- Adorati
rumori
-
- Ansiti voi
del mio ansito,
- luci voi del
mio buio,
- vi credevo
bambini,
- vi volevo
bambini.
- Sveglio
attendo di notte,
- nel prillare
del vento,
- quattro passi
felpati
- e la solita
chiave
- nella toppa
girare,
- solo allora
si placa
- il mio cuore
fremente.
- Nel mio finto
dormire
- ora cheto vi
ascolto
- e mi piace
capire,
- da quei pochi
rumori,
- chi di voi
è rincasato.
- È col
sangue gelato
- che ora provo
a pensare
- al domani
imminente
- quando
sveglio di notte
- non
avrò la speranza
- di sentirvi
arrivare
- tra adorati
rumori.
-
- Andromaca
-
- Dello
Scamandro l'acqua
- non diede
fresco obliare
- ad Andromaca
in lutto.
- Troppo il
ricordo è vivo
- quando, alle
porte Scee,
- il suo amore
in cimiero
- d'Ilio
l'onore tenne
- con morte
certa in cuore.
- E quella
funesta ira
- ei
s'apprestò a sfidare
- della dea
Teti il figlio
- protetto dal
dio mare.
-
- E
fuggì atterrito Ettore
- dal semidio
al cospetto
- perché
l'ardore fiero
- non fosse mal
celato
- dall'incoscienza
vera.
- Poi, vinta
ogni incertezza,
- affrontò
la sfida erta.
- Nell'agonia
penosa,
- svenando
sulla terra,
- andò
forse il pensiero
- a quella
causa iniqua
- che
provocò la guerra
- e di quel
sangue un fiume
- sparso nel
nome solo
- d'effimera
bellezza.
- Ora, rimasta
sola,
- appena si
consola
- nell'ammannir
ferale
- del corpo
martoriato
- pietosamente
reso
- ad un Priamo
prostrato.
-
- Piangono il
Tròo i figli,
- l'eroe caduto
e morto,
- ma poche son
le lacrime:
- ieratica ora
incombe
- all'orizzonte
l'ombra
- d'un infido
cavallo.
-
- Antipodi
-
- Profumo di
mughetto
- e amore
finito,
- a fondo
penetrate
- nei sensi
palpitanti:
- l'uno con
piacere intenso,
- l'altro con
dolore immenso.
-
- Aurora
-
- Il gelo irto
dell'aurora
- nel silenzio
di una notte
- appena
addormentata.
-
- Muto, sotto
un cielo limpido,
- percepisco il
bisbiglio delle muse
- e libero quei
versi, già ispirati,
- al crepuscolo
morente.
-
- I passeri nei
nidi algenti
- non hanno
più le note per cantare:
- il
pentagramma vuoto della vita
- si sfoglia
tra le bianche mani
- della
tagliente brezza.
-
- I nudi
rami
- di galaverna
aspersi
- incantano il
giardino.
-
- Una quiete
ritrovata
- mi
accarezza
- nell'ignoto
rinascere del sole.
-
- Autunno
carsico
-
- D'uva acidula
autunno
- or piovoso
t'ammanti,
- così
d'erba slavata
- e di muschio
e tristezza,
- di ricordi
sbiaditi
- e di spiagge
deserte,
- di tramonti
precoci
- e mature
castagne.
- La mia pelle
abbrunata,
- che ricorda
l'estate,
- or si sbianca
alle querce
- ed ai tigli
ingialliti
- ma s'impregna
d'olezzo
- che la flora
morente
- sotto il
bosco rilascia,
- tra calcari
corrosi
- e sommacchi
arrossati.
- Zuppa inebria
la terra
- e confonde la
mente
- sui sentieri
silenti,
- tra doline
assonnate
- ed acarpi
ginepri,
- mentre
l'anima stride
- or nei cupi
pineti
- ove resine
intense,
- col profumo
sublime,
- quasi tendono
al cielo
- dagli edenici
colli
- del mio Carso
incantato.
- Or nei borghi
di pietra
- l'agro e nero
Terrano
- secchi tini
ricolma
- e si spegne
la sera
- sotto stelle
annebbiate.
-
- Cantico
-
- La mia anima
è a Trieste
- pallore della
luna, / la bora e voci calde;
- la mia anima
è sul Colle
- prezioso
ancor pei ruderi / che diede Roma
antica;
- la mia anima
è tra i boschi
- e lande
torturate / del Carso novembrino;
- la mia anima
è tra pietre
- dell'orto
lapidario / e della Val Rosandra;
- la mia anima
è tra l'onda
- di questo
mare amato / che odora le pinete.
-
- Del mio
Carso
-
- Arbusti di
pietra aggiogati,
- nel perdersi
del vento e dell'aurora,
- al carro
tepente del Sole.
- Il giorno
tirate
- alle doline
mute,
- ai boschi ed
ai campi affieniti;
- al mattino di
pastello
- coll'aduggiato
verde del Lanaro
- e il rosso
pien di guazza della terra;
- ai pini egri
e rovinati
- di traverso
sui sentieri
- già
oblio dei miei passi;
- al chioccolio
guizzante,
- dell'algido
Rosandra;
- ai sogni di
cristallo
- che trepidi
s'infrangono
- sui casolari
eburnei
- nei borghi
ridestati
- del mio
Carso.
-
- E scenderà
la pioggia
-
- E
scenderà la pioggia,
- sopra i pini
seccati
- sulle bianche
pietraie
- sulla terra
riarsa
- sulla landa
deserta,
- come lieve
carezza.
-
- E
scenderà la notte,
- sopra i bassi
vermigli
- e il fiorire
di stelle
- sugli odori
sublimi
- e il frinire
insistente,
- con la falce
di luna.
-
- E
salirà l'aurora,
- dietro i
morbidi colli
- con l'aspersa
rugiada
- alitando sui
nidi
- il profumo di
vita,
- con le nubi
di rosa.
-
- E
salirà il sole,
- sopra i voli
garruli
- sopra i tetti
dei borghi
- sopra un mare
d'opale
- sopra i sogni
dissolti,
- col suo caldo
sorriso.
-
- E
scenderà la pace,
- sul mio
trepido cuore
- sullo spirito
inquieto
- sulla vita
passata
- e sui tanti
rimpianti,
- come un
angelo biondo.
-
- La
collina
-
- Inerpicarsi
di magri cipressi
- dall'aprico
rondò fuori paese
- lungo il
viale che monta in collina
- tra il
giallore dei campi affieniti
- e gli orti
squadrati, più in basso,
- alle porte di
agresti dimore.
-
- Poi
lassù il cimitero paesano
- dove pallide
pietre,
- che ricoprono
i morti,
- si erodono al
caldo agostano
- e, imminente,
alla pioggia d'autunno.
- Sui cancelli
di ferro battuto
- due bimbi
ricciuti
- si aggrappano
ilari
- e il cigolare
coperto dal vento
- si perde ai
raggi di un sole abbassato.
- E si sfanno i
covoni
- sotto tese e
improvvise folate
- che deviano
il volo ai rondoni
- e danno
frescura al quieto contado.
-
- Or sul
sagrato dell'ermo sacello
- lunga si
stende l'ombra serale
- e sui candidi
avelli la pace.
-
- Melo
antico
-
- Melo
antico,
- che fu
fanciullezza,
- radicato alla
mia rimembranza
- del giardino
paterno,
- fosti muto ai
miei giochi
- di bambino
sereno
- ed amico
discreto
- delle mie
confidenze
- quando, solo
in quell'orto fruttuoso,
- aspettavo il
tramonto
- borbottando
parole innocenti.
-
- Quanto tempo
da allora,
- nella bruma
più densa
- che annebbia
i ricordi
- ed offusca i
pensieri,
- nel mio
inutile gire.
-
- Solo adesso
mi trovo
- e ritrovo al
cospetto
- del tuo
scheletro acarpo
- e l'agonia
rinviata nel tempo.
-
- Ora, dal tuo
ultimo spiro,
- come brezza
discreta,
- si libera al
cielo
- la mia voce
bambina.
-
- AUTUNNO
-
- Sei giunto
alfine autunno,
- intriso d'acqua
acidula,
- nel tacito
marcire
- di foglie e di
ricordi.
- Alieno apri le
porte
- dei casolari
tiepidi
- e polvere di
sole
- con il tuo panno
asporti.
- Al tuo
strisciare echeggiano
- i pochi marmi
gelidi,
- sotto pesanti
stille,
- nelle onerose
valli
- dalla natura
spenta.
- Restano impresse
ancora,
- nelle pupille
attonite
- d'un abbioccato
zigolo,
- ombrose frasche
e tremule.
-
- IMPIETOSO
CARSO
-
- Nella carne
invecchiato
- e nell'anima
morto
- mi ritrovo ora
solo
- su quest'erma
collina
- dell'immobile
Carso.
- Notti lunghe ed
ansiose
- tormentate nel
cuore
- da cicale
frinenti
- e dai bianchi
timori
- d'una luna assai
piena,
- giorni brevi ed
inquieti
- sotto il sole
accecante
- o le nubi
foriere
- di tempeste
interiori
- hanno eroso i
miei anni
- e usurato i
ricordi
- come bianchi
calcari
- che il tempo ha
lisciato.
- Ho inalato
frammenti
- di terra arida e
rossa
- nelle afose
mattine
- di un'estate
bizzarra,
- ho percorso
silente,
- fra tremanti
sommacchi
- con il sangue
dipinti,
- i sentieri
bagnati
- dalle piogge
incessanti
- dell'autunno
infingardo.
- Solo i forti
ricordi
- i campi eterni
assolcano
- sugli impervi
versanti:
- là ove
regna la pietra
- e delle serpi i
covi,
- ove pendono
aguzze,
- modellate negli
anni
- da infiniti
silenzi,
- stalattiti
lucenti,
- ove l'alba e il
tramonto
- si distendono
pigri
- sulle cime dei
pini
- e dei carpini
neri,
- ove lande
spettrali
- impauriscono
ancora
- pochi fiori
avvizziti.
- I ricordi
più lievi
- si dissolvono
invece
- nell'oblio della
Bora
- e nei sordi
rintocchi
- che i campanili
effondono
- tra il pietrisco
deserto
- e gli assonnati
paesi.
-
- NOTTURNO
ALPINO
-
- Cala il cielo le
palpebre
- e la gota
vermiglia
- scolora ad
occidente,
- l'altra, bianca,
è baciata
- da una vergine
Luna.
- S'incupiscono i
picchi
- e le selle dei
monti,
- il silenzio ora
ammanta
- le vallate, le
selve
- e gli assopiti
paesi.
- Nello scorrere
placido
- il rio fresco e
perenne
- rende magica
appena
- quella pace
profonda.
-
- Poi,
lassù, ad una ad una
- molte stelle
s'accendono
- con le fievoli
luci
- d'un rifugio
eremita.
- I pensieri ora
affondano
- nella quiete
solenne
- e si mutano in
sogni
- sino all'alba
novella.
-
- AI VECCHI
IPPOCASTANI
-
- Lutulenta l'aia
mi trova
- tra i casolari
trascurati,
- le stalle fetide
e affienate,
- gli orti ancora
fertili
- e gli addiacci
scarsi di cavalli,
- ad aspettare
trepido
- lo spegnersi del
sole
- nell'orizzonte
umido friulano.
- In quello
scorcio rustico
- maestosi ed
allignati
- antichi gli
ippocastani
- coi loro immensi
rami,
- che autunno ha
denudato,
- quasi spettrali
stanno.
- Come vecchi
malandati
- s'appoggiano ai
bordoni
- coi loro arti
bassi.
- Al vespro invece
tendono
- le ramorute e
scarne mani
- con le falangi a
ditteggiar sottili
- sul cielo quasi
rosso
- d'un tramonto
novembrino.
- Poi, d'incanto,
al calare della sera
- lussureggianti e
timidi i pavoni
- ad annidarsi
cheti,
- tra le ospitali
branche, volano
- quasi a consolar
quella vecchiaia.
- Ora i colori
scemano
- e s'ammantano di
tenebre
- nel nitrire
sordo dei cavalli,
- il chiacchierio
discreto nei locali
- ed io fermo come
un palo
- col bicchier di
vino, semivuoto, nelle mani.
-
-
- EPILOGO
- Sonetto
serale
-
- Rammento alzarsi
lento e quasi algente
- l'umido acre,
brumoso e denso strato
- scendendo tra il
fogliame quasi ambrato
- sul basso e
rosso cielo d'occidente.
-
- Si stende
ombrosa l'afonia nel folto
- mentre incerti
calcano i miei passi,
- a picco sopra un
grigio mare, i sassi,
- la cui monotonia
dell'onda ascolto.
-
- Si cela appieno
ansata la costiera
- nella diffusa e
muta coltre astratta
- portando il
senso triste della sera.
-
- Di una campana i
sordi tocchi volano,
- tra l'ammantata
landa desolata,
- e nell'ansioso
petto già mi accorano.
-
- E SON LE
SETTE!
Sonetto
mattutino
-
- Cruda mattina,
gelida e diversa,
- sotto quel cielo
pieno, smorto e torbido,
- che
liberò di notte un manto morbido
- e galaverna di
cristallo aspersa.
-
- Dorme ancora il
paesetto di montagna
- quando sordo il
campanil digià rintocca
- e un'annidata
passera s'abbiocca
- mentre guaisce
puerpera una cagna.
-
- Gelido il rio
riscende dalla fonte
- lungo pendii
monotoni di neve
- per scivolar tra
i ghiacci sotto il ponte
-
- quando il sole
si sbraccia tra le vette
- per proiettare
l'ombra della pieve
- sulla piazza del
paese. E son le sette!
-
- LUNA
-
- Luna, che
all'aurora ti spegni,
- hai vegliato sui
miei gravi pensieri
- e portato le
stelle nei miei monotoni sogni,
- hai riflesso il
tuo candido aspetto
- nell'attonito
azzurro dei miei occhi di ghiaccio,
- hai riempito la
mia solitudine
- e gli spazi
immensi del mio animo vuoto.
-
- Poi, quando il
corpo s'è fatto più vecchio,
- lunghe notti ho
passato in languida attesa
- del tuo celere
solco nei campi del cielo
- ed ogni volta
sei svanita nel nulla
- lasciando
violare, dal sole crudele,
- i reconditi
affanni nel mio cuore di pietra.
-
- Luna, ti sei
spenta per sempre!
-
- Ora alzati,
sparisci, ritorna, imbianca,
- tra le nubi
celati,
- tra le stelle
diveggia,
- le maree
indetta
- e sciabordii
d'acque magiche crea,
- coi rami smossi
dalla brezza gatteggia
- sulle acque
lucide del lago,
- ma più
non mi confondi.
-
- Luna, ogni
incantesimo s'è rotto!
-
- Alla notte dormo
senza sogni
- e i caldi raggi
del sole prepotente
- più non
violano un cuore inesistente:
- ora, mi
accontento del nulla.
-
- OBLIO
ALL'OVEST
-
- All'orizzonte
muore, in fiamme, l'ovest
- e di ginepri in
fiore si profuma,
- s'effonde della
luna fioca l'alito
- e sensazioni
occidue nel mio cuore.
-
- Così il
silenzio esorbitante spegne
- della natura,
ancora calda, i sensi,
- mi placa e
inerme m'intima l'eterno,
- mentre
s'acconcia d'ombra l'infinito.
-
- La vita mia,
fugace e snella, corre
- nell'atmosfera
colma d'aria cheta
- come puledro
baio sulla rena
- sazio ormai del
latte acro di cavalla.
-
- La fantasia e
l'incanto si confondono
- tra quelle
fiamme in agonia sublime
- ed i pensieri
liberi, in arcione,
- or balzano sul
cosmo imbizzarrito.
-
- Spocchioso, lui
delfino della notte,
- il vespero
s'impollina di stelle
- e i desideri
sono già comete
- che spazi
solcano d'attimi irreali.
-
- Di vento un
soffio ed una foglia trema
- sarà
tenace sino autunno ancora
- cadrà
poi, in una notte bianco latte,
- nell'ermo lago
ove la luna affonda.
-
- Della magia
l'ovest ora si sveste
- e così
l'oblio, al rosso dei tramonti,
- prevarrà
sopra tutti gli orizzonti
- e perderà
il ginepro i fiori gialli.
-
- SERA
-
- Dai tetti
cadono
- i gatti morti
sull'asfalto
- quando la luna
piena
- negli occhi
vitrei si specchia
- e le streghe
ridono
- sull'erica in
arcione
- coi buchi neri
nella bocca.
- Ringhiano i cani
usciti
- dalle lettiere
immonde
- e le catene
tendono
- sotto l'albero
di fico
- mentre la rogna
espongono
- alla sverginata
sera.
- Grosse le vene
sporgono
- da quelle mani
vecchie
- che il pio
rosario sgranano
- tremando come
foglia
- e tutto il resto
è nero
- che copre i
segni dell'angoscia.
- Tra i ruderi di
pietra
- della chiesa
diroccata
- corruschi
argenti alla Madonna,
- attendono
l'oblio:
- i miracolati
ormai
- sono tutti al
cimitero.
- Quel cavallino a
dondolo
- che più
nessuno monta
- tra i ferri
vecchi oscilla
- là, ove
una cava smessa
- sulla campagna
incolta
- orribilmente
piomba.
- Lontana dal
tramonto,
- lontana dalla
notte
- la sera ebete
s'esalta
- e come fosse
sole
- o come fosse
stelle
- si carica di
spocchia
- ma dai suoi
piedi sporchi
- un fetore fumido
riversa
- sulle verdure
vizze
- degli orti
abbandonati.
-
- TRIESTE: ALLE UNDICI
DI SERA
-
- Tremante prendi
l'anima brumosa
- dalle piatte
spoglie d'un mare quieto,
- quando le mani
del nordest
- ancora
incatenano la bora.
- Pallido il tuo
Carso ascolta,
- sulla periferia
appoggiato,
- parole svelte,
di poca gente per la strada,
- mentre,
riottoso, il sole muore
- nelle sabbie
gelide di Grado
- e s'arrossano i
vapori
- tra poche vele
serotine.
- Cede la sera al
sonno,
- quando la notte
bussa frettolosa,
- e cadde la luce,
da una luna inaspettata,
- sui pochi ruderi
del Colle.
- Sotto gli aloni
fiochi d'un algido lampione
- riluce appena il
bosso
- e nella gelata
pozza ogni paura si specchia.
-
- Nel tuo silenzio
irrompe,
- alle undici di
sera,
- la bora
scatenata
- e con impeto
s'avventa
- della notte i
progetti a scompigliare
- e con l'acuto
sibilo,
- tra i muri delle
androne,
- una città
dormiente a ridestare.
- Agli agitati
ormeggi
- sbatacchiano le
barche
- e con patetico
frullio
- il vento fila
tra alberi e pennoni,
- si staccano i
ghiaccioli
- frantumandosi
sui ponti
- come tamburi a
morte.
- Spazza il molo
l'onda ravvivata
- e lascia la
schiumosa cresta
- tra le fughe
esagerate dell'antica pietra.
- Vibrano afilli i
rami nei viali
- sotto le
sferzate della bora
- come scarne
braccia ad implorare,
- dalla bolgia
orrida avernale,
- la remissione
eterna
- che mai
potrà arrivare.
- Impetuosa soffia
al cimitero
- e col rumore dei
cipressi afflitti
- risveglia i
morti dalla terra.
- Delle chiese
scardina i portoni
- ed al cospetto
porta,
- degli aceri e
cornioli flagellati,
- i santi, i
martiri e i beati.
- Squillano i
clarini angelici
- nel tuo incubo
invernale
- annunciando il
giudizio universale
- alle undici di
sera.
-
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