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Prefazione
- Nel mondo di Sara
si cambia pelle ogni sette anni e nelle "centrali
della salute" si provvede a curare i pazienti nel
periodo della muta.
- Si abbandona
qualche tratto del viso, si perde qualcosa ma dentro
si rimane sempre gli stessi. Una sorta di sospensione
in attesa della decontaminazione dalla vecchia pelle,
una perdita di tessuto solo materiale che lascia
comunque inalterata l'interiorità, l'essenza
umana. Chiamare questo processo una lenta e costante
depurazione dal passato poteva dirsi cosa vera ma in
questa metamorfosi epidermica la vita poteva svanire,
la mente perdersi ed essere incapace di trattenere i
pensieri. L'involucro esterno si disfaceva ma
l'individuo rimaneva al centro del suo corpo e il suo
cuore si dimenava ancora tra gioia e dolore. L'attesa
della muta portava con sé un senso d'angoscia,
l'ansia e la paura della perdita, il timore di vedersi
cambiati.
- La sensazione di
sentirsi alieni a se stessi poteva invadere le cellule
e iniziare a fare i conti con il proprio "vuoto"
alimentava l'inquietudine.
- La vita come
continua ricostruzione, come mutazione, come
appartenenza a un mondo in perenne "muta": alla soglia
dei cinquantanni Sara si trova davanti allo specchio
l'immagine d'una donna dalla bellezza "impietosamente
sprecata" mentre Lilli non ha rimpianti, ha preso
dalla vita tutto ciò che le interessa, le sue
scelte, vincenti o errate, erano state delle "vere
scelte" e Maria "non ha rimpianti solo perché
non ha incontrato mai cose da
rimpiangere".
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- In questo romanzo
di Gloria Bossi il testo necessita di una continua
decodificazione perchè v'è sempre
qualcosa di sotterraneo che si cela, le riflessioni
sono sovente occulte, e l'Autrice pare impegnarsi alla
bonifica dell'humus tossico che spontaneamente si
sviluppa.
- Gloria Bossi riesce
a creare e ricreare una serie di visioni letterarie
che devastano un tessuto narrativo che comunque
è ben presente: la sua intenzione è di
andare al di là del visibile, condurre "oltre"
un ipotetico confine che delimiti il pensiero dei
protagonisti, e quell'insistere sul fatto di coltivare
la mente e la gioia della parola che renda esattamente
le esperienze vissute avvicina alla desolante
constatazione che è ardua impresa accorgersi
che, ad un certo punto, ci si possa trovare
nell'impossibilità di agire, con le gambe che
non sorreggono più, in balìa degli
eventi. L'impossibilità di compiere un gesto o
di coronare un progetto diventa dolorosa "presa
d'atto" d'una condizione disperata.
- La colpa e
"l'ineluttabilità che libera dalla colpa", il
Bene e il Male, il desiderio o il bisogno d'amare, la
natura e la filosofia dei colori, le elucubrazioni, le
riflessioni che nascono spontanee e la consapevolezza
che nasce dal confronto con gli altri, non sono altro
che gli ingredienti d'una miscela esplosiva che tocca
l'umano vivere, la conoscenza di sé, la
possibilità di perdersi nella solitudine d'un
"sapere melodioso".
- "Meglio vivere e
basta" si legge ad un certo punto. Il tempo scorra
pure con i suoi minuti, le sue ore, i suoi giorni e
gli anni "pesanti nel loro divenire", uguali
nell'allontanare e nell'avvicinare: il problema
è contenere la mente, frenare il suo potere di
dissociare il tempo dal corpo.
- Alle prime
avvisaglie della "muta" gli specchi vengono
accuratamente rimossi per impedire di vedere le
sembianze informi e l'impossibilità di usare il
corpo per assaporare il piacere diventa "pena intima",
lamento ancestrale, lacerante e salvifico al contempo:
sicuramente capace di offrire il campo a nuove
dimensioni, pensieri ed attese.
- "È come se
nel corpo ci fossero intrecci che altrove non puoi
trovare, connessioni uniche e irripetibili,
un'intelligenza delle cellule, dei muscoli e dei vasi
che sa del corpo perché lo compone, ma
altrettanto sa della mente e del cuore. Non so bene
perché. Sente, vede, respira e sceglie. Soffre
le mancanze e desidera il cambiamento": togliere
tutto, la pelle, i pensieri, le aspettative, i
traguardi e le mancanze, e solo allora rimanere
veramente "nudo".
- Improvvisi varchi
vengono inaspettatamente aperti da Gloria Bossi, e il
suo stile onirico ed angosciante, non vuol far parte
di niente e di nessuno: si assiste ad una lenta
profanazione del corpo, ad una manutenzione di
ciò che rimane, ad un dissidio tra "il
riconoscersi e non appartenersi". Espiazione per
ricominciare e riuscire a "sopportare" i ricordi: una
crescita lungo la quale la "costruzione pratica"
è affiancata da quella "ideale" in un continuo
compromesso, con la speranza che finalmente la
realtà e l'ideale si possano fondere e noi non
sentirci più "spezzati". "Come se fosse davvero
possibile ricominciare all'interno della stessa
vita".
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Massimiliano
Del Duca
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- La
muta
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- 1
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- IL PAESE DEL
"RI-SETTE"
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- Nella terra di Sara
la pelle si cambiava completamente ogni sette
anni.
- Come i serpenti.
- Squamandosi e
cadendo a brandelli, a volte staccandosi qua e
là mentre sotto i tessuti erano ancora
granulosi e palpitanti di sangue vivo. Troppo delicati
per reggere la luce del sole e il calore.
- Spesso questo
accadeva nei bambini, dove forse il sistema di
ricambio non era ancora perfezionato. Allora venivano
portati nelle Centrali della Salute: grandi case
bianche, di aspetto vagamente coloniale, con porticati
che correvano lungo tutto il perimetro delle
costruzioni, sorretti da lunghe e lisce colonne e
intervallati da ampie scalinate.
- Intorno giardini
dall'erba cortissima, rasati e innaffiati ogni giorno
con cura.
- Dovevano servire a
riposare lo sguardo e a promettere benessere e
serenità, soprattutto ai familiari, ma nessun
ospite della casa vi metteva mai piede poiché
l'alternativa alla guarigione e alla successiva
dimissione era la morte.
- Infatti quando i
bambini, o in generale i futuri ospiti, arrivavano
alla Centrale con lesioni troppo estese o troppo
profonde o addirittura infette, spesso l'esito era
segnato.
- Ma di solito
ciò non accadeva: tutti gli altri erano
impegnati e guidati in ogni modo a riprendersi
velocemente all'interno di quelle mura candide e
protette e appena era possibile se ne
andavano.
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- Sara puliva le
grandi sale comuni e le piccole camere a due letti e
amava con pena infinita coloro che arrivavano e di una
gioia orgogliosa quelli che ne uscivano.
- Ma forse più
di tutto li amava mentre guarivano, mentre le piaghe
si chiudevano e gli strati cutanei si depositavano,
tornavano i sorrisi e i movimenti, ricomparivano i
vestiti al posto delle bende.
- Nella Casa tutto
era lucido e liscio e dai colori tenui.
- Niente doveva
costringere gli occhi a uno sforzo troppo grande o
provocare il minimo sfregamento contro la pelle.
- Letti sedie armadi
e divani erano realizzati in marmo bianco appena
venato di grigio, facile da pulire e fresco al
contatto.
- Dopo avere lavato
le superfici, Sara passava più volte al giorno
un liquido oleoso medicato dal lieve profumo di
menta.
- Quando vi era stato
un decesso doveva prima aspirare e poi passare con il
getto bollente del vapore.
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- Sara era stata
portata lì per la prima volta a sette anni e
poi a quattordici e di nuovo a ventuno.
- Sempre lo stesso
problema: il distacco cominciava dai piedi e procedeva
senza intoppi lungo le gambe e il busto, ma poi si
arrestava alla base del collo.
- Sembrava non
volesse continuare.
- La pelle penzolava
dalla mandibola un po' sanguinante e un po'
rinsecchita: normalmente il processo avrebbe dovuto
completarsi nel giro di un paio di giorni ma in lei
pareva fermarsi. C'era un'ultima tenace resistenza nel
viso che col passare dei giorni diventava insofferenza
e disgusto e irritazione. Anche e soprattutto per i
genitori.
- Il padre diceva che
nessuno nella sua famiglia aveva mai avuto questo
inconveniente, alla madre sembrava di ricordare una
lontana parente, morta peraltro abbastanza presto,
forse al quinto tentativo.
- D'altronde non
esistevano ancora le Centrali della Salute e si
ricorreva a impacchi di dubbia natura o all'opera
imprecisa e dolorosa delle forbici.
- Ma Sara era sempre
stata molto bella, troppo perché si potesse
pensare di non intervenire adeguatamente.
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- "Proprio bella!"
pensava Sara bambina mentre si guardava allo specchio,
controllando contemporaneamente il distacco procedere
lungo le gambe.
- Belli quegli occhi
verdi dalle ciglia lunghe e curvate all'insù,
quelle guance sempre rosse e lisce, le orecchie
piccole e ben attaccate alla testa, la massa di
capelli castani coi riflessi color rame.
- Una volta la madre
era riemersa dal proprio "Ri-sette" coi capelli biondi
e le sopracciglia nere. Avevano riso tutti tranne
lei.
- La parte più
delicata era il viso e spesso sembrava richiedere un
piccolo tributo: la perdita di un neo con cui avevi
convissuto per almeno sette anni, una fossetta diversa
ai lati della bocca che non ti apparteneva, una piega
sulla fronte che non ti riconoscevi.
- Dentro eri ancora
tu, con gli stessi pensieri, con l'acquolina in bocca
per il cioccolato, con i tuoi ricordi, ma da ogni
superficie riflettente ti guardava un viso
diverso.
-
- Sara aveva temuto
soprattutto per i suoi capelli.
- Arrivavano fino a
metà schiena in lunghe onde lucide che
l'umidità dell'aria arrotolava e lei li
raccoglieva spesso sulla spalla sinistra, rigirandoli
in continuazione fra le dita, mordicchiandoli e
stringendoli tra il naso e il labbro
superiore.
- Li vedeva dunque,
continuamente, e non tollerava l'idea che adesso
potessero cambiare.
- Dopo giorni di
attesa e di piccoli maldestri tentativi di intervento
dei familiari, Sara venne portata alla
Centrale.
- Tutta un'ala della
casa era riservata al primo ciclo, a bambini quindi
fra i sei e gli otto anni (una piccola
flessibilità nell'età era ammessa) con
eccezione di due spilungoni di dieci anni che erano in
evidente e spaventato ritardo.
- La retta era molto
alta ma si mangiava benissimo e il risultato era quasi
assicurato.
- Più volte al
giorno i bambini dovevano immergere la parte
refrattaria o l'intero corpo in vasche piene di un
liquido azzurro e frizzante, dove si poteva giocare e
anche bere.
- Nel giro di poche
ore tutti erano impegnati a fare solenni rutti e la
guarigione era generalmente accelerata dall'entusiasmo
con cui stavano in acqua.
- Sara ruttava con
difficoltà anche perché doveva stare il
più possibile completamente immersa sotto la
superficie , ma in compenso imparò presto a
nuotare in apnea per lunghi tratti.
- Poi c'era
l'asciugatura sotto a un dolcissimo getto di aria
tiepida e il massaggio con unguenti
profumati.
- E ancora il gioco e
il pranzo e la televisione, abbandonati su poltrone e
sofà rivestiti di un materiale speciale che non
si attaccava alla pelle, ma che lasciava addosso un
vago aroma di calendula.
- E così fino
a sera e fino al momento di andare a
riposare.
- Generalmente
bastavano due o tre giorni. Qualche volta un po' di
più.
- Alla fine del
quinto il viso di Sara era incorniciato dalla pelle
staccata che ancora resisteva prima di arrendersi a
coinvolgere il cuoio capelluto.
- Le sicurezze
economiche del padre vacillarono alla notizia, ma il
direttore promise un forte sconto in virtù
dell'interesse scientifico che il caso
presentava.
- Ci vollero altri
sedici giorni perché il processo si
completasse.
- I nuovi capelli di
Sara erano ovviamente appena accennati, ma tutti
dichiararono che sarebbero stati altrettanto belli.
- Lei non
ascoltava.
- Restò per
altri due giorni distesa sul suo letto bianco, a
passare le mani avanti e indietro sulla curvatura
quasi liscia della testa.
- Poi arrivò
il padre, si sedette vicino a lei e le disse di non
avere più un soldo.
- Allora Sara si
alzò e tutti tirarono un sospiro di
sollievo.
-
- Il secondo
"Ri-sette" passò senza particolari
inconvenienti.
- Sempre un po'
lento, un po' protratto nel momento del distacco
definitivo, ma complessivamente buono.
- Il viso spesso
brufoloso degli adolescenti, o comunque la fatica
nell'accettarsi in sembianze quasi sempre poco amate,
favoriva l'evento.
- Probabilmente per
quel meccanismo animale e profondo per cui i calori e
le mestruazioni tendono a sincronizzarsi all'interno
di un gruppo femminile, le ragazze esaurivano la muta
generalmente tutte insieme negli ultimi giorni di
maggio e i maschi le seguivano di poco. Come se la
vista dei nuovi corpi che tornavano a uscire dalle
case scatenasse in loro il desiderio e il bisogno di
adeguarsi e raggiungerle.
- Allora, nel mese di
giugno, in tutti i paesi, si teneva una grande festa
durante la quale era permesso bere e fumare e baciarsi
in pubblico.
- Cose ritenute molto
disdicevoli in qualsiasi altra occasione.
- Non che gli
abitanti di questa terra fossero particolarmente
moralisti, ma l'organizzazione sociale prevedeva
un'estrema libertà solo all'interno del proprio
gruppo e ciascuno di questi viveva rigorosamente
separato e indipendente.
- Essi riguardavano
principalmente le varie fasce di età, la
suddivisione in maschi e femmine fino al secondo
"Ri-sette", in omosessuali ed eterosessuali dal terzo
in poi e anche i single distinti dalle coppie distinte
dalle famiglie.
- Ogni insieme si
diversificava poi in base all'occupazione, allo sport,
all'alimentazione, e così via.
- C'era insomma una
naturale inclinazione a riconoscersi o escludersi,
veloce e rigida nel suo strutturarsi.
- La nascita di un
figlio faceva scivolare serenamente dalla categoria
"coppia" a quella "famiglia". Ma una separazione
trascinata e dibattuta, una malattia che obbligava a
una dieta particolare, la perdita non pianificata di
un lavoro, lasciavano l'individuo a lungo sospeso e
solo, come se egli fosse stato contaminato dalla sua
appartenenza trascorsa e ora dovesse depurarsi da
essa.
- Non si riconosceva
negli altri né essi lo
riconoscevano.
-
- Anche per costoro
esistevano dei centri di ritrovo.
- Le chiamavano le
Case Pallide.
- Mentre tutte le
varie categorie si configuravano nitidamente
attraverso i colori o l'abbinamento di essi con
semplici disegni stilizzati (le famiglie si
distinguevano per un sobrio e uniforme rosa ciclamino,
così le case ne avevano dipinti i muri esterni
e ciascun membro portava sempre almeno un indumento di
quel colore, possibilmente anche le moto, le
automobili, gli ombrelli o gli zaini della scuola; lo
stesso succedeva in rosso per i single, in sfumature
di verde variamente intrecciate per i giardinieri o in
bolle di ogni tonalità del blu per i subacquei,
e così via per ogni altra possibile tipologia,
abbandonando l'una per rientrare in un'altra e solo in
casi particolari potendo sommarne più di una)
invece gli appartenenti a questa terra di nessuno ne
perdevano il diritto.
- Ad essi erano
semmai concesse le sfumature e i toni
smorzati.
- Niente di netto e
ben definito.
- Niente che desse
una forma e una possibilità di precisa
configurazione e catalogazione.
- Le Case Pallide
erano silenziose: la gente parlava sussurrando, rideva
piano e si muoveva con attenzione. La carte e i giochi
da tavola erano le occupazioni preferite, ciascuno si
preparava il suo mangiare e lo consumava
preferibilmente da solo, magari leggendo
qualcosa.
- Vi erano solo due
camerate, con un numero variabile di brande grigie
addossate alle pareti, poiché chi arrivava
montava la propria e andandosene la
riponeva.
- Si
aspettava.
- Che la vita
cambiasse, che arrivasse ad offrire
un'opportunità di rientrare con impegno e
sollievo nella normalità che scorreva limpida e
colorata fuori di lì.
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- 2
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- LA TERZA
MUTA
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- Il terzo "Ri-sette"
era iniziato tardi, quasi allo scadere del ventunesimo
anno.
- I mesi passavano e
Sara si controllava ogni giorno con ansia
crescente.
- L'angoscia
tratteneva la pelle, abbarbicata ad ogni centimetro,
inondando di un timore incontrollabile l'attesa di
quel momento.
- C'era la solita
paura della perdita, di ritrovarsi troppo diversa, ma
anche qualcosa di sconosciuto e sottile.
- Gli studi erano
finiti e la sua famiglia premeva perché lei
trovasse un lavoro.
- Un lavoro e un
colore.
- Commessa in un
negozio: giallo coi pois neri.
- Bidella in una
scuola: a righe rosa e azzurre.
- Cameriera in un
ristorante: a scacchi rossi e bianchi, ma se la cucina
era vegetariana diventavano rossi e verdi.
- Per qualche
inspiegabile motivo l'abbinamento del colore
condizionava dentro di lei la scelta e la
spaventava.
- Erano tutti belli e
gli stendardi che sventolavano colorati fuori da
fabbriche uffici o negozi erano allo stesso tempo
essenziali e curati nel disegno e nella manifattura
nei minimi particolari.
- Eppure le sembrava
che a ciascuno mancasse qualcosa o che al contrario ci
fosse troppo o che comunque mancasse il suo, quello
che le corrispondeva, quello a cui poteva appartenere.
O infine che fosse lei che non voleva far parte di
niente e nessuno.
- Come i ladri le
prostitute e gli assassini.
- Come tutti coloro
che si ponevano al di fuori o contro la loro struttura
sociale.
- Come i vagabondi,
gli studenti fuori corso, i pensionati che volevano
lavorare e i lavoratori che chiedevano la pensione
anticipata.
- E anche come coloro
che erano impiegati nei cosiddetti servizi, i quali
sfuggivano alla classificazione attenta di questa
società poiché appartenevano a tutto e a
niente in particolare, producevano senza che si
vedesse il prodotto, erano tanto meno sopportati
quanto più necessari.
- E non avrebbero
dovuto esserlo: in una società così ben
divisa e organizzata, con un colore per ogni nome e un
nome per ogni cosa, essi avrebbero dovuto naturalmente
venir assorbiti in un proprio settore e tingersi di
esso.
- E invece no.
Poiché servivano senza neanche poterli
considerare servi.
- Si era tentato di
uniformarli almeno al loro interno, di farli diventare
un'entità unica, connotabile e colorabile, ma
la varietà delle loro specificità
continuava a rimandare il completamento di questo
lavoro. Da lì sembrava nascere una ribellione
poco appariscente e non dichiarata, scuotendo la
solidità di tutta la nazione che si era eretta
su quella frammentazione infinita e infinitamente
rigida.
- Sara percepiva ma
non sapeva, respirava ma non riconosceva.
- Una sua amica
studentessa che accudiva nel pomeriggio i bambini di
una casa agiata aveva rifiutato di prendere il colore
ciclamino delle famiglie ma anche quello azzurro e
rosa degli studenti o quello marrone attraversato
diagonalmente da una scala a gradini bianchi e neri
della facoltà di architettura che frequentava.
- L'imbarazzo era
stato grande e palpabile.
- Le ragioni confuse
e insufficienti.
- Dopo un mese la
ragazza era sparita.
-
- In quella
inquietudine crescente Sara temeva l'avvento della sua
terza muta.
- Temeva i progetti e
i desideri che i suoi familiari probabilmente
nutrivano e soprattutto il proprio vuoto.
- Quando
iniziò la muta smise di mangiare.
- Mancava poco
più di un mese al suo ventiduesimo compleanno:
la trovarono priva di sensi in una bella mattina di
marzo, di quelle fredde e limpide, e la portarono
subito alla Centrale della Salute.
- Il distacco avvenne
quasi completamente a sua insaputa poiché era
praticamente sempre sotto l'effetto di potenti
sedativi.
- Quando le
permettevano di svegliarsi urlava e si dibatteva,
finché non veniva nuovamente
addormentata.
- Così il
ricambio della pelle si completò più
rapidamente del solito.
- La madre chiese che
venisse protratto il suo sonno fino a che i capelli
non raggiungessero i due o tre centimetri e
così fu.
- Mentre dormiva
molti dottori si succedettero al suo capezzale per
studiare e sperimentare, molte mani di giovani
infermiere la lavarono e unsero, molte fotografie
furono staccate.
- Quando
riuscì a sopportare di essere sveglia ci
vollero ancora parecchi giorni perché la sua
mente tornasse lucida e il suo corpo totalmente
autonomo.
- I genitori erano
molto provati: parlarono a lungo fra loro della
necessità di fare qualcosa per arrivare al
successivo "Ri-sette" in una condizione
migliore.
- Nacque l'idea di
farla lavorare lì, che lei entrasse a far parte
proprio di una Centrale della Salute come quella da
cui era appena stata salvata. Che si trovasse ad
aiutare altre persone a superare quella
difficoltà. Che ripagasse almeno in parte in
quel modo i debiti che il padre aveva accumulato con
la lunga degenza.
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- Lo stendardo delle
Centrali era formato da tanti piccoli e regolari
mattoni rosa pallido, appena leggermente profilati di
bianco.
- "Insignificante" -
pensò Sara.
- Non era vero, ma
proprio l'avversione che provava per quel chiarissimo
significato le faceva rifiutare la
comprensione.
- Perché quel
destino di doversi sempre e totalmente ricostruire?
Per niente, per essere di nuovo e ancora qualcosa di
codificato e stabilito dall'esterno.
- Perché
mutare? Perché dover appartenere?
- Perché
perdere per riavere più o meno
uguale?
- Perché
doverlo per forza subire?
- "Perché
è così - le diceva un po' stizzita la
madre - ci sono voluti millenni e centinaia di
generazioni per mettere a punto un sistema così
intelligente e funzionale.
- Adesso tu arrivi e
lo rifiuti.
- Ma ti rendi conto
che io ho cinquantasei anni e la pelle liscia e
levigata e morbida come quella di una
quattordicenne?"
- "Però sotto
la pelle gli acciacchi ci sono..."
- "Ma non si vedono -
la donna sbuffava con impazienza - e potevi fare a
meno di ricordarlo."
- "Non penserai di
cambiare le cose tu - insisteva più pacatamente
il padre - di invertire il cammino dell'evoluzione di
cui parlava tua madre?
- Le malattie della
pelle, tranne gli incidenti occasionali durante la
muta, sono praticamente scomparse. La gente si vede
più giovane e si piace di più. Qual
è il problema?"
- Sara non lo
sapeva.
- A distanza di
qualche mese dal "Ri-sette" era tornata bella come
prima.
- I capelli ancora
corti incorniciavano un viso luminoso e attraente. Le
braccia erano lunghe e flessuose, il seno alto e
pieno, le gambe dritte.
- Guardandosi
così nello specchio, qualche volta da sola e
nuda, non poteva dire che ci fosse qualcosa che non
andava. E neanche pensarlo.
- Era solo un sentore
profondo e senza nome che borbottava dentro di lei e
che talvolta si faceva strada fino alla sua bocca
mischiandosi inaspettatamente con le parole che allora
uscivano aspre e insofferenti.
- "Hai deciso?" -
chiedeva il padre.
- "Che cosa?" -
ribatteva lei, pur avendo capito
benissimo.
- "Per il lavoro. Non
che sia urgente, ma sai, dopo l'ultima muta non ci
siamo ancora ripresi e poi... certo puoi stare qui
quanto vuoi... però, alla tua età..." -
concludeva neanche poi tanto sibillino.
- "Magari non dice
niente e invece c'è già qualcuno pronto
per sposarla!" - tentava la madre.
- Ma nessuno ci
credeva.
- Sara alzava gli
occhi al cielo e se ne andava brontolando, mentre i
genitori scuotevano la testa pensando a quella loro
croce.
- Qualche volta Sara
accettava di discutere.
- "Io vorrei lavorare
ma non so... non c'è niente che mi piaccia
davvero. Oppure mi ispira ma ha dei colori e dei
disegni così brutti!"
- "I colori non mi
sembrano tanto fondamentali per scegliere.
- Fanno parte della
nostra cultura ma sono solo dei segni su un pezzo di
stoffa.
- E poi potresti
inventarti una nuova occupazione, con lo stendardo
corrispondente, e farlo approvare alla Camera degli
Stemmi!"
- "Dio che onore
sarebbe! Nella nostra famiglia nessuno l'ha mai
fatto!
- Pensa, potremmo
ottenere di aggiungerlo al nostro fucsia se tu
continui a vivere con noi!"
- La voce della madre
squittiva dall'eccitazione.
- Sara si
sentì per un attimo sopraffatta, dalla fatica
di dover pensare e inventarsi un lavoro e i colori
corrispondenti, dall'idea di rimanere più a
lungo in quella casa, ancor più legata ad essa
dal suo genio creativo, dal divenirne addirittura
l'orgoglio.
- Li lasciò
che parlavano animatamente fra loro, consolati dalla
visione appena avuta.
-
- I passi la
condussero verso la Centrale.
- Provava verso
quella costruzione un trasporto quieto e
sincero.
- Ricordava lo
sgomento con cui era entrata ogni volta e il sollievo
con cui ne era uscita. E anche i giorni trascorsi
lì, quando la progressiva accettazione
dell'ineluttabile le permetteva pian piano di godere
il candore delle stanze e la presenza dei profumi che
si sostituiva a quella ingombrante dei
colori.
- Più discreta
e libera, adattabile e mutevole.
- Attaccato al
cancello vi era un cartello di ricerca del personale:
si richiedeva qualcuno di attitudine gentile e
riservata, con precedente esperienza lavorativa nel
settore.
- Sara non ne aveva,
ma sapeva di possedere quella comprensione profonda
dell' altrui sofferenza che si espande nello sguardo
nelle parole e nei gesti, creando un ponte con l'altro
che gli diventasse possibile accettare.
- Allora suonò
il campanello.
- Fu accolta con un
iniziale stupore e un progressivo
entusiasmo.
- Era strano vederla
quando una muta era appena passata e l'altra era molto
lontana.
- Ancora più
strano ascoltarla spiegare il suo desiderio di
lavorare lì.
- Quando le persone,
bimbi o adulti che fossero, venivano dimessi, ne
stavano ben distanti.
- Anche per strada il
personale veniva trattato gentilmente ma un po'
evitato, come se a nessuno piacesse confrontarsi di
nuovo con chi aveva potuto guardarli e maneggiarli
nella loro nudità.
- Spesso le
assunzioni si riuscivano a fare solo fuori
città o provincia. Fuori dall'ambito delle
conoscenze e dei rapporti personali e possibilmente
dei legami familiari.
- E invece ora Sara
tornava e si metteva a disposizione, con lo sguardo
timido ed eccitato di chi sta per compiere una
marachella, o l'ha già compiuta, o ha un
pensiero troppo grande e spiritoso dentro di
sé.
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- Il reparto per cui
si cercava personale era quello degli anziani. Come
sempre.
- Se c'era una
profonda pena mista alla tenerezza per i bambini, e
ancora comprensione per gli adolescenti, tutti questi
sentimenti che rendevano possibile e valida la
qualità dell'assistenza via via diminuivano,
fino a lasciare solo il fastidio, l'esasperazione, il
disgusto.
- Il personale
resisteva poco.
- Si tentava di fare
dei turni con gli altri reparti, ma chi lavorava coi
vecchi per più di due o tre volte ne usciva
svuotato, contagiato dalla loro apatia, dalla perdita
della memoria che sembrava partire proprio dai colori
per estendersi poi lentamente all'indietro su tutta la
vita.
- Sara non fece
obiezioni e cominciò a lavorare.
- Lo stipendio era
buono e sicuramente proporzionale all'ingratitudine
del lavoro.
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