- Prefazione
-
- "Penso dunque sono"
affermava il filosofo René Descartes, padre
della filosofia moderna e della geometria analitica.
Il pensiero è in effetti il nostro respiro
invisibile eppure così presente, quello che,
durante la giornata, ci ricorda tutta la magia
racchiusa nell'essere uomini che non si lasciano
avviluppare da frenesie, qualunquismi, indifferenze e
accettano di sdraiarsi su un prato dorato di
inespresso. E che, a contatto con quell'inespresso,
finiscono per subirne il fascino, fino a voler tentare
di esprimerlo. Il bello è inesprimibile per
definizione, è come una tangente che non arriva
mai a toccare la curva sul piano cartesiano. Ma
proprio in quanto inesprimibile lascia lo spazio a
mille differenti manifestazioni di pensiero,
cosicché esce dallo stato di indefinitezza in
cui si trova per ricevere, ogni volta, una multiforme
compiutezza. Sono contento di avere accettato, ormai
diversi anni fa, l'invito a cena di una piccola parola
chiamata poesia. Come una vera amica, che nulla mi
chiedeva se non di offrirle me stesso in tutta la mia
autenticità e senza infingimenti, mi ha preso
la mano e mi ha sussurrato: "se vuoi conoscere la
bellezza della realtà, vorrei che mi concedessi
di essere il tuo lume discreto, silenzioso ma sempre
presente, io sarò quel lume, poi la direzione
la decidi tu". Ma pensate quanto sia bello pensare
che, per cogliere il pieno di ogni giornata, basti
accendere quel lume che regna in ognuno di noi. Non
è immaginazione, è la realtà. Ed
è bello anche pensare che, grazie a quel lume,
un angolo nascosto di noi stessi o di quanto ci
circonda, giorno dopo giorno, possa essere meno
misterioso perché pienamente scoperto.
Così nasce "Ruscelli di emozioni" che si
affianca ai quattro fratelli venuti prima di lui in
un'ideale comunione di intenti, in una
continuità di pensiero e di sentimento a cui
tengo con ogni spicchio di cuore. Nella consapevolezza
del fatto che la poesia è "una spada di
zucchero che fende ombre ignote". I concetti che sono
espressi in queste poesie hanno tutti dei padri che
desidero ringraziare di tutto cuore. Padri che si
chiamano persone incontrate per via, magari una volta
soltanto, ma capaci di trasmetterti quella magia che
solo sa essere la compiutezza di ogni individuo, ma
padri che si chiamano anche pensieri venuti a
visitarmi nello spazio di un battito di ciglia. Come a
volermi dire: noi ti abbiamo dato un segnale, un
suggerimento, adesso non lasciarlo cadere nel vuoto.
La raccolta la dedico in particolare ai miei nonni,
materni e paterni. Quando guardo il cielo, vedo sempre
una scia di luce che mi porta direttamente a loro. E
li ringrazio di continuare a esistere in qualche
stella.
"Che cosa è la poesia? Non chiedermelo
più, guardati allo specchio, il poeta sei tu".
Ho voluto trarre questa frase da un film di Roberto
Benigni perché la considero l'essenza
più pura del comporre versi. Forse davvero per
fare poesia bisogna in primo luogo avere un grande
desiderio di conoscersi. Se desideriamo conoscere il
mondo, non possiamo esimerci prima dal conoscere noi
stessi. Così avremo un alleato saldo alla
scoperta di quanto è ignoto, e l'ignoto ci
spaventerà meno. Credo che in ognuno di noi si
nasconda un poeta, intendendo con questo termine
innanzitutto un porsi alla vita con l'eterna,
rinfrescante, godibile, irrefrenabile gioia della
scoperta. Di quel "gnoti seauton", ovvero "conosci te
stesso" che il filosofo greco Socrate seppe incarnare
così bene con la propria esistenza. Conoscersi
è, potrei dire, la massima forma di altruismo.
Perché aiuta a comprendere quanto ci si
può dare agli altri e ad aggiustare
continuamente il tiro su questo concetto di rilevanza
centrale. E ci si conosce anche attraverso le parole.
Parlando mi spiego con me stesso e posso spiegarmi
meglio al mio prossimo. Così mi metto in
condizione di amarlo e lo metto in condizione di
amarmi. La poesia sa che non riuscirò mai a
saldare il debito di riconoscenza che ho nei suoi
confronti. La poesia è talmente vasta da saper
perdonare anche la debolezza del mio essere uomo. La
poesia ha una tale apertura d'animo da lasciarmi
libero di reinventare la realtà attraverso i
miei sensi e le mie parole. La poesia è il paio
di occhiali che inforco quando la mia
superficialità non sa vedere davvero le cose.
Per questo le dico grazie per esserci, ed esserci
così.
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-
Ruscelli
di emozioni
-
-
- 1.
Guarda nonno
- il
pallone che i tuoi piedi
- accarezzavano
quando eri un timido ragazzo
- sorride
appagato
- dinanzi
ai tuoi maestosi capelli bianchi.
- Vuol
farti comprendere
- quanto
lo facesti sentire importante
- spingendolo
in porta
- mille
e mille volte
- migliaia
di piedi se lo contesero
- e
lo possedettero
- ma
i tuoi seppero anche amarlo.
- Ora
il tuo sguardo rivestito di stelle
- sta
dicendo a quello stesso pallone
- di
insegnare a tuo nipote
- a
scorgere le autentiche emozioni
- racchiuse
nella conchiglia dello sport.
- I
suoi piedi, le sue scarpette appena
acquistate
- profumano
dei tuoi ricordi di sportivo vero.
- Guarda,
ha indosso la tua maglietta
- che
il colore
- nonostante
il veleggiare irrefrenabile dei
giorni
- non
ha abbandonato.
- È
il suo modo per ricamarti un grazie
- per
averlo condotto al sentiero del calcio
- e
avergli insegnato
- che
ogni partita
- insegna
il valore cristallino
- dello
sfidarsi per crescere.
- 2.
A DON ORESTE BENZI
Dio mi ha donato dita fragili di cristallo
- per
plasmarvi carezze profumate
- del
Vangelo che non tradisce
- Dio
mi ha regalato
- respiri
instancabili di passi
- per
rincorrere e rimuovere
- il
dramma delle donne
- il
cui corpo è divenuto
- un
carcere di carne
- per
uomini indegni
- di
indossare la pelle degli uomini.
- Dio
ha mandato
- dinanzi
al mio semplice sguardo
- un
fascio di pennelli
- ammantati
di eternità
- da
affidare alle dita rattrappite
- di
poveri, sofferenti, orfani di speranza
- perché
disegnino sulla lavagna dei loro
giorni
- la
sagoma seducente d'una vita nuova.
- Dio
mi ha reso
- mondo
del suo mondo
- perch'io
potessi essere
- davvero
nel mondo
- a
raccogliere i fiori spuntati
- da
lacrime di bimbi abbandonati
- per
accendere in loro
- l'orgoglio
di un'identità divina
- tutta
da scoprire e da gustare.
- Dio
mi ha dato ora
- l'ombra
rinfrescante di un riposo
- da
cui posso sussurrare agli uomini
- che
la vita ha senso soltanto
- se
saprai essere sorriso
- per
chi non ha mai potuto sorridere.
- 3.
Cammino
in un concerto
- ricamato
da sfuggevoli battiti
- di
farfalle rivestite
- di
argentea pioggia.
- La
mia identità
- mi
chiede tremebonda
- di
potersi fermare
- dinanzi
alle lacrime di un ruscello
- per
scoprire per sempre
- la
soavità dello specchiarsi.
- Una
brezza ansimante
- mi
ruba una ciocca di capelli
- e
stringendo la sua mano d'avorio
- a
un sole che gemeva
- per
avere smarrito la luce
- cesellò
- con
l'incerta certezza di un pittore
- l'ombra
della donna
- che
sempre amai senza conoscere.
- Il
prato si libera
- dalle
catene pesanti delle mie suole
- e
concedendosi in sposo
- a
fruscii mattutini
- raduna
le primule
- in
una danza senza tempo.
- 4.
NAPOLI
Napoli
- serenata
di perle
- disegnate
dai respiri della magia
- fiera
figlia
- cesellata
dal ventre di Partenope
- ti
concedi sorridente
- al
mare che ti chiede in sposa
- e
ti regala il golfo
- come
sfavillante, dorata casa
- del
vostro amore imperituro.
- Napoli
- culla
di passi sempre bimbi di Pulcinella
- veste
di seta finissima
- ricamata
da versi di timidi poeti
- sorgente
dell'acqua pura della musica
- da
cui si dissetano gli animi eletti.
- Strizzi
l'occhiolino
- a
una lingua di vento
- incarti
il Maschio Angioino
- tra
due nuvole di cristallo
- e
ne fai strenna al mondo
- mentre
i tuoi vicoli
- come
esili libri di storia
- custodiscono
il profumo inebriante
- delle
note di un mandolino.
- 5.
A IVAN GRAZIANI
La
chitarra ruggiva
- come
una spavalda ma dolce signora
- sulle
note di metallo
- che
le tue dita le concedevano in spose.
- Voce
protesa
- verso
l'ultimo strato del cielo
- tra
i fasti profumati
- della
storia di Firenze
- e
l'ondeggiare palpitante
- del
lago di Lugano
- abbracciato
in un addio.
- I
disegni di canzoni
- coccolati
dalla brezza
- e
Agnese che sul manubrio sedeva
- a
intonare nenie delicate
- come
cristalli di Boemia.
- Il
sogno della musica
- e
gli occhi vestiti d'amore di Anna
- poi
un mostro deforme
- che
mai ad alcuno si rivela
- invase
le tue membra fiere
- fino
a spezzare il tuo ultimo suono.
- e
tu salisti
- sull'ascensore
per il blu
- dolce
Ivan
- laddove
una processione di cherubini
- ha
messo sulla tua musica
- il
timbro dell'eternità.
- 6.
Non
so sottrarmi
- allo
sguardo magnetico che promana
- da
quel minuscolo crocifisso vitreo
- che
coccola e custodisce
- lo
scomposto destino degli uomini.
- La
sofferente nudità di Cristo
- disegna
il mio desiderio di rinascere
- invitandomi
a scorgere in lui
- il
porto sicuro
- per
la mia lacerante incompiutezza.
- La
corona di spine
- a
scoprire mi esorta
- la
mia verità di uomo
- tra
i pezzi di vetro della sofferenza
- che
talora calpesto
- con
i piedi nudi
- Mi
invita a benedire
- il
dolce esilio del perdersi
- per
poi sapersi sempre ritrovare
- inebriati
da carezze di fede
- che
inondano la vita degli uomini
- senza
lasciarli annegare.
- La
scia di luce
- di
un esile astro
- dà
forma a una mano dorata
- che
mi dona il corpo di Cristo
- e
mi svela
- lo
splendore dell'eternità.
- 7.
Una brezza di nascente primavera
- addormenta
i miei pensieri di vetro
- e
ad aprire mi esorta
- quella
valigia di sogni incompiuti
- che
da sempre porto
- in
giro per il mondo.
- Uno
di essi si librò in volo
- e,
appoggiandosi su una nuvola di cera
- mi
chiese di dedicare
- una
serenata sublime
- a
una pioggia timida e insicura
- che
temeva di concedersi
- alle
braccia di una natura indifferente.
- Per
una notte intera camminai
- un
albero ormai consunto dal tempo
- mi
chiese di donargli l'illusione
- di
una vita non macchiata dalla morte.
- Fui
per lui ramo, foglia e linfa
- e
scoprii quanto inebriante fosse
- amoreggiare
con i palpiti della natura.
- 8.
Mi lascio imprigionare
- dall'inquieto
ma impalpabile rumore
- d'un
gladiolo che sta
- per
regalarsi all'esistenza.
- Il
suo suono sublime è un cancello
- di
cui non possiedo la chiave
- per
aprirlo e farvi entrare
- i
miei acerbi pensieri di fanciullo
- nel
regno immobile ma sempre nuovo
- di
un inesprimibile inespresso.
- Ma
il gladiolo mi mostra
- il
suo calice dorato e sottile
- che
racchiude il pane della natura
- che
solo sa sfamare
- le
anime immacolate.
- Da
esso esce
- lo
zucchero filato di una nuvola
- che
seduce le mie non più rassegnate
labbra
- esce
un bagliore di sole
- ormai
schiavo del tramonto
- che
trasporta come su una carrozza
- la
foto più preziosa
- del
mio primo amore
- escono
quegli impauriti baci
- rimasti
intrappolati
- nella
ragnatela delle mie intenzioni
- esce
l'essenza di un esistere
- che
non saprà liberarsi di me.
- 9.
Un ruscello ammantato di ruggine
- tende
le sue braccia rattrappite
- a
una montagna che più non lo ama.
- mentre
i millenni che lo bagnarono
- preparano
la sua tomba
- in
un prato disadorno.
- I
rami degli allori
- si
flettono per accarezzarlo
- e
più non trovano ormai
- che
il corpo di una rondine d'argento
- il
cui volo fu spezzato a morte
- dal
tremulo gracidare
- di
una doppietta.
- Ma
tutto si rituffa
- in
un azzurro gemito d'armonia
- quando
una farfalla rinchiude le ali
- in
una piccola teca di cristallo
- e
le consegna orgogliosa al cielo
- perché
vi plasmi
- un'esistenza
nuova.
- 10.
DEDICATA AI CARABINIERI
Ancora batuffoli, sospinti da respiri
inconsapevoli
- nel
nostro cortile povero e spoglio
- ci
innamorammo della stessa donna
- negli
impeti adolescenziali
- la
disegnammo nei sogni
- con
i primi ciuffi di barba
- che
fiorirono sui nostri visi
- la
stringemmo forte nella mano.
- Il
suo nome inebriante era giustizia
- e
ci volle possedere entrambi
- per
preservare e diffondere la pace
- tra
le ombre dei nostri simili.
- In
un Natale
- che
fece l'amore con la neve
- decise
di cucirci sulla pelle
- due
luccicanti divise
- ci
strinse in un abbraccio senza tempo
- e
sulle nostre labbra così scrisse:
- "Camminate
per il mondo con aspetto fiero
- vi
darò per compagno mio figlio
dovere
- che
da quando da me nacque
- protegge
e benedice
- l'anima
di ogni carabiniere".
- 11.
INCANTESIMO DI INDIANI
Un tenue fuoco
- intona
nella sera
- una
nenia d'amore
- per
le lacrime di cristallo
- di
un pellerossa
- mentre
la luna
- ancella
trasportata
- dal
carro di una preghiera
- gli
si concede in sposa
- abbracciandolo
- e
gli si offre come tenda
- per
far riposare
- le
sue membra di velluto.
- Una
stella regala
- la
sua ombra al lago
- e
gioca a rimpiattino
- con
i respiri delle montagne
- mentre
una carezza
- ricamata
dai tamburi
- gli
ricorda la tribù
- che
partorì il suo sangue e il suo respiro.
- Solo
un graffiante canto di lupo
- sembra
squarciare il velo
- di
un'atmosfera tra reale e onirico
- ma
dal tenue fuoco
- emerge
imperiosa
- l'immagine
di un Dio a lungo negato
- e
sale in passerella
- la
dissolvenza dei contrari
- rivestita
d'armonia.
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