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                 La donna
               di Uriki È scesa la
               notte ed il buio ha inghiottito di nuovo il villaggio.
               Da tre ore ho finito tutto il mio lavoro: ho chiuso le
               bestie nel recinto, il grano è stato macinato
               ed ho dato acqua alle verdure dietro la capanna.
               Queste erano piene di vermi grassi e biancastri che
               rosicchiavano le foglie nuove, le più tenere, e
               quando li staccavo dalle piantine si arrotolavano
               guizzanti alle mie dita. I polli hanno fatto gran
               festa quando glieli ho gettati in pasto.Ora che le mie
               figlie si sono sposate non ho più molto dare
               fare. Ho 37 anni ed altre donne della mia età
               hanno ancora bambini nella pancia ed un marito a cui
               badare. Non io. Il destino ha voluto che Uriki se ne
               andasse un mattino di quindici anni fa per non tornare
               più.Quel giorno lo vidi
               sparire all'orizzonte fra le foglie dei banani ma il
               mio sangue non mi diceva che quella sarebbe stata
               l'ultima volta. Il cielo era quello di sempre,
               respiravo l'aria di sempre, gli odori non erano
               diversi da sempre: il mondo intero era quello di
               sempre. Niente mi premonì che la mia vita non
               sarebbe più stata la stessa. Nemmeno un segno
               mi indicò che invece la mia angosciosa attesa
               sarebbe cominciata quel lontano giorno di quindici
               anni fa.Quindici lunghi
               anni sono passati ed io invecchio da sola in questa
               lurida capanna. Un giorno ho osservato la mia immagine
               riflessa nell'unico specchio che possedevo, ma
               d'improvviso non ho più riconosciuto quel volto
               secco e duro che vedevo davanti a me. Quando vado al
               fiume a prendere acqua ascolto con terrore il rumore
               dei miei passi: sono passi carichi di solitudine,
               passi da uomo. Risuonano stanchi e calpestano pesanti
               questa terra arida e rossa come il fuoco che il
               deserto divora a poco a poco, di anno in
               anno.Una terra ormai
               abbandonata dal grano e dal canto delle cicale, che
               aspetta solo i nostri cadaveri per coprire le nostre
               ossa bianche con la sua polvere bruciata che il
               deserto trascinerà con sé nelle notti di
               vento e di bufera.Ho 37 anni ma ho i
               seni vuoti, senza più latte ed i miei fianchi
               hanno dimenticato il dolce peso di un uomo che ti
               abbraccia e ti regala vita. I primi anni senza Uriki
               sono stati i peggiori. Non riuscivo a dormire senza il
               profumo della sua pelle e mi svegliavo di soprassalto
               al minimo fruscio della notte. Allora scattavo in
               piedi come una gazzella e mi precipitavo alla porta
               della capanna, sussurrando il nome del mio uomo con la
               voce che mi tremava nel petto, ma lui non è mai
               tornato. Tutto il giorno lavoravo come in preda
               all'affanno per ritardare il momento della sera e
               poter dormire senza pensare all'amore che mi era stato
               negato.Senza un uomo
               intorno ho dovuto imparare a riparare il tetto dopo la
               stagione delle piogge, a ricostruire ad ogni primavera
               il recinto per gli animali e persino a far partorire
               le bestie. Poi, un mattino di qualche anno fa, una
               donna del villaggio è corsa da me e con un
               sorriso sulle sue labbra sottili mi ha detto che Uriki
               era stato visto ad un mercato di bestiame al lato
               estremo delle nostre terre, a più di sette
               giorni di cammino dal nostro villaggio. Dicono fosse
               con una donna giovane che indossava gli abiti di
               un'altra tribù.Questa teneva un
               bambino per mano ed aveva il ventre ingrossato da
               un'altra gravidanza.Ho risposto con
               orgoglio che lo avrei creduto solo quando lo avessi
               visto con i miei occhi e che quelle erano solo
               chiacchiere, ma rimasta sola mi sono accasciata al
               suolo abbracciata al mio dolore, ed è là
               che mi hanno ritrovato le mie due figlie alla sera,
               quasi senza più vita.Da quel giorno ho
               smesso di aspettarlo, però senza il sogno di
               rivederlo, la mia solitudine si è fatta ancora
               più amara. Ci sono stati degli uomini che mi
               avrebbero voluta, ma dissi loro che solo se mi
               riportavano il cadavere di Uriki avrei potuto
               coricarmi con un altro.Da mio padre ho
               imparato l'orgoglio, da mia madre il pudore e dalla
               mia solitudine ad accettare il mio
               destino.Ci fu un tempo
               però in cui piansi di nuovo per amore. Lo
               conobbi quando una delle mie figlie prese marito:
               dovetti comprare dei capretti per la festa e mi
               indicarono un pastore che viveva sulle montagne vicino
               al lago. Quando i nostri sguardi si incrociarono mi
               sembrò di rinascere, perché
               improvvisamente vidi il mondo con occhi innamorati, ma
               abbassai subito lo sguardo stordita dalla vergogna. Il
               pastore uccise il capretto davanti a me mentre lo
               aiutavo a tenere ferma la bestia che scalpitava
               terrorizzata. Quando il suo pugnale gli aprì la
               larga ferita nel collo le nostre mani si toccarono e
               furono bagnate dallo stesso sangue che corse caldo e
               vivo fra le nostre dita. Dopo qualche giorno lui mi
               venne a cercare al villaggio. Mi parlò e
               riconobbi nella sua voce la mia stessa voce, e quando
               mi guardò, riconobbi la stessa mia anima
               riflessa nei suoi occhi. Tremai dentro, fino alle
               ossa, ma nulla trapelò alla superficie. Gli
               parlai con voce dura, piena di orgoglio: «Sono la donna
               di Uriki» dissi con fermezza. Sentii queste mie
               parole scandire implacabili la mia sentenza. Lui mi
               fissò come nessun altro uomo mi ha mai fissata.
               Ci fu un lungo attimo di silenzio, poi mi
               disse: «Tu sai che
               stai facendo uno sbaglio. Sai che tuo marito non
               tornerà, ma pagheremo tutti e due per questo
               tuo assurdo orgoglio». Non risposi nulla,
               perché temevo di cedere e di gettarmi nelle sue
               braccia per gridargli di non andare via, di non
               lasciarmi sola, mai più, mai più, mai
               più... Invece non dissi nulla. Lo sentii uscire
               ed aspettai in silenzio di sentire i suoi passi
               allontanarsi dalla mia vita. Tre volte tornò
               per chiedermi in moglie, e tre volte gli strappai il
               cuore a pezzi, ma mentre lo facevo maledicevo mio
               padre e mia padre. Mentre lo respingevo maledicevo la
               mia stessa vita. Ormai sono passati
               tanti anni e tutto è sepolto fra le macerie dei
               miei ricordi. Ho imparato ad amare il silenzio ed
               adesso la vita mi scorre vicina come un fiume calmo,
               senza più toccarmi e senza più ferirmi;
               ma a volte, sola nel letto, sento il mio sangue in
               tumulto pulsare con forza nelle mie vene ed in me
               c'è una sete che mi brucia le labbra e che
               nessuna acqua può calmare.Allora mi alzo e
               nel pieno della notte lascio il villaggio in silenzio,
               come una ladra, e quando raggiungo lo spazio eterno
               del deserto, corro a perdifiato. Corro lontano dalla
               mia prigione, dalla mia disperazione, corro dove
               nessuno possa vedere riflessa sulla sabbia bianca
               questa triste ombra che non ha più vita. Corro
               fino a stremarmi, fino a cadere esausta sulla sabbia
               ancora calda.Sotto il cielo
               immenso solo i morsi freddi della luna mi baciano la
               pelle. Sento che il dolore mi preme forte sulle
               tempie, mi gonfia il petto ed incalza feroce nella mia
               gola. Ed allora il mio grido s'alza improvviso nel
               nero scalpore della notte e brucia come un fulmine la
               statica tranquillità del cielo.Per le mie mani non
               mi basta il mondo, ma io aspetto, teneramente aspetto,
               abbandonata a quelle chiare dune come al corpo di un
               amante. Aspetto che il mio grido si sciolga piano nel
               vento caldo dell'Africa e, malinconico e dolce, si
               trasformi in un canto. Un canto che si perda lontano,
               al di là del dolore, al di là dei miei
               sogni, al di là dell'attesa.Lontano, sì,
               lontano... |