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               IL
               LATO SINISTRO
 Mal si adattava al suo carattere la tradizione di
               esporre la salma in casa. Per fortuna l'avevano
               trasportata subito all'obitorio dell'ospedale anche se
               era morta sul colpo battendo la nuca sul marciapiede
               e, quindi, fu lì che addobbarono sommariamente
               la camera ardente, senza tanti orpelli, in modo
               semplice, com'era vissuta.
Erano sposati da
               circa cinque anni, si erano conosciuti sui
               cinquantacinque, coetanei, per quel che conta
               l'età.Era il terzo figlio
               di uno statale velleitario, un maniaco dello sport, li
               aveva praticati tutti, quelli non dispendiosi, senza
               successo ma non gli importava.Lui, con due
               sorelle che avevano primeggiato negli studi, non nel
               lavoro, troppo dimesse, timide e con un impieguccio da
               quattro soldi, si era diplomato ragioniere a calci nel
               sedere, metaforici, s'intende.Degli studi non gli
               era rimasto nulla se non quel tanto che gli
               interessava: storia e geografia. Dell'educazione
               famigliare si trascinava l'abitudine a fare la
               pipì seduto, come l'avevano costretto le donne
               di casa, per non bagnare fuori.Avrebbe voluto fare
               il marinaio, per questo prese la patente di guida
               d'autocarri con estrema facilità e si mise a
               girare l'Europa come camionista.Guadagnava bene
               anche perché divorava miglia.Viaggiava
               rigorosamente solo, spesso fuorilegge, nel senso che
               non rispettava i tempi di sosta né i riposi tra
               un viaggio e l'altro ma a lui e al padrone andava bene
               così.Adorava
               l'intimità della cuccetta di notte, le aree di
               sosta con i caffè ventiquattro ore e le
               trattorie più strane.Respirava le albe
               più fresche e ascoltava sempre il cinguettio
               vitale degli uccelli prima di girare la chiave e
               accendere l'innaturale sferragliare del diesel.
               Aveva tolto il
               fascione bluastro dal parabrezza per rimirare, al
               naturale i cieli diversi.Per lui divorare
               lentamente la strada con il camion, come un ruminante,
               non era fatica ed anche durante i viaggi più
               noiosi o ripetitivi, trovava sempre il modo di
               scoprire qualcosa d'affascinante.Non lo faceva solo
               per i soldi, era la sua vocazione, si sentiva
               realizzato, stava bene ed era in pace con se
               stesso.Intendiamoci, non
               che sottovalutasse l'importanza del denaro ma
               l'utilizzava per quel che serviva. Non si faceva
               mancare nulla: una modesta casetta con mutuo, un
               armadio con vestiti decorosi, una gran tv, lo stereo,
               ecc.Poi, si sa, come i
               marinai, ad ogni porto una donna.Le sue non erano
               prostitute, o per lo meno non lo manifestavano
               apertamente, erano affezionate; insomma, erano delle
               compagne un po' facili, certamente non monogame,
               tuttavia, a loro modo, sincere e
               comprensive.E poi c'erano i
               racconti che quel tipo di vita gli consentiva di fare
               ai pochi e selezionati intimi e, più tardi, ai
               nipoti che le sorelle avevano sfornato.Visse dunque
               così per tanti anni. Trascorsero pieni e in un
               attimo.Amava soprattutto
               la Francia, dove poteva cullarsi sui saliscendi delle
               colline e ciondolarsi nei numerosi rondò.
               Quando poteva,
               abbandonava l'autostrada per le dolci discese e salite
               con rincorsa. Fu così
               anche quella sera d'inverno. Si stava
               crogiolando nel tepore della cabina quando tutto
               congiurò contro di lui, effetto ipnosi: la
               pioggia battente sul parabrezza, la danza a ritmo
               costante dei tergicristalli, il nessuno davanti,
               l'effetto psichedelico dei paracarri illuminati a
               frazione uniforme dal faro anabbagliante di destra, il
               più potente, e il motore a giri e ronzio
               costante, con cadenza cantilenata.Si risvegliò
               giù dalla scarpata, stretto nella morsa
               metallica della cabina con un dolore acuto al braccio
               sinistro, nel mezzo di uno spettacolo lunare dato dai
               caschi a visiera dei pompieri, luccicanti per le
               scintille della fiamma ossidrica.Vedeva in
               lontananza le torce sulla strada sovrastante e,
               nonostante il suo precario francese, percepiva quasi
               tutte le concitate parole dei soccorritori,
               soprattutto quelle dell'uomo in camice bianco che
               dirigeva gli altri con ordini secchi e perentori.
               Quando finalmente
               lo caricarono sull'ambulanza, scorse i lenzuoli che
               coprivano completamente i corpi di due figure riverse
               sull'asfalto bagnato, a fianco di un groviglio che
               doveva essere stato un'auto.Duplice omicidio
               colposo, di cui era senza ombra di dubbio l'unico
               responsabile e l'amputazione dell'arto sinistro,
               all'altezza della spalla. Era rovinato. Non
               poteva più guidare e fu licenziato senza tanti
               giri di parole; gli rimanevano solo "le pezze sul
               sedere" ed un'invalidità
               permanente.I primi mesi li
               trascorse davanti allo specchio studiando ogni
               dettaglio del suo lato sinistro monco, vestito e nudo,
               e a rintuzzare le parole e gli sguardi di
               commiserazione dei parenti. Suo padre,
               ancorché ottantenne, si ostinava a praticare lo
               sport. La mattina trotterellava per le strade
               ingobbito e confezionato in una tuta troppo larga
               trascinandosi sino alla doccia purificatrice. Al
               pomeriggio si addormentava davanti alla tv, dove
               scorrevano le più insignificanti manifestazioni
               sportive, non prima di aver spento sul pavimento le
               cicche di sigaretta della sua dose
               quotidiana.Razionalizzando
               lentamente che non vi era nulla da fare, pensando che
               in ogni caso non avrebbe voluto tener di conto con un
               impieguccio da ragioniere ed entrare in quella piccola
               borghesia che odiava visceralmente, si
               rassegnò. Accettò, si
               fa per dire, un posto di posteggiatore offertogli dal
               Comune, al parcheggio dell'ospedale, ottenuto grazie
               le perorazioni porta a porta della madre.Della donna che incontrò ricordava soprattutto
               le mani da pianista che prendevano delicatamente la
               sua, gli accarezzavano dolcemente le labbra,
               scendevano, farfalle maliziose, sul suo corpo e poi
               giacevano abbandonate sul cuscino, illuminate dalla
               luna, nelle sere d'estate.
Aveva studiato
               dalle suore e si notava. Chissà come aveva
               fatto ad interessarsi ad uno come lui. E' vero che,
               nonostante il suo handicap, ormai superato (non si
               esaminava più allo specchio dal lato sinistro),
               a cinquantacinque anni, era ancora d'aspetto
               giovanile, robusto e gradevole ma non perdeva
               occasione per rendersi antipatico e
               scontroso.Eppure lei era
               riuscita ad infrangere quella cortina di dolore e a
               riversare su di lui tutto il suo bisogno d'amare.
               Ciò,
               all'inizio, l'aveva insospettito: dubitava che, in
               realtà, si fosse innamorata dell'amore. Poi,
               costatando come ignorava i corteggiatori di turno,
               ogni dubbio svanì, come le nubi del mattino in
               una solare e fresca giornata di primavera.La conobbe al
               bar-minimarket del campeggio che gestiva da
               dipendente, assieme ad un tunisino che parlava
               talmente rapido da non capirsi niente.Dal quartiere ove
               era stato costretto a trasferirsi dopo il disastro,
               doveva prendere due bus ma gli piaceva andare a quel
               bar in mezzo al bosco da dove, in riva al fiume,
               poteva guardare in lontananza le case e i palazzi con
               le finestre degli uffici illuminati tutta la notte che
               si riflettevano sulle pigre acque nere.E poi poteva
               studiare i nuovi arrivi e, a volte, intrattenersi con
               qualche turista.La loro vita in
               comune trascorreva tranquilla e si accorgeva di stare
               bene poiché sentiva scorrere i giorni troppo in
               fretta come se stesse dissanguandosi
               lentamente.Una notte, di
               quelle buie senza luna, si addormentò presto
               accanto a lei di cui intravedeva spuntare i capelli
               dal piumone sul cuscino. Lentamente assunsero
               l'aspetto di un pelo grigio-bruno di cane lupo. Non si
               spaventò, anche perché aveva sempre
               desiderato un cane lupo che rappresentava per lui:
               forza, fedeltà e sicurezza; anzi lo
               accarezzò.Con le orecchie
               all'indietro, girò il muso verso di lui che
               riuscì ad intercettare il suo sguardo
               protettivo nonostante il buio. Sentiva battere la coda
               sotto le coperte e le zampe posteriori che si
               accostavano alle sue gambe.Provò invece
               un profondo senso di sconforto quando, nel sogno,
               comparvero al capezzale i parenti di lei, quasi
               sconosciuti, per rendere omaggio alla scomparsa,
               allibiti alla vista della lupa che nel frattempo aveva
               abbracciato, per proteggerla da quegli sguardi di
               orrore.Al mattino il sole
               lo colse impreparato. Quel sogno l'aveva
               profondamente turbato ed ora, sveglio, era ancora
               presente come un tragico segno
               premonitore.Lo consolò
               la presenza di lei che stava preparandosi ad uscire
               per la spesa. Fu una consolazione che durò solo
               un attimo, il tempo di cogliere nel suo sguardo quasi
               un addio che lo lasciò impotente nell'attesa
               del peggio.La notizia non
               tardò ad arrivare e lo trafisse come la
               sentenza che, ancorché prevista, pone fine alle
               ultime speranze del condannato.Uno scippo. Due
               motociclisti. La caduta. La nuca sul marciapiede. La
               morte sul colpo.Ritornò
               davanti allo specchio, nudo, ad esaminare il suo lato
               sinistro.Cercò di
               evitare la notte ubriacandosi ma non ci
               riuscì.Pensò di
               andare al bar del campeggio, poi si mise come una
               furia a riempire dei cartoni con gli indumenti di lei
               e allora, finalmente, lo sorprese uno sbocco di
               pianto. Dovette sedersi per non cadere.
               Appoggiò il capo sul tavolo e si
               assopì.Quando si riprese
               la lupa era lì mentre la porta di casa batteva
               socchiusa. Lo fissava nella penombra della grande
               cucina in tono interrogativo e, scorgendo che si era
               svegliato, iniziò a scodinzolare e ad
               ondeggiare sui fianchi in segno di gioia.Le andò
               incontro traballante e prese della carne macinata dal
               frigorifero, la mise in una fondina e gliela
               porse.Disdegnò il
               cibo, come se volesse fargli intendere che la sua non
               era una visita di interesse, tuttavia bevve avidamente
               l'acqua che le aveva versato in una
               ciotola.Era sollevato per
               quella insperata compagnia. Si spogliò e decise
               di dormire sul sofà della cucina. Di ritrovarsi
               solo nel letto matrimoniale, proprio non se la
               sentiva. La lupa si
               accucciò a fianco e bastò un cenno che
               saltò su sdraiandosi pesantemente a lato con la
               testa sul cuscino.Si svegliò
               che il sole filtrava rabbiosamente attraverso le
               persiane e la lupa non c'era più. Trovò la
               forza di andare al bar del campeggio e lì il
               tunisino l'affrontò parlando così
               rapidamente che, come il solito, non capì
               niente ma non era difficile intuirne il senso,
               sicché si abbracciarono commossi.Gli venne
               improvvisamente in mente una citazione di Charles
               Bukowski che aveva letto da qualche parte: "Solo i
               poveri riescono ad afferrare il senso della vita, i
               ricchi possono solo tirare ad indovinare".Bighellonò
               tutta la mattina e poi pranzò in cucina con il
               tunisino, a base di cuscus vegetariano, giacché
               quest'ultimo affermava che "non amava cibarsi delle
               agonie degli animali".
               L'accontentò.Musulmano, non
               beveva ma, verso sera, smontato di servizio, fu lui ad
               accontentarlo bevendo in sua compagnia mentre tentava
               di ubriacarsi.Arrivarono in quattro, pallidi come cristi, robusti
               come gladiatori, feroci come belve, ceffi che presero
               ad insultarli senza ragione. Il tunisino
               s'immolò e reagì.
Fu facile tenerlo
               fermo per l'unico braccio mentre riempivano di botte
               il tunisino e poi lo ripulivano dei quattro soldi che
               aveva. Ripulirono anche lui costringendolo in
               ginocchio. Ricoverarono il
               tunisino con le costole rotte e la mascella
               fratturata. Lui sapeva che sarebbero rimasti impuniti
               come gli assassini di sua moglie.Prese il bus e
               rientrò a casa specchiandosi nelle vetrine dal
               lato sinistro con un profondo senso di
               umiliazione.La lupa era
               lì che l'aspettava sulla porta. Questa volta
               mangiò ma non come un animale, con
               delicatezza.Sapeva
               approssimativamente dove i ceffi abitavano e
               spadroneggiavano. La fierezza della lupa gli diede
               coraggio. Prese dal cassetto un coltello ed
               uscì. Lei lo seguì. Girovagò
               inutilmente finché udì alle sue spalle:
               "Che ci fai qui, monco!". Quasi istantaneamente
               avvertì una forte botta sul collo come se gli
               fosse caduto addosso un masso e si ritrovò
               riverso sull'asfalto da dove poteva vedere, ritto, uno
               dei quattro, quello più grosso.La lupa mirò
               diritto alla carotide che squarciò in un
               attimo.Riuscì a
               rialzarsi con il cane che guaiva d'intorno e
               lasciò l'aggressore lì, in una pozza di
               sangue.Dormirono assieme
               come la prima notte, stavolta comodi, nel letto
               matrimoniale. Ogni tanto la sentiva scodinzolare per
               la felicità. All'alba era di
               nuovo solo.La lupa
               tornò tutte le sere successive. Aveva comperato un
               guinzaglio ed un collare e così cominciarono ad
               uscire. La portava sul bus e poi lungo il fiume. Al
               ritorno si fermava per una birra in qualche bistrot
               dove lei trovava sempre qualcuno che le faceva una
               carezza mentre lui era orgoglioso di quella splendida
               creatura. Poi a letto, lui
               leggeva e lei scodinzolava sotto le
               coperte.Una notte, dopo una
               buona mezz'ora che la guardava fisso, in cucina con la
               testa sul tavolo, uscì e lei
               dietro.Si addentrò
               nella zona del ponte grande, scese i gradoni lasciando
               la strada sopraelevata, costeggiando il fiume, al buio
               interrotto solo dai fuochi delle
               prostitute.Non ci volle molto
               perché si ritrovasse con le spalle al muro
               sotto minaccia e l'ordine perentorio di vuotare le
               tasche.Questa volta lo
               addentò al polpaccio e lui vide che la lupa
               sputava un brandello di carne prima di addentare
               l'altra gamba facendolo cadere, mentre il complice
               scappava inorridito. Infine un morso ed uno strattone
               secco, di violenza inaudita, che gli ruppe l'osso del
               collo.Rientrarono tardi,
               prima le lavò il muso ad una fontanella e si
               fermò ad un bistrot, per una birra, dove lei
               ricevette la solita carezza.Pensò
               più volte che stava trascinando quella povera
               creatura verso un destino che non meritava ma si
               chiese altrettante volte se non era proprio quello che
               lei voleva: riversare su di lui tutto il suo amore
               seguendolo anche all'inferno, con una fedeltà
               assoluta.D'altro canto il
               loro legame era divenuto indissolubile e lui era ormai
               predestinato. Trascorsero alcune
               serate tranquille pur nella consapevolezza che,
               tuttavia, erano solo una parentesi fisiologica in
               attesa della prossima uscita.Stavolta andarono
               nella zona dei casermoni nuovi, nei pressi di uno in
               perenne costruzione con le scale a cielo aperto, senza
               protezione e lo scheletro dei piani senza pareti,
               lì ad offendere il cielo.Buttò male,
               li circondarono in quattro. Lui riuscì a
               ferirne uno con il coltello ma la lupa ebbe la peggio,
               con alcune costole sicuramente rotte dai calci.
               L'unica via di
               scampo, solo temporaneo, era quella di fuggire salendo
               per le scale e così fecero: lui arrancando
               faticosamente sui gradini e lei dietro che rantolava e
               guaiva per il dolore, sino al quinto piano, poi lui si
               arrese.Con uno spintone lo
               buttarono giù. Riuscì ad aggrapparsi con
               l'unica mano al bordo del pavimento, sospeso nel
               vuoto. Non lo finirono, restarono ad irriderlo in
               attesa che mollasse la presa.Guardò negli
               occhi la lupa che si era trascinata accanto e non vi
               scorse alcun terrore, bensì una rassegnata
               serenità.Si abbandonò
               precipitando nel vuoto e vide, in quell'istante, che,
               con un ultimo sforzo, lei si era gettata dietro ed era
               in caduta libera appena sopra di lui.Pensò che
               fino all'ultimo aveva voluto non lasciarlo solo
               costringendolo a guardare all'insù verso di lei
               per distoglierlo dalla disperata attesa del tremendo
               impatto finale."Mi chiedo se Cristo avesse un piccolo cane nero
               tutto riccioluto e lanoso come il mio, con due lunghe
               e seriche orecchie, un naso umido e rotondo e due
               teneri occhi marroni e scintillanti. Sono sicuro, se
               lo avesse avuto, che quel piccolo cane nero avrebbe
               saputo sin dal primo istante che egli era Dio; che non
               avrebbe avuto bisogno di alcuna prova della
               Divinità del Cristo, ma che avrebbe
               semplicemente venerato il suolo su cui Lui fosse
               passato. Ho paura che non lo avesse, perché ho
               letto come Egli pregasse nell'orto da solo
               poiché tutti i suoi amici erano scappati,
               persino Pietro, quello detto "una roccia". E, oh, sono
               sicuro che quel piccolo cane nero, con un cuore tanto
               tenero e caldo, non lo avrebbe lasciato soffrire da
               solo, ma, spuntandogli da sotto il braccio, avrebbe
               leccato le care dita, strette nell'agonia. E,
               aspettandosi qualche coccola, ma incerto, quando Egli
               fu portato via, gli avrebbe trottato dietro seguendolo
               fin sulla Croce".
Edward
               Bach
 
 
I
               FIORI DEL TIGLIO
 I fiori del
               tiglio sono ermafroditi, la corolla è composta
               di cinque petali giallo chiaro, il profumo è di
               un dolce intenso e il nome deriva da "ptilon": ala.
Da lassù, appollaiato sul cornicione della
               terrazza, all'ultimo piano, poteva cogliere ogni
               respiro della brezza che andava a morire più in
               basso, tra le chiome dei tigli sottostanti. I primi
               raggi di luce lavavano l'asfalto assieme ai lampioni
               ancora accesi, in attesa del giorno.
Aveva sempre
               pensato di saper volare, fin da piccolo quando,
               vestito d'angora, immaginava di librarsi nell'aria
               svolazzando leggero sopra i tetti, i campanili, le
               scuole, gli alberi, le insegne
., a braccia
               aperte.Leonardo aveva
               espresso la sua fede nella possibilità del volo
               umano ma lui non aveva mai considerato la scienza e la
               forza di gravità se non come un dettaglio
               trascurabile, troppo reale, concreto. Nel suo caso si
               trattava di una convinzione irrazionale, da custodire
               segretamente e riservare all'ultimo atto,
               un'opportunità immateriale, trascendente.
               Era certo di essere
               predestinato, il volo non si sarebbe esaurito
               nell'eventuale impatto finale ma sarebbe proseguito
               altrove, in perpetuo.Il senso del vuoto
               l'aveva accompagnato tutta la vita, sin dalla
               placenta. E che cos'è
               lo spazio se non un cielo stellato immanente, statico
               e freddo che ti piomba addosso con tutta la violenza
               del silenzio? Avrebbe dovuto
               volare, oppure precipitare: quale la differenza? Solo
               questione di velocità, tempo e
               durata.Di sotto gli uomini, in quell'alba di primavera,
               avevano assunto la loro dimensione cosmica: puntini
               radi e insignificanti, legati ai propri turbamenti da
               un filo impercettibile che si sarebbe spezzato per
               ognuno, senza eroismo, al primo stormir di
               foglia.
I batuffoli del
               polline dei pioppi non riuscivano ad arrivare sino
               all'ultimo piano e in ogni caso stavano facendo un
               percorso inverso al suo, un volo finto, falso.
               Gli venne in mente
               che da qualche parte aveva letto dei "pioppi
               transessuali" e cioè che le autorità di
               Pechino avevano lanciato una campagna per cambiare
               sesso ai pioppi allo scopo di bloccare l'invasione del
               polline, dannoso alla popolazione della capitale.
               Avevano fatto bene.Il falco vive quasi esclusivamente negli ampi spazi ma
               in alcune città si annida sui tetti di palazzi
               alti, sulle guglie delle chiese e nelle case
               abbandonate, in agguato, volando in circolo o in
               picchiata.
Ora, però,
               toccava a lui. Non che vi fosse
               una ragione precisa ma forse era proprio per questo
               che doveva farlo. Librarsi nell'aria fresca o non, era
               indifferente; sarebbe stato in ogni caso un
               volo.Guardò giù gli spazzini meccanizzati che
               iniziavano a svegliare la città, di lì a
               poco sarebbe pure passato il primo tram.
Vide un vecchio che
               faceva colazione e cercò di penetrare
               l'intimità di altri appartamenti.Tutto era irreale
               mentre il sole cominciava ad apparire all'orizzonte e
               si apprestava ad ingoiare la città.Gli arrivò,
               d'improvviso, il pianto di un bambino. Riuscì a
               scorgere la figura della madre che, postolo dolcemente
               sul tavolo, lo rincuorava.Gli venne in mente,
               prepotentemente, un pensiero dell'Alfieri: "Mi
               disturba la morte, è vero. Credo che sia un
               errore del padreterno. Non mi ritengo per niente
               indispensabile, ma immaginare il mondo senza di me:
               che farete da soli?"Si scosse come ad un risveglio e non poté fare
               a meno di pensare alle due donne che aveva lasciato
               fiduciose nel sonno, giù, al terzo piano, in
               casa, soprattutto a quella dai lineamenti fini di sua
               madre.
Gli giunse il
               profumo dei fiori del tiglio e pensò che se
               fosse rientrato subito avrebbe potuto preparare loro
               la colazione, sorprendendole, in quella tersa
               mattinata di domenica. |