- LA
CENA PERFETTA
Un chiarore omogeneo filtrava verso l'esterno dalle
finestre illuminate della piccola locanda
toscana.
- Lo chef Rinaldo
stava servendo personalmente la splendida donna che
era seduta su un'antica sedia intarsiata, dietro la
tavola allestita con evidente gusto e ricerca del
particolare.
- Oltre a loro, non
c'era nessuno.
- Alcune giunchiglie
spandevano il loro colore nell'atmosfera quieta,
immerse in un vasetto al centro della tovaglia mentre
la fiamma della candela guizzava inseguendo ombre ed
improvvisi refoli.
- Con mano ferma, il
cuoco versò il Chianti all'interno del calice
da degustazione e subito un bouquet armonico si sparse
nell'aria, diffondendo un profumo di frutti di bosco e
spezie.
- Le lunghe ciglia
della giovane incorniciavano due occhi chiari che
riflettevano il fuoco della candela. Con gesto
calcolato, lei mosse la lunga chioma corvina, e mentre
portava il bicchiere alle labbra mostrò un
sorriso seducente ed una chiostra di denti
bianchissimi e regolari.
- Rinaldo trattenne
il respiro mentre l'invitata sorseggiava il vino e
subito numerose domande si affastellarono nella sua
mente. Ma si rese conto che erano timori infondati...
La temperatura era perfetta ed era perfetto per
ciò che stava per proporre. Dal grado di
soddisfazione della donna dipendeva il suo futuro e
non poteva permettersi di lasciare nulla al
caso.
- Percepiva la
soddisfazione della dama e la consapevolezza del peso
che poteva avere il suo giudizio. Ma lo chef non
intendeva proprio lasciarsi sopraffare da questa
spiacevole sensazione e, con un impercettibile
inchino, ritornò in cucina.
- Guardò fuori
dalla finestra, oltre le tende. La luna era svanita
dietro una nube densa. L'ora era davvero
tarda.
- Controllò le
pappardelle che aveva adagiato nell'acqua bollente
diversi minuti prima. Erano pronte!
- Le scolò con
dedizione e le dispose su un vassoio di
stoneware.
- Subito dopo, il
finissimo olfatto di Rinaldo si dedicò al sugo
all'aretina che stava finendo di cuocere in un
pentolino. Con un agile colpo di cucchiaio rimosse un
chiodo di garofano che galleggiava in superficie. Il
ragù aveva un'eccellente consistenza. La polpa
dell'anatra si era perfettamente amalgamata coi
pomodori maturi, le carote ed il prosciutto crudo. Gli
aromi avevano poi splendidamente rifinito il
sugo.
- Con delicatezza, lo
fece scivolare sopra le pappardelle. La superficie
ruvida delle stesse assorbiva avidamente il gustoso
condimento. Un leggero languore colse il cuoco che si
rammentò di essere a stomaco vuoto. Ma non
doveva distrarsi. La persona che lo stava aspettando
fuori dalla cucina non era avvezza
all'attesa.
- Con passo deciso,
si avviò all'unico tavolo imbandito del
salone.
- Lei
attendeva.
- Con mano sicura,
anche se un certo tremore stava scivolando nel suo
animo, preparò una generosa porzione nel piatto
dell'avventrice.
- Le ampie volute di
fumo che si sprigionarono appannarono gli occhiali di
Rinaldo ma notò lo straordinario lucore delle
labbra della donna. Per un istante la lingua di lei
saettò, preparandosi all'aulente pietanza. Il
cuoco sorrise tra sé compiaciuto. Ora era certo
che non avrebbe fallito.
- Con passò
lieve si allontanò, mentre la forchetta veniva
inserita nel groviglio della pasta al
dente.
- Ritornò in
cucina, il suo inopinato regno. L'aroma del sugo
accompagnava ancora la sua mente, con alcune note
sapide che stimolavano la sua immaginazione. Presto
tutto sarebbe finito e, se non avesse smarrito
l'attenzione, anche nel migliore dei modi.
- L'intingolo del
pentolino lo invitava ma non cedette. Anche il secondo
avrebbe dovuto essere al medesimo livello delle
pappardelle. Sarebbe stato il suo trionfo, ne era
certo.
- Verificò
l'altra pentola sul fuoco. Un inconfondibile e
persistente profumo lo inebriò.
- Le sfumature
rossastre della marzaiola indicavano che il piatto era
pronto. I pezzi della piccola anatra bollivano
nell'olio con la cipolla a fettine e la pancetta. Un
sapiente utilizzo del pepe aveva completato l'opera,
quasi fosse stato un alchimista. E forse un po' lo
era. Non cercava la pietra filosofale ma bensì
la cena perfetta. L'ossessione era comunque simile.
L'altro lato della medaglia
dell'eccellenza.
- Un pensiero
estraneo si fece largo nella sua mente. Era la
passione per la Lirica. La marzaiola che stava
terminando di cuocere proveniva dal lago di
Massaciuccoli, luogo molto amato da
Puccini.
- Per stemperare la
tensione, si accorse che stava fischiettando un'aria
della "Turandot".
- Il fiero portamento
di colei che lo attendeva oltre la cucina gli
ricordava la principessa sanguinaria
dell'Opera.
- Rinaldo
trasalì. Stava rischiando di rovinare con una
cottura eccessiva il prelibato secondo.
- Allestì un
vassoio col contenuto e si preparò a portarlo
di fronte all'implacabile giudizio di Turandot. Rise
serrando i denti.
- Altera, la donna lo
stava aspettando. Le spoglie della prima portata
giacevano abbandonate.
- Con rapidità
spostò il piatto fondo e dispose la marzaiola
con grazia.
- Ormai il profumo
delle giunchiglie era svanito, coperto
dall'intensità deliziosa della piccola anatra e
del condimento corposo che l'accompagnava.
- Con movimento
ferino ma sinuoso la donna staccò un brano di
carne e lo portò alla bocca, umettandosi prima
le labbra.
- Rinaldo lo
giudicò un gesto poco elegante ma ben comprese
il desiderio di affondare nell'intrigante universo di
sapori intensi che lui aveva preparato.
- Si attardò
un istante, per sincerarsi che il piatto fosse
gradito. I bocconi erano accompagnati da ampi sorsi
del liquido granato che il cuoco si premurava di
versare nel calice dell'ospite.
- L'effluvio accurato
della portata solleticava le narici dell'artista dei
fornelli, che riconosceva sicuro le sfumature della
salvia e del timo.
- Si
allontanò. Stava giungendo il momento di
presentare il dolce e chiudere lo spettacolo
culinario.
- Era il terzo atto.
La sua personale "Turandot". Il terzo enigma
dell'Opera.
- Qualcosa di antico.
Un sapore condiviso con gli etruschi. Il pan con
l'uva.
- La "stiacciata" era
stata preparata con cura nel corso del pomeriggio. Con
maestria, fece colare sopra del miele. Era il momento
di entrare in scena.
- Lei aveva ultimato
la marzaiola e stava attendendo la conclusione della
cena.
- Con passo incerto
lui si avvicinò e senza profferir parola
sottopose all'attenzione dell'invitata il suo
capolavoro.
- Gli acini di uva
nera appena s'intravedevano, affogati nel friabile
involucro di pasta di pane.
- Turandot non
parlò ma gli fece cenno di sedersi, sulla sedia
posta di fronte.
- Il cuoco
eseguì ed attese in silenzio, mentre la vedeva
gustare ogni singolo boccone.
- "Mi complimento con
la tua Arte, Rinaldo... - esordì con tono
suadente la donna, dopo aver terminato il dolce -
Anche se inizialmente è stato un mio
dono...".
- Il cuoco tratteneva
il respiro, temendo il responso.
- "Ma hai saputo
trovare la tua via... Mai, nel corso della mia
esistenza, ho trovato una personalità
così marcata nel canovaccio che avevo
tracciato. Mi hai soddisfatto.
Completamente...".
- I nervi di Rinaldo
erano tesi fino allo spasmo mentre sentiva la vena
sulla fronte pulsare.
- Un lampo innaturale
attraverso lo sguardo della donna mentre
sentenziò: "Considero il Patto nullo. La tua
Arte ha superato la mia. E poi mi sarai più
utile qui, sulla Terra. Del resto la Gola è un
peccato che apprezzo molto...".
- L'uomo si
ritrovò completamente solo, nel salone della
sua locanda, mentre un acre olezzo di zolfo si
sollevò dalla sedia dove un istante prima era
seduta la figura femminile.
- LUCIFERO
-
Lucifero si muoveva cautamente nelle luci sbiadite
della sera che stava divorando ogni cosa.
- Con incedere
superbo e fiero esaminava ogni particolare non visto.
La sua altezza non umana passava inosservata, proprio
come desiderava.
- Sembrava che
l'intera città fosse sull'orlo della follia ma
ormai in ogni luogo si era aperto il tetro baratro che
avrebbe inghiottito tutto nella più assoluta
indifferenza.
- Le lingue d'asfalto
s'intersecavano caoticamente ignorando ogni logica e
frettolosi automobilisti inventavano discrezionali
codici stradali.
- Era il mondo come
l'aveva sempre voluto ed immaginato. Certo, non era
così nei disegni di Dio ma ciò era
decisamente trascurabile.
- L'insieme
cacofonico di schiamazzi e grida infastidivano l'udito
finissimo di Lucifero: era la nuova
Babilonia.
- Forse sarebbe
potuto divenire nuovamente una divinità. Ma
questo non poteva ancora saperlo.
- Sfiorò col
suo manto nero un sacerdote, smarrito in pensieri
sconvenienti, che celava lo sguardo dietro una copia
sbiadita di un testo liturgico. Non se ne accorse.
Lucifero sapeva diventare un'idea evanescente,
un'ombra inquieta e nulla più...
Improvvisamente l'uomo di Chiesa si arrestò,
come se si fosse reso conto di qualcosa...ma poi la
sua mente si perse ancora...
- Una madre isterica
schiaffeggiò il figlio poiché stava
saltando in una pozzanghera per poi premurarsi che
stesse bene.
- Forse era solo una
forma di ipocrisia, come quella dell'uomo d'affari che
si frugava le tasche davanti ad un vecchio mendicante
per poi mostrare un sorriso dispiaciuto, sostenendo di
non avere nulla per lui. Ancora ipocrisia.
- Al contrario,
Lucifero si vantava del suo egoismo e della sua
indifferenza nei confronti di quasi tutto il genere
umano. Era riuscito a strappare la tela
dell'apparenza. Non doveva rendere conto alla sua
morale poiché ne era privo. Ma era libero e
coerente.
- Una sequenza di
violente detonazioni destò la sua attenzione.
In un negozio di liquori era in corso una rapina ed i
tutori dell'ordine avevano pensato che il sistema
più efficace per fronteggiare la situazione
fosse fare fuoco.
- La materia
cerebrale del malvivente era una labile scia grigia
sul selciato mentre la pioggia torrenziale che stava
cominciando a scendere aveva rimosso i grumi
più piccoli.
- Anche il gestore
era stato colpito nel conflitto ed ora giaceva privo
di conoscenza, appoggiato alla vetrina del negozio
crivellata di colpi. Il respiro stava svanendo ed un
sinistro pallore scivolava come iniquo inchiostro
indaco sul suo volto.
- L'autoambulanza
arrivò a sirene spiegate ma non rimase che
adagiare un lenzuolo bianco su entrambi i corpi,
trasformandolo in un carminio sudario.
- Lucifero osservava
la scena incuriosito. Con agilità che non
apparteneva ad un essere umano saltò su una
sporgenza di un muro per osservare meglio con i suoi
acquosi occhi gialli. La pazzia si stava diffondendo
come un morbo invincibile. Gli esseri umani erano
così abili nell'amministrare la
morte...
- Un funereo disco
lunare si stava delineando nella gelida
immensità. Da qualche parte, lassù, un
tempo c'erano state le stelle. Ma erano divenute
lacrime ed ora un compatto tessuto nero straziava
l'atmosfera notturna, come la cappa di un
boia.
- Un lieve crampo
allo stomaco ricordò a Lucifero che era giunto
il momento di tornare a casa. Sicuramente lo stava
già aspettando la sua ciotola di latte.
Miagolò, leccò il pelo scuro delle sue
zampe anteriori e s'incamminò...
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