- POESIE
TRATTE DA OSSI DI SEPPIA -
"MOVIMENTI"
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- ***
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- I
LIMONI
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- Ascoltami, i
poeti laureati
- si muovono
soltanto fra le piante
- dai nomi poco
usati: bossi ligustri o acanti.
- Io, per me,
amo le strade che riescono agli
erbosi
- fossi dove in
pozzanghere
- mezzo seccate
agguantano i ragazzi
- qualche
sparuta anguilla:
- le viuzze che
seguono i ciglioni,
- discendono
tra i ciuffi delle canne
- e mettono
negli orti, tra gli alberi dei
limoni.
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- Meglio se le
gazzarre degli uccelli
- si spengono
inghiottite dall'azzurro:
- più
chiaro si ascolta il sussurro
- dei rami
amici nell'aria che quasi non si
muove,
- e i sensi di
quest'odore
- che non sa
staccarsi da terra
- e piove in
petto una dolcezza inquieta.
- Qui delle
divertite passioni
- per miracolo
tace la guerra,
- qui tocca
anche a noi poveri la nostra parte di
ricchezza
- ed è
l'odore dei limoni.
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- Vedi, in
questi silenzi in cui le cose
- s'abbandonano
e sembrano vicine
- a tradire il
loro ultimo segreto,
- talora ci si
aspetta
- di scoprire
uno sbaglio di Natura,
- il punto
morto del mondo, l'anello che non
tiene,
- il filo da
disbrogliare che finalmente ci metta
- nel mezzo di
una verità.
- Lo sguardo
fruga d'intorno,
- la mente
indaga accorda disunisce
- nel profumo
che dilaga
- quando il
giorno più languisce.
- Sono i
silenzi in cui si vede
- in ogni ombra
umana che si allontana
- qualche
disturbata Divinità.
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- Ma
l'illusione manca e ci riporta il
tempo
- nelle
città rumorose dove l'azzurro si
mostra
- soltanto a
pezzi, in alto, tra le cimase.
- La pioggia
stanca la terra, di poi; s'affolta
- il tedio
dell'inverno sulle case,
- la luce si fa
avara - amara l'anima.
- Quando un
giorno da un malchiuso portone
- tra gli
alberi di una corte
- ci si
mostrano i gialli dei limoni;
- e il gelo del
cuore si sfa,
- e in petto ci
scrosciano
- le loro
canzoni
- le trombe
d'oro della solarità.
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- ***
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- Ora sia il
tuo passo
- più
cauto: a un tiro di sasso
- di qui ti si
prepara
- una
più rara scena.
- La porta
corrosa d'un tempietto
- è
rinchiusa per sempre.
- Una grande
luce è diffusa
- sull'erbosa
soglia.
- E qui dove
peste umane
- non
suoneranno, o fittizia doglia,
- vigila steso
al suolo un magra cane.
- Mai
più si muoverà
- in quest'ora
che s'indovina afosa.
- Sopra il
tetto s'affaccia
- una nuvola
grandiosa.
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- ***
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- Upupa, ilare
uccello calunniato
- dai poeti,
che roti la tua cresta
- sopra l'aereo
stollo del pollaio
- e come un
finto gallo giri al vento;
- nunzio
primaverile, upupa, come
- per te il
tempo s'arresta,
- non muore
più il Febbraio,
- come tutto di
fuori si protende
- al muover del
tuo capo,
- aligero
folletto, e tu lo ignori.
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- ***
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- Spesso il
male di vivere ho incontrato:
- era il rivo
strozzato che gorgoglia,
- era
l'incartocciarsi della foglia
- riarsa, era
il cavallo stramazzato.
-
- Bene non
seppi, fuori del prodigio
- che schiude
la divina Indifferenza:
- era la statua
nella sonnolenza
- del meriggio,
e la nuvola, e il falco alto levato.
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- ***
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- OSSI DI
SEPPIA - "MERIGGI E
OMBRE"
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- L'AGAVE SU
LO SCOGLIO
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- Scirocco
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- O rabido
ventare di scirocco
- che
l'arsiccio terreno gialloverde
- bruci;
- e su nel
cielo pieno
- di smorte
luci
- trapassa
qualche biocco
- di nuvola, e
si perde.
- Ore
perplesse, brividi
- d'una vita
che fugge
- come acqua
tra le dita;
- inafferrati
eventi,
- luci-ombre,
commoventi
- delle cose
malferme della terra;
- oh alide ali
dell'aria
- ora son
io
- l'agave che
s'abbarbica al crepaccio
- dello
scoglio
- e sfugge al
mare da le braccia d'alghe
- che spalanca
ampie gole e abbranca rocce;
- e nel
fermento
- d'ogni
essenza, coi miei racchiusi bocci
- che non sanno
più esplodere oggi sento
- la mia
immobilità come un tormento.
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- ***
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- OSSI DI
SEPPIA - "MEDITERRANEO"
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- ***
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- Avrei voluto
sentirmi scabro ed essenziale
- siccome i
ciottoli che tu volvi,
- mangiati
dalla salsedine;
- scheggia
fuori del tempo, testimone
- di una
volontà fredda che non passa.
- Altro fui:
uomo intento che riguarda
- in sé,
in altrui, il bollore
- della vita
fugace - uomo che tarda
- all'atto, che
nessuno, poi, distrugge.
- Volli cercare
il male
- che tarla il
mondo, la piccola stortura
- d'una leva
che arresta
- l'ordegno
universale; e tutti vidi
- gli eventi
del minuto
- come pronti a
disgiungersi in un crollo.
- Seguìto
il solco d'un sentiero m'ebbi
- l'opposto in
cuore, col suo invito; e forse
- m'occorreva
il coltello che recide,
- la mente che
decide e si determina.
- Altri libri
occorrevano
- a me, non la
tua pagina rombante.
- Ma nulla so
rimpiangere: tu sciogli
- ancora i
groppi interni col tuo canto.
- Il tuo
delirio sale agli astri ormai.
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- ***
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- POESIE PER
CAMILLO SBARBARO
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- CAFFÈ
A RAPALLO
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- Natale nel
tepidario
- lustrante,
truccato dai fumi
- che svolgono
tazze, velato
- tremore di
lumi oltre i chiusi
- cristalli,
profili di femmine
- nel grigio,
tra lampi di gemme
- e screzi di
sete...
- Son
giunte
- a queste
native tue spiagge,
- le nuove
Sirene!; e qui manchi
- Camillo,
amico, tu storico
- di cupidigie
e di brividi.
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- S'ode grande
frastuono nella via.
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- E' passata di
fuori
- l'indicibile
musica
- delle trombe
di lama
- e dei
piattini arguti dei fanciulli:
- è
passata la musica innocente.
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- Un mondo
gnomo ne andava
- con strepere
di muletti e di carriole,
- tra un lagno
di montoni
- di cartapesta
e un bagliare
- di sciabole
fasciate di stagnole.
- Passarono i
Generali
- con le
feluche di cartone
- e impugnavano
aste di torroni;
- poi furono i
gregari
- con moccoli e
lampioni,
- e le tinnanti
scatole
- ch'ànno
il suono più trito,
- tenue rivo
che incanta
- l'animo
dubitoso;
- (meraviglioso
udivo).
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- L'orda
passò col rumore
- d'una
zampante greggia
- che il tuono
recente impaura.
- L'accolse la
pastura
- che per noi
più non verdeggia.
-
Eugenio
Montale
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