- Sommario
- Editoriale a cura di Umberto Montefameglio
- Fernando Pessoa: La frantumazione dell'Io in una sola moltitudine "Tra finzione inquietudine e mistificazione" di Massimo Barile
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Poesie di Fernando Pessoa
DA : IL POETA È UN FINGITORE: DUECENTO CITAZIONI SCELTE DA ANTONIO TABUCCHI, ED. FELTRINELLI (MI) 2002 *** - Il poeta è un fingitore.
- Finge così completamente
- che arriva a fingere che è dolore
- il dolore che davvero sente.
SM, I, 165 *** - Essere poeta non è una mia ambizione.
- È la mia maniera di stare solo.
SM, II, 71-73 *** - Fingere è conoscersi.
SM, I, 88 *** - La letteratura, come tutta l'arte, è la confessione
- che la vita non basta.
OP, X, 60 *** - Ho per la vita l'interesse di un decifratore di sciarade.
SM, I, 11 *** - Sentire tutto in tutte le maniere,
- vivere tutto da tutte le parti,
- essere la stessa cosa in tutti i modi possibili allo
- stesso tempo...
SM, I, 329 *** - Sento che niente sono, se non l'ombra
- di un volto imperscrutabile nell'ombra:
- e per assenza esisto, come il vuoto.
SM, I, 173 *** - Non sono niente.
- Non arò mai niente.
- Non posso voler essere niente.
- A parte ciò, ho in me tutti i sogni del mondo.
SM, I, 375 *** - Cosa buttata in un angolo, cencio caduto per stra-
- da, il mio essere ignobile finge se stesso davanti
- alla vita.
LI, 142 *** DA FERNANDO PESSOA: «POESIE» Stazioni della via Crucis
II - C'è in me un poeta che mi ha detto Iddio...
- La primavera scorda nei burroni
- le ghirlande che trasse dagli slanci
- della sua gioia effimera e spettrale...
- Su rugiada di prato fanciullezza
- i suoi zoccoli batte allegramente...
- Senza desii, su panche il tuo restare
- mirando l'ora come chi sorrida...
- Fiorir del giorno a pulvini di Luce...
- Violini del silenzio inteneriti...
- Tedio ove alletta il solo avere tedio...
- L'anima bacia il quadro che ha dipinto...
- Mi seggo accanto ai secoli perduti
- e sogno il suo profilo, inerzia e volo...
***
III - Daghe di cui le gioie vecchi fregi...
- Fui d'opale ad amarmi in rare mani,
- e, fluido a febbri in un ricordo di are,
- il ponte vuoto, zeppo di bagagli...
- E l'intimo silenzio degli opali
- fino a dilette gioie porta orienti,
- e la mia brama va su rotte chiare
- di un grande sogno pieno d'ozio e stanze...
- Passa il corteo imperiale, e da lontano
- il popolo, se cessano le lance,
- sa che passa il tiranno, e fa tonare
- l'ovazione, e sollevano i bambini...
- Sui tasti le tue mani si fermarono
- e indefinitamente riposarono...
***
IV - O suonatrice d'arpa, se baciassi
- il gesto tuo, senza baciar le mani!
- e i meandri, al baciarlo, discendessi
- del sogno, fino a che ve l'incontrassi
- tornato Puro Gesto, gesto-volto
- di medaglia sinistra: re cristiani
- che s'inginocchiano, ostili e fratelli,
- se in processione il fercolo procede!...
- Il gesto tuo che si contrae ed estasia...
- Il gesto tuo completo, luna fredda
- crescente, e in basso, anneriti, in giuncheti...
- Grotta con stalattiti il gesto tuo...
- Non poterlo afferrare, non far altro
- che vederlo e smarrirlo!... E il sogno è il resto...
***
V - Tenue, strisciando sete lungo le ore,
- passa e scorda, in bisbiglio, il tuo profilo,
- e ogni giorno rimandi alla preghiera
- il rito di cui solo il ritmo impari...
- Mare lontano e prossimo le labbra
- irrora dove, più che in te, scolori...
- E, alata, lieve, sul dolor che piangi,
- senza cura di te scende la sera...
- Erra voce di stagni antelunari...
- Gorgogliano acque nell'immensa villa,
- nel buio vago inerti al mio soffrire...
- Delle ore diseguali è il mio dominio,
- un gesto affranto ho dato alle alghe livide
- oltre le nostre essenze dell'autunno...
***
X - A me dall'alto infinito è toccata
- questa vita. Attraverso dense nebbie,
- primi fumi del mio stesso eremo,
- venni acquistando, e per bizzarri riti
- d'ombra e di luce occasionale, e gridi
- vaghi da lungi, e sintomi caduchi
- di sconosciuto rimpianto, splendori
- del divino, quest'esser fosco ed esule...
- Cadde pioggia in passati dì ch'io fui.
- Ci furono campi d'imminente cielo
- e neve su alcunché d'anima e mio.
- All'ombra mi narrai, ma non ascoltato.
- Oggi mi so il deserto ove Dio tenne
- un tempo la dimora dell'oblio...
- Non so, nutrice, dove fu,
- mai lo saprò...
- So che era primavera
- e il giardino del re...
- (Figlia, chi lo sapesse!...)
- Qualche e quanto l'azzurro
- in quell'azzurro del cielo!
- Se la regina non ero,
- perché tutto era mio?
- (Figlia, chi l'indovina?)
- E il giardino aveva fiori
- che non so ricordare...
- Fiori in tanti colori...
- Penso e mi fermo a piangere...
- (Figlia, i sogni sono dolori...)
- Sarà che arrivi un bel giorno
- un qualcosa a far sì
- che quell'intera gioia
- nasca più gioia
- (Figlia, il resto è morire...)
- Narrami favole, nutrice...
- Tutte le favole sono
- quel giorno, e il giardino e la dama
- che fui in tale solitudine...
- Sùbita mano di un fantasma occulto
- mi scuote fra le pieghe della notte
- e del mio sonno e, desto, nell'arbitrio
- della notte non scorgo gesto o volto.
- Pure un terrore antico, che insepolto
- porto nel cuore, come da alto trono
- scende e s'afferma mio signore e padrone
- senza comando, né maneggio o insulto.
- E sento la mia vita di repente
- legata da una corda d'Incosciente
- a una mano notturna che mi guida.
- Non mi sento nessuno salvo un'ombra
- di figura non vista e che stupisce,
- e in nulla esisto come fredda tenebra.
***
DA ALVARO DE CAMPOS: POESIE
***
Lisbon Revisited (1926) - Nulla mi lega a nulla.
- Voglio cinquanta cose nel medesimo tempo.
- Anelo con un'angoscia di fame di carne
- quel che non che sia -
- definitamente per l'indefinito...
- Dormo irrequieto, e vivo in un sognare irrequieto
- di chi dorme irrequieto, mezzo sognando.
- Mi chiusero tutte le porte astratte e necessarie.
- Abbassarono cortine su tutte le ipotesi che avrei
- potuto vedere nella via.
- Non c'è nella traversa trovata numero di porta che
- m'hanno dato.
- Mi sono svegliato alla stessa vita a cui m'ero
- addormentato.
- Perfino i miei eserciti sognati hanno patito sconfitta.
- Perfino i miei sogni si sono sentiti falsi all'essere sognati.
- Perfino la vita soltanto desiderata mi nausea - perfino questa vita...
- Comprendo a intervalli sconnessi;
- scrivo per lapsus di stanchezza;
- e un tedio che è perfino del tedio mi scaraventa sulla spiaggia.
- Non so che destino o futuro compete alla mia
- angoscia senza timone;
- non so che isole del Sud impossibile mi aspettano
- naufrago;
- o che palmeti di letteratura mi daranno almeno un verso.
- No, non so questo, né altra cosa, né cosa alcuna...
- E, nel fondo del mio spirito, ove sogno quel che ho sognato,
- nei campi ultimi dell'anima, ove ricordo senza motivo
- (e il passato è una nebbia naturale di lacrime false),
- nelle strade e nei sentieri di foreste lontane
- ove ho immaginato il mio essere,
- fuggono smantellati, ultimi resti
- dell'illusione finale,
- i miei eserciti sognati, sconfitti senza essere esistiti,
- le mie coorti da esistere, sfracellate in Dio.
- Un'altra volta ti rivedo,
- città della mia infanzia paurosamente perduta...
- città triste e lieta, un'altra volta sogno qui...
- Io? Ma sono lo stesso che qui è vissuto, e qui è tornato,
- e qui è tornato a tornare, e a ritornare.
- E qui di nuovo sono tornato a tornare?
- O siamo tutti gli Io che sono stato qui o sono stati,
- una serie di chicchi-enti legati da un filo-memoria,
- una serie di sogni di me, di qualcuno fuori di me?
- Un'altra volta ti rivedo,
- col cuore più lontano, l'anima meno mia.
- Un'altra volta ti rivedo - Lisbona e Tago e tutto -
- passeggero inutile di te e di me,
- straniero qui come in ogni parte,
- casuale nella vita come nell'anima,
- fantasma errante in sale di ricordi,
- al rumore dei topi e delle tavole che scricchiolano
- nel castello maledetto di dover vivere...
- Un'altra volta ti rivedo,
- ombra che passa attraverso ombre, e brilla
- un momento a una funebre luce sconosciuta,
- e penetra nella notte come una scia di nave si perde
- nell'acqua che cessa di udirsi...
- Un'altra volta ti rivedo,
- ma, ahi, me non rivedo!
- S'è rotto lo specchio magico in cui mi rivedevo identico,
- e in ogni frammento fatidico vedo solo un pezzo di me -
- un pezzo di te e di me!...
***
DA ALVARO DE CAMPOS: POESIE
***
Magnificat - Quand'è che passerà questa notte interiore, l'universo,
- ed io, la mia anima, avrò il mio giorno?
- Quand'è che mi desterò dallo stare desto?
- Non so. Il sole brilla alto,
- impossibile a guardare.
- Le stelle ammiccano freddo,
- impossibili a contare.
- Il cuore batte estraneo,
- impossibile ad ascoltare.
- Quand'è che passerà questo dramma senza teatro,
- o questo teatro senza dramma,
- e mi ritirerò a casa?
- Ove? Come? Quando?
- Gatto che mi guardi con occhi di vita, chi hai là in
- fondo?
- È questi! È questi!
- Questi comanderà come Giosué che il sole si fermi e
- io mi desterò;
- e allora sarà giorno.
- Sorridi, dormendo, anima mia!
- Sorridi, anima mia, sarà giorno!
- Nella casa di fronte a me e ai miei sogni,
- che felicità c'è sempre!
- Vi abitano persone che non conosco, che ho già visto
- e non ho visto.
- Sono felici perché non sono me.
- I bimbi, che giocano sui poggioli alti,
- vivono tra vasi di fiori,
- senza dubbio, eternamente.
- Le voci, che salgono dall'intimità domestica,
- cantano sempre, senza dubbio.
- Sì, devono cantare.
- Quando c'è festa qua fuori, c'è festa là dentro.
- Così dev'essere ove tutto si adatta:
- l'uomo alla Natura, perché la città è Natura.
- Che grande felicità non essere me!
- Ma gli altri non sentiranno così anche loro?
- Quali altri? Non ci sono altri.
- Quello che gli altri sentono è una casa colla finestra
- chiusa,
- e, quando si apre,
- è perché i bimbi giochino sulla veranda con ringhiera,
- tra i vasi di fiori che non vidi mai quali erano.
- Gli altri non sentono mai.
- Chi sente siamo noi,
- sì, tutti noi,
- perfino io, che ora non sento più nulla.
- Nulla? Non so...
- Un nulla che fa male...
- Deposi la maschera e mi vidi allo specchio...
- Ero il bimbo di tanti anni fa.
- Non ero affatto cambiato...
- È questo il vantaggio di sapersi togliere la maschera.
- Si è sempre il bimbo,
- il passato che fu
- il bimbo.
- Deposi la maschera, e tornai a metterla.
- Così è meglio,
- così senza la maschera.
- E torno alla persona come a un capolinea.
- Il sonno che discende su di me,
- il sonno mentale che scende fisicamente su di me,
- il sonno universale che scende individualmente su di me -
- quel sonno
- sembrerà agli altri il sonno di dormire,
- il sonno della volontà di dormire,
- il sonno dell'essere sonno.
- Ma è di più, più di dentro e più di sopra:
- è il sonno della somma di tutte le disillusioni,
- è il sonno della sintesi di tutte le disperazioni,
- è il sonno dell'esserci gente con me là dentro,
- senza che vi abbia per nulla contribuito.
- Il sonno che discende su di me,
- è tuttavia come tutti i sonni.
- La fatica ha almeno dolcezza,
- l'abbattimento ha almeno quiete,
- la resa è almeno fine dello sforzo,
- la fine è almeno non nutrire più speranze.
- C'è un rumore di finestra che s'apre,
- indifferente giro il capo a manca
- sopra la spalla che lo sente,
- guardo per la finestra semichiusa:
- la ragazza del secondo piano di fronte
- con gli occhi azzurri si sporge in cerca di qualcuno.
- Di chi?,
- domanda la mia indifferenza.
- E tutto questo è sonno.
- Mio Dio, tanto sonno!...
- Voglio finire tra le rose, perché le ho amate nell'infanzia.
- I crisantemi successivi, li ho sfogliati a freddo.
- Parlino poco, lentamente.
- Che io non oda, soprattutto col pensiero.
- Cosa volli? Ho le mani vuote,
- contratte flebilmente sulla coltre lontana.
- Cosa pensai? Ho la bocca secca, astratta.
- Cosa vissi? Era così bello dormire!
- Il freddo speciale delle mattine di viaggio,
- l'angoscia della partenza, carnale nel contrarsi,
- che va dal cuore alla pelle,
- che piange virtualmente, benché lieta.
- Alla fine di tutto dormire.
- Alla fine di che?
- Alla fine di ciò che tutto sembra essere...
- questo piccolo universo provinciale tra gli astri,
- questo paesino dello spazio,
- e non solo dello spazio visibile, ma persino dello
- spazio totale.
- Sbandierando al complesso fittizio dei cieli trapunti di
- stelle
- lo splendore del senso inesistente della vita...
- Suonino in un bivacco la mia funebre marcia!
- Voglio finire senza conseguenze...
- Voglio andare alla morte come a una festa al crepuscolo.
***
DA ALVARO DE CAMPOS: POESIE
***
De la musique - Ah, a poco a poco, tra gli alberi antichi,
- la figura di lei emerge e io cesso di pensare...
- A poco a poco, dall'angoscia di me vado io stesso
- emergendo...
- Le due figure s'incontrano sulla radura presso il lago...
- ...Le due figure sognate,
- perché questo fu solo un raggio di luna e una tristezza
- mia,
- e un'idea di altra cosa,
- e il risultato di esistere...
- Davvero, si sarebbero incontrate le due figure
- sulla radura presso il lago?
- (...Ma se non esistono?...)
- ...Sulla radura presso il lago?...
- E lo splendor delle mappe, cammino astratto
- all'immaginazione concreta,
- lettere e segni irregolari che s'aprono alla meraviglia.
- Quel che di sogno giace nelle vetuste legature,
- nelle firme intricate (o così semplici ed esili) dei
- vecchi libri.
- (Inchiostro remoto e sbiadito presente al di là della
- morte,
- quel che di non concesso all'usata vita nostra nelle
- vignette appare,
- quel che certe stampe d'annunci senza volere
- annunciano.
- Tutto quanto propone, oppure esprime quello che
- non esprime,
- tutto quello che dice quel che non dice,
- e l'anima sogna, differente e distratta.
- O mistero visibile del tempo, il nulla vivo dove siamo!)
***
DA ALVARO DE CAMPOS: POESIE
***
Poema in linea retta - Non ho mai conosciuto chi abbia preso legnate.
- Tutti i miei conoscenti sono stati campioni in tutto.
- Ed io, tante volte spregevole, tante volte porco, tante
- volte vile,
- io tante volte innegabilmente parassita,
- inescusabilmente sudicio,
- io, che tante volte non ho avuto pazienza di fare
- il bagno,
- io, che tante volte sono stato ridicolo, assurdo,
- che ho involto pubblicamente i piedi nei tappeti
- dell'etichetta,
- che sono stato grottesco, meschino, sottomesso e
- arrogante,
- che ho patito oltraggi e taciuto,
- che quando non ho taciuto, sono stato più ridicolo
- ancora;
- io, che sono riuscito comico alle cameriere d'albergo,
- io, che ho sentito lo strizzare d'occhi dei facchini,
- io, che ho commesso vergogne finanziarie, chiesto
- prestiti senza pagarli,
- io, che quando venne l'ora del cazzotto, mi sono
- rintanato
- fuori della sua portata;
- io, che ho sofferto l'angoscia delle piccole cose
- ridicole,
- io verifico che non ho eguali in tutto ciò in questo mondo.
- Tutta la gente che conosco e che parla con me
- non ebbe mai un gesto ridicolo, non patì mai oltraggio,
- non fu mai se non principe - tutti prìncipi- nella vita...
- Volesse il cielo che udissi da qualcuno la voce umana
- che confessasse non un peccato, ma un'infamia;
- che raccontasse, non una violenza, ma una viltà!
- No, sono tutti l'Ideale, se li odo e mi parlano.
- Chi c'è in questo vasto mondo che mi confessi che una volta è stato vile?
- O prìncipi, miei fratelli,
- orsù, sono stufo di semidei!
- Dov'è che c'è gente nel mondo?
- Allora sono solo io vile e fallace su questa terra?
- Potranno le donne non averli amati,
- possono essere stati traditi - ma ridicoli mai!
- E io, che sono stato ridicolo senza essere stato
- tradito,
- come posso parlare coi miei superiori senza titubare?
- Io, che sono stato vile, letteralmente vile,
- vile nel senso meschino e infame della viltà.
***
FERNANDO PESSOA: POESIE IN LINGUA ORIGINALE Passos da Cruz II - Há um poeta em mim que Deus me disse...
- A Primavera esquece nos barrancos
- As grinaldas que trouxe dos arrancos
- Da sua efémera e espectral ledice...
- Pelo prado orvalhado a meninice
- Faz soar a alegria os seus tamancos...
- Pobre de anseio teu ficar nos bancos
- Olhando a hora como quem sorrisse...
- Florir do dia a capitéis de Luz...
- Violinos do silêncio enternecidos...
- Tédio one o só ter tédio no seduz...
- Minha alma beija o quadro que pintou...
- Sento-me ao pé dos séculos perdidos
- E cismo o seu perfil de inércia e voo...
***
III - Adagas cujas jóias velhas galas...
- Opalesci amr-me entre mãos raras,
- E, fluido a febres entre um lembrar de aras,
- O convés sem ninguém cheio de malas...
- O íntimo silêncio das opalas
- Conduz orientes até jóias caras,
- E o meu anseio vai nas rotas claras
- De um grande sonho cheio de ócio e salas...
- Passa o cortejo imperial, e ao longe
- O povo só pelo cessar das lanças
- Sabe que passa o seu tirano, e estruge
- Sua ovação, e erguem as crianças...
- Mas no teclado as tuas mãos pararam
- E indefinidamente repousaram...
***
IV - Ó tocadora de harpa, se eu beijasse
- Teu gesto, sem beijar as tuas mãos!,
- E, beijando-o, descesse p'los desvãos
- Do sohno, até que enfim eu o encontrasse
- Torando Puro Gesto, gesto-face
- Da medalha sinistra - reis cristãos
- Ajoelhando, inimigos e irmãos,
- Quando processional o andor passasse!...
- Teu gesto qeu arrepanha e se extasia...
- O teu gesto completo, lua fria
- Subindo, e em baixo, negros, os juncais...
- Caverna em estalctites o teu gesto...
- Não poder eur prendê-lo, fazer mais
- Que vê-lo e que perdê-lo!... E o sonho é resto...
***
V - Ténue, roçando sedas pelas horas,
- Teu vulto ciciante passa e esquece,
- E dia a dia adias para prece
- O rito cujo ritmo só decoras...
- Un mar longínquo e próximo humedece
- Teus lábios onde, mais que em ti, descoras...
- E, alada, leve, sobre a dor que choras,
- Sem qu'rer saber de ti a tarde desce...
- Erra no antelur a voz dos tanques...
- Na quinta imensa gorgolejamo águas,
- Na treva vaga ao meu ter dor estanques...
- Meu império é das horas desiguais,
- E dei meu gesto lasso às algas màgoas
- Que hà para além de sermos outonais...
***
X - Aconteceu-me do alto do infinito
- Esta vida. Através de nevoeiros,
- Do meu próprio ermo ser fumos primeiros,
- Vim ganhando, e através estranhos ritos
- De sombra e luz ocasional, e gritos
- Vagos ao longe, e assomos passageiros
- De saudade incógnita, luzeiros
- De divino, este ser fosco e proscrito...
- Caiu chuva em passados qeu fui eu.
- Houve planícies de céu baixo e neve
- Nalguma coisa de alma do que é meu.
- Narrei-me à sombra e não me achei sentido.
- Hoje sei-me o deserto onde Deus teve
- Outrora a sua capital de olvido...
- Não sei, ama, onde era,
- Nunca o saberei...
- Sei que era Primavera
- E o jardim do rei...
- (Filha, quem o soubera!...)
- Que azul tão azul tinha
- Ali o azul do céu!
- Se eu não era a rainha,
- Porque era tudo meu?
- (Filha, quem o adivinha?)
- E o jardim tinha flores
- De que não me sei lembrar...
- Flores de tantas cores...
- Penso e fico a chorar...
- (Filha, os sonhos são dores...)
- Qualquer dia viria
- Qualquer coisa a fazer
- Toda aquela alegria
- Mais alegria nascer
- (Filha, o resto é morrer...)
- Conta-me contos, ama...
- Todos os contos são
- Esse dia, e jardim e a dama
- Que eu fui nessa solidão...
- Súbita mão de algum fantasma oculto
- Entre as dobras da noite e do meu sono
- Sacode-me e eu acordo, e no abandono
- Da noite não enxergo gesto ou vulto.
- Mas um terror antigo, que insepulto
- Trago no coração, como de um trono
- Desce e se afirma meu senhor e dono
- Sem ordem, sem meneio e sem insulto.
- E eu sinto a minha vida de repente
- Presa por uma corda de Inconsciente
- A qualquer mão noturna que me guia.
- Sinto que sou ninguém salvo uma sombra
- De um vulto que não vejo e que me assombra,
- E em nada existo como a treva fria.
***
DA ALVARO DE CAMPOS: POESIE IN LINGUA ORIGINALE
***
Lisbon Revisited (1926) - Nada me prende a nada.
- Quero cinquenta coisas ao mesmo tempo.
- Anseio com uma angústia de fome de carne
- O que não sei que seja -
- Definidamente pelo indefinido...
- Durmo irrequieto, e vivo num sonhar irrequieto
- De quem dorme irrequieto, metade a sonhar.
- Fecharam-me toda as portas abstractas e necessárias.
- Correram cortinas de todas as hipóteses que eu poderia
- ver na rua.
- Náo há na travessa achada número da porta que me
- deram.
- Acordei para a mesma vida para que tinha
- adormecido.
- Até os meus exércitos sonhados sofreram derrota.
- Até os meus sonhos se sentiram falsos ao serem sonhados.
- Até a vida só desejada me farta - até essa vida...
- Compreendo a intervalos desconexos;
- Escrevo por lapsos de cansaço;
- E um tédio que é até do tédio arroja-me à praia.
- Não sei que destino ou futuro compete à minha
- angùstia sem leme;
- Não sei que ilhas do Sul impossìvel aguardam-me
- náufrago;
- Ou que palmares de literatura me darão ao menos um verso.
- Não, não sei isto, nem outra coisa, nem coisa nenhuma...
- E, no fundo do meu espírito, onde sonho o que sonhei,
- Nos campos ùltimos da alma, onde memoro sem causa
- (E o passado é uma névoa natural de lágrimas falsas),
- Nas estradas e atalhos das florestas longìnquas
- Onde supus o meu ser,
- Fogem desmantelados, ùltimos restos
- Da ilusão final,
- Os meus exércitos sonhados, derrotados sem ter sido,
- As minhas cortes por existir, esfaceladas em Deus.
- Outra vez te revejo,
- Cidade da minha infância pavorosamente perdida...
- Cicade triste e alegre, outra vez sonho aqui...
- Eu? Mas sou eu o mesmo que aqui vivi, e aqui voltei,
- E aqui tornei a voltar, e a voltar.
- E aqui de novo tornei a voltar?
- Ou somos todos os Eu que estive aqui ou estiveram,
- Uma série de contas-entes ligados por um fio-memória,
- Uma série de sonhos de mim de alguém de fora de mim?
- Outra vez te revejo,
- Com o coração mais longìnquo, a alma menos minha.
- Outra vez te revejo-Lisboa e Tejo e tudo -,
- Trasnseunte inùtil de ti e de mim,
- Estrangerio aqui como em toda a parte,
- casual na vida como na alma,
- Fantasma a errar em salas de recordações,
- Ao ruìdo dos ratos e das tàbuas que rangem
- No castelo maldito de ter que viver...
- Outra vez te revejo,
- Sombra que passa através das sombras, e brilha
- Um momento a uma luz fùnebre desconhecida,
- E entra na noite como um rastro de barco se perde
- Na àgua que deixa de se ouvir...
- Outra vez te revejo,
- Mas, ai, a mim não me revejo!
- Partiu-se o espelho mágivo em que me revia idêntico,
- E em cada fragmento fatìdico vejo só um bocado de mim -
- Um bocado de ti e de mim!...
***
DA ALVARO DE CAMPOS: POESIE
***
Magnificat - Qunado é que passará esta noite interna, o universo,
- E eu, a minha alma, terei o meu dia?
- Quando é que despertarei de estar acordado?
- Não sei. O sol brilha alto,
- Impossível de fitar.
- As estrelas pestanejam frio,
- Impossíveis de contar.
- O coração pulsa alheio,
- Impossíveis de escutar.
- Quando é que passará este drama sem teatro,
- Ou este teatro sem drama,
- E recolherei a casa?
- Onde? Como? Quando?
- Gato que me fitas como olhos de vida, que tens lá no
- funod?
- É esse! É esse!
- Esse mandará como Josué parar o sol e eu acordarei;
- E então será dia.
- Sorri, dormindo, minha alma!
- Sorri, minha alma, será dia!
- Ne casa defronte de mim e dos meus sonhos,
- Que felicidade há sempre!
- Moram ali pessoas que desconheço, que já vi mas
- não vi.
- São felizes, porque não são su.
- As crianças, que brincam às sacadas altas,
- Vivem entre vasos de flores,
- Sem dúvida, eternamente.
- As vozes, que sobem do interior do doméstico,
- Cantam sempre, sem dúvida.
- Sim, devem cantar.
- Quando há festa cá fora, há festa lá dentro.
- Assim tem que ser onde tudl se ajusta -
- O homem à Natureza, porque a cidade é Natureza.
- Que grande felicidade não ser eu!
- Mas os outros não sentirão assim também?
- Quais outros? Não há outros.
- O que os outros sentem é uma casa com a janela
- fechada,
- Ou, quando se abre,
- É para as crianças brincarem na varanda de grades,
- Entre os vasos de flores que nunca vi quais eram.
- Os outros nunca sentem.
- Quem sente somos nós,
- Sim, todos nós,
- Até eu, que neste momento já não estou sentindo nada.
- Nada! Não sei...
- Um nada que dói...
- Depus a máscara e vi-me ao espelho...
- Era a criança de há quantos anos.
- Não tinha mudado nada...
- É essa a vantagem de saber tirar a máscara.
- É - se sempre a criança,
- O passado que foi
- A criança.
- Depus a máscara, e tornei a pôl-la.
- Assim é melhor,
- Assim sem a máscara.
- E volto à personalidade como a um términus de linha.
- O sono que desce sobre mim,
- O sono mental que desce fisicamente sobre mim,
- O sono universa que desce individualmente sobre mim -
- Esse sono
- Parecerà aos outros o sono de dormir,
- O sono da vontade de dormir,
- O sono de ser sono.
- Mas é masi, mais de dentro, mais de cima:
- É o sono da soma de todas as desilusões,
- É o sono da síntese de todas as desesperanças,
- É o sono de haver mundo comigo lá dentro
- Sem que eu houvesse contribuído em nada para isso.
- O sono que desce sobre mim
- É contudo como todos os sonos.
- O consaço tem ao menos brandura,
- O abatimento tem ao menos sossego,
- A rendição é ao menos o fim do esforço,
- O fim é ao menos o já não haver que esperar.
- Há um som de abrir uma janela,
- Viro indiferente a cabeça para a esquerda
- Por sobre o ombro que a sente,
- Olho pela janela entreaberta:
- A rapariga do segundo andar de defronte
- Debruça-se com os olhos azuis à procura de alguém.
- De quem?
- Pergunta a minha indiferença.
- E tudo isso é sono.
- Meu Deus, tanto sono!...
- Quero acabar entre rosas, porque as amei na infância.
- Os crisântemos de depois, desfolhei-os a frio.
- Falem pouco, devagar.
- Que eu não oiça, sobretudo com o pensamento.
- O que quis? Tenho as mãos vazias,
- Crispadas flebilmente sobre a colcha longínqua.
- O que pensei? Tenho a boca seca, abstracta.
- O que vivi? Era tão bom dormir!
- O frio especial das manhãs de viagem,
- A angústia da partida, carnal no arrepanhar
- Que vai do coração à pele,
- Que chora virtualmente embora alegre.
- No fim te tudo dormir.
- No fim de quê?
- No fim do que tudo parece ser...
- Este pequeno universo provinciano entre os astros,
- Esta aldeola do espaço,
- E não só do espaço visível, mas até do espaço total.
- Desfraldando ao conjunto fictício dos céus estrelados
- O esplendor do sentido nenhum da vida...
- Toquem num arraial a marcha fúnebre minha!
- Quero cessar sem consequências...
- Quero ir para a morto como para uma festa ao
- crepúscolo.
***
DA ALVARO DE CAMPOS: POESIE
***
De la musique - Ah, pouco a pouco, entre as árvores antigas,
- A figura dela emerge e eu deixo de pensar...
- Pouco a pouco, da angústia de mim vou eu mesmo
- emergindo...
- A duas figuras encontram-se na clareria ao pé do lago...
- ...As duas figuras sonhadas,
- Porque isto foi só um raio de luar e uma tristeza minha,
- E uma suposição de outra coisa,
- E o resultatdo de existir...
- Verdadeiramente, ter-se-iam encontrado as duas
- figuras
- Na clareira ao pé do lago?
- (...Mas se não existem?...)
- ...Na clareira ao pé do lago?...
- E o esplendor dos mapas, caminho abstracto para a
- imaginação concreta,
- Letras e riscos irregulares abrindo para a maravilha.
- O que de sonho jaz nas encadernações vetustas,
- Nas assinaturas complicadas (ou tão simples e esguias)
- dos velhos livros.
- (Tinta remota e desbotada aqui presente para além da
- morte,
- O que de negado à nossa vida quotidina vem nas
- ilustrações,
- O que certas gravuras de anúncios sem querer
- anunciam.
- Tudo quanto sugere, ou exprime o que não exprime,
- Tudo o que diz o que não diz,
- E a alma sonha, diferente e distraída.
- Ó enigma visível do tempo, o nada vivo em que
- estamos!)
***
DA ALVARO DE CAMPOS: POESIE
***
Poema em linha recta - Nunca conheci quem tivesse levado porrada.
- Todos os meus conhecidos têm sido campeões em tudo.
- E eu, tantas vezes reles, tantas vezes porco, tantas
- vezes vil,
- Eu tantas vezes irrespondivelmente parasita,
- Indesculpavelmente sujo.
- Eu, que tantas vezes não tenho tido paciência para
- tomar banho,
- Eu, que tantas vezes tenho sido ridículo, absurdo,
- Que tenho enrolado os pés publicamente nos tapetes
- das etiquetas,
- Que tenho sido grotesco, mesquinho, submisso e
- arrogante,
- Que tenho sofrido enxovalhos e calado,
- Que quando não tenho calado, tenho sido mais ridículo ainda;
- Eu, que tenho sofrido enxovalhos e calado,
- Eu, que tenho sentido o piscar de olhos dos moços de fretes,
- Eu, que tenho feito vergonhas financeiras, pedido
- emprestado sem pagar,
- Eu, que, quando a hora do soco surgiu, me tenho
- agachado
- Para fora da possibilidade do soco;
- Eu, que tenho sofrido a angústia das pequenas coisas
- ridículas,
- Eu verifico que não tenho par nisto tudo neste mundo.
- Toda a gente que eu conheço e que fala comigo
- Nunca teve um acto ridículo, nunca sofreu enxovalho,
- Nunca foi senão príncipe-todas eles príncipes-na vida...
- Quem me dera ouvir de alguém a voz humana
- Que confessasse não um pecado, mas uma infâmia;
- Que contasse, não uma violência, mas uma cobardia!
- Não, são todas o Ideal, se os oiço e me falam.
- Quem há neste largo mundo que me confesse que
- uma vez foi vil?
- Ó príncipes, meus irmãos,
- Arre, estou farto de semideuses!
- Onde é que há gente no mundo?
- Então dou só eu que é vil e erróneo nesta terra?
- Poderão as mulheres não os terem amado,
- Podem ter sido traídos - mas ridículos nunca!
- E eu, que tenho sido ridículo sem ter sido traído,
- Como posso eu falar com os meus superiores sem
- titubear?
- Eu, que venho sido vil, literalmente vil,
- Vil no sentido mesquinho e infame da vileza.
Fernando Pessoa
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