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Roberto Bertolotti
Ha pubblicato nel luglio 1997 un romanzo, edito dalla Firenze libri, dal titolo «Il foglio azzurrino» di cui potete leggere le prime pagine:
 
IL FOGLIO AZZURRINO
 
"Lo sai che ho sempre un occhio di riguardo per il mio orto.

Tu, invece, incendi boschi e frontiere, mentre io ho l'anima che vive nelle mie pantofole, mi tranquillizzo tra il rumore dei miei piatti da lavare. Io amo divani caldi, tu preferisci sedere su cordigliere scomode e innevate".

Sorseggiò ancora un po' di vino; una bella sera si affacciava ad occidente. "Ho sempre uno sguardo assonnato, il mio braccio è segnato dalle pieghe della notte ed ho la bocca piena di incubi. Il mio orto è la certezza di ciò che nascerà la primavera prossima. Non posso fare altrettanto con ciò che amo. Mi sfugge tutto tra le dita e non attecchisce nulla, se non a chilometri di distanza, dove il vento ha deciso che lì, proprio lì, la casualità andava bene. Tu lo sai che io ti adoro. Vero?

Mentre io ti racconto tutto questo e ti dico che vedo il mio geranio sbocciare, tu, sezionando i miei incubi, mi dici che è una magnifica notte".

Era l'ultima lettera che aveva scritto a Martha da Venezia.

Rileggendo la copia che aveva tenuto per sé, rammentò l'ultimo giorno che la vide, a Venezia.

"Non hai nulla da raccontare?".

Era la domanda ricorrente di Martha, mentre lo sguardo si perdeva nella confusione del Campo.

Il freddo dell'immobilità la riportò al tavolino al quale erano da parecchio tempo sedute, e fu come svegliarsi da quel sonno eterno, che è durato un istante soltanto.

Martha aveva vinto un premio; c'erano articoli su alcuni settimanali, interviste e contratti per traduzioni.

"Questa volta dove sei stata?", chiedeva Martha scarabocchiando un foglio.

"Dentro i miei sogni", avrebbe voluto rispondere ogni volta, invece tacque e sorrise con occhi nostalgici, come se tutto fosse passato lì davanti e adesso spariva dietro l'angolo e lei non poteva muoversi per rincorrerlo e rivederlo un'altra volta.

E lasciò che tutto sparisse con un leggero fracasso di fine carnevale.

"Allora parto domani... New York".

Il dente era scoperto e saliva lento il dolore, che sarebbe diventato insopportabile. I nervi captavano le minime variazioni della temperatura, perciò era necessario, immediato, un anestetico. Non poteva sopportare oltre, e il carnevale doveva sbrigarsi a compiere il suo giro e ritornare nel Campo; e quando fosse ripassato... un salto sul carro giusto per poter raggiungere al più presto il mondo segreto.

Però il carnevale si attardava e allora pianse. Martha, seduta lì vicino, non la vide perché era già troppo lontana.

"Guarda quei trampoli con quella seta confetto: fanno l'effetto di fantasmi che camminano sull'acqua del canale". Erano fantasmi lunghi di seta confetto, che camminavano sul canale, lenti.

Aveva voglia di bere Traminer, e nella trasparenza di quarzo, intravide la scia di un motoscafo.

...Akademischer
Joachim Sartorius
Steineplatz 2
BERLIN

 

Da tre anni conservava l'indirizzo dell'Accedemia tedesca; aveva dipinto una trentina di quadri, ma non si era mai decisa a richiedere l'invito.

Non avrebbe mai scritto, avrebbe continuato ad immaginarsi invitata a Berlino, alloggiata in un grande studio, a dipingere quadri per l'Accademia.
Un anno a Berlino, pagata per essere una pittrice.

Al caffè, all'angolo di Boulevard Tahar Alaoui, si accendevano le nuove luci di una tiepida sera di primavera.

Beveva il dolce tè alla menta, troppo dolce questa sera, pensando che a volte i sogni diventano viaggi, si possono realizzare in pochi giorni, e ci sono sogni che preferiamo lasciare tali.

Il viaggio a Berlino, lei l'aveva già fatto con la sua capacità visionaria.

Aveva conosciuto tutta quella gente che non avrebbe mai visto, aveva dipinto otto quadri di grandi dimensioni per i locali dell'Accademia.

Ora, in Place de Marrakech a Casablanca, ci era arrivata.

Forse per inseguire un sogno; e Casablanca, in questa minuscola Place de Marrakech impregnata di spezie, era il palcoscenico reale del suo sogno.

Era l'alba, le cinque probabilmente, perché da lontano, come una nenia bisbigliata, giungeva la voce del muezzin che intonava il fzér.

Si alzò e andò alla grande finestra che dominava rue Moha ou Said. Come in un grande quadro, era incorniciata una luna cruda e la fine di una notte insonne, che lasciava l'ombra grigia sull'angolo della piazza che si poteva intravedere.

Non mangiò; alle sette partiva l'autobus che portava al quartiere sull'Oceano. È strano pensare che questo mare, che arrivava così vicino al caffè, sia l'Oceano Atlantico.

Una leggera brezza rinfrescava il nuovo mattino.

Sulla spiaggia enorme e deserta, figure di uomini asciutti in controluce, apparivano straordinari e simili a sculture di Alberto Giacometti.

Ah, Alberto Giacometti! Seduta davanti all'Atlantico, fu colta da antiche nostalgie; cercava di rivivere le sensazioni provate con le persone della sua vita. Questa leggera tristezza le procurava piacere.

Chissà per quale motivo certe atmosfere complici ci portano lontano, nei cassetti della nostra memoria, a rovistare con nostalgia.

È una questione di sopravvivenza, pensò; ti fa sentire maledettamente viva, e allora ti metti a cercare con avidità.

Cerchi antichi amori come quando, con un libro tra le mani, speri di ritrovare la vecchia carta blu, che avevi usato come segnalibro anni prima.

Il volto di un amore è congelato nella tua sensibilità, come la malinconia che provi rivedendo gli antichi luoghi dell'infanzia. Sono certamente cambiati i luoghi dell'infanzia, nonostante i tuoi sforzi per un continuo restauro, per cercare di mantenerli il più possibile vicini alla memoria viva.

Così sono certamente cambiate le persone care della vita.

Così come non ci sarebbe più stato un mattino come questo, non avrebbe rivisto i volti dell'infanzia, i luoghi dell'antica nostalgia.

Come si mantiene vivo tutto ciò? Come si possono trattenere le essenze dei nostri ricordi, perché tutto non assomigli a un penoso trascorrere?

Bisogna inventarsi il metodo di sopravvivenza, bisogna partire una bella mattina, bisogna compiere lunghi viaggi, bisogna vegliare sempre per non morire.

Bisogna mantenere in costante allenamento le papille della nostra sensibilità, perché al momento giusto, quando ritroveremo l'antico profumo della nostra infanzia, saremo allora pronti per sopportare la vertigine che ci coglierà.

Ma bisogna darsi da fare, compiere sforzi che ci sfiancano.

Bisogna ascoltare tutto con la pancia!

Sì, con la pancia: questa era la teoria di Martha, che diceva sempre che con il cuore non si sente nulla... è tutto nella pancia.

Però Martha adesso non c'era.

O aveva trovato il suo profumo e il suo metodo, e ci aveva fregati tutti? Forse sì, perché allora la pancia incominciò a ribollire.

Un giorno, forse in Francia, no, era Lisbona, Martha, mostrandole una rosa gialla, le disse: "Guarda, mi sono regalata una rosa per la fine dell'estate".

Ora ricordava; il bocciolo di rosa gialla: prima non vi aveva trovato nulla di importante, ma adesso, in un istante, tutto apparve straordinariamente chiaro.

Martha aveva lasciato la rosa per qualche giorno all'interno dell'auto e il calore rovente aveva completamente disidratato il bocciolo. Una morte così rapida aveva fissato i colori, l'essenza della rosa, le sfumature impercettibili: la bellezza.

Ora ricordava il senso delle parole di Martha: "Non è meravigliosa? La sua morte l'ha resa immortale".

Aprì il taccuino degli appunti, aprì la fotocopia piegata in quattro, segnata con una riga rossa:
 

Gli uccelli verdi delle bianche
montagne non tornano mai allo stesso
nido.

Una volta sola fanno il nido poi,
si dice, preferiscono morire.

Una volta sola fanno il nido,
gli uccelli verdi delle bianche montagne...

"Les oiseaux vert"

 

I vapori dell'Oceano le inumidivano i capelli; si allacciò i sandali di cuoio e si accarezzò le caviglie bianche.

Lontano dalla confusione quotidiana, le capitava di ritrovarsi immersa in nostalgie così vive, così violente. Succedeva, quando la mente spaziava senza che nulla la potesse ottundere, e allora le sembrava di perdere il controllo della situazione.

E allora... ecco, la vertigine! Vertigine!

Qualcosa del genere le era successo un'altra volta. Alle Ebridi, con Martha.

Accadde in un pomeriggio spazzato dal vento.

Quel giorno, era davanti all'incredibile distesa verde che arrivava al mare, proprio come adesso davanti al ribollire di piombo dell'Oceano Atlantico.

Anche allora la colse la vertigine dell'essenza della vita, e fu in quel pomeriggio magico, all'isola, che lesse per la prima volta "L'età decente".

 

Vieni prima che giunga il giorno.

Voleremo sopra le verdi pianure,
Angelo mio; la notte chiara ci concede
qualche attimo.

Vieni Angelo mio a ricordare l'infanzia del nostro tempo.

L'età decente sfiorisce in una notte.

Questa notte Angelo mio, vola con me,
ai confini delle età perché io possa
perdermi nell'alba.

Perché l'alba, Angelo mio, è l'essenza del
giorno.

Vieni, Angelo mio, voleremo prima che faccia giorno.

 

Il libretto, cinquantadue pagine, era una scoperta di Martha, risultato di uno dei tanti "safari" tra i rigattieri di Parigi.

Fernando Pessoa.

Non era la prima volta che una straordinaria avventura muoveva da stimoli incredibilmente originali.

Due anni prima aveva letto "Una sola moltitudine", di Fernando Pessoa.

Una lettura straordinaria.

La copertina di un volume ritraeva il poeta Fernando Pessoa, dipinto da Almada Negreiros.

Uno strano meccanismo si mise allora in moto: ad ogni costo doveva, al più presto, vedere quel quadro.

Tre ore dopo era su un aereo che la portava a Lisbona.

Museu Calouste Gulbenkian, Lisbona...

Almada Negreiros, Retrato de Fernando Pessoa...

Ecco!

Qualche ora prima era scalza, in casa a contemplare la copertina di quel volume.

Adesso, un'ora abbondante davanti alla tela... con quei rossi straordinari.

Così accadono le cose più belle. L'abolizione del calcolo rende la vita una meravigliosa attrazione e si beve tutto d'un fiato, con tanta sete di immaginazione.

Uno straordinario sogno si era realizzato.

Lei lo sapeva benissimo; questo era il grande strappo alla vita, questo era guadagnare punti sul tempo.

Questo pensava, mentre mangiava crostacei in una piccola locanda del porto.

Una pioggia dolcissima di maggio cadeva su Lisbona, e una indescrivibile felicità le bagnava il viso luminoso.

Chissà quali straordinari pensieri si annidavano sotto il cappello nero di Fernando Pessoa, in quel quadro dipinto con incredibili rossi, nel Museu Calouste Gulbenkian di Lisbona.

Aveva da poco smesso di piovere, un'aria tiepida e umida vaporizzava la città.

Alle otto e quaranta, l'aereo fuggì dal suolo.

Era stata quella copia ingiallita del millenovecentoquarantotto a condurla a Casablanca, perché le ultime notizie che si perdevano intorno alla fine degli anni sessanta, davano per certa la presenza dell'autore proprio a Casablanca, in quell'epoca.

"Vieni, prima che giunga il giorno. Voleremo sopra le verdi pianure...".

 

La mattinata davanti all'Oceano, come in quel giorno all'isola scozzese, l'aveva spossata.

Tuttavia si sentiva leggera e una breve felicità le sprigionò la speranza e il desiderio di avere presto buone notizie.

Questa carica irreale, che solitamente agitava i suoi sogni, le procurò un insolito appetito.

Alle undici mangiò delle ottime polpettine di carne tritata, mista a cipolla e prezzemolo: kifta.

Bevve il tè pensando all'unico contatto che poteva aiutarla e all'incontro di sabato sera.

Bimbi coi capelli arruffati giocavano sull'immensa spiaggia, due vecchi chiedevano l'elemosina sdraiati sul marciapiede, il cameriere ripuliva le cerate gialle dei tavoli.

Un leggero vento animava il manifesto in brandelli di un remoto spettacolo folcloristico.

Nonostante i buoni auspici, qualcosa, in questa ora pomeridiana, le procurava un leggero malessere, una sottile depressione.

"Perché l'alba, Angelo mio, è l'essenza del giorno".

"Di notte, quando un vento freddo mi attraversa

il cuore, ascolto tutto con terribile attesa.

Ed è come quando sta per arrivare il temporale.

Prima del temporale si sente l'odore dell'acqua,

e allora io riesco a captare l'angoscia delle travi;

prima che giunga l'alba".

Così forse avvertiva la sensazione che qualcosa stesse per accadere, ma anche se era meno misterioso di ciò che conteneva la poesia breve a pagina ventidue, non riusciva a capire cosa.

La notte era trascorsa in maniera agitata.

Aveva caldo, si era svegliata due volte ed aveva avuto la sensazione di trovarsi in un altro luogo.

Riconobbe Place de Marrakech dall'odore del mercato.

Si alzò e si bagnò il viso; una luce d'argento entrava dagli spiragli della tenda porpora e disegnava sottili spade sul pavimento di cera rossa.

Scostò la pesante stoffa della tenda e una leggera brezza entrò ristoratrice.

Si sentiva sollevata e si ricordò una frase che Martha usava quando, in viaggio, si svegliava prestissimo, apriva la finestra della stanza, "così se ne andavano i sogni cattivi della notte e si poteva godere del sonno migliore".

Le quattro e venti del mattino, Martha però era lontana, probabilmente a New York.

le mancava come non le era mai mancata; ah, ci fosse stata Martha! Ora, in un momento così importante, in questo luogo dove si cominciava a respirare l'odore di quelle poesie...

Martha sarebbe stata entusiasta di questa avventura?

Martha sarebbe stata la solita, probabilmente indifferente dopo le prime novità.

Martha era lontana, non soltanto in chilometri; era lontana da tutti e nessuno poteva raggiungerla.

Nessun aereo, saltando l'Oceano, l'avrebbe raggiunta, perché se n'era andata molti anni prima e la sua coscienza era distante migliaia di chilometri dal pensiero di tutti.

Solo lei aveva avuto il privilegio di accorciare il tragitto verso questa solitudine fantastica che era Martha.

Lei sola aveva accesso alla favola sgangherata e geniale di una mente imprendibile, che aveva preferito non omologarsi per poter vivere la propria dimensione, per poter seguire i disegni individuali, i codici segreti della sopravvivenza.

"Bisogna decidersi, sai!". Decidere di vivere o passare la vita in fila negli Euromercato.

Forse non era casuale il ritrovamento di quel libretto, o forse un fiuto speciale ed istintivo aveva portato Martha a quella bancarella.

Martha però non c'era e forse non aveva mai letto quelle poesie. La sua ricerca era un riscatto per Martha, anche se Martha non ne aveva bisogno.

Allora, decise, era un omaggio.

Voleva uscire intorno alle nove, quando l'aria della città si fa un po' più commestibile.

Dalla via giungevano le voci dei bimbi che giocavano nei cortili polverosi, dove un sole sfinito dipingeva d'ambra le figure.

Quando cala la sera, in Rue Moha ou Said, tutto è investito da tonalità grigie e sembra vivere in un film in bianco e nero.

Notò che il fatto era dovuto alla scarsità di luce nella via, come in tutta Place de Marrakech.
 
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L'autore ha anche pubblicato una silloge di poesie edite dalla Montedit, edito dalla Firenze libri, dal titolo «Adynaton» Se vuoi leggere le prime pagine clicca qui

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