- Il
quarto piano
-
- La mia scoperta
è stata casuale. E' vero, ero in attesa che
qualcosa colpisse la noia cha avevo dentro, per fare
del male o del bene non aveva troppa importanza, ma
che attendere passivo mi avrebbe portato a una
scoperta del genere no, questo non me lo sarei mai
aspettato. E' come aprire un regalo che lascia
sbigottiti, non perché incomprensibile nel
significato o esagerato per l'occasione, ma
perché stravolge. Scarti il pacchetto e quando
vedi di cosa si tratta non hai il coraggio di guardare
negli occhi la persona che lo ha pensato. Non ti
chiedi quando ha deciso di comprarlo, se ha sorriso
alla cassiera mentre pagava o se la scelta del fiocco
gli ha fatto perdere del tempo. Sussurri solo un
grazie spontaneo, senza far trasparire né
felicità né delusione, ma quello che
più fa rumore è il tuo
batticuore.
- Ecco, la scoperta
della botola al quarto piano dell'albergo che gestivo
mi aveva dato il batticuore. Era qualcosa di
inaspettato. Mi aveva prima stravolto e poi travolto,
infine era diventata la mia scoperta. La mia
incredibile e grottesca scoperta casuale.
-
- La responsabile
delle pulizie, la signora Givet, era entrata nel mio
ufficio senza bussare. Era una signora francese grassa
e impetuosa, che a prima vista appariva scorbutica.
Non so cosa pensasse dell'Italia, ma posso dire che
era la regina delle pulizie. Il signor Vink l'aveva
trasferita da un suo albergo in Francia e le aveva
pagato le lezioni di italiano, come al resto del
personale. Molte delle persone che lavoravano
all'hotel erano straniere: il signor Vink era fissato
con l'Europa unita e aveva assunto uomini e donne da
ogni Stato.
- "Viviamo sotto
un'unica bandiera" mi aveva detto, "e i clienti si
sentiranno a casa sapendo che c'è un loro
connazionale che lavora in albergo."
- Grazie al personale
così vario, io avevo imparato qualche parola in
diverse lingue, anche se le più banali. Se
qualcuno mi chiedeva che opinione avessi dell'Europa
unita, rispondevo che l'Europa, per me, è un
grande albergo in cui tutti lavorano pagati da una
sola persona.
- La signora Givet mi
aveva interrotto mentre al computer inserivo nel conto
della camera "Lussemburgo" l'utilizzo della lavanderia
per due tute da sci. Era il tipo di tute che ti
aspetti di veder indossare da una coppia che alloggia
nell'albergo dell'amore: azzurra per lui e rosa per
lei, con un cuore trafitto disegnato sulla schiena e
un gancio all'altezza dei fianchi. L'amore, a volte,
è infantile come un disegno e indissolubile
come due tute da sci agganciate.
- "Mi servono i
detersivi per lavare la moquette, li ho finiti tutti"
aveva detto la signora Givet.
- Senza alzare lo
sguardo dallo schermo le avevo dato le chiavi del
quarto piano.
- "Non può
prenderli lei, signor Davide? Mi fa male un ginocchio
e l'ascensore non funziona. "
- Non sempre gli
ordini sono un'esclamazione. Possono avere una domanda
e una risposta.
- La signora Givet mi
aveva sorriso, se quel movimento delle labbra si
poteva chiamare sorriso, ed era uscita dall'ufficio.
Si era seduta sul divano della piccola sala da lettura
vicina alla reception e mentre massaggiava il
ginocchio aveva iniziato a sfogliare un
quotidiano.
- Ero salito fino al
quarto piano ed ero entrato nel locale che faceva da
ripostiglio.
- Per liberare lo
scatolone che conteneva i detersivi e non sapendo
quali potessero servire alla signora Givet, avevo
preso tutta la scatola. L'avevo alzata e mi ero
accorto di una botola mai vista prima. L'avevo
guardata come si guarda un frutto sconosciuto. Sai che
è da mangiare ma non ne immagini il sapore. Io
sapevo che la botola si poteva aprire, ma non
immaginavo cosa potesse esserci
all'interno.
- "Una botola" avevo
detto sorpreso. Ma mi ero voltato e me ne ero andato.
Poche volte ero entrato in quel locale e quando ci
entravo cercavo sempre di uscire il più in
fretta possibile. Non volevo impregnarmi dell'odore di
vecchio che ha ogni ripostiglio. La signora Givet
stava leggendo la pagina degli spettacoli e mi aveva
detto qualcosa a proposito di un nuovo reality in
televisione. Avevo appoggiato la scatola per terra e
dopo il suo grazie mi ero rimesso al computer e avevo
salvato il documento della camera
"Lussemburgo".
- Poi ero tornato
alla reception. Di lì a qualche minuto i
clienti sarebbero rientrati in albergo per la
cena.
-
- Guardavo le
montagne e pensavo. Sembrava fossero lì per non
farmi respirare.
- Avevo letto che le
Alpi si abbassavano di un millimetro ogni anno e che i
ghiacciai si restringevano come certe magliette dopo
un lavaggio. Pensavo che più crescevo e
diventavo maturo, più capivo che poche cose mi
avrebbero sbalordito ancora nella vita.
- I clienti
dell'albergo andavano e venivano, io restavo e mi
annoiavo. Le montagne erano una maglietta sempre
più stretta, un colpo ai reni che bloccava il
respiro.
- "Le montagne
tolgono il fiato!" Aveva esclamato un giorno mio zio
battendo un pugno sul tavolo.
- "Ti si stringono
attorno e ti chiudono in gabbia. "Lui aveva vissuto
sulle Alpi per vent'anni.
- Mi annoiavo a
morte. Non riuscire a vedere al di là delle
montagne era un libro con le pagine nere, senza
parole. Non c'era fantasia.
- Era da tre anni che
gestivo l'hotel Eros, ma da quattro mi ero trasferito
sulle Alpi. O meglio, come dicevano tutti, nel cuore
delle Alpi. Come se questo possa dare un significato
diverso alla vita di montagna.
- Insieme al
proprietario, il signor Eros Vink, avevo seguito i
lavori di ristrutturazione dei tre piani dell'albergo.
E' strano come a scandire il tempo di una
ristrutturazione siano la polvere, il cemento,
l'arredo e lo champagne. Sono i cicli dell'edilizia.
Scruto gli operai che lavorano nel cantiere
finché ti trovi con un bicchiere in mano a
parlare dei costi e a ringraziare per i
complimenti.
- Il signor Eros Vink
era olandese e viveva in Italia da parecchi anni.
Aveva alberghi sparsi in tutta Europa, una specie di
catena di "hotel Eros" che, come diceva lui, era la
catena che univa il sonno dei cittadini europei. Era
un albergatore di successo, capace e determinato, ma
non amava il lusso. Per lui tutto doveva essere alla
portata di tutti, a cominciare dai suoi
alberghi.
- Io pagavo un
affitto annuale onesto e in cambio, tolti i costi per
il personale e le spese di gestione, i profitti erano
tutti per me. Non avevo ancora trent'anni e già
guadagnavo bene, tanto da non aspettare con ansia
l'estratto conto di fine mese.
- Se lo stress di una
persona si misura anche con la condizione economica
bé, devo proprio dirlo, io non rientravo nel
target di lettori delle riviste che spiegano come
sconfiggerlo.
- L'hotel Eros era un
albergo di montagna, soffocato ovunque da legno
anticato e rifinito con pietra grezza rubata nel letto
dei fiumi.
- Era stata un'idea
del signor Vink progettare solo stanze per coppie.
Ogni suo albergo era a tema.
- "Voglio un soppalco
per il letto matrimoniale, un soggiorno con divano e
un bagno con vasca idromassaggio" aveva ordinato
all'architetto.
- "Tutte le stanze
devono essere uguali. Non voglio suite o camere
spoglie per poveri. Ha presente cos'è successo
al Titanic? Dividere le persone in base alla
differenza di classe fa affondare la società. E
noi siamo in Europa. Dobbiamo unire, non
dividere."
- E così era
stato: quindici stanze identiche, tutte allo stesso
prezzo. Non c'era prima, seconda o terza classe. I
clienti potevano davvero sentirsi sulla stessa nave.
- Era stato un amico
a mettermi in contatto con il signor Vink. Avevo
sempre sognato di gestire un albergo lontano dalla
città in cui ero nato, così avevo
scalato le Alpi per far fruttare l'hotel
Eros.
- "Sarà
l'albergo dell'amore" mi aveva spiegato il signor
Vink.
- "Non ci saranno mai
bambini o famiglie nell'hotel, solo coppie innamorate
o attratte. Nel mio hotel le famiglie devono nascere e
i bambini devono essere concepiti. Chiameremo le
stanze con i nomi dei quindici stati dell'Unione.
Là fuori non c'è più solo
l'Italia, Davide. Le coppie verranno da tutta Europa e
il mio sarà l'albergo dell'amore
europeo."
- "E quando gli Stati
dell'Unione cresceranno" avevo chiesto vantando il mio
interesse per l'attualità, "ha intenzione di
ristrutturare il quarto piano?"
- "Non credo
"
aveva risposto guardandomi di traverso. Forse non
sapeva che l'Europa sarebbe cresciuta.
- Il progetto del
signor Vink, per dirla tutta, mi sembrava piuttosto
bizzarro, ma mi piaceva. Anche io avevo sempre
desiderato portare la mia ragazza in un posto del
genere, in montagna, in una stanza costruita come le
vecchie baite. Stare tutto il giorno sotto le coperte,
coccolati dall'odore del legno e in silenzio, dopo
aver fatto l'amore, guardare incantati i fiocchi di
neve scendere. Ero certo che molte coppie sarebbero
venute e che l'albergo avrebbe funzionato a
meraviglia.
- "E che ne facciamo
del quarto piano?"
- "Una parte
sarà il tuo appartamento, l'altra la userai da
ripostiglio."
- Almeno non dovevo
vivere in un monolocale sottoterra, come il
personale.
- Prendere
l'ascensore e salire era la metafora del mio ruolo
nell'hotel.
- L'albergo
funzionava davvero. Le coppie arrivavano da tutta
Europa per passare qualche giorno in amore e si
chiudevano in camera così come i lupi, nei
periodi dell'accoppiamento, si stabilizzano in luoghi
determinati. Qualcuno per concepire
- Un figlio o
decidersi a formare una famiglia, come diceva il
signor Vink, ma tante volte, mi sembrava, solo per
fare sesso lontano dalla routine di casa o dalle
rispettive dolci metà.
-
- Dopo cena, quando
il signor Hinkel mi aveva sostituito alla reception,
avevo deciso di tornare al quarto piano e scoprire
cosa ci fosse sotto la botola. Non ci avevo pensato
fino a quel momento, ma uno spillo di curiosità
aveva lasciato dei buchini su tutto il mio
corpo.
- Il signor Hinkel
era austriaco. Si era sposato nel cuore delle Alpi con
una donna del posto, come se per uno scherzo del
destino il suo cuore avesse iniziato a battere per
amore solo una volta giunto quassù.
- "prendo le chiavi
del quarto" avevo detto. "Le tengo fino a
domani."
- "Si è deciso
a sistemare il ripostiglio, signor Davide?" mi aveva
chiesto Hinkel
- con un colpetto
dell'indice sul naso, un tic che chiudeva ogni sua
domanda.
- "No
" avevo
risposto, "solo curiosità."
- Con uno straccio
umido avevo tolto la polvere che c'era sopra la
botola, per vederne meglio la grandezza. Poi l'avevo
alzata. All'interno era tutto buio e riuscivo a
scorgere solo i primi gradini di una scala ripida.
All'interno era tutto buio e riuscivo a scorgere solo
i primi gradini di una scala ripida. Avevo acceso il
mio zippo ed ero sceso
- Sotto i piedi avevo
un pavimento sconnesso, come pieno di sabbia umida
pressata ma non livellata. Il locale era piccolo,
quasi angusto. Mi sentivo come un bambino nascosto nel
suo luogo segreto.
- Nella parete dietro
la scala c'era una porta. Senza esitare mi ero
avvicinato e l'avevo aperta. All'interno c'era una
luce talmente forte da dar noia alla
vista.
- Sembrava il
riflesso del sole sulla neve quando in cielo le nuvole
lasciano il posto all'azzurro.
- Poi, quando gli
occhi si erano abituati alla luce, avevo
visto.
- Un uomo mi guardava
con il sorriso stampato. Dietro di lui c'erano
montagne, vicine e bellissime.
- "La porta del
passaggio non può rimanere aperta" aveva
detto.
- Era vestito con una
divisa blu scura, elegante e conie finiture in oro,
come quelle dei portieri degli alberghi a cinque
stelle.
- "Può fare un
passo e varcare la soglia, oppure restare dov'è
ora. Ma la porta del passaggio non può rimanere
aperta."
- Ero titubante, ma
ero riuscito a fare un passo. Era come se qualcuno mi
avesse dato una leggera spinta. Ho sempre bisogno di
una spinta per provare ciò che mi è
sconosciuto. Poiché non c'era nessuno, era
stato il mio inconscio a spingere.
- "Sono le nostre
regole" aveva detto il portiere dopo aver chiuso la
porta.
- "Nostre?" avevo
chiesto.
- "Io sono Marek, il
custode del passaggio. Lei come si
chiama?"
- "Davide" avevo
risposto a stento.
- "Ah, e dunque
è lei il signor Davide, il gestore dell'hotel
Eros. Bene, sì, molto bene. Il signor Vink ci
aveva avvistai che prima o poi sarebbe
arrivato."
- "Il signor Vink?"
avevo chiesto stupito.
- "Certo, il
proprietario del suo albergo."
- "Ma
ma dove mi
trovo?"
- Qualcosa aveva
colpito la mia noia. Anche senza aspettare la risposta
di quel tale sentivo che parte della monotonia che
avevo dentro si stava già sciogliendo. Ero
spaventato, senza dubbio, ma anche affascinato.
Ciò che intravedevo dietro il sorriso del
custode mi aveva sbalordito. Era qualcosa di talmente
incredibile, magico e pauroso, che poteva solo
sbalordirmi. Se quello che vedevo era reale, avrei
chiesto alla realtà di rapirmi.
- "Lei si trova nella
dimensione parallela delle Alpi.
Benvenuto."
- "Dimensione
parallela?"
- "Ripete sempre le
parole del suo interlocutore quando dialoga? Certo,
dimensione parallela, e quello che ha appena passato
è un varco, l'unico in Italia per le
Alpi."
- Lo aveva detto con
la semplicità di un macellaio mentre sgozza un
vitello, come se mi volesse rimproverare di non
credere ai fumetti o ai romanzi fantasy.
- Vedevo montagne,
divise tra loro e a poca distanza l'una dall'altra, e
seggiovie e sciatori e persone che mi passavano
vicino. Davanti a ogni montagna potevo scorgere una
bandiera: quella dell'Austria e della Spagna,
più lontano quella dell'Italia, della Germania
e della Francia e accanto a ognuna quella dell'Europa,
con le dodici stelle invariabili.
- "Cosa sono quelle
bandiere?" avevo chiesto voltandomi verso
Marek.
- "Posso chiamarle
una delle nostre guide, se le interessa. Le
spiegherà tutto ciò che c'è da
sapere e la porterà a fare un giro
turistico."
- Cominciavo a
innervosirmi. Da una parte volevo sapere, a quel punto
era vitale, dall'altra c'era Marek il custode che
considerava la dimensione parallela come una gita di
terza elementare.
- "Non ho intenzione
di muovermi da qui finché non capisco che razza
di posto è questo!& avevo urlato, " e
sarà lei a spiegarmelo."
- "Certo, come vuole:
siamo nella dimensione parallela delle Alpi. Quelli
che vede sciare sulle piste o passeggiare o prendere
il sole, sono turisti arrivati dai varchi sparsi in
Europa. I varchi sono posizionati nei migliori luoghi
delle Alpi, in quelli che noi abbiamo ritenuto
opportuni."
- "Noi chi?" avevo
chiesto.
- "Questo non
è affar suo."
- Il tono di voce del
custode mi aveva fatto capire che rispetto al "noi
chi?" non avrebbe detto nient'altro. Per un attimo il
suo sorriso era sparito e io non avevo insistito. Non
sempre occorre sapere tutto.
- "E queste montagne,
cosa sono? Sembrano finte. Sono bellissime
ma
"
- "Sono la dimensione
parallela delle montagne più famose d'Europa.
In tutto abbiamo quaranta piste europee, delle Alpi ma
non solo, anche se la nostra offerta non è
completa."
- "Ma perché i
turisti vengono qui se sono già in
montagna?"
- " Che domande,
signor Davide, lei non è molto sveglio! Capisco
la sua sorpresa, ma usi l'intelligenza! A sciare sulle
stesse piste ci si stufa subito. Noi, insieme agli
alberghi delle località in cui ci sono i
varchi, garantiamo quello che nessun altro può
offrire/ sole perenne, neve naturale abbondante e le
migliori piste d'Europa.
- Capisce, signor
Davide?"
- "E' incredibile"
avevo sussurrato.
- "Eppure è
tutto davanti ai suoi occhi."
- "Vederlo è
ancora più incredibile."
- "Perché non
noleggia un paio di sci e prova a sciare in Sierra
Nevada?"
- "No grazie, magari
un'altra volta."
- "Se preferisce
può sciare a Chamonix. Oppure a Kitzbuehel o
sulla 3-Tre di Campiglio."
- " Ho detto di no,
ma grazie." E mi ero incamminato verso
l'uscita.
- "Se ne vuole
già andare, signor Davide? Sono io a
innervosirla o è il posto?"
- "Be'
entrambi!" avevo esclamato con ironia, "comunque
tornerò."
- "Oh, ne sono
certo."
- Poi, intontito e su
di giri, avevo dato un ultimo sguardo a quel luogo e
Marek il custode aveva chiuso la porta ripetendo
ancora che il passaggio non poteva rimanere
aperto.
- Una volta nel
letto, nella mia solita dimensione, avevo preso il
cellulare per chiamare il signor Vink.
- "Pronto?"
- "Sono
Davide."
- "Non ti sembra un
po' tardi per chiamare?Io non faccio mai le ore
piccole.
- "Ma sono le
undici."
- "Appunto! Io vado a
letto alle nove."
- "Mi scusi, signor
Vink, ma è urgente."
- "Che cosa
c'è di così urgente, ha preso fuoco
l'albergo? C'è stato suicidio di
coppia?"
- "No signor Vink, io
ho
" e mi ero bloccato.
- Avevo ripercorso
con la mente ciò che mi era capitato, per
giudicare ancora una volta quanto potesse essere
reale. Ma non avevo trovato risposte.
- "Tu hai cosa,
Davide?"
- "Vorrei incontrarla
al più presto. Io ho
ho scoperto il
varco."
-
-
- Nei giorni seguenti
avevo parlato a lungo con il signor Vink. Avevo saputo
che il varco doveva rimanere segreto e che in caso
contrario si poteva morire. Per questo aveva preferito
non mettersi in affari con i gestori dell'altra
dimensione.
- Il signor Vink mi
aveva detto, secondo quello che gli aveva spiegato
Marek, che i clienti che tornavano dalla dimensione
parallela erano consapevoli di aver vissuto qualcosa
di eccezionale e illogico, ma non riuscivano mai a
ricordare cosa.
- Avevano in mente
gli attimi del passaggio, ma credevano di aver provato
una specie di realtà virtuale, un nuovo
gioco.
- "Del resto" mi
aveva detto il signor Vink, "tu nomina la parola
tecnologia e vedrai che nessuno chiede spiegazioni
approfondite."
- Avevo pensato molto
alle possibilità del varco e mi erano venute
parecchie idee su come sfruttarlo. Non potevo
lasciarmi sfuggire l'occasione. Ogni ente del turismo
sogna una stagione invernale infinita, il cielo sempre
luminoso e le piste innevate alla perfezione. E io
avevo trovato la soluzione. L'hotel Eros, insieme
all'amore, avrebbe offerto le Alpi, il grande cuore
delle Alpi, e l'Europa.
- Così avevo
deciso di ristrutturare n il quarto piano e sbalordire
in gran segreto. Un tempo la strada dello Spluga
è stata passaggio per uomini, economia e
cultura.
- Collegava l'Europa
al Mediterraneo. Io avevo il passaggio del quarto
piano, qualcosa di unico, la mia personale strada
dello Spluga.
- Se la dimensione
parallela aveva un cuore, come le Alpi, io sarei
diventato una delle sue arterie.
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