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               L'AURORA
 Sua figlia era come le farfalle che rincorreva da
               ragazzo, lungo il fiume. Evanescente e bella come
               loro.
Era
               cresciuta in periferia, circondata dai pioppeti che in
               primavera spandevano batuffoli per strade e cortili.
               D'estate, la colla dei loro pidocchi insudiciava i
               tavoli delle osterie all'aperto.Gli
               ricordava la "vanessa occhio di pavone" dai grandi
               occhi colorati di bianco e di blu sugli angoli delle
               ali, volteggiante leggera sulle siepi folte delle
               strade non asfaltate che si snodavano, strette e
               polverose, come le innocue bisce d'acqua, lungo il
               fiume, di là dall'argine maestro.A
               voglia ricorrerle. Quando si riusciva ad afferrarle,
               lasciavano "la polverina" delle ali sui polpastrelli e
               non volavano più. Morivano
               d'inedia.Così
               era l'Aurora, sua figlia. Si poteva solo ammirarne
               l'esile bellezza ma non afferrarla o tentare di
               trattenerla.Se
               n'era andata da cinque anni e finalmente quasi non
               chiedevano più di lei. Non tanto i vicini o gli
               abitanti del quartiere quanto quelli del centro e
               delle villette della strada privata.Non
               era una farfalla di fiume, volava lieve tra i gerani e
               gli oleandri dei palazzi più belli, nei cortili
               del centro che, dopo il letargo tra le nebbie,
               riuscivano ancora a catturare la luce e il
               sole.In
               verità non aveva neppure tentato di
               trattenerla, se non formalmente e di rito, più
               per il vicinato.Del
               resto sua moglie se n'era andata, nel senso che era
               passata a miglior vita, ed era l'unica che poteva
               arginare quella forza incontrollata della natura, non
               certamente lui.Maestro
               in pensione da tempo, la sua vita scorreva su binari,
               non albe né tramonti, non cieli ma nebbia,
               quella opaca, da cataratta, prodromo della
               cecità. Acqua che scorre lenta, attratta dal
               delta, senza l'impeto dell'estuario.Sin
               da giovane la sua regola era l'atarassia. Una ferrea
               disciplina di cui non ricordava più il
               sacrificio dell'adattamento iniziale. Un'abitudine
               acquisita in tanti anni d'esercizio, come la
               strumentazione della navigazione che evita le secche e
               gli scogli, come la direttrice del volo, al riparo
               dalle vette e dalle perturbazioni.Distacco,
               dunque, da ogni sentimento, da qualsiasi
               coinvolgimento. Sensibilità considerata fonte
               di dolore come il desiderio, accuratamente
               represso.La
               figlia si era sposata cinque anni prima a Monaco, dove
               aveva aperto una gelateria. Lei
               non aveva insistito e lui si era guardato bene dal
               partecipare al matrimonio.Gli
               mancava la musica, questo si, quando le ombre della
               pianura inghiottivano l'edera sulla muraglia del
               piccolo cortile cementato, separato dalla strada da un
               lungo corridoio da galera, dove poteva capitargli la
               disgrazia d'incrociare e dover salutare un altro
               essere umano.Stava
               al primo piano, in fondo ad una loggia che comunicava
               con Maria, l'inquilina di fronte. Sotto,
               vi era un piccolo magazzino di ferramenta.L'inferno
               era l'incubo di Maria ma anche il luogo dove
               predestinava quasi tutti gli altri
               viventi.Vocazione
               da Perpetua, assicurava al maestro le pulizie e la
               colazione; in cambio, lui le pagava le spese
               condominiali.Non
               era certamente religioso ma per Maria era
               un'autorità e, come tale, non gli chiedeva
               conto della fede collocandolo in una specie di
               limbo.Probabilmente
               Maria, sotto le gonne alla caviglia, tanto larghe che
               avrebbe potuto nascondervi anche un figlio del
               peccato, portava le mutande lunghe ma nessuno le aveva
               mai viste.Quando
               si spogliava per il bagno si barricava in casa con le
               persiane serrate. Se fosse stato un uomo l'avrebbe
               sicuramente fatta ad occhi chiusi, per non
               vederlo.Di
               mani calde aveva sentito solo quelle della madre,
               prima che Dio la strappasse dalla finestra dove,
               seduta per ore, scrutava quel cielo grigio; labile
               parvenza d'affetto in quell'appartamento buio, in
               penombra perenne.Al
               piano di sopra, l'ultimo, abitava Lino (Angelo) con la
               figlia down, la dolce Luigina.Luigina
               era l'unica che sognava e, appena poteva, correva in
               terrazza a raccogliere la pioggia sulle guance giovani
               e sui capelli d'oro che nemmeno l'acqua riusciva a
               scurire.Il
               padre, ferroviere, da quando la moglie l'aveva
               abbandonato, di sogni non n'aveva più.
               Misogeno, c'era da chiedersi come gli fosse capitato
               di sposarsi e convivere con una donna che, tutto
               sommato, gli aveva dato una figlia.Luigina,
               durante i turni del padre, era affidata a Maria che
               l'affliggeva con i suoi rosari, non al maestro che non
               voleva coinvolgimenti e seccature. Come quella volta
               che Luigina gli aveva preso la mano per fargli sentire
               i palpiti del cuore e lui l'aveva ritratta inorridito.
               "Più
               in alto, sempre più in alto", cantava la
               fanciulla mentre volteggiava sulla terrazza e lui
               chiudeva le finestre per non udirla.L'atarassia,
               la lotta ai sentimenti e ai desideri, richiedeva di
               rifugiarsi nelle abitudini quotidiane, antidoto
               efficace, per quanto noioso, contro le
               emozioni.L'incarico
               di vice presidente del circolo dei pensionati di Via
               Carducci lo impegnava quasi tutti i
               pomeriggi.Presidente
               era il suo ex preside che lo correggeva sempre quando
               così lo qualificava in pubblico, infatti aveva
               concluso la carriera come preside di scuola media, non
               delle elementari.Uomo
               piccolo e astioso, tutt'uno con il vestito incolore e
               le due penne stilografiche odiosamente in mostra nel
               taschino della giacca, con il colletto della camicia
               consumato, senza stecche, portava, anche d'inverno e
               con la pioggia, gli occhiali scuri che nascondevano
               gli occhi piccoli facendo risaltare le labbra
               violacee, troppo carnose.Gli
               aveva affidato l'incarico di bibliotecario del circolo
               con trascrizioni su un grosso registro dei titoli e
               degli autori dei libri, per lo più ricevuti in
               omaggio.Achille,
               suo collega per decenni nella stessa scuola, era uno
               spirito libero, dal volto aperto e franco, l'opposto
               dei due. Quando leggeva, gli anziani non dormivano e
               partecipavano alle emozioni che, con la
               complicità d'autori opportunamente scelti,
               sapeva trasmettere. Con
               lui, invece, tornavano vecchi e assenti.Ad
               Achille nessun incarico, solo ostilità da parte
               dei due che non perdevano occasione per mettersi di
               traverso, senza tuttavia scalfirlo minimamente, come
               mosche che stuzzicano un toro.Le
               giornate si avvicendavano tutte uguali e pigre anche
               se ormai l'inverno era alle spalle e stava arrivando,
               prepotente, la primavera.Non
               per lui. Rifuggiva deliberatamente dai cortili che
               iniziavano a riempirsi di fanciulli, dai germogli dei
               fiori che si schiudevano agli occhi delle giovinette
               dalle vesti colorate, dal fiume che scorreva rapido
               tra le sponde ripopolate d'insetti e dalle boschine
               che si rivestivano di verde bandiera, intenso e vivo,
               sotto un cielo rianimato dal volo delle
               rondini.Il 21 marzo si alzò presto e si ricordò
               che era il primo giorno di primavera, forse questo,
               pensò poi, fu il primo errore.
Gli
               parve che avessero bussato e così aprì
               la porta.Si
               ritrovò l'Aurora al collo, tanto avvinghiata
               che fece fatica a reggerla. La scostò
               sbalordito e, prima che si riprendesse, sua figlia lo
               informò con tre parole che aveva lasciato il
               marito e di tedeschi non voleva più sentir
               parlare."Bisognerà
               che mi comperi qualcosa di leggero", disse mentre si
               toglieva il cappotto, gli stivaletti e l'abito,
               rimanendo in sottoveste e bevendo tutto il
               caffè che lui si era accuratamente
               preparato.Anticipando
               la domanda aggiunse: "Non preoccuparti, ho solo
               bisogno di un po' di tempo per riordinare le idee e
               trovare un lavoro. Intanto mi occuperò del mio
               papà!".Erano
               proprio queste parole che lo terrorizzavano; stava per
               dire qualcosa quando entrò Maria, con la scusa
               delle pulizie.Aurora
               l'accolse con una risata fragorosa e di scherno: "E
               questa chi è? La strega delle
               lanche?
"Maria,
               colta di sorpresa, si fece il segno della croce e
               scappò via, sbattendo la porta."Sono
               stanca, ho fatto un lungo viaggio, mentre fai le tue
               cose io riposerei un poco" e sua figlia scomparve in
               camera infilandosi nel letto matrimoniale ancora
               sfatto.Lui
               si ritrovò a riordinare il bagno.Annaspava
               in un elemento ostile, violentato come i bambini che
               gli sconsiderati gettavano nel fiume, al di qua delle
               corde, dove l'acqua è bassa e la corrente quasi
               ferma, affinché imparassero a
               nuotare.Andando
               al circolo si dibatteva come i pesci d'argento sui
               sassi del "pennello" alla ricerca disperata della pace
               rassicurante dell'acqua, giù, al riparo dei
               fendenti del sole e nel silenzio ovattato del
               nulla.Complice
               la routine, il suo obiettivo era rifuggire da ogni
               pensiero sul futuro. Del circo gli erano piaciuti gli
               equilibristi sul filo, con la mente sgombra da
               pensieri poiché concentrati sull'esercizio ma,
               quel giorno di primavera, il filo per lui si era
               spezzato ed era caduto nella fossa della
               vita.Unico
               desiderio, difficile a realizzarsi, che lei se
               n'andasse, destabilizzante come tutti i desideri dai
               quali tenersi alla larga, come i pipistrelli dalla
               luce violenta del giorno.Se
               la prese con gli anziani ai quali lesse passi della
               Divina Commedia, strangolandoli con pedanti
               annotazioni, ma erano di gomma, imperturbabili nei
               loro sbadigli, in attesa della sera.I
               giorni che seguirono trascorsero irti di sorprese ed
               imprevisti. Cercava di lasciarsi andare in quella
               forzata convivenza come in preda ad una malattia ma
               non ci riusciva e così annaspava tra continui
               turbamenti Piovve
               persino con il sole e pensò che fosse accaduto
               sotto l'influenza di Aurora, capace di destabilizzare
               anche la natura.Sicché,
               durante le lunghe assenze notturne di Aurora, soffriva
               l'insonnia cercando inutilmente di far quadrare i
               conti e star dietro alle spese. Lo
               tolse dall'ambascia lei: "Non crederai che me ne sia
               andata senza soldi!", difatti
               scialacquava.Svolazzava
               leggiadra nei vestiti di seta color della primavera
               tra un dentista ed un figlio di papà ma non
               concedeva loro nulla, nessuno riusciva ad averla,
               tutti si accontentavano del suo profumo e della sua
               bellezza da esibire come un fregio che all'alba
               svaniva, assieme alle luci artificiali della notte o
               ai riflessi della luna sui tetti e sull'acciottolato
               bagnato.All'alba
               s'infilava nel letto matrimoniale dove lui fingeva di
               dormire e si stringeva infreddolita al padre sfregando
               i piedi contro i suoi, prima di addormentarsi con un
               sorriso da bambina.Lui
               aspettava che si fosse assopita, se ne restava
               lì ancora un po' a rimirare quei capelli di
               seta e oro sparsi sul cuscino, poi si alzava
               lentamente, per andarsi a fare il caffè,
               chiedendosi sempre, con una certa tenerezza, se
               esistesse al mondo creatura più
               bella.A
               mezzogiorno, dopo le pulizie, gli toccava preparare la
               colazione anche per lei; non capiva che fine avesse
               fatto Maria e decise di affrontarla.Bussò
               e dalla finestra, rivoluzionariamente spalancata a
               calamitare le vivide luci del giorno, giunse
               squillante la sua voce: "La porta è
               aperta!".Gli
               apparve una donna diversa con una vestaglia corta a
               fiori, dai capelli tinti e accuratamente pettinati,
               con gli zoccoli alti, l'ombretto sotto gli occhi e che
               sicuramente non indossava le mutande
               lunghe.Si
               ritrasse spaventato ma sulla loggia la voce di Maria
               lo colpì alle spalle: "Si ricordi delle spese
               condominiali e, per favore, se l'Aurora si è
               alzata, le dica che l'aspetto!".Una
               sera, mentre era supino sul letto, al buio e vestito,
               incapace di riordinare le idee, sentì entrare
               l'Aurora e si ricordò dell'alluvione, di quando
               il fiume aveva superato l'argine maestro e la piena
               invaso le strade.Sentì
               la voce di Maria e poi la vide, giacché era
               entrata in camera senza bussare: "Avanti, venga con
               noi dal Lino!".Si
               lasciò trascinare come in preda alla corrente e
               salì sulla terrazza del Lino.Il
               profumo del dolce che il Lino stava affogando
               nell'olio e nello zucchero si materializzava in una
               piccola nube che offuscava ad intermittenza la luna
               piena, come un'eclisse parziale sullo sfondo di un
               cielo nero, trapuntato di lampade colorate ad
               ornamento della terrazza.In
               un angolo Luigina cambiava i dischi e seguiva felice
               la musica canticchiando sottovoce.Aurora
               lasciò il dentista con il quale stava danzando,
               prese il padre per mano e lo costrinse a seguirla
               ballando affettuosamente guancia a
               guancia.Non
               osò opporsi a tanta vitalità; ormai era
               naufragato, travolto dagli eventi. I
               cambiamenti erano stati violenti come un uragano che
               si abbatte sulla spiaggia livellando inevitabilmente
               tutto, tra cielo e mare.Si
               sentiva come se avesse varcato un confine proibito e
               affascinante, come un emancipato, un figlio alla sua
               prima vacanza senza genitori.Pensò
               che anche i coinquilini di quella macchia grigia,
               sperduta e soffocata nella periferia, provassero gli
               stessi sentimenti: naufraghi su un'isola inesplorata,
               dai frutti esotici, dove nulla era proibito,
               abbagliati dalla libertà.I
               giorni trascorrevano in fretta illuminati dall'Aurora.
               Scandalizzò l'ex preside con letture di
               avventure, tra gli applausi degli anziani e
               l'approvazione sbalordita dell'Achille.Assetato
               di vita, fu una vera e propria rivoluzione dove i
               punti cardinali dell'atarassia non avevano più
               riferimenti, come in una bussola
               impazzita.La sera che parcheggiarono l'auto davanti al portone,
               i carabinieri percorsero il lungo corridoio sino al
               cortiletto e guardarono insù: videro il maestro
               che si sporgeva dalla loggia, quasi li
               attendesse.
In
               casa, oltre a lui e alla figlia, entrarono silenziosi
               come fantasmi la Maria, il Lino e la Luigina
               sicché, mentre arrestavano l'Aurora, dovettero
               dare le loro lapidarie spiegazioni a tutti: gli
               inquirenti tedeschi, avvisati dai vicini insospettiti
               dalla prolungata scomparsa dei coniugi, avevano
               trovato il corpo senza vita del marito nella casa di
               Monaco e le indagini conducevano a pesanti indizi di
               colpevolezza della moglie.Aurora
               lanciò un ultimo sorriso alla loggia e Luigina
               le dedicò un applauso, seguita da tutti gli
               altri, mentre i carabinieri, allibiti, la portavano
               via.Il giorno seguente il maestro si alzò presto,
               in tempo per vedere l'aurora.
Si
               vestì di chiaro, guardò con nostalgia il
               letto vuoto mentre la corona rosa che bordeggiava i
               tetti lasciava il posto al giallo e l'azzurro del
               mattino.Pensò
               che aveva mille cose da fare: cercare un buon
               avvocato, studiare una strategia
 e, soprattutto,
               occuparsi della figlia.Prima,
               però, si sarebbe recato dall'Achille, l'unico
               che l'avrebbe capito. |