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               Il
               volo di Libero Domani partiremo,
               senza saperlo. Oppure sì, ma fingiamo
               indifferenza. Qualcosa è scattato dentro. A
               sorpresa, il mio cuore ha schioccato uno strano tac! e
               ha trasformato i miei giorni in attesa incosciente.
               Oppure stavo aspettando questo cambiamento. Sapevo
               sarebbe iniziato un giorno, pure senza il racconto di
               qualcuno. Deve essere qualcosa che ho con me dalla
               nascita. Dormiva, tanto da scordarlo. Adesso è
               sveglio. Procede nel mio sangue. Monta in smania di
               volare. Come agli altri, anche a me. 	La terra mi
               stomaca: quando ci sono posato sopra mi sento
               arruffato, pesante, intontito. È più
               forte della stanchezza. Torno a spiegare le ali,
               aggredisco l'aria. Ecco, tutto cambia: sono ancora
               giovane, elastico, ardito. Ci sfidiamo fra compagni di
               giochi. Cabriamo veloci verso le nuvole e poi
               roviniamo scellerati in picchiata, a fianco a fianco,
               rasente le pareti del fiordo. "Il primo che
               s'impenna sull'onda ha perso". Gonfi di paura
               elettrica e felice, rimbalziamo contro il muro gelido
               dell'acqua. Il mare può solo spruzzarci e
               rimbombare il suo disappunto: l'abbraccio mortale non
               è capace d'inghiottirci. Noi siamo figli
               dell'aria e del vento: cosa può fermarci? Siamo
               immortali. Ma questi stupidi giochi ci annoiano in
               fretta: allora, storditi, restiamo sospesi in spirito
               santo, insoddisfatti. Da sopra la risacca, scrutiamo
               il nostro destino laggiù, lontano, oltre la
               linea scura del confine fra l'acqua e l'aria. Qualcosa
               arriverà e noi dovremo volare
               veramente. 	Anche Artica
               è cambiata. Non è più l'amica
               timida fra le amiche, quella che trepidava per nulla.
               Ha smesso di pigolare. Non bisogna trascinarla sulla
               falesia per avvitarsi insieme nel cuore del fiordo.
               Ora è sfrontata, indocile, frenetica. I suoi
               occhi sono colmati da una malizia che non conosco, ma
               che accende quando s'incollano coi tuoi. È lei
               a lanciare la sfida, a sorprendere con pazzie cui mai
               avrei detto si sarebbe lasciata andare, mai avrei
               creduto di farmi coinvolgere. La sua ebbrezza è
               contagiosa, è una forza d'attrazione che non so
               vincere. Lei incrocia dispettosa le mie traiettorie,
               interseca esaltata le mie virate e scaccia gli altri
               d'attorno. Desidera la nostra solitudine. Mi plana
               davanti, volge il sorriso ammiccante ed espone con
               insospettata indecenza la sua coda lunga, come se
               sotto sentisse bruciare; poi, picchia o cabra
               stridula, impertinente, divertita dal mio eccitato
               imbarazzo. 	Tutto diventa
               silenzio. Il vento frena il suo moto perpetuo,
               rallentato dalla luce che si stende più lunga
               sulla terra. La vita sembra concedere tregua a tutti.
               Un momento di pace regalato al nostro mondo, dove
               potere scordare ogni cosa che non sia il disco rosso
               così basso. Il sole rimbalza sull'orizzonte e
               torna a salire in cielo. Artica mi cerca. S'avvicina.
               Si preme a me insolita. Sfrega delicata le piume
               profumate sulle mie. Cerca con un sospiro strozzato il
               tepore sotto la mia ala. E io non comando più
               nulla di me. Il cuore si ribella al mio petto,
               improvvisamente stretto. La pelle è scossa da
               un tremito che non è freddo. Nessun muscolo
               risponde. Sono inadeguato all'emozione. Il fiato
               è vapore caldo che accorcia il ritmo. Conosco
               una nuova vertigine. Intanto, il sole imperturbabile,
               senza finire una, comincia un'altra giornata. La
               tundra e le scogliere si rianimano, gli stormi e la
               risacca tornano ad assordare l'aria. Un fremito.
               Artica scatta sfacciata in volo, quasi che il languore
               dell'attimo precedente non fosse nient'altro che
               l'ennesimo scherzo impudente. Io rimango avvilito.
               Succede in me qualcosa di doloroso, che non so
               classificare. Vorrei fermarmi per capire, ma non ho
               tempo. Il demonio che ci sta possedendo riprende il
               sopravvento. Torniamo scaraventati ai nostri voli
               insensati. Sono già in aria, la malinconia
               è scordata. L'appello irriverente della
               gioventù cancella la debolezza con un colpo di
               spazzola. Torno a ubriacarmi di vento. 	Domani partiremo,
               senza saperlo. Non ci sono altre soluzioni. La nostra
               indole sopraffa la nostra ragione sbigottita. Ci
               sveglieremo stranieri nei nostri nidi. Non
               riconosceremo la schiuma del nostro mare, le sue
               insenature. Ci domanderemo cosa può attirare in
               quegli anonimi ciottoli delle spiagge, i nostri
               giocattoli da pulcini. Anche provando a librarci oltre
               le nostre capacità, non potremo tradurre quel
               che ci diranno le piane, i laghi, le nevi eterne.
               Prenderemo l'indirizzo della rotta per casa o verso i
               banchi di aringhe. Staremo in cerchi sempre più
               larghi, uno in coda all'altro, lo sguardo ansioso di
               chi ha smarrito la strada. C'incoraggeremo senza
               riuscirci con incerti squittii. Stenteremo a
               rintracciare un indizio che ci avverta d'avere
               imboccato la via domestica. E ci sentiremo
               irrimediabilmente perduti. La stessa terra che ci ha
               cresciuti, ci respingerà. Le scogliere azzurre
               e i prati giallognoli non ci sono più. Le
               betulle hanno perso il loro candore. La luce si
               è fatta obliqua. La ruska ha invaso tutto di
               rosso ondulato. È il segnale che arriva il
               Grande Freddo. Nostra madre terra è stanca di
               nutrirci. Ci ripudia. Vuole proteggere il suo lungo
               sonno coprendosi di ghiaccio e neve. Così
               l'oceano. Tutto dice: "Non c'è più
               posto per voi, andatevene". Siamo orfani senza
               peccato, ma dobbiamo trovare un'altra
               casa. 	E allora domani
               partiremo, senza saperlo. Per questo sorvolo l'ultima
               volta il nostro regno perduto. Giuravamo fosse
               irrinunciabile. Invece, abdicheremo per l'ignoto.
               Saluto quel che forse non vedrò più
               così, ciò cui chissà se
               tornerò un giorno. Addio trampolino di pietra
               sul fiordo. Addio laghetti dove rincorro gli amici.
               Addio ogni onda che mi ha sfamato e divertito. Addio
               Salice Nano, ricovero solitario fra una pesca e
               l'altra. Addio nuvole che ogni giorno ho cercato di
               superare. Le nuvole che mi separano dal Grande Cielo,
               dal sogno delle sterne. Volare nel Grande Cielo, senza
               nuvole fra le proprie ali e il sole. Volare nella luce
               sempre viva, sciolti nel vento. Volare nell'estate
               infinita, senza tempo. Volare nella perfezione del
               silenzio. Volare senza la fame, il freddo, l'odio, la
               paura. Paura come un'enorme spina confitta nel petto,
               a stritolare il respiro e assassinare il futuro. Paura
               che obbliga a questo volo di protesta disperata contro
               l'ineluttabile mistero, contro la stessa forza
               dell'esistenza, contro l'insondabile che
               attende. 	Non sono solo. Il
               cielo è pieno di altri come me. Ci dibattiamo.
               Soffriamo questo tormento. Non siamo capaci d'imporgli
               un nome. Voliamo imbizzarriti. Nelle occhiate che ci
               scambiamo, riaffiora l'ombra di una terribile fatica
               lontana, così che l'avevamo seppellita per
               sempre in un anfratto della scogliera. Un pericolo
               scongiurato alla nostra vita. Ora questa certezza non
               c'è più. Al suo posto, mille dubbi
               improvvisi. Voglia d'accucciarsi fra i licheni. Solo
               Ukko resta imperturbabile. Da quassù è
               una macchia grigia e nera in sfida colle raffiche
               rabbiose del vento. Chi direbbe che quel minuscolo
               punto cocciuto fra continente e oceano sia il capo di
               un clan? Da quella macchia dipenderà la
               sopravvivenza di una generazione e la
               possibilità di un'altra. A quella macchia
               consegneremo senza domande la nostra fiducia, ogni
               nostra speranza. A quella macchia sento d'affidarmi,
               senza remore. Ma da lui adesso vorrei almeno un cenno
               di conforto, un gesto che mi acquietasse: "È
               tutto normale, Libero. Domani partiremo". - "Che ne
               pensi?"- "È
               tempo di partire"- "Quei nuvoloni
               laggiù. Non dicono niente di buono, intendo
               dire"-
               "Vero"- "Ancora
               qualche giorno. Poi nevicherà"- "Ha già
               cominciato"- "Direi anche
               che fa più freddo"- "Lo
               sento"- "Allora, si
               parte!"-
               "Dobbiamo"- "Anche noi, E
               dove andrete?"- "Dall'Altra
               Parte. Dove gli umani chiamano la Terra del
               Fuoco"- "Un bel
               viaggio! Non riesco a immaginare quanto sia lontano il
               posto dove andrete, intendo dire"-
               "Già"- "Ma
               conviene?"- "Il mio clan
               lo ha sempre fatto"- "È
               pericoloso. Un volo così lungo, intendo dire.
               Potreste perdere molti elementi. potreste perdere
               tutti i giovani"- "Il mio clan
               lo ha sempre fatto"- "Béh,
               le tradizioni si possono cambiare. Se conviene,
               intendo dire"- "Ho sempre
               fatto questo viaggio, in tutta la mia vita. Chi era
               mio padre ha fatto altrettanto. Chi fu mio nonno fece
               allo stesso modo. Ieri i loro padri gl'insegnarono a
               seguire la rotta che seguiamo noi oggi per insegnarla
               ai nostri figli che la batteranno domani. Il mio
               popolo vive da sempre così. Non c'è
               altro modo. Domani partiremo"- "Sei un bel
               testardo, Ukko"- "Un Codalunga
               non ha alternative. Noi dobbiamo vivere nella luce
               perenne" 	Ukko è
               irritato. Non tollera interferenze quando discute col
               capo di un altro clan. Figuriamoci di un'altra specie.
               Nulla deve sminuire il suo prestigio di monarca,
               soprattutto quando si manifesta in pubblico. Il suo
               sguardo ha dissolto tutta la determinazione con cui
               l'avevo avvicinato. Gli occhi s'abbassano non solo per
               omaggio, ma per vergogna della mia scandalosa
               impudenza. E timore della punizione. -"Ebbene?" 	Adesso non
               è solo la mia presenza a indispettirlo. Lo
               infastidisce ancor più il mio silenzio
               imbarazzato e inopportuno. Avevo una sola domanda da
               fargli. Per giorni l'ho rimuginata, accumulando scorte
               di coraggio da spendere in un quesito. Era importante.
               Ma ora non sono capace nemmeno di un pigolio. Ho perso
               la cifra dei miei pensieri. Non riesco a riconoscere
               due parole da coniugare con senso in un suono. La
               lingua si rifiuta d'aiutarmi a pronunciare una nota
               qualsiasi,  anche se in gola preme una folla
               disordinata di voci. Ma qualcosa devo dire, ora che
               sono qui invadendo il suo spazio. - "Ti sei
               perduto?"- "No, Ukko.
               [...] Io... [...]"- "Se hai
               qualcosa da dire, ti ascolto"- "Sì,
               Ukko. Allora... [...] Da qualche giorno...
               [...] non so come
               spiegarmi..."- "Cerca di
               farlo"- "Sì, va
               bene. Io... [...] è come se...
               [...] Ukko, sta per succedere qualcosa,
               vero?"- "Domani
               partiremo" 	Ero convinto che
               questa risposta m'avrebbe avvolto in un caldo
               conforto, come quello di una cova piena di piume.
               È la risposta tanto attesa, capace di quietare
               il bollore del sangue e domare tutte le stravaganze.
               Dovrei chetare, trovare pace. Semplicemente riannodare
               la vita al presente, come facevo fino a qualche giorno
               fa sopra i cavalloni ripieni di merluzzi. Invece
               l'inquietudine non vuole cedere: piuttosto di mollare
               la preda essa tramuta in ansia differente, ma
               altrettanto soffocante. - "Dove ci
               porterai, Ukko?"-
               "Via"- "Via
               dove?"- "Via di
               qui"- "Come
               faremo?"- "Come è
               sempre stato fatto"- "Io non
               conosco il passato. Come faremo?"- "Seguiremo la
               Via degli Uccelli e il Chiodo del Nord, se non
               sarà il sole a guidarci"- "E voleremo
               sempre?"- "Voleremo
               quanto dovremo volare"-
               "Perché, sarà tanto?"-  "Sarà
               quello che dovrà essere. Non è compito
               tuo stabilirlo"- "Ma
               perché dobbiamo andarcene? Non possiamo restare
               qui? Questa è cosa nostra" 	Ukko è
               insofferente. Troppe domande. Non vuole che la
               strolaga con cui s'intrattiene lo reputi un capo
               debole. Rimane distaccato, ma se potesse, mi avrebbe
               già scacciato col suo becco arancione. Dovrei
               ritirarmi riverente. Io però non posso
               trattenere la voce. Ho iniziato a chiedere: la
               curiosità e l'ansia battono la soggezione e
               chiedono soddisfazione. - "Ukko,
               perché non rimaniamo? Questa è casa
               nostra"- "La morte
               ghiacciata avanza veloce dal mare. Fra poco qui
               sarà solo tenebra"- "Non
               capisco"- "Non avremo
               sole. Non avremo cibo. Avremo solo neve e inedia.
               Domani partiremo"- "Non è
               vero. Non ci credo. Il sole non scompare. Non serve
               andare a cercarlo altrove"- "Hai sentito,
               Ciro? Ci siamo sempre sbagliati! Il sole non scompare.
               E dove vorresti trovarlo, se per caso tu restassi qui
               e la luce non ci fosse più?" 	Lo scherno di Ukko
               brucia. È un richiamo alle posizioni. Il mio
               grado consiglia il silenzio. A farmi parlare è
               la rabbia cocciuta dell'umiliazione. - "Non serve
               partire. Il sole non scompare. Il sole c'è
               sempre. È nel Grande Cielo. Se proprio dobbiamo
               muoverci da qui, dobbiamo volare oltre le
               nuvole..." 	Esplodono da non
               dove lampi di dolore. Fitte che trapassano,
               improvvise. Ukko ha attaccato. Si è alzato in
               volo furibondo. Il suo becco aggressivo ha impartita
               la severa lezione e desidera continuare. Ha picchiato
               il livore del comando discusso. Inammissibile
               oltraggio al potere, lesa maestà: il blasfemo
               che osa contestare in forza della sua ignoranza
               è stato colpito dal nobile sdegno. Vorrei
               fuggire, ma so che non devo senza il suo ordine.
               Vorrei piangere, ma so che non devo se voglio evitare
               il suo totale disprezzo. Devo aspettare i suoi colpi,
               senza scansarne uno. "Giovane
               stupido chiacchierone, lasci parlare l'età,
               invece di controllarla. Il Grande Cielo non si
               può raggiungere. Non è per noi. Il
               Grande Cielo non esiste. Il sole esiste. È la
               nostra vita. Senza sole, siamo condannati: questo devi
               capire. Se non ci riesci, tieni per te questa pazzia.
               Non coinvolgere nessuno. La luce perenne è la
               speranza della nostra esistenza. Chi devia, condanna
               sé all'estinzione. La nostra sopravvivenza non
               può permettere che neanche ciò avvenga.
               Meglio per te ubbidire. Non parlare più di
               Grande Cielo, non pensarci nemmeno. Né in mia
               presenza, né in mia assenza. Ora
               vattene" 	Vorrei. Il corpo
               sordo però rimane schiacciato a terra. Il
               terrore della sua furia m'impedisce ogni mossa. Ukko
               è tornato a sfidare il vento e l'oceano. La
               virulenta indignazione è sgorgata via dai suoi
               occhi. Il despota scatenato dall'irriverenza del
               suddito è dileguato senza traccia. Per lui,
               tutto questo non è successo. Le mie ferite non
               esistono. Lui non ha mai lasciato il suo posto,
               né ha interrotto la conversazione col suo pari
               dell'altra specie. È sempre stato lì a
               contare i segni lontani verso cui punta lo sguardo
               corrucciato. Ha riconosciuto l'arrivo dell'esercito
               imbattibile che scaccerà il sole. Ha
               individuato le avanguardie nivee spuntare nella
               nebbia. Niente può, deve distrarlo mentre spia
               il futuro. Deve comandare il momento giusto della
               ritirata. Spetta a lui sollevarci da questo peso. Sa
               di non potere sbagliare. Un solo errore, la nostra
               rovina. - "Per essere un
               subordinato, è un
               bell'insolente"- "È
               giovane"- "Hai fatto
               bene a dargli una bella lezione. Ognuno al suo posto,
               intendo dire. Io non so. Se avessi contestato
               così il mio capo alla sua età, eh! -
               chissà come sarei finito"- "È
               giovane. Non parla con esperienza. Ha
               entusiasmo"- "Appunto.
               Esperienza. Se non prevale, siamo solo carne facile
               per i girifalchi. Quel che manca è il rispetto.
               Troppo poco rispetto. Tanta maleducazione, altro che
               entusiasmo! - intendo dire. Nel mio clan, queste cose
               le lascio capitare"- "Hai visto
               anche tu. È stato punito"- "E bene.
               Vedrai, non metterà più becco nei tuoi
               ordini. Ci vuole più autorità con questi
               giovani. Sono ribelli"- "Se non lo
               fossero, tu e io non saremmo qui
               adesso"- "Ma certo, non
               intendo dire questo. Io dico che
               però"- "Dove andrai
               col tuo stormo?"- "Oh, come
               sempre. Scenderemo verso il Mare Chiuso Fra le Terre.
               È pieno di umani, ma c'è ancora
               abbastanza cibo. E c'è tanto sole. Caldo il
               giusto. Quasi mai tempeste, venti leggeri. Non
               c'è malaccio, insomma. E il viaggio non
               è lungo"	- "Sembra una
               decisione saggia"- "Perché
               non venite con noi? Sai che mi piacerebbe viaggiare
               con te, intendo dire"- "Non siamo
               strolaghe"- "Che
               differenza vuoi che faccia se una sterna sverna in un
               posto o in un altro, con chi, perché. Quel che
               conta è stare lontani dal freddo, dai pericoli,
               colla pancia piena e un bell'harem! Quel che conta
               è vivere, intendo dire. Il come, per noi non
               è poi così
               	importante"- "Là
               dove andrai, il sole è sempre in
               cielo?"- "Béh,
               certo che no. Ci sono il giorno e la
               notte"- "Noi siamo
               vivi solo nella luce"- "La notte ha
               il suo scopo. Si dorme. Ci si può nascondere
               più facilmente dai nemici. Non è una
               cosa così terribile"- "Per noi,
               sì. Noi siamo vivi solo nella luce. Grazie lo
               stesso"- "Ukko il
               testardo, eh? Béh, non è una
               novità, vecchio mio. Se ci ripensi, hai tempo a
               trovarmi fino a domani"- "Non
               c'è permesso ripensare. Seguiremo la nostra
               natura"- "Allora addio
               Ukko. Spero di rivederti alla prossima primavera.
               Buona fortuna" - "Che fai
               ancora qui?" 	È andato
               via. Non ha aspettato la mia risposta. Era inutile,
               come me. Una perdita di tempo prezioso. Adesso
               è già altissimo in cielo. Un punto
               bianco in sfida colle raffiche rabbiose del vento.
               Vedetta sotto le nuvole. quasi non lo vedo più.
               Anch'io vorrei essere capace di volare così.
               Arrivare lassù con un battito d'ali, in
               vortice. Come fa lui. Un giorno sarò come Ukko?
               Volerò anch'io sotto le nuvole? E magari quella
               volta proverò a superarle? Chissà se ha
               tentato una volta di volare oltre. Andare nel Grande
               Cielo! Chissà se ha veramente ragione.
               Chissà se il Grande Cielo non esiste. O esiste.
               E se esiste, qual è il suo vero confine? Sono
               proprio quelle nuvole? O è la nostra ansia di
               sapere? Oppure è la nostra attesa di
               felicità? O più semplicemente è
               un'altra vita, che non conosciamo finché siamo
               attanagliati a questa, da cui non possiamo tornare per
               raccontarla agli altri? Perché Ukko rifiuta il
               Grande Cielo? Cosa nascondono quelle nuvole? Qualcosa
               di terribile? Un paradiso che non è per tutti?
               La dannazione? La grazia? Devo saperlo. Lo
               saprò, perché questo pensiero altrimenti
               non mi darà pace. Un giorno toccherà
               anche a me sfidare Ukko. Temo l'arrivo di
               quell'occasione, ma so che succederà.
               Dovrà succedere. Non potrò rifiutare
               quel momento. Il sangue mi obbligherà a non
               indietreggiare di fronte al suo sguardo severo,
               perché improvvisamente non mi farà
               più paura. Forse ne avrà lui, forse no.
               Anche lui dovrà accettare la sfida. Anche il
               suo sangue supererà la semplice volontà.
               Magari in quel mentre sarà stanco o deluso o
               altro lo preoccuperà di più. O la sua
               saggezza troverà stupido battersi. Non
               potrà lo stesso ignorare il nuovo rivale.
               È condannato a difendere senza tempo il suo
               trono o a soccombere sotto gli artigli. Allora dovremo
               lottare e può darsi che perderò per
               sempre. O vincerò e sarà lui a doversi
               inchinare. Vassallo di un nuovo re. Forse allora il
               Grande Cielo si aprirà pure per me.
               L'autorità mi lascerà provare a
               raggiungerlo. Finalmente saprò. Quello che so
               adesso, però, è che domani partiremo.
               Senza saperlo.  |