- LA
DONNA DAL COLLO LUNGO
-
- C'era una volta una
donna dal collo molto lungo.
- Ogni mattina si
alzava, si guardava allo specchio del bagno e muoveva
delicatamente la testa di qua e di là. Era una
forma di saluto, pensava. I sottili fasci muscolari a
destra e sinistra si mettevano in evidenza, la solita
ghiandola leggermente ingrossata sporgeva un po', due
piccoli nei da un lato apparivano e
scomparivano.
- Elisa sorrideva.
Non avrebbe dovuto ma le veniva da sorridere. La
scienza non aveva spiegazione, sui libri non era
riportata questa patologia, non era possibile che
esistesse. Eppure era così. Impercettibilmente,
giorno e mese e anno dopo anno il collo
cresceva.
- Era stata una bimba
normale, poi una ragazza con un collo che ne slanciava
la figura, poi una donna col collo particolarmente
lungo e ora si avviava a diventare una donna di mezza
età con un evidente problema.
- Per ora le sciarpe
e i foulards e i maglioni tamponavano la situazione,
ma presto non sarebbe più stato così.
- Gli esami e i
controlli si intensificavano, più per il senso
di ribellione e curiosità dei medici di fronte
a un evento inclassificabile che non per un suo
disagio.
- Elisa non aveva
dolori. Quando questi si erano fatti sentire intorno
ai 30 anni di età e ai 20 centimetri di
lunghezza, aveva imparato a occuparsi di più e
meglio di lui.
- Ferma a un
semaforo, seduta in poltrona a casa di amici, al
cinema durante l'intervallo, appena sveglia e appena
coricata. Girava piano il capo verso destra e verso
sinistra, poi in avanti ad aprire bene le vertebre
cervicali una per una, e indietro a chiuderle, poi di
fianco verso una spalla e di nuovo verso
l'altra.
- Elisa amava questo
tempo perché era un tempo buono calmo denso e
silenzioso, talvolta appena soffuso di sofferenza. Un
tempo in cui stare dentro. Percorrere quei centimetri
di pelle tendini muscoli ossa e non voler essere altro
che lì. In quella domanda senza risposta, in
quel perché sempre più
inutile.
- Le sembrava di
percepire un'aspirazione in tutto ciò, ma anche
un distacco e una pena per quella lontananza che si
accentuava con il resto del corpo.
- Il dove e il
come.
- C'era e dov'era il
limite?
- C'era e com'era il
modo?
-
- Quando i capelli
sulla sommità del capo sfiorarono nell'immagine
riflessa il limite superiore dello specchio del bagno
e lei era come sempre a piedi nudi e non era pensabile
che qualcuno lo avesse abbassato a sua insaputa,
decise di chiedere un altro, l'ennesimo, consulto.
- Voleva raggiungere
l'ospedale a piedi perché era una bella
giornata e forse al ritorno non lo sarebbe più
stata. Forse non l'avrebbero lasciata
tornare.
- Aveva la solita
domanda da porsi, passo dopo passo. Dove si era rotto
l'equilibrio?
- Dove si era
smarrito il destino naturale delle sue
cellule?
- C'è
un'età per dividersi e crescere e
un'età per rafforzarsi e dare un servizio. La
crescita si deve arrestare nel servizio e il servizio
nella preparazione alla morte o nella morte
stessa.
- Il sovvertimento
delle regole ha in sé evidente pericolo, una
promessa di probabili dolori.
- Soprattutto se non
era la parte razionale a decidere.
- Aveva sempre avuto
l'intelligenza, il coraggio e i soldi per fare scelte
diverse, al di là della consuetudine e del
vantaggio. Ma amava e ricercava l'armonia, la grazia
dell'accordo, il sorriso della comunione serena.
Legata da quell'amore a una vita banalmente felice, si
trovava ora a fare i conti con questa lunga
presenza.
- Periscopio sempre
alzato alla ricerca della terra, il suo collo sembrava
il vessillo di un'altra patria, il testimonio scomodo
e imbarazzante di un'aspirazione diversa e mai del
tutto spenta.
- Nel suo crescere,
forse più accelerato dal momento in cui gli era
stata riconosciuta questa capacità, andava
mutando impercettibilmente ma costantemente il
rapporto coi suoi stessi piedi e col terreno sotto di
loro.
- Essi erano
là, un po' lontani, così come era qui
l'aria che lo colpiva e accarezzava e faceva tremare.
E il terreno sotto di essi era spesso portatore di
trabocchetti ed imprevisti.
- Così Elisa
stava scalza appena poteva. Allargava bene e con
piacere le dita sulla superficie sottostante e anche
un po' le gambe, affinché la base su cui questa
sua fragile terminazione poteva contare fosse
più solida e stabile.
- Ma la distanza
aumentava, il controllo diminuiva e i destini
sembravano dividersi. Un silenzioso accordo continuava
a legare le due parti. Dalle spalle in giù
tutto doveva sorreggere e servire ciò che stava
più in alto. La concentrazione dei sensi nella
testa avrebbe fatto sì che essa continuasse ad
usarli anche a favore dell'altra parte. Ma come Elisa
avrebbe concepito di fare un lavoro: bene e il
più velocemente possibile.
- Il resto del tempo,
al di fuori di ogni doverosa attività, c'era
l'estasi, l'arrendersi attonita e commossa a
quest'altra presenza in lei. Espansione indipendente e
incontenibile e indefinibile.
- Se la natura avesse
concepito i due in posizioni invertite, sotto la testa
e sopra il collo, probabilmente quest'ultimo sarebbe
stato ora infinitamente più lungo. E forse si
sarebbe ramificato in ogni direzione, e magari avrebbe
finito per staccarsi e lasciarsi portare via dal primo
vento un po' deciso.
- Ma non era
così. La testa era lì, come un tappo
sopra una bottiglia, e non poteva lasciarsi andare,
non poteva smettere di dirigere e valutare e
preoccuparsi e anche un po' ridere.
- In fondo in quella
ricerca dell'armonia c'era sempre stato l'obbiettivo
dell'unità.
- Mangiava e beveva
con piacere, curiosità e moderazione. Curava il
colore dei suoi vestiti e le sue stesse forme con
rigore, perseveranza e allegria. Dedicava agli altri
tutto il tempo necessario perché essi fossero a
loro agio, piacevolmente avvolti nel suo calore. Amava
con impegno e fantasia, gli uomini come i figli e le
amiche e i genitori.
- Ora il collo
sembrava aver bucato questa bolla circolare di
perfezione.
- Conosceva
l'approccio dei medici: contenere la diagnosi e
l'allarme nella normalità riconosciuta,
tamponare il danno e l'eventuale dolore, cercare il
consenso alla sperimentazione.
- Oggi non si sentiva
disponibile a niente di tutto ciò. Voleva il
diritto di essere anormale, voleva che questa sua
perenne crescita venisse accettata e catalogata come
una delle possibilità di espressione
dell'esistenza. E voleva anche che niente potesse
minimamente alterare la straordinaria
possibilità di percezione che il collo le
dava.
- Forse voleva
troppo.
- D'altronde la
rinuncia razionale a tali cose era questa sì
motivo di sofferenza.
- Lei cercava
l'accettazione. Si consumava nel tentativo di mettere
in piedi una costruzione mentale rigorosa che le
permettesse di salvare il variegato equilibrio del
suo ideale di armonia, ma qualcosa sembrava sempre
sfuggire.
- A volte era
evidente: poteva essere il rifiuto degli altri,
l'imbarazzo palpabile quando entrava in un ristorante,
la curiosità morbosa, i commenti e le risatine
ironiche. O anche l'impossibilità frustrante di
guidare un'automobile, o la ricerca estenuante del
farmaco nuovo, della terapia alternativa,
dell'intervento chirurgico risolutivo.
- Ma altre volte era
qualcosa di più sottile e sfumato. Un dolore
pacato chiuso giù in fondo, come un bussare
incessante, una richiesta di riconoscimento fatta con
una voce che era poco più di un sussurro, ma
che non smetteva mai. Non c'era riposo, non c'era
possibilità di oblio. Elisa avrebbe voluto
arrendersi ma non ne conosceva il modo. Forse questo
sentimento guidava più di ogni altra cosa i
suoi passi. Doveva capire, voleva la
possibilità di capire.
-
- La visita in
ospedale fu insolitamente veloce, come se il medico
volesse solo constatare una situazione che già
conosceva per passare poi alla fase
successiva.
- Attese a lungo poi
fuori dell'ambulatorio finché un'infermiera la
pregò di seguirla.
- Per ascensori e
corridoi e sotterranei giunsero in un'ala
dell'ospedale che non conosceva, fino ad oltrepassare
con una tessera magnetica una porta con un grande
cartello di divieto di accesso.
- Elisa fu lasciata
in una piccola sala d'aspetto. Altre persone si
trovavano lì.
- Riconobbe con
piacere un uomo che aveva una mano enorme, la
sinistra, e che altre volte aveva diviso con lei
quelle attese. Teneva come sempre la mano appoggiata
in grembo, parzialmente coperta dall'altra, e aveva
quell'atteggiamento un po' ripiegato su di sé
che lei gli ricordava.
- Una donna parlava
piano con un bambino che aveva due grandi padiglioni
auricolari.
- Non enormi, ma
dotati dell'incredibile capacità di muoversi in
ogni direzione. Elisa li guardava affascinata
dirigersi verso ogni fonte di rumore, indipendenti
l'uno dall'altro, il destro comunque sempre
sostanzialmente volto verso la madre che gli parlava
da quel lato e il sinistro in frenetica
agitazione.
- Un giovane uomo
sedeva senza che le gambe toccassero terra. La parte
superiore del corpo appariva assolutamente normale, ma
sotto ai calzoni si intuiva una muscolatura possente e
sproporzionata. Elisa sorrise al pensiero di vederlo
in costume da bagno o correre dietro a
qualcuno.
- Anche il fatto di
essere in mezzo a persone manifestamente diverse la
faceva sorridere. Un filo comune li legava e lei amava
i legami.
- Quando fu il suo
turno la proposta del medico fu semplice.
- Da una seconda
porta posta alle spalle si accedeva a una piccola
piscina. Elisa poté guardala da una vetrata.
Probabilmente le piastrelle del fondo erano blu
perché l'acqua aveva un colore incredibilmente
intenso. La superficie era quasi immobile ma verso
l'estremità più lontana dei getti
laterali colorati la increspavano fino a farla
ribollire. Non capiva se l'effetto fosse dovuto a un
gioco di luci o se si trattasse realmente di liquidi
colorati. Un verde smeraldo si mischiava al rosa
fucsia, al giallo oro, all'argento più intenso
e una nuvola di bollicine colorate rimaneva sospesa a
mezz'aria, fissa e palpitante, sempre uguale, sempre
diverse le piccole sfere .
- Una scaletta
permetteva di accedere all'acqua da questo lato,
un'altra di uscirne dal lato opposto. Cosa ci fosse
oltre era celato allo sguardo da tutto quel vapore
luminoso e variopinto. Non poteva ancora vederlo, non
finché non avesse accettato la proposta, ma
poteva sapere.
-
- Al di là si
apriva la città dei diversi.
- Ricavato nel cuore
stesso dell'ospedale, ben occultato da un insieme
sapiente di muri e siepi, era stato ricavato un ampio
spazio dove tutti loro erano invitati a vivere.
Organizzato come una comunità totalmente
autonoma, ma che poteva e doveva contare in ogni
momento sul supporto medico che la circondava, la
piccola città si era data ritmi e regole
propri, molto vicini a quelli di ogni altra
città.
- La gente lavorava e
si incontrava, faceva politica e a volte si sposava,
usciva e rientrava, mangiava e dormiva. Solo i figli
non erano permessi: per fare quelli diventava
obbligatorio rientrare nel mondo normale.
- La permanenza
lì era vincolata alle visite mediche
giornaliere e in generale alla collaborazione con i
ricercatori sullo studio delle varie anomalie, ma
poteva essere interrotta in qualsiasi momento e anche
ripresa successivamente.
- Elisa guardava
l'acqua e ascoltava la voce del medico.
- Non essere
più diversa perché in mezzo a
diversi.
- Lesse velocemente
il foglio che le veniva mostrato e su cui erano
riportate tutte le informazioni che le erano appena
state dette. Il dottore aveva una voce calda, appena
venata da una sfumatura di eccitazione. Probabilmente
non era così frequente che le persone vi
aderissero. C'era quel primo atto di fiducioso
abbandono da compiere che forse solo anni di
disperazione potevano rendere possibile. Ma ancora
mentre risuonavano le ultime avvertenze Elisa aveva
già aperto la porta. Lui sottolineava e
specificava e chiariva e lei toglieva gli indumenti.
Li piegò con cura e appoggiò sulla lunga
panca bianca che si trovava subito oltre la
soglia.
- Senza fermarsi si
avvicinò alla scaletta e cominciò a
scendere, un gradino dopo l'altro.
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