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               LA
               CIOSPA
 -Ti vedo ... e non
               ti vedo, oh Cibisco, dietro il muro della chiesa
               - gridò, più volte, una donna emettendo
               una nenia sbavata che si attorcigliò ai pochi
               denti rimasti nel forno desolato della bocca. La donna
               appariva disfatta, più dalla fatica che dagli
               anni, ma tutti lì attorno la chiamavano
               "ciospa", con un vocabolo gergale preso dal linguaggio
               dei canapini di Cotignola . Quella parola non le
               piaceva soprattutto perché le richiamava alla
               mente, per uno strano automatismo dell'inconscio,
               l'immagine di una pelle viscida e bitorzoluta, in
               movimento su di un essere anfibio che procedeva
               caracollando, proprio come faceva lei che, a fatica,
               camminava appoggiandosi da storpia a un
               bastone.Le dava anche pena,
               il significato letterale della parola che voleva dire
               semplicemente 'vecchia' con un sottinteso di disprezzo
               in più, in quanto ,tornando indietro con la
               memoria d'adulta, ricordava di essere stata
               considerata tale, perché nubile, prima ancora
               di aver superata la soglia di quella che, fuori da
               quelle case contadine, e per altri, era la giovinezza.
               Gli uomini che ogni
               anno, d'estate venivano da Cotignola a Roverdano (
               paese di montagna dove lei abitava) a tirar la canapa
               nei poderi, cominciarono a chiamarla così
               quando aveva trentatré anni soltanto. E
               quell'appellativo disgustoso per la immagine che
               suscitava, usato poi abitualmente anche dai suoi
               famigliari, aveva contribuito ad usilarla nella
               numerosa tribù patriarcale di cui faceva parte,
               scavando di ombre ancor più taglienti il suo
               viso precocemente invecchiato.La "ciospa" accanto
               a sé aveva trovato, in una vita di solitudine
               tra la generale indifferenza, grigia e compatta come
               le nebbie d'inverno, solo l'affetto del ragazzetto che
               ora stava chiamando, al termine della passeggiata che
               erano soliti fare assieme ogni giorno, al calar del
               sole, quando i sentimenti emergono più
               facilmente dal profondo dell'animo, trasformandosi in
               sensazioni epidermiche e fisiche. La donna urlò
               ancora alzando il bastone in segno di scherzosa
               minaccia indirizzata alla massiccia e pelosa ombra
               della chiesa di Roverdano che si allungava, pigra e
               disciolta sul prato, in un arabescato tramonto di fine
               settembre. Finalmente,
               distolta da quel gridare, dall'ombra più grande
               se ne staccò una piccola e minuta, e Cibisco
               corse dalla zia che, vedendolo giungere al trotto
               sulle magre gambette, si intenerì a tal punto
               che, prima ancora che lui la toccasse, già
               sentiva le braccia cingerle la vita e vedeva la testa
               spargere i riccioli biondi sui grigio vestito a
               dischetti, che lei portava, sempre così da
               anni, da "ciospa". Non era quello
               né suo figlio né il nipote, e li legava
               solo un remotissimo legame di sangue stemperato, se
               c'era, tra i membri della tribù contadina.
               Immaginava che la madre di Cibisco, misteriosamente
               impazzita dopo il parto, glielo avesse affidato,
               mentre andava rivedendo, ogni giorno sempre più
               chiare, le visioni che, durante le generazioni
               passate, furono percepite dagli avi e arcavoli, nel
               loro trascorrere immutabile, seduti nelle consumate
               panche delle osterie di Roverdano.Il piccolo
               inizialmente aveva chiamato la donna che si prendeva
               cura di lui, col nome di mamma ed ora, più
               grandicello, con quello di zia, ma parlando di lei mai
               aveva usato la parola "ciospa", come se condividesse
               la stessa immagine ripugnante dell'anfibio, che si
               formava nella mente della donna, emergendo dalle
               radici del vivere in una terra umida fatta apposta per
               animali della specie dei rettili, anfibi o lumache
               dalle dimensioni gigantesche. All'inizio, tra lei
               e Cibisco, furono anni pieni di carezze nei piedini
               rosa cercati nella culla e poi tempestati di baci, di
               pannolini cambiati tra mille scherzi fatti sul culetto
               e col piccolo sesso che lei chiamava affettuosamente,
               la mia carotina o il mio salsicciotto. Quando il piccolo
               aveva iniziato ad andare a scuola era stata lei ad
               insegnargli, con infinita pazienza, a fare i primi
               compiti tenendolo sulle ginocchia, mentre gli guidava,
               dal di dietro, la mano che lasciava solo per
               sollevargli i capelli quando gli dava leggeri morsetti
               nella nuca.Era allora che, al
               contatto delle labbra già increspate dalla
               precoce vecchiaia, lui sorrideva appagato, mostrando
               due occhi eccessivamente grandi, da femmina, pervasi
               da un impercettibile e acquoso movimento che proveniva
               da nascoste profondità azzurrognole dell'animo.
               E scopriva i denti che, col passare del tempo,
               prendevano consistenza al sole e all'aria dei campi
               come acerbi chicchi di mais, particolarmente strani e
               imprevedibili: gli incisivi centrali erano normali, i
               laterali più sottili del normale e i canini
               decisamente appuntiti. Tanto che lei era solita, per
               scherzo, premergli sopra i polpastrelli per fargli
               vedere le impronte acuminate che lasciavano. Né
               il padre né la povera madre uscita di senno, e
               poi morta, li avevano così né alcun
               altro più anziano della tribù contadina.
               L'espressione che tali denti conferivano al volto del
               ragazzo faceva giungere alla memoria della 'ciospa',
               piuttosto il ricordo di un forestiero che restò
               sconosciuto, capitato un giorno di molti anni prima,
               sull'aia della casa contadina avvolta nella nebbia,
               come uscito misteriosamente dal nulla della terra
               indurita ai primi geli di dicembre. Non i dettagli
               fisici del volto di quell'uomo, ma solo l'astratta
               essenza della fisionomia, caratterizzata appunto dai
               denti particolari, si era fissata indelebile nei suoi
               ricordi, rappresentando, più che un'immagine,
               uno stato d'animo che avvertiva nei momenti
               particolarmente felici. Ne ricordava anche
               le parole (almeno alcune), perché il forestiero
               si trattenne pochi giorni, parlando un linguaggio che
               lei, appena ragazza, non capiva, ma piuttosto intuiva
               .- Ho finalmente
               conosciuto - diceva agitando le lunghe braccia
               all'interno di un pastrano militare, senza gradi
               né pieghe - la grande ilarità del
               'potere', che è il ridicolo spogliato da
               qualsiasi commiserazione umana. E io sono profetico
               quando dico che, tra qualche decennio l'umanità
               lo vedrà solo in questa maniera. Per questo mi
               perseguitano. E, passando la
               lunga mano bianca tra i capelli biondi concludeva
               dicendo che , con quello che avveniva nel mondo , non
               gli era più possibile restare aggrappato alla
               lucida verticale dei suoi pensieri, senza fare nulla.
               Nei giorni in cui
               lui si intrattenne a Roverdano,attorno alla casa del
               clan, lei ascoltava estasiata e vergognosa i discorsi
               pieni di parole mai udite, notando che i denti li
               aveva, sì aguzzi, ma solo a tratti, e molto
               raramente gli conferivano un aspetto cattivo, dal
               momento che questo veniva mitigato dal suo essere
               continuamente assorto in pensieri lontani che non
               raccontava.Aveva anche sentito
               dire, dalle più anziane, che lo sbandato (lo
               immaginava come un disertore dell' esercito del nulla,
               nella guerra appena finita), faceva in continuazione
               proposte oscene alle donne del clan, indipendentemente
               dalla loro età. A lei rivolse la parola solo
               una volta guardandola, però, al di sopra della
               fronte, come se si rivolgesse a una persona più
               alta che stava dietro di lei - Qual è il tuo
               nome, oltre a quello più ovvio in questa
               stagione, di fiore della nebbia ? Altre cose
               aggiungendo, di cui lei non capiva il significato.
               Rispose solo che si
               chiamava Gerolomina, arrossendo per la vergogna di
               avere un nome cosi diverso da quello che lui le aveva
               appena attribuito, certo ispirato dal continuo
               guardare, fuori dalla finestra, l'evanescente
               attorcigliarsi ai rami del ciliegio che era di fronte,
               dei festoni di nebbia appena mossi dal vento
               .Pensò
               allora, per la prima volta, di desiderare un uomo in
               modo caldo ed eccessivo, di giovane femmina ancora
               acerba, già immaginandosi i baci a bocca
               aperta. E quando lui se ne andò stringendo un
               cartocci di pane e noci che gli avevano regalato i
               responsabili del clan contadino, l'accompagnò a
               lungo, e se le avesse detto, seguimi, spogliati o
               stringimi, l'avrebbe fatto .Molte volte, da
               allora, aveva rivisto il ciliegio spogliarsi del verde
               e addensare sui rami l'acqua della nebbia invernale
               che scorreva in piccoli rivoli sul tronco, come lei
               era solita sentire scivolare il sudore lungo la
               schiena durante le mietiture. E quell'affinità
               tra piante e persone la riscopriva nell'albero stesso
               che, biforcandosi a pochi palmi da terra, appariva
               come un esile gigante piantato a capofitto che
               emergeva con le gambe e il busto sottile, alto e
               dinoccolato come ricordava quell'uomo che, nella sua
               prima adolescenza l'aveva chiamata col nome gentile di
               "fiore della nebbia". Più avanti
               con gli anni capì appieno le parole che l'uomo
               aveva detto, poiché ebbe modo più volte
               di sperimentare di persona, l'ilarità e il
               ridicolo del 'potere' nell'ambito del piccolo mondo
               contadino di cui era parte.Nel ricordo, esso
               stesso intriso di nebbia, nella quale le cose e le
               persone assumevano una dimensione al limite del reale
               e del sognato, restava l'enigma dei denti dell'uomo
               che rivedeva, ogni anno di più in Cibisco .
               Certe volte pensava
               che forse ne era il figlio naturale, frutto di un
               fugace rapporto sessuale, rubato alla madre
               .Avevano
               però, i suoi denti, qualcosa, che l'uomo
               dimostrò di non avere : un sentore sottilmente
               sinistro, che non avrebbe mai ammesso, neppure a
               sé stessa, di percepire, per il troppo affetto
               che portava al ragazzo. Poggiò sulla
               sua spalla la mano libera dal bastone per camminare
               più spedita, pensando che la gamba fratturata
               stava finalmente guarendo , dal momento che non
               avvertiva più le fitte dolorose che
               l'accompagnavano da tempo. Già pensava che
               appena guarita avrebbe fatto con Cibisco, delle
               passeggiate molto più lunghe, fino a un luogo
               che pochi conoscevano e dove, nascosta in una macchia
               di rovi e rampicanti, si trovava una sorgente d'acqua
               che riempiva una piccola pozza, prima di scomparire
               sotto uno strato di foglie rosee e vive come piccole
               mani vibranti. Di nuovo l'onda dei ricordi le
               portò l'immagine di un pettirosso che tutti i
               giorni, alle tre del pomeriggio, quando d'estate l'afa
               era più opprimente, vi andava a fare il bagno.
               Lei pianse per il dolore quando, una volta, lo vide
               galleggiare, morto, scambiandolo all'inizio con un
               grumo di foglie verdi attorno a una buccia di limone
               putrefatta . La donna aveva a
               lungo amato quel posto dove andava da sola, nella sua
               breve giovinezza, a cercare i pensieri stessi della
               vita, lontana dagli sguardi e cullata dal gorgoglio di
               velluto dell'acqua. Mosse, illuminandole e
               ricoprendole subito d'ombre, le rughe del viso quando
               ripensò a quel giorno che, nello specchio
               dell'acqua, fra il reale e l'illusione, guardò
               a lungo i propri seni che aveva scoperto e appoggiato
               sui palmi delle mani per trovarli sodi e piacenti .
               Ravvivati dalla lussureggiante e strana vegetazione
               della fonte si muovevano infatti, ribaltati
               nell'acqua, come bestiole autonome che vi avevano
               sempre abitato, con i capezzoli scuri protesi come
               bocche tenere di meduse sopra il pigro nuotare delle
               salamandre nel fondo .Se li strinse nei
               pugni fino a farsi male, pensando al perché
               della sua solitudine e immaginando che lo stesso
               dolore-piacere avrebbe potuto sentire, un tempo, con
               quel forestiero se l'avesse condotta in un fienile
               .Ricordava di
               essersi cullata a lungo col pensiero accaldata e
               ansimante per qualcosa che a forza voleva uscirle col
               respiro, fino a quando lo specchio d'acqua, scuro
               d'ombre, parve animarsi precipitosamente di piccoli
               vortici che riflettevano, concentrati in pochi attimi,
               i fatti e l'essenza della sua vita non vissuta, mentre
               la veste, nel riflesso, si apriva come una pelle nella
               muta di primavera, mostrando il biancore sodo della
               pelle. L'acqua della fonte, era certo, si
               mescolò in quel momento, col verde circostante
               e con brandelli di cielo , in un ritmico snervante
               movimento. E solo quando questa sembrò tornare
               calma, la donna si accorse del suo stare seminuda e
               solitaria sulla fonte che le rifletteva il sesso
               congestionato spaventando le salamandre. La tolse da tutti i
               ricordi Cibisco chiedendole quanto sarebbe guarita, e
               lei, nel rispondere che avrebbe tolto l'ingessatura
               tra pochi giorni, ebbe gli occhi appannati da un velo
               di terrore, temendo che poteva esserci un nuovo rinvio
               alla fine della straziante tortura che durava, tra
               cadute e illusori miglioramenti, da un tempo che
               pareva infinito.-Ho pregato San
               Savino, nostro patrono, che ti faccia guarire .-
               Queste parole dette dal bimbo con assoluta innocenza
               produssero una forte emozione nella donna che
               avvertì un'ondata calda salirle dall'inguine al
               seno, dolcissima come quella della montata lattea
               delle puerpere e che lei non conosceva. Lo
               baciò teneramente sul capo. Quando furono
               entrambi in vicinanza della grande casa colonica della
               tribù, il ragazzo si staccò dalla zia e
               corse avanti gridando che l'avrebbe
               aspettata.La donna
               arrancò da sola col bastone, grigia come una
               faraona azzoppata, avendo però conferma che la
               gamba stava guarendo per via del sangue che acquistava
               sempre più spazio con un calore effervescente e
               benefico che le si diffondeva dal ginocchio lungo la
               coscia. E si chiedeva per quale motivo, per quale
               evento che sarebbe successo, l'ondata dei ricordi,
               quel giorno, aveva investito la sua mente in modo
               così pieno, popolandogliele di figure che non
               accennavano a lasciarla. Mentre a se stessa
               faceva queste domande avvertiva qualcosa che le si
               agitava vorticosamente dentro, ruotando sul perno
               dell'anima, simile al presentimento di un evento
               definitivo.- Tra poco
               potrò camminare come una volta; questo è
               l'evento che voglio- esclamò, piena di
               vitalità che sorprese lei stessa.Quando giunse alla
               casa colonica i polli e i tacchini starnazzarono
               scorgendola avanzare, e dalla gabbia appesa all'uscio,
               Nero, il gracula uccello parlante, iniziò un
               inconsueto repertorio, tra il rauco e il nasale,
               finendo con parole oscene che lasciarono allibita la
               donna che non gliele aveva mai sentite pronunciare
               .Cibisco ammiccante
               era già lì che sgombrava il corridoio
               dalle ciotole e dalle altre cianfrusaglie per fare
               camminare la zia, senza bastone, come era solita fare
               per qualche minuto al giorno. Delle macchie
               giallastre poste ad intervalli regolari sul muro del
               corridoio si erano formate, col tempo, in punti dove,
               con infinita pazienza, per anni, la donna posava la
               mano nel suo procedere stentato, indicando, passo per
               passo, il percorso da seguire.Il viaggio
               iniziò più lento del solito per la
               sorpresa che la donna aveva provato all'inconsueto
               osceno linguaggio di Nero. Chi gli aveva insegnato
               quelle parole? Dove poteva averle ascoltate ? Fino a
               quel momento l'aveva sempre sentito dire soltanto buon
               giorno e buona sera e, quando voleva strafare,
               ripetere il nome
 Piretta
               Piretta.Le mani della
               donna, con un invisibile brivido si posarono, ancora
               una volta, per compiere un rito senza tempo, sulle
               vecchie impronte, mentre la sua figura dondolante
               occupava la intera luce del corridoio.Due macchie erano a
               destra, ai lati di una specchiera scorticata, due a
               sinistra tra quadretti con la fotografia di ragazzi
               nell'abito della prima comunione e, in fondo,
               un'ultima macchia si era formata, tonda e sfumata come
               l'aureola di san. Savino, al centro del vecchio uscio
               di un ripostiglio non usato e tenuto sempre ben
               chiuso, dal momento che doveva servire come punto
               d'appoggio per l'incerto camminare della
               donna.Quando la Ciospa vi
               si trovò a lato, protese il braccio e non
               sentì, come immaginava, il solido contatto del
               legno, ma emergere dall'interno di se stessa un vuoto
               in cui precipitò senza scampo, mentre il
               corridoio si riempiva di luci tra un sinistro
               scricchiolare di cose e di ossa.Altre immagini
               indecifrabili le affollarono la mente, venute con la
               memoria della vita che ora sembrava voler fuggire
               dalla immobilità che le si gelava addosso
               .Udì la voce
               di Cibisco che lì accanto, felice della
               improvvisa trovata, rideva a gola piena alzando, nella
               mano, la chiave dell'uscio del ripostiglio che poco
               prima aveva aperto e poi riaccostato con cura, come se
               nulla fosse avvenuto, e apparisse ben chiusa, come
               sempre.E gridava a tutti
               che la "Ciospa"(proprio così diceva) era
               caduta, che corressero a vedere come faceva ridere.
               Udiva anche l'eco
               che gli faceva Nero, il granula (divenuto ora
               uccellaccio a guardia delle porte dell'inferno). Alle
               parole oscene di prima aggiungeva ... venite a vedere,
               venite a vedere ... |