- Surrogato
d'uomo
- La sveglia del mio
telefonino trilla nella maniera odiosa come solo una
sveglia può essere; alla cieca premo un tasto
per disattivarla: sono le sette in punto, ma mi sono
addormentato da appena un paio d'ore. Odiosa insonnia.
Devo andare a lavoro; la mia occupazione è in
un centro commerciale di nome "Splendore": sistemare
detersivi negli scaffali è diventata la mia
grande specialità.
- Mi alzo
stancamente, trascinandomi lungo il corridoio, dove mi
fermo di fronte allo specchio alto pressappoco quanto
me. Dico alla mia immagine riflessa
«Buondì surrogato d'uomo». Utilizzo
la definizione di "surrogato d'uomo" da qualche anno;
in pratica da quando mi sono reso conto di campare
senza ambizioni, prendendo la vita come un tic tac
ineluttabile. Mentre parlo a me stesso spunta la
sagoma di mia moglie dalla cucina: è già
pronta per andare in ufficio. La mia dolce
metà si chiama Claudia e da cinque anni ha
trovato lavoro presso un prestigioso studio
commerciale dove viene trattata come una
principessina, visto il suo assiduo e proficuo
impegno. Ha ventisette anni come me. Fisicamente
è decisamente attraente; ha lunghi capelli
biondi raccolti spesso in artistici chignon, le
sua labbra sottili le danno un'espressione di
dolcezza, gli occhi leggermente a mandorla fanno
crepare d'invidia i maschietti che la vedono al
mio fianco. Quando l'ho conosciuta aveva pure il
pregio di essere sempre originale: progettava una vita
in continuo movimento. Diceva «La tua attitudine
a scrivere ci porterà a viaggiare sempre.
Diventerai un grande scrittore e sceneggiatore, ne
sono certa». Ma queste parole sono solo un
ricordo che affoga nel tempo come una mosca
nell'acqua. Il lavoro l'ha cambiata. E parecchio
anche.
- Mi dice con tono
di aspro rimprovero «Ti vuoi muovere? Perdi tempo
a specchiarti come se fossi in anticipo! Tra poco
più di mezz'ora devi trovarti allo
"Splendore"». Penso «Che ne sa lei
dell'insonnia? Che ne sa di quando alle tre di notte
sei sveglio e ti metti a contare i secondi nella
speranza che faccia presto mattina? Poi d'improvviso
crolli nel sonno più profondo. Ma è
troppo tardi, perché dopo qualche ora suona la
sveglia, e tu sei uno zombie che cammina e va a
lavorare e assolve a tutti compiti del buon uomo
bianco occidentale. Senza che ci sia la benché
minima gratificazione morale, chiaramente». Ma
non sempre i pensieri possono essere esposti se si
vuol vivere in tranquillità. Le rispondo con
un'espressione che chiede comprensione «Scusami,
ma non ho dormito molto, tesoro». Claudia mi dice
«Ci credo, non fai mai niente, come puoi essere
stanco? Appena torni dallo "Splendore" affondi nel
divano per vedere i dvd degli incomprensibili film
iraniani, cinesi e di chissà quale altra
nazione». Un moto di rabbia mi assale, sento un
fuoco avvamparmi il corpo per giungere alla testa; poi
rifluisce di nuovo nelle vene e si disperde lungo ogni
singola arteria. Le rispondo con tono un tantinello
alterato «Ciccia, i film iraniani, cinesi
e di chissà quale altra nazione piacevano anche
a te prima che diventassi un essere rigido, che
pensa solo ad accumulare danaro da spendere in maniere
idiote». Inspiro forte, emetto una sorta di
ruggito di gola e cerco di non esagerare: un litigio
non lo sopporterei; finirei per devastare la casa.
- Claudia mi saluta
dicendo «Non rimarrò ad aspettarti, non
voglio arrivare tardi all'ufficio per colpa tua che
sei ancora a bighellonare in casa! Raggiungerai il
centro con l'autobus». Le rispondo con tono privo
di cordialità «Okay, vai. So come
giustificare il mio ritardo ». Appena Claudia
chiude la porta mi sento risollevato. Respiro la
tiepida aria primaverile, stravaccandomi sul divano
del mio soggiorno, dove vedo i film iraniani, cinesi e
di chissà quale altra nazione a cui ha fatto
riferimento mia moglie. Perché è
diventata così insensibile?
- Sono quasi le
otto, teoricamente dovrei essere tra gli scaffali
dello "Splendore" a sistemare detersivi. In
realtà non ho giustificazioni e vorrei soltanto
dormire. Il mio caporeparto mi dirà che prima o
poi mi farà cacciare via a calci in culo,
perché non rendo e non rispetto le regole. Me
lo ha detto già un migliaio di volte, ma
purtroppo non lo hai mai fatto. Guardo il soggiorno
della mia casa e mi rendo conto che non lo sento per
niente mio. Il tavolo color mogano è di un
legno pregiatissimo, scelto da mia moglie, e su cui
non ho chiesto mai informazioni; quando mi ha detto
che voleva comprarlo le ho semplicemente risposto
«Se ti piace, prendilo». Mi accorgo
però che è davvero inguardabile:
circolare, sproporzionatamente grande e senza un
minimo di design originale; ma chissà quanto
è stato pubblicizzato e perciò è
diventato bello. Noto anche una marea di
soprammobili di valore: cristalli di Boemia ed
orribili cornici dorate con dentro alcune foto di me e
mia moglie abbracciati, mentre facciamo sfoggio di un
sorriso falso quanto i dvd venduti dagli
extracomunitari. Poi vedo delle pseudo sculture di
legno: sarà Arte Contemporanea, ma fanno
davvero schifo. Eppure sono convinto che il loro costo
sia molto, ma molto elevato. Vivo in una casa che non
sento mia, anche il divano in pelle su cui sono
stravaccato è brutto, ma non me ne sono mai
reso conto. Mi alzo quasi barcollante e mi assale un
dubbio «Per quale ignota ragione vivo ancora con
Claudia? È bella, ma non è la stessa
ragazza che ho conosciuto». Mi gira la testa e mi
chiedo «Perché continuo ad abitare una
casa in cui mi sento estraneo?». La pazzia si sta
impossessando di me: l'insonnia mi provoca un
drammatico calo delle capacità razionali.
Squilla il mio cellulare; sprofondo nel panico, ma
rispondo. «Che fine hai fatto?», mi gracchia
una voce molto incazzata: è il mio caporeparto.
Credo che stavolta mi licenzierà
davvero.
- Arrivo al centro
commerciale "Splendore": sono le nove; il ritardo
è paurosamente ingiustificabile. Vedo il solito
andirivieni di clienti: li odio. In questi quattro
anni di lavoro ho imparato a provare una
sincera antipatia nei confronti dello status di
consumatore. Il consumatore in genere è un
essere che pretende tutto come un bambino
perché paga; quando ti chiede
informazioni lo fa trattandoti come uno schiavo, ma
esige che tu sia gentilissimo nei suoi confronti,
perché paga; se capita che qualcosa va
storto, tipo un'errata segnalazione del periodo di
offerta di un determinato prodotto anche per un solo
giorno, manda in subbuglio l'intera direzione e si
sente in diritto di farlo, perché paga;
se chiama al centralino e chiede «il giorno di
Natale siete aperti almeno mezza giornata?» non
lo puoi mandare al diavolo, perché paga.
Eppoi è talmente imbambolato dalla
pubblicità da non accorgersi che paga
cifre esorbitanti per prodotti che valgono meno di uno
scarico di fogna. L'idea che anche io sia rientrato
nello status di consumatore per un periodo abbastanza
lungo della mia vita, mi manda in bestia; per questa
ragione mi sono dedicato ad un ascetismo
virtuale, delegando i compiti di spesa solo ed
esclusivamente a mia moglie, che rientra a pieno
titolo e con immane soddisfazione nello status di
consumatore. In effetti un giorno la vedrei bene nelle
vesti di presidentessa di una delle tante inutili
associazioni che dicono di tutelare gli interessi dei
consumatori. A me sembra che facciano solo chiacchiere
con l'intento di attirare l'attenzione dei media.
Finita la mia riflessione, consumata lungo il
tragitto, arrivo davanti a Michele Giulietti, il mio
caporeparto. Giulietti è alto a malapena un
metro e sessanta, i suoi capelli sono sempre
gelatinati e tirati indietro; di solito affoga la
pancetta da quarantenne in giacche troppo strette,
benché eleganti e di pregevole fattura. Io lo
saluto con un cenno della mano e scivolo via, fingendo
che la situazione sia normalissima. Lui mi afferra per
un braccio e con una mano mi stringe il colletto della
camicia; mi dice «Mi hai davvero seccato,
miserabile di un uomo», lo interrompo dicendo
«Ha sbagliato, sono un surrogato d'un uomo».
Giulietti non apprezza il mio umorismo, ma mi lascia
almeno il colletto della camicia; mi dice
«Seguimi».
- Scivoliamo
attraverso la massa festante di consumatori
alla ricerca di oggetti che possano farli sentire vivi
e felici. Noto un bimbo che piange e scalcia la mamma:
pretende un orribile camioncino-giocattolo; rifletto
«diventerà un perfetto consumatore».
Giulietti mi porta al reparto detersivi; io gli dico
con tono ed espressione di riconoscenza «Grazie
per la gentilezza, ma sapevo di dover venire
qua». La mia ironia lo fa praticamente impazzire;
comincia a gridare attirando l'attenzione di
dipendenti e clienti «Guarda che catasta di
detersivi devi sistemare! Io ti porto qua per fartela
vedere e tu sfoderi un sarcasmo demente!». Mi
avvicino per cercare di calmarlo e dico «Lo so
che sta passando un brutto momento con sua moglie, ma
vedrà che tutto si risolverà per il
meglio». Sono quattro lunghi anni che attendo
questo istante: umiliare il mio frustrato caporeparto
davanti a centinaia di persone; so che questo mi
costerà il posto di lavoro, ma è una
soddisfazione indescrivibile. Giulietti si scaglia
scompostamente contro di me: vuole aggredirmi. Senza
grossi sforzi, distendo la mano destra con il pugno
chiuso; in pratica è lui che viene a cercarsi
il mio cazzotto: io non imprimo forza al movimento.
Cade a terra e rantola. Mi giro intorno e vedo tutti
gli occhi puntati su di me; faccio spallucce e mi
muovo verso l'uscita.
- Non voglio
prendere l'autobus: preferisco fare una passeggiata
per godermi la gradevole aria primaverile che pare
accarezzarmi con affetto materno; forse apprezza la
decisione di perdere il mio non gratificante lavoro.
Che detestavo. Mentre cammino, penso «Mi auguro
di trovare mia moglie con un altro. Avrei una buona
scusante per mollarla definitivamente». Spesso ho
immaginato che Claudia potesse avere un amante;
durante svariati litigi speravo che mi
spiattellasse in faccia una rivelazione del
genere. Non lo ha mai fatto: in fondo mi vuole davvero
bene e non mi tradirebbe mai; ma io non la sopporto
più.
- Apro la porta,
Claudia è rientrata stranamente in anticipo:
appena mi vede si ritrae impaurita come se avesse
visto un dinosauro entrare in casa. Mi dice con tono
balbettante «Come mai già di
ritorno?»; le rispondo «Mi sono licenziato.
E a breve divorzierò». La mia speranza si
è concretizzata in maniera inattesa e
così in un solo giorno sto per liberarmi dalle
due catene più strette: la deprimente
occupazione presso lo "Splendore" ed il liberticida
rapporto con mia moglie. Dico con palese
serenità «Non mi interessa chi sia il tuo
amante. Mi dispiace solo che non me lo hai detto
prima, ti avrei lasciato libera senza nemmeno far
finta di trattenerti». Mi avvio verso la mia
ormai ex camera da letto; incrocio un giovane, credo
poco più che ventenne, è alto, capelli
lunghi e biondi, occhi chiari, fisico iper palestrato.
Appena mi vede, indietreggia, facendo cenni con le
mani come per cercare di calmarmi. Assumo
un'espressione stranita e dico «Non preoccuparti.
Anzi, mi fa piacere che Claudia abbia scelto almeno un
bel giovane per tradirmi. Quasi quasi mi inorgoglisce
questo fatto». Non aggiungo altro ed inizio a
raccattare camicie e jeans e magliette molto grunge
version che non indosso da qualche tempo; le
ripongo in una valigia ed esco dalla camera. Davanti
alla porta Claudia piange con le mani sulla faccia per
evitare di guardarmi; le tocco i capelli e poi li
bacio. La saluto dicendo «Non stare in pena.
Giuro che sono contento. L'unica cosa che
vorrei è che mi restituissi i dvd ed i libri
quando troverò una casa. Semmai la
cercherò». Claudia mi chiede con una voce
rauca causata dal pianto «Dove andrai
adesso?». Le rispondo «Il bello è
questo. Non ho progetti, tesoro».
- Apro la porta e
quando sento che si è chiusa alle mie spalle,
capisco che d'ora in poi la notte dormirò
beatamente e quando mi sveglierò la mattina non
mi sentirò più un surrogato d'uomo. Ed
è davvero tanto.
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