Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Giacomo Ferretti
Ha pubblicato il libro
Giacomo Ferretti - Gli Arcaldi e il "controllore"


 

 

 

 
Collana I salici (narrativa)
- f.to 14x20,5 - pp.140 - Euro 11,50 ISBN 88-8356-824-9
Prefazione
Incipit

Prefazione
 
Questo romanzo nasce da un sogno custodito nel cassetto dall'autore.
Fin da quando, ragazzo, abbozzò le prime poesie raccolte poi nella collezione "Il Canestro". Oltre ad avere svolto diverse attività, dal venditore di automobili, a responsabile di vendita per una ditta americana e ristoratore, si dedicò con passione allo sport del biliardo.
Sarà conosciuto a livello nazionale ed internazionale tramite vittorie importanti come il primo posto alla selezione europea di Alessandria e al secondo posto della medesima manifestazione svoltasi a Basilea. Altri primi posto a livello nazionale.
La sua è stata una vita travagliata fatta di traguardi difficili a cui è dovuto arrivare annaspando nei labirinti scoscesi della società milanese.
Nel 1995 si è separato dalla moglie, ha una figlia alla quale è molto legato dal nome Raffaela.
È nella sensibilità che trasporta sul biliardo e negli scritti che si può notare un percorso di sofferenza e gioia, sanguineità e purezza, cosa che lo indirizza verso una solida e lucida personalità per niente inquinata da una lunga attività da giocatore.
Nel romanzo che andremo leggendo si potrà notare come tutto sia lontano da influenze culturali passate e presenti.
"Gli Arcaldi e il controllore" sono uno specchio della fantasia dello scrittore. Un contenuto di moralità si inserisce nel cuore del romanzo dove sono presenti quei valori andati scemando ai nostri giorni.
I personaggi del romanzo cavalcano realtà diverse, per poi ritrovarsi dopo un lungo percorso di vita, in cui tutte le strade convergono verso un destino mirato.
Si può concludere dicendo che lo scrittore parte da un inizio di presentazione della vita dei personaggi e del periodo storico in cui vivono, costruendo intorno ad essi vicende dentro le quali si viene proiettati man mano, auspicandosi quanto prima il desiderio di conoscerne la fine.
 

Un amico


In questo romanzo Giacomo Ferretti ripercorre le vicende di Flora, del marito Bruno Arcaldi e dei figli Ayron e Jenny. Senza accorgersi ci si ritrova all'interno d'un gioco spietato dove a dominare è il destino che riserva sempre il suo conto da pagare.
C'è sempre qualcosa che impedisce di realizzare i propri sogni e tutti devono fare attenzione a muoversi sul palcoscenico della vita.
Con una scrittura tremendamente sincera, l'Autore scruta nelle pieghe dei protagonisti, nella perdita delle certezze, nei significati del presente e nei rifugi provvisori di oscure rivelazioni: in una sequenza infinita di tracce che conducono a disvelare le immagini e le intuizioni fino all'ultimo mette sul piatto della vita le sensoriali invenzioni e la seducente fantasia narrativa.
 

Massimiliano Del Duca

 
 

 
Gli Arcaldi e il "controllore"


 Questo libro è un'opera di fantasia. Nomi, personaggi, associazioni ed eventi sono frutto dell'immaginazione dell'autore o vengono usati in maniera fittizia, Qualsiasi somiglianza con persone reali vive o defuntem è assolutamente casuale.

Capitolo I
 
Nel racconto che sto per narrarvi il destino giunse puntualmente, su una lunga strada, nel corso degli eventi a testimoniare il formarsi della famiglia di Flora.
La famiglia visse parte della vita nella tranquilla Langhirano. Abitarono in una bella fattoria, situata sulle colline parmensi.
Flora Cestini, donna di indubbio valore morale, cattolica, cinquantaquattro anni, viveva nella tenuta con suo marito Bruno Arcaldi di sessantadue anni, colonnello dell'esercito, e due figli, Ayron e Jenny. A Flora, fin da piccola, la vita parve una sorta d'indovinello al quale dare delle risposte, ma non sempre le fu possibile. Studiò fino al terzo ginnasio dalle suore "Orsoline". Non si diplomò, dovette abbandonare gli studi per aiutare suo padre nella gestione del proprio bar. Quando sua madre si ammalò gravemente, il genitore le consigliò di abbandonare gli studi, non potendosi permettere di assumere del personale. Prese il posto della madre alla cassa e si occupò anche dell'amministrazione del locale. Per lei le giornate passavano monotone senza interesse.
Le persone che frequentavano il locale erano quelle con cui stabilisci solo un rapporto di formale cordialità, ad eccezione fatta per un gruppo di giovani con i quali fece amicizia. Ma alla lunga tale monotonia finì per annoiarla. Non le riuscì mai di terminare alcunché.
Nel momento in cui le pareva di aver raggiunto lo scopo prefisso, avveniva qualcosa che le impediva di realizzarlo. Così fece per la scuola, così fu per le amicizie e così fu per la vita lavorativa.
Le piaceva il ballo, andò a scuola per diventare ballerina di liscio. Nella terra emiliana erano numerosi i posti in cui si ballava il liscio, dalle classiche sale da ballo, ai tendoni da circo chiamate balere.
Era donna piacente, atletica, e dai modi raffinati. Da ragazza si mise in evidenza correndo i cento metri alle regionali per il suo liceo. Era animata da svariati interessi, dallo sport alla musica, alla cultura, e amava gli animali. Da lei prediletti erano i cavalli e i cani.
Aveva dodici anni quando scoppiò la seconda guerra. Di essa ebbe sempre un malinconico ricordo e degli sviluppi, lei e la madre, venivano informate dai comunicati di alcuni radiogiornali. Era conseguente che il loro pensiero s'involasse nel ricordo del genitore, Paride Cestini, quando dovette partire perché richiamato.
Il padre si sposò giovane, all'età di diciotto anni (1927).
Flora, figlia unica, adorava suo padre, vi era attaccata per una questione genetica e per le affinità che li legavano.
Sua madre, quando Paride partì, si trasferì nel convento dove già studiava Flora e, per non essere di peso, aiutava le suore a sbrigare le varie faccende.
 
Paride venne richiamato alle armi alla metà del 1940, destinazione Bulgaria. In un conflitto a fuoco venne ferito e catturato, dai tedeschi, con altri cinque militari. Con i militari fatti prigionieri, da lì a poco tempo cercò di scappare dal campo di concentramento. Vennero immediatamente ripresi, processati e condannati a morte.
Il giorno dell'esecuzione, i sei militari italiani vennero fatti salire su una gigantesca zattera, dove si trovavano alcuni militari tedeschi. Due soldati, con una spinta, fecero cadere in acqua un militare alla volta e poi gli spararono raffiche di mitra.
Quando fu il turno di Paride, un suo amico gli diede una spinta, che lo proiettò nel fiume. Essendo, in quella zona, il Danubio pieno di mulinelli, uno di questi trascinò Paride in fondo.
Lo stesso amico, Nando, provetto sub, si tuffò prima che i tedeschi avessero modo di accorgersi di quello che stava succedendo. Nando raggiunse Paride in fondo al fiume e afferrandolo per i capelli lo trascinò sulla riva opposta, ormai lontano dalla zattera nemica. Paride per questo si ammalò di pleurite. Nando salvato l'amico, riuscì a trascinarlo fino ad una cascina, dove dei contadini bulgari li nascosero, nutrendoli ogni giorno con uova appena covate.
Quel giorno della fucilazione, laggiù nel fiume, Paride, pur salvandosi, venne ferito da una raffica di mitra alla gamba destra e per tutta la vita ne portò le cicatrici.
Quando Paride guarì fu, assieme a Nando, ricatturato e, il giorno prima della nuova esecuzione, ci fu la resa da parte dei tedeschi e così poterono salvarsi.
Finita la guerra, tornò a casa e la famiglia si riunì.
Comprò un bar che gestiva con l'aiuto della moglie, che a breve si ammalò. Flora, interrotti gli studi aiutò, come già detto, il padre nella conduzione del bar. In alcuni intermezzi lavorativi trovò il tempo necessario con alcuni amici di "Radio Parma" per preparare un programma radiofonico, in cui si inneggiava alla nuova libertà.
Fu in una balera che conobbe il suo futuro marito, Bruno Arcaldi, ancora sottotenente dell'esercito italiano. Quando conobbe Bruno, Flora era fidanzata con un certo Daniele.
Tutto avvenne per caso, un semplice invito a ballare decise il suo futuro. Ballava bene il sottotenente, con fare marziale e signorile, persona di poche parole e ben dette, sempre profumato al punto giusto.
Per Flora fu un fulmine a ciel sereno, lasciò quel tal Daniele col quale stava da alcuni mesi.
Anche in questo caso Flora notò che puntualmente si avverava quella rottura predestinata. Sapeva che con Daniele sarebbe finita, era uno di quei rapporti in cui ci si piace ma...
 
La venuta di Bruno stravolse un po' tutto. Flora dovette subire le lamentele dei suoi e in particolare di sua madre, che conservava nel cassetto un sogno di matrimonio con Daniele. La risposta di Flora sorprese la madre per sfrontatezza e decisione, esaltando senza freno il fascino dell'attuale compagno.
Con Bruno dopo alcuni mesi fecero l'amore, il rapporto inebriante le faceva perdere la dimensione del tempo, e fu così per entrambi. In uno di questi rapporti in cui venivano totalmente assorbiti uno dall'altro, Flora rimase incinta. Sicché dopo un solo anno di fidanzamento si sposarono, fu un fidanzamento breve, molto bello e entrambi colsero appieno il gusto profondo del loro amore.
Il loro matrimonio fu celebrato in un piccolo santuario costruito intorno al 1300. Alla funzione parteciparono alcuni parenti di Bruno, ma non i genitori, morti in un bombardamento in tempo di guerra. Da parte di Flora intervennero alcuni suoi amici, tanti parenti, e alcune suore amiche.
Vissero per il primo anno in un condominio vicino alla caserma di Parma, in cui Bruno prestava servizio. Per Flora fu un periodo difficile, avvicinandosi l'evento del parto e non avendo la possibilità di alcun aiuto da parte della madre, per la malattia che la teneva ancorata al letto. Dovette quindi, da sola, affrontare tutte le difficoltà.
Il buon rapporto con suo marito le diede la forza per terminare la gravidanza e assolvere i doveri di moglie.
Il suo primo figlio fu un bel maschietto dal peso di cinque chili, al quale diedero il nome di Ayron, che cresceva sempre più bello, robusto, birichino e vivace. Nei primi anni di vita, la notte dormiva pochissimo e non poche volte Flora si dovette alzare dal letto per farlo riaddormentare.
Quella notte si poteva avvertire nell'aria la presenza di Cupido munito di frecce, compresa quella per il concepimento. Fece di tutto perché i due si amassero e, quando scagliò la freccia desiderata, Flora si plasmò di nuovo di amore materno partorendo più in là una bella bimba alla quale diedero il nome di Jenny, che a differenza del fratello era calma e dormigliona.
Crebbero bene i suoi due figli e crebbero ancora meglio quando da Parma si trasferirono a Langhirano.
Dopo solo tre anni, Bruno venne trasferito dalla caserma di Parma a quella di Tauriano frazione di Spilimbergo.
Per il resto della carriera fece la spola tra Tauriano e Langhirano.
Flora era felice per la crescita dei due figli, l'unica cosa che veramente le mancava era la presenza di suo marito.
Bruno era solito tornare a casa il sabato o la domenica, e quando non poteva, per gli impegni che lo trattenevano in caserma, recuperava il tempo perso, fermandosi qualche giorno in più nel week-end successivo.
Pochi furono i momenti in cui la quiete familiare venne turbata, uno di questi fu quando Ayron cadde da cavallo e l'altro quando Arcaldi tornò dal reggimento con la testa rotta, per un'imboscata nel palazzo della Maggiorità.
 
Gli Arcaldi vissero in una fattoria circondata da un vastissimo terreno ereditato da una zia di Flora.
Il tempo che il miliare Arcaldi passò a Langhirano, impegni professionali permettendo, lo dedicò in prevalenza alla cura della sua fattoria. Comprò delle fattrici che partorirono dei puledri, permettendogli di creare un vero e proprio maneggio. Con buona parte dei soldi ereditati, assieme alla terra, comprarono del bestiame. Assunsero un fattore e dei contadini per lavorare la terra.
Adriano, il fattore, fece costruire a sua volta una casa in legno, dove riponeva tutta l'attrezzatura, che fungeva anche da garage per i trattori e le trebbiatrici. Adiacente costruì la sua abitazione, anch'essa in legno massiccio. Seminarono piante graminacee, di romito, piantaggine da cui ricavarono grano, orzo e avena.
Nella fattoria tutto si poteva dire tranne che mancasse alcunché.
Ayron e Jenny impararono a cavalcare ed ebbero come istruttore Adriano, che fu per loro come un secondo padre. Le feste che vi organizzarono furono tante, soprattutto in estate all'aperto. La tenuta era bagnata da un ruscello al quale diedero il nome del gigantesco fiume in cui fu gettato il padre di Flora, per fuggire ai tedeschi, ed ironicamente lo chiamarono "Danubio Junior".
Flora fu, per i suoi figli, madre e amica. Insegnò loro a crescere nella propria sessualità, che cosa fosse giusto e non, e quali fossero per l'uomo i veri traguardi. Parlò loro delle bellezze dell'uomo e le sue brutture, gli insegnò ad amare la natura e gli animali. E di tutto questo ne andava estremamente orgogliosa.
 
Passati una decina di anni dal matrimonio, anche il padre di Flora morì. Ebbe comunque la possibilità di amare i suoi due nipotini, e con loro passò molto del suo tempo libero. Il buon Paride li viziò, pur cercando di essere un buon nonno. Essendo stato commerciante, gli insegnò cosa volesse dire commerciare, come si potessero prevenire gli inganni della gente. Quando morì, sia Jenny che Ayron si chiusero in un mutismo preoccupante, ci vollero mesi per uscire dalla crisi della perdita.
La buonanima venne sepolta nel cimitero di Langhirano, dove già si trovava la mamma di Flora. Ancora piccoli, da soli, andarono spesso a trovarlo al cimitero dove riposavano le sue spoglie. Sulla lapide c'era scritto: "Anche per te padre mio è suonata la campana, ma il suono di essa sia l'armonia che t'accompagna tra gli angeli in paradiso, per sempre i tuoi amati. Flora, Bruno, Jenny, Ayron". Non vi fu mai volta che leggendo questa frase i due fratelli non piangessero.
 
Col passare del tempo la normalità tornò a regnare fra loro. Flora contribuì a sviarli con sane cavalcate. Sellati i cavalli e fatti pochi metri, i due fratelli, si misuravano galoppando, fissandosi dei traguardi.
La madre percorreva buona parte della tenuta e al ritorno si fermava sul più alto colle da cui ammirava, per intero, tutti quei campi dove l'armonia dei quadrati divideva le varie semine. Tornata dalla cavalcata si sedeva sulla veranda di casa, aspettando l'ora di preparare la cena. Un leggero vento le accarezzava i capelli e il canto lamentoso di esso la trasportava in antiche epoche di romanzi d'appendice. Le sembrava tutto così bello che stentava a credere che proprio a lei fosse capitata la fortuna di vivere una così bella storia di mamma e di donna. Ed ogni qualvolta pensava a questo, il suo stato d'animo si alternava, divenendo un po' triste. Avvertiva nell'aria una presenza estranea di controllo che l'avvisava di frenare l'attuale entusiasmo perché, forse, un giorno non lontano tutto questo sarebbe finito.
Le cavalcate pomeridiane si diradarono sempre più, altri interessi e desideri si frapposero tra Flora e i figli. Una vena malinconica l'accompagnò durante il periodo, ma soprattutto quando avvertì il loro allontanarsi, sicché quasi per poter rivivere certi momenti già vissuti, innumerevoli volte fantasticava nei ricordi e, non potendo più godere della costante presenza dei suoi figli, le appariva più dura la lontananza di suo marito. Era ben lungi da lei l'idea che il rapporto con Bruno fosse alterato dalla relazione che lui aveva con Anna, segretaria dell'ufficio economato. La loro unione matrimoniale fu così toccata dall'infedeltà di Bruno.
Molte furono le notti in cui Flora desiderò il marito e quando ciò accadeva, rovistava con lucidità tra i momenti più erotici, ne conseguiva un desiderio sempre maggiore, fino al punto che la voglia di toccarsi prendeva il sopravvento.
Il rapporto tra Bruno e Anna fu per lui prevalentemente sessuale a differenza di lei che lo visse soprattutto psicologicamente. Anna, sapute le difficoltà che Bruno incontrava per raggiungere casa, innumerevoli volte lo seguì a Tauriano, dove prese in affitto un monolocale. Sotto le coperte era una di quelle donne disinibite che si donano totalmente all'uomo. L'intensità del loro rapporto fisico si concludeva con gemiti che potevano sentirsi oltre la stanza.
Anna da Bruno non pretese nulla, se non di poterlo vedere ogni tanto, e quindi essendo il rapporto privo di richieste, da parte di entrambi, durò nel tempo.
Quando Bruno, da Tauriano, faceva ritorno a casa ed abbracciava la "sua Flora", il pensiero s'involava al tradimento perpetuato. Per immedesimarsi alla nuova realtà, ogni qualvolta che era posseduto da crisi d'identità, si riproponeva che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe rivisto Anna. Ad alcuni anni prima della pensione la lasciò e così, in parte visse senza più rimorsi.
Flora ebbe invece una vita familiare appagante, sessualmente un po' frustrata, ma mai tradì il proprio marito.
 
Nella fattoria l'andirivieni delle persone era all'ordine del giorno. Durante la settimana era prevalentemente frequentata dagli amici dei figli che, abbagliati da tanta bellezza pastorale, non si facevano pregare per ritornarvi.
Nei week-end in cui faceva ritorno, Bruno era solito attorniarsi di amici tra i quali il sindaco, il farmacista, il vecchio dottore, Adriano il fattore e alcuni colleghi ufficiali. Non poco fu il lavoro arrecato a Flora, per via del trambusto continuo. Ragazze che salivano in camera con Jenny a parlare per ore. Ayron con gli amici giocava a scacchi.
Bruno accoglieva gli amici sulla veranda per lunghe giocate alle carte e negli intermezzi coinvolgevano Flora con qualche scherzo. Solo quando l'eco delle campane della chiesa scandiva le ultime ore del pomeriggio, la casa di Flora rimaneva vuota.
Dopo la cena i due fratelli studiavano, Flora leggeva e rileggeva i bilanci amministrativi della fattoria. Bruno si dedicava ai libri di storia o riviste militari.
Il lunedì era, per tutti, giorno da "rimboccarsi le maniche". Chi andava a scuola, chi doveva ripartire come Bruno e alla moglie non rimaneva che rimettere tutto in ordine.
La partenza, per il colonnello, avveniva mestamente, e soprattutto negli ultimi anni della carriera, con poca voglia.
Partito l'Arcaldi, Flora aspettava l'arrivo di Concettina, la perpetua, che fin dai tempi in cui Ayron faceva il chierichetto, aveva instaurato un rapporto di lavoro tuttofare con la famiglia.
Della casa di Flora la perpetua conosceva ogni angolo, erano ormai anni che vi lavorava. Detestava il micio che si trovava sempre dove non doveva, e mai al posto giusto, lo rimproverava e lui scappava miagolando.
Un giorno, origliando, come si conviene ad una buona perpetua, dalla porta dello studio del colonnello, sentì una telefonata compromettente. Bruno era molto rilassato sulla sua poltrona e volgeva le spalle alla porta. Parlava con fare languido ed affettuoso con una donna, di futuri incontri. Concettina capì di avere scoperto un angolo segreto della vita privata dell'Arcaldi. La sua natura le suggeriva di dire tutto a Flora, ma la paura di perdere il posto ebbe il sopravvento, e quindi desisté.
Intorno alla casa del colonnello, nonostante le numerose visite, aleggiava un alone di segretezza, come quasi in tutte le case in cui abita un militare.
Tale alone fu puntualmente profanato dalla leggerezza con cui Concettina, alla prima occasione, non si faceva pregare nel dire di tutto e di più. Ma, come si può ben pensare nei paesi, per un fatto congenito, sanno tutto di tutti. Quelle poche famiglie che non si occupavano dei fatti altrui erano soggette ad inchieste di civetteria continua.

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Ins. 07-03-2005