- PREMESSA
DELL'AUTRICE
-
-
- Una sera, nella
sala d'aspetto di una stazione, ho incontrato una
ragazza singolare. Era alta, il suo cappotto blu
faceva risaltare il biondo dei suoi capelli e i suoi
occhi azzurri le conferivano uno sguardo enigmatico.
Aveva un'aria talmente smarrita che mi sono permessa
di avvicinarmi a lei e di chiederle: " Ti senti male?
Hai bisogno di aiuto? ".
-
- " No, sto
ascoltando l'altoparlante della stazione. Ogni volta
che decido di tagliare la testa al toro, o meglio
all'idra, e di cominciare una nuova vita in una nuova
città, faccio così: me ne vado in una
stazione per ascoltare questa voce metallica, che per
me è come la voce del destino, perché mi
suggerisca una nuova destinazione. Ah, lo sai che in
castigliano la parola destino ha il significato di
meta, destinazione? ".
-
- Poi ha cominciato a
rovistare dentro alla sua borsa troppo piena, in cui
non riusciva a fare entrare un pacco di fogli scritti
a mano, finché ha esclamato:
-
- " Oh! Questi
proprio non ci stanno. Adesso li butto via
".
-
- " Ma no! Piuttosto
dalli a me. Di cosa si tratta? ".
-
- " Sono delle
vecchie lettere, che ho scritto alla mia cara amica
Verbana, alla quale non ho mai avuto il coraggio
spedirle ".
-
- Quindi si è
alzata come per andarsene, ma io l'ho trattenuta
dicendo:
-
- " Aspetta! Dimmi
almeno il tuo nome! ".
-
- " Ida di fuori,
Idra di dentro ".
-
- " Sei davvero
così viziosa? ".
-
- " Ma no! Non sono
mica l'Idra di Lerna. Io, amando moltissimo l'acqua, i
fiumi e i laghi, sono Idra in senso più
propriamente idrico che mitologico. Ma lo capirai
meglio leggendo queste lettere, se ne hai voglia.
Comunque un vizio ce l'ho: il vizio di
scrivere".
-
- Quindi se
n'è andata ed è salita su di un treno,
di cui non ho pensato di guardare la
destinazione.
-
-
- Bologna, 7 gennaio
1992
-
- Era un uomo,
sì, ne sono sicura: era un uomo. Poteva
assomigliare a mio padre, ma i suoi capelli erano
più bianchi, gli occhi erano azzurri e non neri
come quelli di papà. E poi vi era soprattutto
un aspetto a distinguerlo da mio padre: aveva... le
ali. Due enormi ali scure, era per metà uomo e
per metà uccello e io lo cavalcavo, standogli
sulla groppa. Volavamo sopra delle montagne e delle
colline verdeggianti, abbiamo volato a lungo,
finché non abbiamo raggiunto una città
attraversata da un fiume e bagnata da una distesa
d'acqua che poteva essere un lago o il
mare.
-
- A questo punto
vicino a noi è apparsa una donna-uccello, dal
corpo di cicogna e dalla bionda chioma. Le abbiamo
chiesto: " Ci possiamo tuffare? " e lei ha risposto: "
Sì, adesso sì, l'acqua è tiepida
".
-
- L'uomo-uccello ha
allora cominciato a planare, fino ad immergersi in
quelle acque tiepide, mentre mi stringeva a sé
con le sue ali. Provavo una sensazione meravigliosa e
indescrivibile, con la quale mi sono svegliata,
sentendo ancora quel tepore sulla pelle.
-
- Cara Verbana,
questo è il sogno che ho fatto questa notte,
alla vigilia della mia partenza da Bologna per
Ginevra. Sento che è un sogno importante,
perché precede una data importante: domani
è il giorno in cui lascerò forse per
sempre la mia città natale, per costruire
autonomamente la mia vita lontano dai miei genitori.
Il sogno mi ha così colpito che, appena
sveglia, ho sentito il bisogno di dirtelo e, non
volendo telefonarti alle quattro del mattino, ho
cominciato a scriverti; è la prima volta che lo
faccio.
-
- Nell'
Interpretazione dei sogni, Freud afferma che
quei sogni in cui si vola, si cade, si nuota, ripetono
impressioni dell'infanzia, vale a dire si riferiscono
a quei giochi di movimento che esercitano sul bambino
una straordinaria forza di attrazione. I bambini
chiedono instancabilmente la ripetizione del gioco,
soprattutto se comporta un po' di spavento e di
vertigine; anni dopo ne creano la ripetizione nel
sogno, tralasciando le mani che li hanno sorretti, per
cui volano e cadono liberamente. È il
divertimento dell'infanzia che si ripete nei sogni del
volare, del cadere, della vertigine. Freud propone
anche un'interpretazione erotica dei sogni di
volo.
-
- Sognare di volare
è come voler staccarsi dal proprio corpo,
cioè dalla materia. Gli psichiatri parlano a
questo proposito di "proiezione astrale",
un'esperienza nel corso della quale la coscienza del
sognatore, superiore al fisico, sembra lasciare il suo
corpo. Il termine " astrale" si riferisce ad un
secondo corpo, situato all'interno del corpo fisico e
composto da energia sottile. Questo corpo astrale, o
anima, può separarsi dal fisico e volare
liberamente, sopravvivendo alla morte.
-
- Nel Fedro di
Platone compare la trascendenza delle ali: " La forza
dell'ala sta, per natura, nel poter innalzare e
condurre ciò che è pesante verso le
altezze popolate dalla stirpe degli dei. Di tutte le
cose che riguardano il corpo, le ali sono quelle che
maggiormente partecipano al divino ". Il mio sogno
esprimerebbe dunque il mio desiderio di sollevarmi e
sottrarmi all'involucro carnale che mi trattiene in
questa vita inferiore.
-
- Io attribuirei al
mio sogno soprattutto un significato liberatorio nei
confronti dei miei genitori. Volare significa essere
liberi, avere la forza di ubbidire alla propria legge
interiore anche quando va contro la volontà e i
pregiudizi degli altri. Si tratta dunque di un sogno
augurale per quanto riguarda la mia conquista della
libertà, nella quale sarò aiutata da un
uomo, la cui identità ora ignoro. Sono proprio
curiosa di sapere chi è l'uomo del mio
sogno.
-
- Quanto alla
donna-cicogna, potresti essere tu, dati i capelli
biondi. Tu, insostituibile confidente e amica, sei
stata più di una madre per me. Mi hai dato
tanto sostegno e conforto e mi hai aiutato ad uscire
dall'anoressia quando, quattro anni fa, sono venuta ad
abitare sola in questa casa, che dista solo una rampa
di scale dai miei. Mi dispiace lasciare Bologna solo
per te; infatti da Ginevra non potrò
telefonarti spesso, per ovvi motivi economici, e
dovremo così interrompere l'abitudine delle
nostre lunghissime telefonate .
-
- Ma ti
scriverò, vedrai: la lontananza non
ostacolerà il nostro rapporto che, d'altronde,
è stato un'amicizia di voci al telefono, al di
fuori di ogni corporeità . Ci siamo viste poche
volte, non trovi? È come se, anche
nell'amicizia, io abbia rifiutato il corpo, quel corpo
da cui vorrei separarmi volando libera nel
cielo.
-
- Tutto il bene che
mi hai fatto veniva esclusivamente dal tuo dire, dalle
tue parole allegre e rumorose, che agivano nelle zone
più silenziose e riposte della mia
interiorità. Con una sorta di arte maieutica e
soprattutto con le tue risate, mi hai fatto capire
qual'era la forza da cui dovevo trarre la voglia di
vivere: l'ironia. Ridere, sorridere di me stessa e
degli altri: questa è diventata la mia arte di
vita.
-
- Al telefono hai
sempre voluto che io ti parlassi di letteratura e che
te la "insegnassi" ( così dicevi ), o meglio
che te ne dessi una mia interpretazione. Tu, invece,
mi parlavi di pittura e dei tuoi quadri vivacemente
colorati, che io non ho mai visto, che forse non
vedrò mai e che vedevo con l'immaginazione
grazie alla tua descrizione, alla tua parola. Tu, cara
Verbana, per me sei stata prima di tutto una voce
amica e delle parole, quei verba che sono contenuti
nel tuo nome.
-
- E da ora in poi
sarai uno stimolo alla parola scritta, una motivazione
alla scrittura, che per me è fonte di piacere.
Sì, perché ora, nello scriverti, sto
provando un'indescrivibile sensazione di piacere,
analoga a quella con cui si è concluso il mio
sogno, piacere che fino ad oggi solo lo studio dei
testi letterari e l'ascolto della musica classica mi
ha dato. Tu sai bene come io abbia sempre rifiutato i
comuni piaceri della vita, concentrandomi nello studio
della letteratura, che è tutta la mia
vita.
-
- Ma, per tornare al
mio sogno, che secondo me ha un valore premonitore, da
esso ho capito che troverò il massimo del
piacere e la felicità in una città
bagnata da un fiume, un lago o il mare. Io amo
moltissimo l'acqua, che simboleggia la vita: il latte,
la linfa e il liquido amniotico sono come acqua,
origine e veicolo di ogni forma di vita e centro di
rigenerazione. Il senso materno dell'acqua è
una delle più chiare interpretazioni simboliche
della mitologia. Secondo Jung, nei sogni il mare o
qualsiasi distesa d'acqua abbastanza vasta, designa
l'inconscio. L'aspetto materno dell'acqua coincide con
la natura dell'inconscio nel senso che quest'ultimo
può essere considerato come la madre, la
matrice della coscienza: l'inconscio ha, come l'acqua,
un significato materno. Non è forse vero che
mer e mère si confondono in francese, secondo
la classica associazione freudiana di questi due
omofoni?
-
- L'acqua,
però, come tutti i simboli, presenta
un'ambivalenza totale: essa è fonte di vita, ma
anche distruttrice. Lasciarsi trasportare dalle acque
dell'interiorità può portare dei
pericoli: le acque non solo possono agitarsi, ma anche
trasformarsi in neve e in ghiaccio. La mia anoressia
è stata come una valanga o come un fiume in
piena, simboli di sfogo, di ribellione delle acque
della mia interiorità in rivolta: un'esplosione
del represso, dell'inconscio, di una sofferenza che si
è tenuta dentro troppo a lungo.
-
- L'ossessione di un
corpo perfetto e la ricerca della linea non sono
assolutamente stati la causa della mia anoressia. Fra
i miti della mia giovinezza non vi erano attrici,
modelle, cantanti e pop star, ma anoressiche che
diedero prova di attivismo servendosi delle loro doti
intellettuali: una militante come Simone Weil,
scrittrici come Elizabeth Barrett-Browning, Virginia
Woolf e Karen Blixen. Tutte donne per le quali la
qualità della vita veniva prima della
sopravvivenza.
-
- Ora mi viene in
mente quella dieta che feci a Milano Marittima,
all'età di diciassette anni., durante la quale
si manifestò la mia prima anoressia; non la
feci spontaneamente, ma fui invitata da mia madre. A
Milano Marittima quell'estate erano andate in vacanza
molte amiche della mamma, alle quali lei voleva
mostrare una figlia in perfetta linea; per questo mi
esortò a dimagrire. In un primo tempo io non vi
riuscii e allora mia madre mi picchiò: l'unico
schiaffo che ho ricevuto da lei è stato
perché ero troppo grassa. Cominciai allora una
dieta ferrea che mi fece perdere una decina di chili
in un'estate.
-
- Ho ricevuto un solo
schiaffo anche da mio padre. Fu quando facevo la
scuola elementare, perché avevo preso cinque.
Cominciai allora uno studio accanito, che mi rese la
prima della classe per molti anni. Ho accettato meglio
lo schiaffo di mio padre rispetto a quello ricevuto da
mia madre: per papà è importante
l'essere, per mamma l'apparire.
-
- Per tornare ancora
al sogno di questa notte, esso ha molti punti in
comune con le parole della canzone che canto sempre
tutte le sere prima di addormentarmi. La ascoltai per
la prima volta molti anni fa, quand'ero ancora
bambina, e mi piacque molto. Da allora, cominciai a
canticchiarla ogni sera, un'abitudine che non mi ha
mai più lasciato. Comincia
così:
-
- Seguire la scia di
un aeroplano.
-
- Vedere il volo di
un gabbiano.
-
- E la mente torna a
sognare
-
- un'onda e un cielo
blu.
-
- Voglia di andare
via,
-
- voglia di
libertà...
-
-
- Saranno quindici
anni che io tutte le sere ripeto quest'inno alla
libertà, mentre la mia immaginazione crea
visioni aeree e acquee senza fine.
-
- Ma ora è
venuto il momento di prendersi la libertà,
così a lungo desiderata: non vedo l'ora di
partire. Vado a Ginevra per un dottorato di ricerca:
mi sono laureata un mese fa e ho una gran voglia di
continuare i miei studi. A dire il vero, un dottorato
potrei farlo anche all'Università di Bologna,
ma non voglio e ora cercherò di spiegarti il
perché.
-
- Tutto è
cominciato circa un anno fa. La mia anoressia era
ormai superata da tempo, lo studio mi dava grandi
soddisfazioni e, con l'abitare da sola, credevo d'aver
risolto almeno parzialmente i miei problemi con mamma
e papà: ero abbastanza felice. Poi mamma mi
disse di conoscere una signora, che si diceva amica
carissima della professoressa relatrice della mia
tesi, a cui già allora stavo lavorando con
foga. Mamma aggiunse che io, se lo avessi voluto,
avrei potuto "sfruttare" questa sua conoscenza per
ricavarne eventuali "agevolazioni". Risposi sdegnata
che non avevo bisogno del suo aiuto e che, nella vita,
ogni successo volevo conquistarlo con le mie sole
forze. L'argomento non fu più toccato né
da mamma né da papà ma, da quel giorno,
non sono più stata tranquilla.
-
- Più volte
è capitato che la mia professoressa si sia
complimentata con me, per i capitoli della tesi che
man mano le presentavo, ed io ogni volta l'ho
attribuito non alle mie capacità, ma alla
"raccomandazione" di mia madre, che penso abbia agito
a mia insaputa. Figurati cosa ho pensato quando la
professoressa mi ha proposto, per l'anno prossimo, un
impiego come lettrice d'italiano in una
università canadese, proposta che
fortunatamente non ha avuto seguito.
-
- Così, un
mese fa ho avuto il sospetto di essermi laureata in
lingue con 110 e lode, non per i miei meriti, ma per
la conoscenza di mia madre, che continua a negare il
fatto. Ho ancora bene in mente il giorno dell'esame di
laurea. Era evidente l'opposizione tra l'emozione dei
candidati e l'atteggiamento dei professori, che
stavano lì come per il disbrigo di una pratica
burocratica, tanto si sapeva come sarebbe andata a
finire. Gli altri laureati presenti, all'uscita dal
colloquio, sono stati attesi da fotografi e da folle
di parenti e amici, con corone di fiori e d'alloro:
sembrava la premiazione del Giro d'Italia.
-
- Io invece non ho
voluto nessuno a festeggiarmi: dopo la discussione,
sono uscita sola e me ne sono andata a passeggiare
sotto la pioggia. Pensavo: " Sì, è vero,
in tutti questi anni di trenta e trenta e lode ne ho
presi molti, ma sono certa di non essermi meritata
questo 110 e lode " e, dopo aver versato qualche
lacrima: " Non importa, partirò. Non so dove,
ma me ne andrò. Là dove potrò
farmi valere per le mie capacità, là
dove inizierà la mia storia, dove
crescerò: tutto diventerà nuovo,
sarò un'altra, sarò donna ".
-
- Così, ho
subito preso contatti con diverse università
straniere per iscrivermi a un dottorato di ricerca o a
un diploma post-laurea. Ginevra è l'unica
università in cui mi sia possibile continuare i
miei studi da subito, ad anno accademico inoltrato. A
dire il vero, preferirei studiare a Parigi, ma
lì potrei iscrivermi solo fra un anno e non
voglio aspettare così tanto.
-
- Così parto
per Ginevra domani: i miei genitori mi danno i soldi.
La mamma voleva impedirmi di partire, ma papà
ha detto: " Lasciamola andare ". Sapendoli così
iperprotettivi e possessivi e temendo che mi
telefonino continuamente o che mi vengano spesso a
trovare, non ho detto ai miei che vado a studiare a
Ginevra, ma a Grenoble.
-
- Ho sempre amato le
bugie: amare la menzogna significa anche amare la
finzione, l'illusione, il sogno, tutto ciò che
non è reale. È per questo motivo che la
stessa letteratura può essere considerata come
una menzogna. Ecco perché, se consumata in dosi
eccessive nel periodo dell'adolescenza come è
accaduto a me, la letteratura può essere
pericolosa per la formazione della personalità,
in quanto può fornire all'adolescente una
rappresentazione irreale del mondo che lo
circonda.
-
- Mi sono occupata io
della spedizione a Ginevra di ben sei valige piene non
solo di vestiti, ma soprattutto di libri. Ho spedito
così tanti bagagli perché, pur avendo
promesso a mamma e papà che starò via
solo qualche anno, ho in progetto di non tornare mai
più a Bologna: troppi brutti ricordi mi legano
a questa città.
-
- Potrei dire che la
mia anoressia è stata una rivolta contro le mie
origini, contro Bologna "la grassa", famosa per la
cucina prelibata. Inoltre Bologna è troppo
piccola e provinciale per i miei gusti: io amo le
metropoli internazionali come Parigi, Londra, New
York, e anche Ginevra, nel suo piccolo, non dovrebbe
essere da meno. Quando andai a New York, the big
apple con il suo melting pot of cultures mi
sembrò un concentrato del mondo. Mi piaceva
moltissimo camminare per le strade newyorkesi,
mescolandomi alla folla: mi sentivo parte
dell'umanità intera, come una goccia d'acqua in
un grande mare, e ciò mi aiutava a minimizzare
i miei problemi.
-
- E poi, amando molto
l'acqua, a Bologna sento la mancanza di un fiume, di
un lago o del mare, la cui vista mi appaghi come in un
sogno.
-
-
- 8 gennaio
1992
-
-
- Cara
Verbana,
-
- ti scrivo dal treno
che mi sta portando a Ginevra; mentre esso avanza
rapidamente, io mi sento sospinta con forza indietro,
verso il passato. I ricordi sfilano velocemente nella
mia mente, accavallandosi
disordinatamente.
-
- Nel mio
scompartimento sono arrivati dei giovani punk, dai
capelli variamente colorati e con orecchini al naso.
Mi guardano malissimo, forse non approvano il mio
abbigliamento da collegiale inglese, il mio cappotto
blu e il mio collettino bianco. Vorrei dire loro: "
L'abito non fa il monaco. Malgrado le apparenze,
anch'io sono in rivolta contro i matusa, come voi
".
-
- L'anoressia,
infatti, è stata la mia forma di rivolta
giovanile. Mi rivedo anoressica quando, otto anni fa,
all'età di sedici anni, abitavo con i miei
genitori. Rifiutando il cibo, era come se rifiutassi
la mia dipendenza economica da mamma e papà. Ai
sotterfugi e alle menzogne, di cui le ragazze spesso
si servono per incontrare il proprio ragazzo o per
star fuori la sera fino a tardi, io ricorrevo per
mangiare di meno. I miei genitori non potevano
lamentarsi della loro figlia unica, la prima della
classe, che non usciva mai la sera, che non chiedeva
mai soldi se non quelli per i libri. A dire il vero io
avevo capito che si sentivano molto più
tranquilli a sapermi, nei momenti di svago, fuori a
praticare sport piuttosto che chiusa in camera a
leggere un romanzo, perché il libro a volte
è pericoloso per la formazione della
personalità di un giovane. In effetti, le mie
letture mi inducevano a interrogarmi con angoscia sul
significato della mia esistenza, a chiedermi: " Che
senso ha vivere? ", una domanda che ha assillato tutta
la mia giovinezza.
-
- Comunque il cibo fu
un pretesto per far nascere una battaglia fra me, mia
madre e mio padre, una lotta avente le sue radici in
una profonda incomprensione tra noi. In realtà,
si trattava non di un fatto alimentare, ma di un
problema di rapporti tra genitori e figli. Per me
l'anoressia era un modo di sfuggire al controllo che
mamma e papà volevano esercitare sulla mia
alimentazione, rappresentante emblematicamente tutta
la mia vita. Attraverso il rigido controllo del cibo,
avevo l'illusione di dominare la mia situazione
familiare e affermare me stessa.
-
- Ora mi metto a
ricercare le cause della mia anoressia ancor prima,
nella mia primissima adolescenza, caratterizzata da un
malessere esistenziale. Non avevo mai avuto il
coraggio di confessare la mia sofferenza ai miei
genitori, avevo tenuto sempre tutto dentro, lasciando
poi che fosse l'autodistruzione del mio corpo a
parlare. Mi rivedo adolescente, quando mi sentivo
oppressa dal mare degli oggetti che mi circondavano,
quasi annegata nella materia. Molto prima
dell'anoressia, cominciai ad essere affetta da tutta
una serie di nevrosi, di rituali compiuti per
rassicurarmi nei confronti degli oggetti. La mia
nausea per il cibo ha dunque le sue origini in una
sorta di nausée sartriana. L'anoressia,
d'altronde, è un rifiuto della materia, della
parte materiale dell'essere umano: il corpo. Ho
vissuto il controllo sul cibo come la capacità
di dominare la carne a favore dello spirito. Cominciai
a sentir la necessità di leggere mentre
mangiavo, come se volessi procurarmi un nutrimento
spirituale, in compensazione al nutrimento per il
fisico, e quest'abitudine non mi ha più
lasciato.
-
- Adesso nello
scompartimento è entrata una donna incinta; mi
piace immaginare che fra lei e il suo bambino ci sia
un dialogo. Forse solo quand'ero nel suo ventre, io ho
osato dire a mia madre: " Ti prego, mamma, lasciami
essere me stessa. Considerami non come il tuo
prolungamento, ma come un essere autonomo, dotato di
una sua personalità ".
-
- Io sono figlia
unica, nata da una figlia unica. Mia madre voleva
instaurare con me lo stesso rapporto di completa
fusione che lei aveva avuto con suo padre, ma io non
potevo accettare tale compenetrazione. Volevo agire
autonomamente, staccarmi da lei, dal suo controllo,
prendendo possesso di me stessa, ma non sapevo come
reagire, essendo debole. D'altronde non potevo
rimproverare nulla a mia madre, se non il fatto di
amarmi troppo. Nel suo amore per me, vi erano forti
componenti di narcisismo: lei amava se stessa in me,
considerandomi come la sua creazione e la sua
continuazione.
-
- Se nell'amore vi
è una fusione di cuore e corpo, nell'amore tra
me e mia madre vi è sempre stata una profonda
dicotomia. Mamma si è sempre preoccupata
eccessivamente del mio corpo, della sua salute,
quand'ero bambina, della sua bellezza, in seguito. Per
reazione, dunque, io rifiutai il mio corpo, in un
primo tempo quasi staccandolo da me stessa e
considerandolo come proprietà privata di mia
madre, successivamente distruggendolo con
l'anoressia.
-
- Mi veniva chiesto
spesso: " Stai bene? " e mai " Sei felice? ".
Così fin da bambina acquisii una concezione
della malattia come forma masochistica di rivolta.
Infatti quand'ero malata mi sentivo felice, come se in
quel momento riuscissi finalmente a vanificare gli
sforzi di tutti coloro che mia madre aveva incaricato
di operare per la salute del mio corpo: la nonna
materna, cuoca, responsabile della mia alimentazione
sana; la nonna paterna che, quando uscivo, mi
accompagnava sempre, perché non andassi a
finire sotto un'automobile o non sudassi, correndo con
gli altri ragazzini; il nonno esperto nel costruire
leggii, alzare od abbassare tavoli, secondo le
necessità del mio dorso curvo e della mia
scoliosi; la professoressa di ginnastica pagata per
controllare che facessi bene la ginnastica in casa
mia; la zia sarta che confezionava per me abiti e
maglioni su misura, commissionati da mia madre, che
aveva scelto per me il classico stile inglese, mentre
io gli avrei preferito quello di Benetton.
-
- Mi viene in mente
anche il fastidiosissimo busto per la scoliosi che
dovetti portare e che mi costringeva a tenere il collo
sollevatissimo, rendendo rigido ogni mio movimento. Mi
sentivo un automa, il robot di mia madre, una jeune
fille-machine, per dirla con La Mettrie, manipolata
dalla mamma un po' come si fa coi burattini di legno.
Tuttavia, io non mi ribellavo perché non
sentivo il corpo come mio: esso apparteneva a mia
madre che lo aveva generato e continuava a proteggerlo
e curarlo. Il cuore invece era mio, insieme alla
mente, da mettere alla prova nello studio.
-
- Poiché
entrambi i miei genitori lavoravano tutto il giorno,
io passavo la maggior parte del tempo con i miei
nonni, che amavo moltissimo. È da loro che ho
ricevuto l'educazione durante l'infanzia; mentre i
miei genitori mi hanno soffocato, sono i nonni che mi
hanno educato, inculcandomi una grande serietà
e un forte senso morale. Io ho poi tradotto
quest'ultimo in una morale interiore, concepita come
fedeltà al proprio io e alla propria
interiorità: un'obbedienza a ciò che
detta il cuore, anche se va a scapito del
corpo.
-
- Avrei tanto
desiderato intraprendere studi musicali e scivolare
mollemente su di una tastiera di pianoforte, ma mi fu
impedito dalla mamma, perché suonare "fa
diventare gobbi". Furono così sacrificate le
mie aspirazioni al culto del bello di mia madre, la
quale metteva in pratica fino all'estremo limite il
precetto greco " Bello è buono ". Mi diceva: "
Una ragazza deve essere quella delle tre B: brava,
bella e buona ". Invece, io vorrei essere quella delle
infinite S, una lettera aperta che tende all'infinito
come una spirale. L'esse di Studio, Subconscio,
Sentimenti, Sensazioni, Sensibilità, Simboli,
Scrittura. La Scrittura con la sua iniziale apre molte
Speranze, perché può aiutare a trovare
la Salute psichica e interiore. La mia S non è
l'iniziale di Soldi, così importanti invece per
mia madre, una ragioniera estremamente materialista,
che mi ripeteva spesso che " un figlio è un
investimento ".
-
- Il rapporto tra me
e mio padre non è mai stato difficile come
quello con mia madre; non posso rimproverargli nulla,
se non il fatto di non avere mai avuto la forza di
opporsi alle decisioni prese dalla mamma nei miei
confronti. Vi è infatti una profonda differenza
tra mia madre e mio padre: mentre per mamma io
rappresento la sua creazione, papà, pittore
dilettante, ha trovato nella pittura un altro modo per
creare.
-
- La differenza tra
mia madre e mio padre l'avevo capita fin dalla prima
infanzia. Mamma, che ha sempre avuto poca fantasia,
non sapeva raccontarmi le favole, mentre papà
non solo le raccontava, ma riusciva anche ad
inventarle. Ve n'era una che mi piaceva moltissimo e
che trattava delle avventure di un signorotto
medievale, avente ben trentasei figli, di tutte le
grandezze e le età. Mio padre aveva compreso,
come aveva fatto Swift nei Viaggi di Gulliver,
che il bambino è particolarmente sensibile al
rapporto tra il piccolo e il grande, che riflette la
sua posizione nei confronti degli adulti. Il
signorotto non aveva un harem, non era uno sceicco;
come avesse potuto avere tanti figli non era mai
precisato da mio padre, dal quale non ho mai ricevuto
un'educazione sessuale. Ma forse sarebbe più
appropriato affermare che, anziché trentasei
figli, il signorotto ne avesse uno solo con trentasei
teste, come un'idra. E chi rappresentavano per mio
padre quei trentasei figli se non io, di cui
papà, ancora molto giovane, avvertiva tutto il
peso e la responsabilità di padre?
-
- Mi rivedo bambina,
ridere insieme a papà delle avventure dei
trentasei figli e del nostro "lessico familiare". Io e
mio padre abbiamo degli aspetti in comune, come
l'amore per il ludismo verbale e per la musica.
È papà che mi ha educato all'ascolto dei
grandi classici, che da tempo accompagna le mie
giornate di studio.
-
- La musica è
così diventata un elemento insostituibile della
mia vita, che è essa stessa un componimento
musicale, con dei leitmotiv che si intrecciano a
creare agglomerati dai rapporti sempre più
ricchi: i leitmotiv della vita o vanno parallelamente
o si mescolano, si sovrappongono, si respingono come
in un campo magnetico. Credo profondamente nella
capacità terapeutica della musica, che
può aiutarci a trovare un benessere ritmico ed
armonioso, in accordo con noi stessi e con gli altri;
tutti insieme alla ricerca d'una maggiore armonia
comune.
-
- Oltre alla
musicoterapia, credo anche a una sorta di
"letteraturoterapia": la letteratura mi ha aiutato
molto ad uscire dalla crisi in cui ero sprofondata con
l'anoressia. È stata proprio la letteratura ad
insegnarmi l'ironia e a farmi vincere la mia "nevrosi
da tempo". Da adolescente, la constatazione del
passare del tempo mi angosciava, ma le mie letture in
seguito mi hanno fatto comprendere l'esistenza di un
tempo interiore e soggettivo, che non è quello
degli orologi. Basti pensare non solo a Proust e alla
sua Ricerca del tempo perduto ma anche a
Mallarmé, per il quale lo spazio e il tempo
sono contigui all'io letterario costruito dalla
scrittura; a Balzac, per il quale il tempo si
identifica con il desiderio; a Supervielle, per il
quale il tempo e lo spazio sono popolati da frammenti
disseminati di ricordi.
-
- Oltre alla
"letteraturoterapia", sto cominciando a credere nel
potere terapeutico della scrittura, avente la funzione
di sfogo, chiamiamola "scritturoterapia". Trascorro la
maggior parte del mio tempo in silenzio, un silenzio
ove trovano posto paure, tentazioni, desideri: un mare
di pulsioni non verbalizzate, ove i sentimenti sono
segni oscuri non decodificati. La scrittura ha la
funzione di raccontarli, di fare entrare il codice
metafisico e astratto del silenzio nel codice della
lingua: è come far passare l'oceano in un
ruscello.
-
- La letteratura mi
ha avviato alla conoscenza di me stessa, della mia
interiorità e del mio inconscio: leggere
un'opera letteraria significa portare il proprio
subconscio a contatto con quello dello scrittore. I
miei studi letterari, però, mi hanno condotto
finora ad un eccessivo isolamento e ripiegamento
interiore.
-
- Ma ora basta,
voglio dimenticare le crisi passate e cominciare una
nuova vita. Senza mai abbandonare la letteratura, da
cui vorrei continuare a ricavare gli strumenti per
affrontare il reale, voglio vivere una vita che mi
appartenga, non dipendente in tutto e per tutto dai
miei genitori. Voglio fare nuove esperienze e
incontri, vedere nuovi luoghi e paesaggi, come quello
che mi sta offrendo il finestrino di questo
treno.
-
- Ora Ginevra si fa
sempre più vicina, il treno sta infatti
costeggiando il lago Léman. Amo moltissimo il
lago, un cielo liquido, l'occhio della terra: forse
è la distesa d'acqua del mio sogno, forse qui
comincia la mia vera vita.
-
- Ginevra, 15 gennaio
1992
-
- È lo
zampillo più alto del mondo. Eccolo lì,
a porre la mia vita sotto il segno dell'acqua.
È il simbolo di Ginevra, come la Tour Eiffel lo
è di Parigi. Mi piace osservarlo sotto la
pioggia e sotto i fiocchi di neve. È il terzo
che gli ingegneri hanno messo a punto, dopo avere
prodotto involontariamente il primo alla fine del
secolo scorso. È un bellissimo pennacchio assai
largo, capace di turbinare e di palpitare. Ogni volta
che lo guardo, mi sento invitata ad ubbidire alla mia
voce interiore, allo zampillo che Idra fa uscire da
dentro di me.
-
- " Ma Idra chi
è? " ti starai chiedendo, cara Verbana. Idra
sono io, è il mio doppio, la parte più
vera e più autentica di me stessa. Nominalista
come sono, ho voluto dare un nome a questo mio doppio:
mi è bastato aggiungere una r liquida al mio
nome, che già non mi dispiaceva. Ida, infatti,
è un nome di origine germanica che significa
"lavoro" : quel lavoro che io desidero tanto,
perché potrebbe rendermi indipendente e quindi
distaccarmi dai miei genitori.
-
- Idra è un
nome ancor più significativo per me: se, come
sostiene Jung, l'acqua simboleggia l'inconscio, Idra
rappresenta la parte più interiore di me.
Quando abitavo a Bologna, vicino ai miei genitori,
Idra poteva esprimersi solo negli spazi apertimi dal
sogno o nei "paradisi artificiali" offertimi dalla
letteratura.
-
- Ma da quando ho
lasciato Bologna, Idra ha cominciato a vivere una vita
propria. Così, negli ultimi tempi, mi sta
accadendo un fatto singolare: mi sdoppio, mi stacco da
me stessa e mi guardo vivere, a tal punto che non
riesco più a parlarti di me in prima persona.
Da adesso in poi, dunque, ti racconterò, con
quell'ironia che tu stessa e lo studio della
letteratura mi hanno insegnato, le avventure di un
personaggio di nome Idra, una ragazza ventiquattrenne
arrivata da poco a Ginevra.
-
- Le mie lettere ti
sembreranno polifoniche: alla voce mia cioè di
Ida Bonfiglioli, che ti sto scrivendo a posteriori, a
una sia pur breve distanza temporale dagli avvenimenti
narrati, si alternerà quella di Idra, nei suoi
rapporti verbali con gli altri.
-
- Di Idra ti
riferirò anche i pensieri, nell'immediatezza
del loro nascere. Cercherò di farti immergere
nel suo flusso di coscienza, fatto di ricordi,
emozioni, riflessioni, visioni e fantasmi, liberamente
associati, con collegamenti di idee emerse dal suo
subconscio. Io non sono un Joyce, non sono maestra
della tecnica del monologo interiore, e i monologhi di
Idra non avranno il massimo dell'immediatezza e
dell'imprevedibilità. Non avrò la
pretesa di ricreare le incoerenze dello psichismo, e i
soliloqui di Idra, pur nella loro spontaneità,
non saranno totalmente privi di organizzazione logica:
Idra pensa un po' come scriverebbe.
-
- Ma come farai tu a
distinguere l'io di Ida, soggetto scrivente, dall'io
dei monologhi interiori di Idra? Ti renderò
facile il compito con l'uso del colore. Ho deciso
infatti che scriverò le parti comprendenti le
riflessioni e i flussi di coscienza di Idra con la
penna azzurra, in opposizione al nero: è una
convenzione fra noi due. Dunque, ricorda, cara
Verbana: ciò che scriverò in azzurro non
sarà mai detto, ma solo pensato da Idra, in
quel particolare momento.
-
- Non ho scelto per
caso questo colore: l'azzurro è il colore del
cielo, del mare e dunque dell'acqua, tanto amata da
Idra. E non sei stata tu, parlandomi dei tuoi dipinti,
a farmi amare i colori? Forse non ti ho mai detto che,
nella mia adolescenza, quando leggevo un romanzo io
usavo i colori. Sottolineavo con diverse matite
colorate ogni tema o motivo ricorrente: ad ogni colore
corrispondeva un tema e l'associazione che vi
stabilivo era inconscia. Avevo infatti un approccio
tematico alla letteratura, e sono dei temi che ora
vedo intrecciarsi nella mia stessa vita.
-
- Io credo nel
linguaggio dei colori e nel valore pittografico della
scrittura, che può fondersi alla pittura. Tutta
la vita organica è caratterizzata da un intenso
ciclo energetico di strutture colorate, alle cui
vibrazioni anche l'uomo è sottoposto. Le
vibrazioni dei colori precisano le qualità
psichiche dell'individuo e la conoscenza del loro
simbolismo ci permette di controllare meglio le nostre
emozioni e i nostri pensieri.
-
- Tu sai come io mi
senta distaccata dalla realtà materiale, dalle
cose che mi circondano e che guardo con un occhio
diverso da quello comune. Forse è per questo
che mi piace tanto l'azzurro, che è il colore
più immateriale: in natura è presente
come trasparenza, fatto cioè di vuoto ( vuoto
dell'aria, vuoto dell'acqua, vuoto del cristallo ).
L'azzurro è il colore più profondo: lo
sguardo vi affonda senza incontrare ostacoli e si
perde all'infinito, come se il colore si sottraesse
indefinitamente.
-
- L'azzurro
alleggerisce le forme di un oggetto, le apre, le
disfa. Una superficie dipinta d'azzurro non è
più una superficie, un muro azzurro cessa di
essere un muro. I suoni e i movimenti, come le forme,
svaniscono nell'azzurro, vi annegano, si dileguano
come un uccello in cielo. In sé immateriale,
l'azzurro smaterializza tutto ciò che si
avvolge in esso. È la via dell'infinito dove il
reale si trasforma in immaginario.
-
- Entrare
nell'azzurro è passare dall'altra parte dello
specchio, un po' come Alice nel paese delle
meraviglie. Quando è chiaro, l'azzurro conduce
a fantasticare e quando diviene più scuro,
porta al sogno. Il pensiero cosciente svanisce
lentamente in favore di quello incosciente, come la
luce del giorno insensibilmente diventa luce della
notte. Regione dell'irrealtà, o della
sovrarealtà, l'azzurro assorbe in sé le
contraddizioni, le alternanze che scandiscono la vita
umana, ad esempio quella del giorno e della
notte.
-
- Ed eccola lì
Idra, con i suoi occhi azzurri e il suo cappotto blu,
e piena di speranze per il suo futuro, al suo arrivo a
Ginevra. Appena uscita dalla stazione, prende un taxi
e dice al taxista: " All'Hôtel du Lac
".
-
- " Lei ha un accento
che mi è familiare, signorina, da dove viene?
".
-
- " Dall'Italia
".
-
- " Anch'io sono di
origine italiana. Mio padre era sardo. E lei da quale
città viene? ".
-
- " Da Bologna
".
-
- " È a
Ginevra in vacanza? ".
-
- " No, sono venuta
per studiare. E vorrei pure trovare un lavoro
".
-
- " Ah, un lavoro.
Tanti italiani l'hanno trovato qui. Ma da un po' di
tempo non è più così facile. Nel
cantone di Ginevra, per combattere la disoccupazione,
adesso ci sono delle leggi molto dure contro gli
stranieri. Possono lavorare a tempo pieno a Ginevra
solo gli stranieri che hanno un permesso C. È
il suo caso? ".
-
- " Io non ho nessun
permesso ".
-
- " E allora deve
andare subito al Contrôle de l'habitant.
Il permesso C ce l'hanno quelli che come me vivono a
Ginevra da almeno dieci anni ".
-
- " Non è il
mio caso. È la prima volta che vengo a Ginevra.
Io devo cercare subito un monolocale in affitto. Come
sono gli affitti qui? ".
-
- " Carissimi. Tutta
la vita è molto cara a Ginevra e soprattutto
per chi viene dall'Italia: il cambio è
sfavorevole. Quanto può spendere lei?
".
-
- " Non più di
500 Franchi al mese ".
-
- Devo
spendere pochissimo. Ho pochi soldi e non voglio
tornare tanto presto a Bologna per chiederne ancora.
Non posso mica dire a mamma e papà che me li
spediscano. Loro li manderebbero a
Grenoble!
-
- " Secondo me per
quella cifra lei a Ginevra non trova niente. Le
conviene cercare nelle zone francesi confinanti con la
Svizzera, a Ferney o ad Annemasse: lì i prezzi
sono molto più bassi.
-
- Ed ora eccoci
arrivati all'Hôtel du Lac. Le auguro un buon
soggiorno a Ginevra, signorina. Le lascio il mio
indirizzo, così, quando si è sistemata,
se vuole venire a trovarmi mi farà un grande
piacere: io, mia moglie e i miei figli saremo felici
di accoglierla. Potrebbe dare qualche lezione
d'italiano commerciale ai miei figli ! ".
-
- " Le materie
commerciali non sono mai state il mio forte, ma
vedrò di fare quello che posso. La ringrazio
tanto, arrivederci ".
-
- " Arrivederci
".
-
- Così il
giorno seguente Idra, grazie ai consigli del taxista,
dopo qualche telefonata alle agenzie immobiliari,
riesce a trovare per un affitto molto basso un
monolocale ad Ambilly, una località francese
molto vicina alla frontiera svizzera, fra Annemasse e
Ginevra. Si reca subito a vedere l'appartamentino, che
non le piace: è arredato miseramente, in una
vecchia casa, in una zona assai squallida. Tuttavia lo
prende ugualmente in affitto, visto il basso
prezzo.
-
- La lontananza non
impedisce ad Idra di recarsi spesso a Ginevra, che le
piace moltissimo, dominata com'è dall'acqua.
Infatti due fiumi vi si congiungono: l'Arve e il
Rodano che, dopo avere attraversato il lago
Léman, ritorna alla sua forma di fiume. Il
corso d'acqua costituito dall'insieme lago-fiume
rappresenta l'arteria principale di Ginevra e divide
la città in due, da un lato la Rive
Droite moderna con la Cité
internationale, dall'altro la Rive Gauche,
i cui quartieri si estendono a partire dal nucleo
della città vecchia.
-
- Quest'ultima
è la parte della città che Idra
preferisce e ci va spesso a passeggiare. Le piace
recarsi nella piazza Bourg-de-Four, nel cuore della
vecchia Ginevra, dove avevano luogo le fiere nel Medio
Evo. È circondata da negozi di antiquariato,
gallerie d'arte, caffè e da vecchie case,
alcune delle quali hanno conservato le loro insegne di
locande. Quando Idra si trova lì le sembra di
respirare un'aria diversa, di essere riportata
indietro nei secoli.
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