Poesie di Ted Hughes
PENSIERO - VOLPE - Immagino la foresta in questo momento di mezzanotte.
- C'è qualcos'atro di vivo
- Oltre la solitudine dell'orologio
- E questa pagina bianca sulla quale scorrono le mie dita.
- Non vedo stelle dalla finestra:
- Qualcosa di più vicino
- Benché più profondo nel buio
- Sta invadendo la solitudine:
- Freddo, delicato come la scura neve,
- Un naso di volpe sfiora un ramo, una foglia;
- Due occhi servono un movimento, che ora
- E ancora ora, e ora, e ora
- Lascia nitide orme sulla neve
- Tra gli alberi e cauta avanza
- Tra ceppi e in cavità la claudicante ombra
- Di un corpo tanto audace da attraversare
- Radure, un occhio,
- Un verde che si dilata e sprofonda,
- Brillante, assorto,
- Persegue i propri fini
- Finché, con improvviso acuto dolore caldo di volpe
- Entra nel buco nero del cranio.
- La finestra priva di stelle; l'orologio ticchetta,
- La pagina è scritta.
*** IL CANTO - Non aveva bisogno dell'aria
- O del cielo distante
- Il canto
- Non aveva bisogno dell'erta donde echeggiò
- Non aveva bisogno delle foglie
- Tra cui palpitò
- Non aveva bisogno delle pietre indifferenti
- che tuttavia turbò
- Non aveva bisogno dell'acqua
- Il canto non aveva bisogno della sua stessa bocca
- Era incurante della sua stessa gola
- Dei polmoni e delle vene
- Da cui sgorgava
- Il canto fatto di gioia
- Cercava fino a sembrare un lamento
- Quello che non esisteva
- Disteso sul sepolcro vuoto
- Di quello che non era ancora nato
*** LOTTA - Sapevamo che avrebbe partorito
- E infatti era lì al suolo, subito dopo l'alba.
- Appartata, dietro la trincea di una siepe, in un angolo ruvido e basso.
- Andarle incontro era andare incontro al pericolo.
- Sorpresa dal suo primo vitello la giovenca pezzata dalle piccole ossa
- Era in difficoltà. Alzata la testa, si protese verso di noi con uno sguardo
- Selvaggio, impennato. Di nuovo si riabbattè. Ed ecco il vitello,
- Enorme, leonino, la faccia bianca, intrappolato alla vita
- della violetta cintura materna,
- Le lunghe zampe anteriori piegate in un galoppo non ancora ereditato,
- La testa volta in alto e all'indietro alla ricerca della
- mammella non ancora comparsa, il naso rosso e sgraffiato
- Da un ceppo di giunchi smangiucchiati,
- Il pelo asciutto come se fosse rimasto
- Nato a metà per ore - come forse gli era successo
*** PECORE - Le madri sono tornate
- dalla tosatura e dietro la siepe
- il dolore delle pecore è come un campo di battaglia
- di sera, a battaglia finita
- quando comincia il freddo e cade la brina
- e le donne si muovono chine con l'acqua.
*** MADRI E FIGLI AL COPERTO - Fuori le quercie semi inghiottite
- e contorte da un bianco incendio di neve già dalla collina
- bruciano in scaglie di carbonella
- e cieche ruggiscono e oscillano,
- inutile autodifesa dalle cime.
*** NARCISI - I Narcisi scuotono le loro stelle
- al vento verdedorato dell'ultimo bagliore.
- La loro felicità non ha peso.
- La loro letizia è spirito.
- Anche stanotte avrà stelle precarie
- sul monte della Luna
- e brina d'Aprile.
- I Narcisi sono intoccabili
- nel fruscio di un film muto
- che accelera un ballo
- e risa di bambini
- alla fine della Grande Guerra.
- Le loro faccine sono schiacciate
- sotto i grandi e molli fiocchi di un pallido nastro.
- Ma questa è adesso la felicità
- essere grandi -
- magre ragazze alla moda,
- i capelli all'indietro, le sottili labbra dischiuse, spinte
- dentro un freddo sole, le guance splendenti,
- delicate come ghiaccio acceso.
- Non potranno soffrire.
- (Anche nel solenne e gelido
- strazio dell'altrui lutto,
- saranno al sicuro -
- bulbi nella terra
- sotto le ciocche della ghirlanda).
- Ghirlanda di stelle.
- Luci-spiriti nell'orto.
*** ROVI - L'aria intensa, il giorno intero
- vortica dei richiami delle taccole. La stirpe neonata
- delle taccole è iniziata
- alla taccolità - quella complicata
- corte di convenzioni
- e precedenze, di sciovinismo e leggi.
- Corte che è quasi una prigione - con sbarre
- di gridi e di segnali. Carcerieri
- sono tutte le altre taccole. Aprendomi una via
- tra i grovigli dei rovi
- ho pensato di nuovo: mi sentono?
- I rovi sono un tale successo, le loro difese
- così elaborate,
- la loro estensione così internazionale, sono svegli?
- Certo un nimbo di dolore e di piacere
- siede sulla loro nuda corona,
- la loro offerta sessuale. Certo non sono solo insensibili,
- un vano andare a tentoni. E poi perché no?
- Non è lo stesso per le cellule del mio sangue?
- Le mie cellule cerebrali forse temono o sentono
- il bisturi o l'incidente?
- Anch'esse incoronano una pianta
- di straordinaria insensibilità. E le taccole
- si danno segretamente da fare per essere taccole
- come se fossero semi nella terra.
- L'intera claque è un'ottenebrata religione
- intorno alla sintassi e al vocabolario divini
- di una muta cellula, che non sa chi siamo
- e neppure che siamo qui,
- inimminenti come un qualsiasi fiore di rovo.
Ted Hughes
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