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               «L'anglais»
 Sul ballatoio sopra il pronto soccorso, si stagliava
               nel buio la massa bianca di un corpulento infermiere
               accovacciato in posizione volgare nei pressi della
               ringhiera del primo piano che dava giù, dove
               estraevano dalle ambulanze i corpi
               deimalcapitati.
 Ad
               assistere allo spettacolo lo raggiunse un'inserviente,
               anche lei fuori turno, avvolta nel grembiule celeste
               che sottolineava le bruttezze dei fianchi enormi e
               sgraziati come la voce con la quale cercava di
               intrattenere l'altro che non la filava per niente,
               interessato com'era a tenere in ordine i capelli
               scomposti dalla brezza della sera.
               Sotto, quelli in arancio rifrangente che scendevano e
               scaricavano in silenzio dalle ambulanze, abboccavano e
               guardavano verso l'alto ma non vedevano nulla,
               abbassando lo sguardo, abbagliati dai fari posti
               proprio sulla ringhiera.
               Annoiato dallo spettacolo, l'infermiere si ritrasse
               per andare a bagnarsi i capelli e a pettinarli,
               zoccolando e ancheggiando verso lo
               spogliatoio. La
               sera era di quelle primaverili, senza luna, di un nero
               avvolgente e rassicurante, con un'aria tiepida che
               portava lontani profumi di fiori mescolati con quelli
               orientaleggianti dei malcapitati, nonostante le folate
               acri delle ustioni che coloravano i corpi assieme ai
               brandelli dei vestiti variopinti. Le
               ambulanze, come per rispetto, si tacitavano
               all'ingresso del tunnel e continuavano a sfornare una
               gran quantità di feriti provenienti dal campo
               nomadi andato in fiamme alla periferia. Al
               capolinea, in tutti i sensi, arrivò anche
               l'"Anglais".
               Lui di nomade non aveva proprio nulla, anzi, mentre lo
               portavano su, i nomadi meglio messi, si alzavano
               stoicamente in piedi fissandolo in silenzio in segno
               di deferenza, come dinnanzi al governatore di una
               colonia inglese. Al
               secolo Anteo, da un'eternità lo chiamavano
               l'Anglais per l'aspetto fisico ma soprattutto per il
               portamento.
               Anglais, in francese, perché suonava bene e
               perché conosceva tale lingua, d'inglese invece
               non spiccicava una parola. Da
               giovane: alto, lineamenti fini, tratto signorile,
               raffinato, capelli sottili castano chiari come gli
               occhi con riflessi dorati. Fronte spaziosa, fisico
               armonioso e slanciato, quasi effeminato per via delle
               gambe lunghe e perfettamente diritte.
               L'aspetto più accattivante era il sorriso, di
               una rara bellezza, da aprire il cuore. I
               rudi del quartiere, all'epoca, non avrebbero potuto
               coniare appellativo più azzeccato in segno di
               rispetto per la sua cultura, appellativo che gli
               rimase appiccicato per tutta la vita anche al di fuori
               del quartiere.
               Orfano di padre, in realtà viveva "alle spalle"
               della madre che gestiva, o meglio lentamente
               prosciugava, una modesta rendita derivante da alcune
               proprietà lasciatele dal marito.
               Eterno studente aveva superato ben pochi esami, non
               aveva alcuna fretta e si era dato a tutti i generi di
               lettura, tranne quelli utili al corso di
               studio.
               Alimentava sporadicamente un'antologia con versi
               scritti di getto, tuttavia di notevole qualità,
               anche se conosciuti da pochissimi intimi ai quali
               concedeva rarissimamente l'accesso attraverso la
               propria declamazione, nei frangenti e situazioni in
               cui tentava di manipolare i loro o i propri
               sentimenti.
               D'inverno, al primo buio, le osterie ed i negozi del
               quartiere, colmi di barattoli di latta e di cartoni,
               si riempivano di tepore e di odori nell'attesa della
               neve, aspettata con trepidazione e ingenuità
               infantile, con i propri suoni ovattati a ritmo lento,
               pieno di dolce pigrizia e letargo.
               Sui fuochi e sui cerchi roventi delle stufe bollivano
               gli stufati e gli ossi di maiale abbondanti di grasso;
               gli angusti cortiletti, gli archi, i portici bassi e i
               budelli dei corridoi stretti e bui, odoravano
               intensamente di verza da aggiungere alle ministre con
               ossi e riso.
               Sui marciapiedi i ragazzi per mano, che imbottivano i
               cappotti stretti e pesanti, avvolti nelle lunghe e
               gonfie sciarpe di lana grezza, cercavano di scalciare
               le madri resistendo alle loro strattonate come cani al
               guinzaglio.
               Dalle finestre, sempre troppo piccole, arrivavano le
               grida sguaiate delle donne ed il fragore delle
               stoviglie rotte contro i maschi dall'alito
               vinoso.
               L'Anglais era il re dello stradone, compariva bello e
               signorile nel suo trequarti nero stile ottocento, con
               passo lieve ed aristocratico salutando con un cenno
               del capo, sempre circondato dalla sua corte di
               manovali, muratori, garzoni d'officina, ripetenti alle
               scuole di avviamento professionale e bulli alla
               moda. A
               volte dispensava pure qualche sorriso alle comari
               dalle gonne pesanti rese corte dal sedere sempre
               troppo largo, "inciabattate" e dai calzettoni a mezza
               gamba, che andavano in sollucchero e gli mandavano i
               figli ignoranti a ripetizione.
               D'estate l'uniforme era la canottiera e i pantaloncini
               blu, portati pedalando pigramente a gambe larghe, alla
               gaglioffa. I
               bambini in mutande, a piedi scalzi e con gli zoccoli
               in mano, suonavano i campanelli appollaiati in
               equilibrio precario sulle canne delle biciclette dei
               più grandi che pedalavano in branco, urtandosi
               allegramente, verso il fiume.
               Sugli spiaggioni assolati, all'ombra di tende ricavate
               da qualche ramo secco e straccio scolorito, l'Anglais,
               dai fianchi stretti e la pelle ambrata, affascinante
               come una statua di Fidia, pontificava pigramente.
               Intratteneva i fedelissimi e qualche vergine che si
               dava arie da navigata mentre i più giovani si
               rincorrevano alzando polveroni e ricadendo avvinghiati
               in posizioni ambigue di lotta
               greco-romana.
               Alla sera ricomparivano tutti agghindati, profumati di
               sapone di Marsiglia, con le chiome schiarite dal sole,
               i colli taurini abbelliti da catene d'argento
               luccicanti, pantaloni stretti e sorretti dai cinturoni
               appena sopra il sedere, magliette aderenti e
               scollacciate per sottolineare i muscoli abbronzati da
               una manciata di giorni di ferie.
               L'Anglais faceva la sua apparizione solo sul tardi,
               slanciato nei pantaloni neri a tubo, con la camicia
               candida ed ampia, dal collo alla Robespierre, la
               giacca scura e leggera come un foulard, nella mano
               sinistra, i capelli lunghi e chiari, pettinati
               all'indietro con accurata trascuratezza. Il
               sorriso, alla luce flebile dei lampioni, lo faceva
               apparire come un angelo evanescente da far tremare le
               parole e sussultare il petto delle giovinette dalle
               gonne a ventaglio. E
               di donne n'aveva castigato tante, con passione e con
               gran fisicità ma sempre con poesia, rispetto e
               assoluta signorile discrezione.
               Affetto sicuramente ma innamoramento mai,
               finché, maturo e libero dalla morsa possessiva
               della madre, conobbe lei.
               Non pronunciava mai il suo nome, chissà
               perché, forse per un concetto di assoluto o
               più semplicemente per un vezzo studiato, di
               quella timidezza che piace tanto alle
               donne.
               Lei invece si portava dietro l'appellativo di
               "indiana" per l'aspetto di prorompente bellezza bruna
               ma selvatica.
               Sorella piccola di uno degli amici di corte, era
               l'unica femmina accettata dal branco; partecipava agli
               incontri con un ruolo marginale e atteggiamento
               mascolino, nell'indifferenza generale.
               Lui però era sempre più sensibile alla
               trasformazione di quella bellezza adolescenziale e
               selvatica in una splendida, prorompente e aggressiva
               donna.
               Lei prese presto l'iniziativa alternando furbescamente
               un'istintiva quanto ambigua ingenuità, quasi
               cameratesca, con l'irresistibile bellezza di donna
               complice. Fu
               così che in una di quelle sere d'estate, tanto
               belle e intriganti da corrompere anche un santo,
               durante le quali ormai i due facevano scherzosamente
               coppia fissa, tra sfottò e lazzi, si trovarono
               soli lungo il fiume.
               Lui la sdraiò dolcemente, accarezzò la
               seta fresca del vestito, dei capelli, del seno e dei
               fianchi ma si fermò abbagliato dallo splendore
               giovanile del volto e degli occhi.
               L'Anglais restò per un attimo sbalordito quando
               vide spalancarsi la porta della sua stanza e comparire
               la figura stupenda di lei. Nella penombra
               rimirò, sul pavimento, il vestito di seta e poi
               si lasciò travolgere da tanta
               bellezza.
               Ciò che lo intrigava maggiormente era
               l'ambiguità del comportamento che tenevano, da
               amici e non da amanti, stupendamente in contrasto con
               la realtà che riempiva prepotentemente le sue
               giornate. Fu
               lei a lasciare appositamente tracce, a far scoprire
               l'intrigo, rendendo a quel punto ufficiale il loro
               rapporto. I giorni scorrevano pieni della sua
               presenza; facevano coppia fissa in modo quasi
               assillante ed esclusivo, sicché l'Anglais
               s'isolava sempre più perdendo colpi con la sua
               corte e con il quartiere intero.
               Lei, al contrario e grazie a lui, aveva perso
               ciò che di selvatico prima
               possedeva.
               Era divenuta una donna raffinata, di una bellezza
               classica ed intelligente che studiava con
               successo.
               L'Anglais era sempre più in declino economico e
               questo si rifletteva nella trasandatezza del porgersi
               e nel vestire.
               Aveva l'impressione di essere ormai un libro letto e
               straletto che non emozionava più, come le sue
               poesie che incantavano solo il gruppo sparuto dei
               fedelissimi, in disgrazia come lui.
               Sempre più geloso, alternava, in una tragica
               sequenza periodi sempre più lunghi di
               depressione, umiliazione e
               aggressività.
               Lei era incondizionatamente bella, colta, di successo,
               corteggiata e soprattutto indipendente.
               Non poteva far altro che assistere impotente e
               disperato al degenerare del loro rapporto, con una
               rapidità impressionante, sino a toccare il
               fondo dell'antagonismo, della violenza e della
               volgarità, ineluttabilmente verso il giorno
               della separazione finale, irreparabile e definitiva,
               non per questo meno tragicamente dolorosa. Si
               lasciò vivere lungo giornate interminabili,
               colme di vuoto e di assenza, incurante del
               contingente, ancorché pressante e tragico,
               scivolando per le strade solitario e
               trascurato.
               Andò a soffrire altrove, come un cane ferito
               che si nasconde. Il
               ballatoio dell'ultimo piano, dove era il gabinetto
               comune, guardava sull'aperta campagna, piatta ed
               uniforme, a perdita d'occhio.
               Viveva in uno stanzone con un grande pendolo sottratto
               al sequestro, un letto piccolo con la coperta
               militare, un vecchio tavolo circondato da tante sedie
               inutili, da osteria, una stufa a legna nella quale
               bruciava di tutto, un veliero pieno di polvere ed
               un'enorme credenza usata come armadio. Il
               corridoio, con grandi mattonelle disposte a
               scacchiera, portava ad un'altra stanza fredda, dalle
               pareti scrostate, adibita a magazzino dove aveva
               accatastato tutte le robe vecchie che trovava in giro
               con la rara vendita delle quali rimediava da campare,
               al limite della sopravvivenza.
               Non parlava mai del suo passato, arido come una pianta
               secca; ogni tanto aveva degli sprazzi di vita con
               qualche matura e generosa donna con alle spalle storie
               complesse di cui non voleva sapere niente. Le
               giovani lo salutavano asciutte con un certo rispetto
               per i suoi tratti fini ed il portamento demodé
               ma frequentavano gli operai o gli artigiani della
               zona, con le loro utilitarie dal cambio corto, i jeans
               a zampa d'elefante, i mangiadischi, le festine con le
               paste, la luce spenta e le mani leste. Un
               giorno sentì prima un urlo e poi un gran
               vociare dalla strada dove si era riunita una piccola
               folla davanti al bottegaio che inveiva per essersi
               fatto sfuggire una zingara ladra.
               Ebbe un'intuizione, aprì l'uscio e la vide
               accovacciata in un angolo del pianerottolo: splendida,
               orgogliosa, dagli occhi e capelli neri in un volto
               dolce e giovane, con una fisicità perfetta e
               scura, come la gonna e la maglietta.
               Lasciò la porta aperta e lei entrò in
               silenzio, selvatica come un gatto randagio, si sedette
               sul letto.
               L'Anglais estrasse dalla credenza un foglio, prese un
               pezzo di carbonella, le si avvicinò, le
               sollevò con dolcezza la gonna larga e si mise a
               ritrarla assorto in un furore mistico.
               Quando capì che lui aveva finito, lei si
               avvicinò alle sue spalle, lo accarezzò e
               afferrandolo per mano si sdraiò sul letto
               trascinandolo a sé. I
               nomadi lo aiutarono a sistemare la sua baracca nel
               loro campo e si occuparono di trasportare il pendolo,
               i libri e tutto ciò che poteva essere utile
               sotto lo sguardo allibito degli abitanti la vecchia
               casa. Il
               campo era all'estrema periferia da dove si vedevano in
               lontananza i primi agglomerati popolari, spettrali e
               lividi come i suoni che da essi
               provenivano.
               L'Anglais aveva ricominciato a vestire anche d'estate
               la giacca, dipingeva con passione seduto e assorto
               davanti le carovane e le baracche, in un'inebriante
               ridda di colori e volti veri, ricchi di
               storia.
               Passeggiava spesso per il campo tra un nugolo di
               bambini che cercava di educare, peripatetico, sotto
               gli alberi.
               Chiunque cercava il suo consiglio con ossequio e
               deferenza che trasmetteva anche alla sua compagna,
               trattata come la moglie di un governatore. Di
               notte, lei lo afferrava per mano trascinandolo a
               sé sul letto ed era sempre come la prima
               volta.
               Finalmente il medico, superata l'emergenza,
               potè occuparsi anche dei casi senza alcuna
               speranza, agonizzanti, come lui.
               Quando lo vide trasalì, scostò con una
               garza quanto rimaneva dei capelli, lo guardò
               fisso e quasi urlò: «Ma lei è
               l'Anglais!».
               Non fece in tempo a cogliere la sua reazione ed
               espressione di compiacimento, distratto come fu dalla
               splendida presenza di una giovane zingara bruna che lo
               teneva orgogliosamente per mano, tirandolo, per quanto
               possibile, a sé.
               L'Anglais piegò il capo e si lasciò
               morire felice di chiuderla lì, in quel momento
               di gloria e massimo fulgore.
               L'infermiere, ormai in borghese, lanciò un
               ultimo sguardo all'ospedale che stava lasciando,
               contento di aver terminato il suo turno appena prima
               dell'arrivo di quella baraonda ma ebbe un moto di
               stizza quando un refolo di vento scompigliò i
               suoi capelli, ormai asciutti.
 
Claudio
               Malatini |