solo pochi mesi di militanza. Che altro
                  aggiungere? I legali ci hanno chiesto di scrivere
                  una memoria difensiva, che potrebbe essere decisiva
                  per ottenere le attenuanti. Spero che quanto
                  esposto finora possa bastare. 
                  
                  
                     Questo racconto viene pubblicato in
                     una raccolta che l'autore pubblicherà con
                     la Casa Editrice ExCogita  
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