- Sommario
- Editoriale a cura di Umberto Montefameglio
- Satira e Poesia: Marziale, l'insuperabile epigrammista dell'età imperiale di Massimo Barile
- Analisi dell'Arte Poetica:
3) Il linguaggio di Pietro Cirillo
- Letteratura sudamericana:
Gabriela Mistral - La poetessa cilena che scriveva d'amore e di morte di Alessandra Crabbia
- News
Marco Valerio Marziale
- Da Società Lingua e Letteratura nell'antica Roma, F. Semi, ed. Canova, Traduzione Maria Carlotto Cavalcoli
Marziale - Da «Epigrammi» II, 18:
- O Massimo, ti scrocco, - me ne vergogno ma te la scrocco, - la cena; e tu poi ne scrocchi un'altra: ormai dunque siamo pari. Al mattino vengo a salutarti, e mi dicono che sei già andato a salutare: ora dunque siamo pari. Io ti accompagno, precedo te, padrone arrogante; tu accompagni un altro: ora dunque siamo pari. Mi basta essere servo, non voglio essere un viceservo. Chi sta sopra, non deve, o Massimo, avere chi gli sia superiore.
- Da «Epigrammi» X, 47:
- Vuoi la ricetta per vivere felice? Eccola, carissimo Marziale. Una sostanza avita, non procuratasi con il sudore della fronte, un campo fertile, un focolare sempre acceso, mai liti, pochi affari, animo sereno, forze da uomo libero, salute fisica, saggia semplicità, amicizia con persone di pari rango, conversazione affabile, mensa non sofisticata, notte senza ubriacature ma anche senza incubi, un letto piacevole ma senza impudicizie, un sonno che abbrevi le tenebre, essere ciò che sei (cioè non desiderare una condizione più elevata) e non preferire nulla [di più], alla fine né temere né bramare [l'ultimo] giorno (la morte).
- Da «Epigrammi» VI, 20:
- Quando mi chiedevi se mi servisse niente, ti chiesi in prestito, o Febo, cento sesterzi. Ora tentenni, indaghi, perdi tempo. Da dieci giorni tormenti me e te. Un'altra volta, Febo, quando ti chiedo qualcosa, dimmi di no!
- (Traduzione di Maria Carlotto Cavalcoli)
- Da «Liber de spectaculis» (7):
- Non ti basta, o Cesare, che il belligero Marte combatta con armi invitte: combatte anche la stessa Venere.
- Da «Xenia» XIII, 25:
- Siamo i frutti di Cibele: gira al largo, viandante. Povera testa tua, se caschiamo! (Attis era stato cambiato in pino da Cibele, dopo le note vicende. Importa ricordare che il culto di Attis e Cibele era ben vivo allora!).
- Da «Xenia» XIII, 122:
- Non sprezzare quest'anfora di aceto del Nilo: finché fu vino era meno apprezzato (È un aceto più caro del vino da cui è fatto: i vini egizi non erano molto apprezzati).
- Da «Apophoreta» XIV, 186:
- Com'è piccolo il libro che raccoglie il grande Virgilio! Il frontespizio porta il ritratto del poeta.
- Da «Apophoreta» XIV, 56:
- Hai bisogno di me? Mi prenda una ragazza. Non sono solito pulire denti comperati.
- Da «Epigrammi» V, 34:
- L'epicedio di Erozio.
- Questa bimba, bacio e delizia mia, a voi genitori affido, perché [Erozio] non sia spaventata dalle nere ombre dell'Averno e dalle [tre] bocche del mostruoso Cerbero. Mancavano sei giorni a che compisse sei anni.
- Scherzosa e lieta gioca con i suoi vecchi genitori, il mio nome cinguetta con la erre moscia.
- Una zolla non dura copra le sue fragili membra: e come ella fu a te, sii a lei, terra, leggera!
- (Traduzione di Maria Carlotto Cavalcoli)
- Da «Epigrammi» II, 30:
- Amici avari.
- Chiedevo in prestito venti [mila] sesterzi, che se anche me li avesse regalati, non gli sarebbe costato nulla, giacché li chiedevo ad un vecchio compagno di gioventù che ha la cassetta ben fornita.
- Ma egli mi rispose: «Fa' l'avvocato, e sarai ricco!» Gaio, dammi quello che ti ho chiesto, non so che farmene dei tuoi consigli!
- Da «Epigrammi» XI, 67:
- Niente vuoi darmi da vivo; dici che mi lascerai le tue sostanze da morto. Ma questo è proprio, o Marone, voler farsi augurare la morte!
- Da «Epigrammi» I, 20:
- Dì un po' che pazzia è mai questa? Di fronte ad una folla di spettatori-invitati, tu solo, Ceciliano divori prelibati funghi.
- Che altro mai posso augurare alla tua ingordigia? Che tu mangi un boleto simile a quello che mangiò Claudio!
- Da «Epigrammi» VIII, 17:
- Il «piraticus mos»
- Stabilimmo, o Sesto, duemila sesterzi quale pagamento per la tua difesa. Che storia è questa che me ne hai mandati solo mille? «Non hai detto niente di buono, ed hai perso la causa».
- Proprio per questo mi devi di più o Sesto, in quanto mi vergognai (per l'indegnità della causa).
- Da «Epigrammi» I, 32:
- Sabido, non ti posso soffrire e non so dirti perché. Posso dirti solo questo: mi sei antipatico.
- Da «Epigrammi» X, 79:
- La mania di superare tutti.
- Torquato ha una villa suntuosa a quattro miglia dalla città. Pure Otacilio vi comprò un piccolo fondo rustico. Torquato s'è fatto costruire delle terme con marmi preziosi colorati; Otacilio una vasca da bagno. Torquato, nei suoi campi, curò una piantagione di lauri, Otacilio piantò castagni. Mentre Torquato era console, Otacilio fu sindaco di rione e un incarico così infimo gli bastava per darsi importanza. Come un grosso bue fece crepare d'invidia una piccola rana, così Torquato farà con Otacilio.
- Da «Epigrammi» I, 79:
- Il faccendone.
- Attalo, fai sempre cause, tratti sempre affari, non c'è cosa che tu non faccia. Se non ci sono cause da spingere avanti, Attalo, spingi le mule, e perché non ti manchi nulla da buttar fuori, butta fuori l'anima!
- Da «Epigrammi» VI, 17:
- I nomi nuovi.
- O Cìnnamo, ti fai chiamare Cinna, ma non è questo «Cinna» un barbarismo? Se tu prima ti fossi chiamato Furio, oggi ti chiamerebbero fur (ladro: gioco di parole che anche qui si perde nella versione).
- Da «Epigrammi» II, 65:
- Cacciatori di eredità.
- Perché Saleiano è più triste [del solito]? - Non ne ho forse ragione, - dice -, Ho sepolto mia moglie. Oh, che disgrazia, che sciagura! Morta, morta è la ricca Secondilla, che ti portò in dote un milione di sesterzi? Vorrei che ciò non fosse successo a te, Saleiano.
- Da «Epigrammi» VI, 53:
- I medici.
- Era alle terme con noi, cenò allegramente e proprio lui, stamane, Andràgira, hanno trovato morto. Vuoi conoscere, o Faustino, la causa di una morte così improvvisa? In sogno aveva visto Ermòcrate, il medico.
- Da «Epigrammi» I, 64; V, 43; I, 19; VI, 12; IX, 5; V, 17:
- Sei bella, non c'è che dire, sei graziosa, è vero, sei ricca, non è un mistero per nessuno. Ma quando, o Fabulla, troppo ti lodi, non sei né ricca, né carina, né graziosa (diventi antipatica).
- Tàide ha i denti neri, Lecania bianchi come la neve. Come mai? La prima li ha finti, la seconda ha ancora i suoi.
- Se ben ricordo, Elia, ti eran rimasti solo quattro denti. Un colpo di tosse te ne ha fatto sputare due e un secondo altri due. Ora puoi tranquillamente tossire tutto il giorno; nella tua bocca non c'è più niente che la tosse ti faccia espellere.
- Giura Fabulla che i capelli che ha comperato sono i suoi: non è forse spergiura, o Paolo?
- Paola, vuoi sposare Prisco: non mi meraviglio: hai messo giudizio. Ma Prisco non ne vuol sapere: ed anche Prisco è saggio.
- Vanti i nomi dei tuoi illustri antenati, o Gellia, reputi umiliante un cavaliere come me, per marito, sostieni di non poter sposare altro che un senatore, però hai dovuto accontentarti di un facchino.
- Da «Epigrammi» VIII, 81
- I gioielli di Gellia.
- Non giura Gellia sulla sacra Cibéle, né per il bue Api, né per gli dèi, né per dee, ma per i suoi gioielli. Li bacia, se li stringe al petto, li chiama fratelli e sorelle, li ama più dei suoi figli. Se per un caso banale ne venisse privata, ne soffrirebbe fino a morirne. Che colpo, Papiriano, per la mano lesta di Anneo Sereno! (che non era il parente di Seneca, ma un famigerato ladro).
- Da «Epigrammi» III, 43; XI, 44; X, 46
- Ti trucchi da giovane, o Lentino, ti sei tinti i capelli, infatti son diventati improvvisamente corvini, da candidi che erano. Ma non puoi ingannare tutti: Proserpina (= la morte) indovina la canizie sotto la maschera dei capelli tinti e te la strapperà!
- Senza figli sei, ricco e stravecchio; e credi di avere degli amici sinceri? Le vere amicizie son quelle contratte in gioventù, quando si è poveri. Chi ti è amico da poco si augura la tua morte!
- Vuoi dir tutto con grazia, o Mattone. Parla una volta bene; e altra volta né con grazia né bene; e qualche volta paral [anche] male (con semplicità).
- Da «Epigrammi» IX, 97
- Contro gli invidiosi
- Schiatta d'invidia quel tale, carissimo Giulio, perché tutta Roma mi legge.
- Schiatta d'invidia perché sono segnato a dito dalla folla.
- Schiatta d'invidia perché Tito e Domiziano mi hanno concesso privilegi e favori.
- Schiatta d'invidia perché ho un piccolo podere fuori città e una casa modesta a Roma.
- Schiatta d'invidia perché sono circondato da amici e invitato a cena.
- Schiatta d'invidia perché sono amato ed ho successo.
- Schiatta pure chi crepa d'invidia!
(Traduzione di Maria Carlotto Cavalcoli)
- Da «Epigrammi» V, 81
- Emiliano, se sei povero, lo sarai sempre.
- Le ricchezze si danno soltanto ai ricchi.
Marco Valerio Marziale
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Satira e Poesia: Marco Valerio Marziale L'insuperabile epigrammista dell'età imperiale
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