- Oreste il
gobbo.
-
- Quando vide il
suo corpo stanco emanare la calura voluta, capì
che il freddo del suo sangue era la sua soddisfazione.
La brezza della mattina coprì ben presto il suo
nudo, l'aria che proveniva dal mare, fresca, lo
coprì di alghe, si trovò immerso tra la
melma del suo amore, annegato in quel preciso istante
che gioì. Cos'era stato il suo mondo? Totale
morte della schiena incurvata tra le mani di una
levatrice impaurita e piangente. Cos'era stata la sua
vita? Un continuo soffrire tra le stelle e la
merda!
- Ben presto
capì il suo dolore. Lo specchio di casa fu la
sua anima. E mamma?
- Non c'era. E
papà? Disgraziato essere, coperto dalle nuvole
del mondo, lo fissava ogni tanto, raschiandosi la
testa con le sue mani da dita lunghe e da unghie
perennemente sporche.
- L'aria che
calpestava era greve, puzzava dei suoi malumori. Ritto
a letto, cantava la sua nenia e si distraeva morendo
tutte le sere. La morte non faceva tanta paura in
quella casa. Anzi la si aspettava già da tempo.
Ogni colpo di tosse che la vecchia spruzzava nell'aria
impregnata di mosche e zanzare del caldo di agosto, la
si intravedeva. Sta arrivando si diceva, sta arrivando
a prenderla, chissà che aspetto avrà la
nostra amica. Come se già non si conoscesse
abbastanza!
- Curvo tra la
gente, malediceva il giorno. Non sopportava la luce.
Avvezzo ad uscire di sera, le poche volte che vide la
mattina fu per lui un vero tormento. La testa tra le
gambe varcava la vita, procedeva la sua morte, immersa
tra uno schiamazzo di un bar o tra le traveggole di un
vecchio che gli gridava attorno, vattene, sporco,
vattene!
- Quando lo vide
così grande un po' si spaventò. Non lo
aveva mai visto così da vicino.
- Il rumore lo
coprì di nascosto. L'azzurro del suo sguardo
soffrì un corpo tutto, stirato lo poté
ammirare meglio, il dolore non si faceva vivo, anzi
quello stesso rumore vagheggiava tra la sua mente,
diveniva più intenso, lo fece amico del mistero
che portavano tutt'e due in seno alle loro viscere,
sentì il fresco dell'acqua calare tra i suoi
nervi scossi.
- Curvo nei suoi
pensieri, vide la morte com'era. Corse dalla bara di
sua mamma, a baciarla, morta tanto tempo fa, da quando
un bastardo lo infilzò tra il collo e la sua
pena all'uscita di scuola, volle ricordarle di volerlo
sempre bene, lassù Dio o chi per lui
raddrizzava tutti i sentieri.
- Curvo per le
strade la vide arrivare. Si scosse, era
fredda.
- Quando si
sentì gelare il cuore, allora capì di
essere contento. Era finita! Quella sporca vita era
finalmente finita!
- "Ma non
è... ma è... Oreste il gobbo...
poveretto!".
- L'acqua l'aveva
restituito al suo mondo, gonfio, senza occhi, dopo
settimane di ospitalità tra le alghe
arroventate del mare di Sicilia.
- "A me non
sembra!"
- "Ti dico che
è lui... guardalo bene...".
- "Allontanarsi per
cortesia... allontanarsi... via!".
- "Chi potrebbe
essere con quell'affare lì dietro? È
senza occhi ma la gobba c'è
tutta!".
- "Forse hai
ragione. A guardarlo bene. Sarà caduto dallo
scoglio poveretto!".
- Quando
capì Oreste che la freddura c'era tutta, si
vide portato in obitorio con disprezzo.
- Non lo
schifò Giorgio l'infermiere quando toccò
la gobba del cadavere e si toccò le spalle con
la mano sporca di morte.
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