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Prefazione
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- Rosa Maria Corti
Terragni, attraverso le parole della conversa Gertrude
Vols che diventa alter ego narrante, recupera le
immagini, le diatribe politico religiose e le
atmosfere del XIII secolo che hanno interessato il
nord Italia nella zona del Lago di Como.
- Il diario di
Gertrude "scioglie il ghiaccio del ricordo" come se ci
si trovasse seduti su una di quelle antiche panche,
appena sbozzate da alberi centenari, poste in riva ad
un lago, sulla soglia d'un giardino "senza tempo" tra
la quiete degli ulivi alla ricerca degli spiragli di
luce che possano illuminare lo sguardo che sempre
cerca di oltrepassare "il profilo delle Prealpi".
- Nelle mani di Rosa
Maria Corti Terragni nasce e si alimenta un racconto
canonico ma che non obbedisce a regole prefissate
sempre pervaso com'è di quel sentore mistico di
"anime" alla ricerca della verità, pur
coscienti che il tempo scivola via, mai disposte a
consumarsi in una sterile attesa.
- Ecco allora
prendere vita il racconto di Gertrude che in un freddo
mattino del 1262, nel monastero benedettino femminile
di S. Faustino e Giovita, sulla riviera del lago di
Como, come fedele e premurosa conversa al seguito
della nobile Ildegarda, si incammina con lei verso una
mèta che possa mettere al sicuro dai tragici
eventi che si stavano prospettando.
- Quando Ildegarda
aveva preso i voti a Gertrude era sembrato giusto
continuare a starle vicino, dopo essere stata al suo
servizio nel castello dove aveva vissuto con lei, e
seguirla anche come conversa nell'abbazia benedettina.
Ildegarda era rispettata anche perchè sorella
del potente Ulrico, tradito e poi accusato di eresia,
e inoltre il fratello Corrado era morto in circostanze
misteriose. Ecco perchè la sorte avversa che si
stava scatenando sulla sua famiglia faceva temere
anche per la vita della stessa Ildegarda e per questo
motivo s'era trovata nella condizione di dover
mettersi in salvo in un posto sicuro.
- Ciò non
aveva distolto Ildegarda dalla sua missione "curare
gli ammalati e badare all'anima", accogliere tutti e
offrire quel poco che poteva aiutare al sostentamento
ma Ildegarda si trovava lontana dalla sua terra, in un
mondo che era ostile e non conosceva, dopo aver
abbandonato tutto e ancora cercava disperatamente di
aiutare il fratello Ulrico accusato di eresia a causa
di complotti e lotte interne che vedevano
l'avidità come unico obbiettivo da
perseguire.
- Eppure Ildegarda
continuava a copiare antichi testi perchè un
"monastero senza libri è come un prato senza
fiori, una mensa senza cibo, un orto senza verdure" e
per lei "il mondo della natura era l'esemplificazione
dell'opera meravigliosa di Dio". Come poteva Gertrude,
dopo la misteriosa partenza di Ildegarda per la sua
missione, dimenticarsi dei consigli spirituali di
quella monaca tutta dedita all'opera di apostolato e
di assistenza ai malati, dopo che era sparita nel
nulla?
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- Il cammino è
lungo, e come in un disegno divino, attraverso un
apostolato itinerante in un periodo storico che vive
un clima di sospetti, tradimenti, diffidenze, lotte
per il potere e grande confusione, emerge prepotente
la volontà di portare a termine il cammino
spirituale, accettare la volontà di Dio come
"creature libere" perchè "sta all'uomo
redimersi o perdersi".
- Gertrude, si
ritrova così senza la sua guida spirituale,
sposata con un pescatore e poi vedova, con problemi di
denaro, difficoltà d'ogni sorta: una donna
debole alla ricerca di un'identità, incerta
sulla missione da svolgere, ma sempre alla ricerca di
Ildegarda, continuando imperterrita nel suo viaggio
spirituale.
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- Nella sequenza dei
ricordi che si sommano e si plasmano, che ridanno
nuova vita alle riflessioni e alle vicissitudini d'una
vita intensa, emerge l'intenzione di far rivivere un
simbolico viaggio nel segreto del tempo, per non
dimenticare, per togliere dall'oblìo le memorie
di avvenimenti che hanno fatto parte della nostra
storia: monasteri, schiere di pellegrini, epoca di
mercanti e commerci, viaggi costellati da mille
pericoli, la paura del futuro e l'incertezza
dell'avvenire, la sorte con i suoi inspiegabili
intrecci, la scomparsa della giovane Margherita che
coincide con la partenza d'un misterioso pellegrino
dagli occhi magnetici, l'Ordine dei Cavalieri del
Tempio del Signore, Templari custodi dei luoghi santi
di Gerusalemme, i privilegi e le ricchezze
dell'Ordine, e poi la Chiesa con i suoi rappresentanti
che "vivevano nell'abbondanza mentre il popolo
soffriva la fame", il rogo per coloro che erano
condannati di eresia, mentre Gertrude cercava di
servire Dio in libertà, senza mai appartenere
ad alcun ordinamento riconosciuto dalla Chiesa,
girando di villaggio in villaggio a curare gli
ammalati, a chiedere l'elemosina, trovando conforto
nella preghiera e nella fede, "pace carità
generosità" come lei e Ildegarda "avevano
sempre pregato".
- "Il nostro destino
non è che un filo sull'ordito e la trama della
tela..." e, a volte, tutto pare essere già
scritto: i viaggi, i pericoli, gli ostacoli sul nostro
cammino non sono forse il "disegno divino" al quale
tutti andiamo incontro? Vacilla la mente, un senso di
smarrimento e impotenza ci sorprende, ma il cammino,
lungo e faticoso, deve continuare e pare quasi di
lasciarsi andare al fluire degli eventi tra
misteriosi documenti ricevuti da Ildegarda dalle mani
del cavaliere di Moustiers prima di morire, la fitta
rete delle protezioni e delle strade templari in
territorio francese e in quello italiano, la ricerca
della fede da parte di Gertrude e quel desiderio di
pacificazione, di unione spirituale dopo tanti
affanni.
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- La volontà
di Rosa Maria Terragni è sicuramente quella di
attraversare le pagine della storia grazie al diario
di Gertrude e ricercare la scintilla che possa offrire
agli occhi una nuova visione d'un periodo storico
assai nebuloso e pervaso da tenebrose atmosfere, tra
mistero e fede, e sempre il suo intento è
andare oltre le pietre della memoria, le ombre degli
intrighi e delle lotte sanguinarie, le voci di uomini
di chiesa, le azioni e le regole dei Templari, i
pellegrini e gli eretici, le verità dissolte
nel tempo, i sogni inceneriti nei roghi, la speranza
di uomini e donne che si sono affidati al precetto
"pace fede carità" che diventa un soffio
d'amore nel disegno imperscutabile riservato
all'essere umano.
- Fino all'approdo
nel luogo riconosciuto e amato, salvando ciò
che meritava di essere preservato dalla polvere del
tempo, dove poter ancora raccontare e scrivere della
verità "che mai si estingue".
Massimo
Barile
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Mistero
all'abbazia
- Dal
diario di una conversa del XIII
Secolo
Ai
miei cari
A
chi ricerca la verità
Veritatem
laborare nimis saepe aiunt,
estingui
numquam
Liv.22,39,19
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Dicono
che la verità troppo spesso
è
disconosciuta,
ma mai si estingue.
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- La
monaca del Monte San Zeno
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- Febbraio 1262. Era
un mattino freddo ma limpido e da diverso tempo ormai
avevamo lasciato il monastero benedettino femminile di
S. Faustino e Giovita, sulla riviera occidentale del
Lago di Como, dove avevamo trascorso la notte. Le
buone monache avevano provveduto a rifocillarci, a
rimpinguare le nostre provviste e la badessa Liberata
era stata prodiga di spiegazioni circa il percorso che
ci avrebbe condotte alla nostra meta. Mi sembrava
ancora di udire la sua voce mentre si rivolgeva alla
mia signora.
- "Ricordate sorella,
dopo aver superato il borgo di Arcenniu1, quando
inizierete a risalire la valle, il vostro punto di
riferimento, la vostra stella, dovrà essere
quel monte snello, elegante, dalla forma di cono, il
Monte San Zeno. Lo dovrete avere sempre sulla vostra
sinistra, soltanto quando avrete oltrepassato il
villaggio di Casasco ed il monte sembrerà
giacere ai vostri piedi, avrete raggiunto la
meta".
- E così era
stato, la mia signora aveva proseguito sempre senza
incertezze, sorridendo quando io dubbiosa mi fermavo a
chiedere ragguagli ai contadini del luogo. Superato
però l'ultimo villaggio e le ultime baite, da
quando c'eravamo inerpicate per un ripido sentiero con
i nostri muletti, non avevamo più incontrato
anima viva.
- Davanti a noi il
terreno ancora coperto di neve non recava tracce
fresche, soltanto qualche ciuffo di erba secca,
ingobbita e giallastra, spuntava qua e là,
mentre nei luoghi più riparati facevano
capolino mazzolini di primule gialle.
- Non avvezza a
cavalcare e a calzature pesanti, mi sentivo dolere
ogni giuntura e avrei voluto fermarmi a riposare un
poco. Fu proprio allora che la mia signora, come se mi
avesse letto nel pensiero, si arrestò, scese
dalla cavalcatura e m'incitò a fare
altrettanto.
- "Mia buona
Gertrude", disse, "coraggio, proseguiamo a piedi, in
modo che questi poveri animali possano riposarsi un
poco".
- Avrei voluto
replicare che anch'io ero stanca ma non ne ebbi
l'ardire poiché l'energia di Ildegarda pareva
inesauribile. Cercai di richiamare almeno la sua
attenzione sul paesaggio che si apriva al nostro
sguardo, una splendida valle a V, in fondo alla quale
incastonato quale pietra preziosa, scintillava il
lago. Grande era stata la mia meraviglia quando, il
giorno innanzi, l'avevo scorto per la prima volta
sotto la pioggia, ampio e maestoso, ma ancora
più grande era stata la gioia nell'osservarlo
dal convento allo spuntare del sole, uno spettacolo
che avrei portato sempre nel cuore e, anche ora, non
mi saziavo di osservare quella superficie azzurra
dalla quale sembravano balzare fuori monti con le cime
coperte di neve e di ghiaccio.
- Mentre l'anima mia,
rapita da quel concerto di bellezze terrene,
attraverso il quale si manifestava la grandezza di
Dio, stava per esplodere in un cantico di gioia, la
mia signora aveva già ripreso il cammino e
così dovetti fare anch'io.
- Procedemmo per
mezz'ora in silenzio, non si udiva altro rumore
all'infuori dello scricchiolio della neve sotto gli
zoccoli dei nostri quadrupedi, poi all'improvviso i
belati di un gregge e l'abbaiare di un cane e, dopo
una svolta, a circa mille metri di altitudine, ci
apparve la nostra meta: un lungo edificio in pietra a
vista, una sorta di complessa cascina con una bella
struttura ad arcate.
- Rallentammo mentre
ci veniva incontro, allertata dall'abbaiare del cane,
una giovane con i capelli biondi raccolti in una
crocchia, il fisico minuto ma irradiante energia, lo
sguardo sincero e un poco ingenuo. Ella ci
aiutò prontamente e, prese le briglie delle
nostre cavalcature, si avviò spiegandoci che
gli zii, che l'avevano cresciuta, erano scesi al
villaggio e sarebbero ritornati solo l'indomani.
Intanto, mentre mi guardavo intorno, mi sentivo
stringere il cuore dalla delusione.
- Come erano lontani
la nostra bella abbazia, il giardino botanico, la
chiesa, il chiostro con il pozzo, la grande
biblioteca, i lunghi filari delle viti...
- Ancora una volta,
come se mi avesse letto nel pensiero, Ildegarda mi
guardò e sussurrò impercettibilmente:
"Qui saremo al sicuro", poi entrò nel
sottoportico lastricato di pietre dove un nugolo di
galline stava becchettando furiosamente.
- Il porticato si
apriva su celle e locali; decidemmo di adibire a
refettorio quello che dava direttamente sulla piccola
cucina dove consumammo il primo pasto nella nostra
nuova dimora: latte ancora tiepido, formaggio, pane
nero.
- Margherita, questo
era il nome della giovane che ci aveva accolte e ci
aveva lasciate sole mentre mangiavamo, tornò
più tardi per ripulire le celle dove avremmo
trascorso quella notte e quelle a venire.
- Per la
verità nonostante la stanchezza non riuscii a
addormentarmi, mi tornava alla mente una delle frasi
preferite di Ildegarda quando maternamente la
rimproveravo perché si affaticava per troppe
ore, a mio avviso, leggendo, miniando o copiando
antichi testi.
- "Monasterius sine
libris est sicut pratum sine floribus, mensa sine
cibis, hortus sine erbis".
- Un monastero senza
libri è davvero come un prato senza fiori, una
mensa senza cibo, un orto senza verdure e qui,
purtroppo, non vi erano né libri, né
biblioteca, né scriptorium, solo disordine e
sporcizia. Povera Ildegarda, a quale prezzo avrebbe
dovuto pagare la sua sicurezza!
- Pregai per lei a
lungo, poi, visto che il sonno ancora tardava a
venire, cominciai mentalmente a ripercorrere a ritroso
tutte le tappe del nostro viaggio, fino a risalire
alle cause prime di quest'ultimo.
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1.
Arcenniu. Si tratta di Argegno. Borgo fortificato in
epoca medioevale è oggi vivace località
turistica che funge da "porta" della Valle
Intelvi.
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- Le
strade dei mercanti d'oriente
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- Ildegarda ed io
venivamo dal Tirolo, terra di castelli, di piccoli
borghi lindi ed ordinati, di masi isolati, di
campanili aguzzi, di chiese che sembrano emergere come
isole da un mare di vigne.
- I vigneti,
coltivati a volte fino ai mille metri di altitudine,
sono lassù più giardini che campi,
segnano i profili di un monte, contornano un'abbazia,
un castello, come suggestivi ricami.
- Anche il castello
dove aveva sempre vissuto Ildegarda, prima di entrare
in convento, era circondato da vigne e proprio i
fertili terreni vitati, acquistati un tempo da suo
padre, ora erano fonte di ricchezza e motivo di
orgoglio per i suoi fratelli Ulrico e
Corrado.
- In un certo senso,
a causa delle vigne, io avevo conosciuto Ildegarda.
Mia madre, infatti, originaria di una vallata ridente
molto più a nord e, precisamente, di quella
località che prende il nome dalla stanga
daziaria che il principe vescovo di Bressanone aveva
posto per trarre profitto dall'intenso traffico che si
svolgeva lungo la mulattiera del Passo Giovo, tra
Valle Isarco e Val Passiria, aveva preso come marito
il fattore del conte, un uomo gioviale, un po' pingue,
ma per nulla volgare, né di aspetto, né
di modi e soprattutto esperto vinificatore e ottimo
conoscitore di vini rossi che erano i preferiti del
ricco feudatario.
- Il nobile Manfredo,
inesorabile con i nemici e gli incapaci, ma largo di
favori con chi gli era devoto, lo aveva preso a
benvolere e a volte gli affidava delicate ambascerie.
Per questo motivo mi era stato possibile giocare e
crescere accanto ad Ildegarda. Da lei, che aveva la
vocazione all'insegnamento, avevo imparato molto e
quando ella aveva preso i voti mi era sembrato
naturale continuare a starle vicino entrando come
conversa nell'abbazia benedettina che l'aveva vista
prima novizia e poi monaca a tutti gli
effetti.
- In convento
Ildegarda era amata e rispettata, forse anche temuta a
causa del potere che suo fratello Ulrico, fedelissimo
all'imperatore, andava conquistando, quel potere che
lo aveva reso inviso a molti nobili da lui sottomessi
e anche al vescovo.
- Isolati nelle terre
del conte vi erano, infatti, alcuni possedimenti,
molto prossimi alla città, sui quali il prelato
vantava antichi diritti di consuetudine, isole piccole
come estensione, ma strategicamente importanti.
- Quando Ulrico, che
a sua volta ne rivendicava la proprietà,
cercò di accaparrarseli, avvalendosi di un
cavillo giuridico, con l'idea di fondare un quartiere
mercantile, quanto mai necessario in una zona di
confine, si arrivò al conflitto, preparato dal
tradimento e dalle menzogne di alcuni nobili locali
che si erano improvvisamente schierati con la
nobiltà vassalla della Chiesa.
- L'intento di Ulrico
era di far costruire su quei terreni case, magazzini e
botteghe, per i mercanti che commerciavano vino,
grani, sale, squisito olio del Lago di Garda e della
Tremezzina1, pesanti stoffe, delicati cristalli,
pregiate armi milanesi, legnami, ferro, rame, argento
proveniente dalla valle di mia madre e un poco
d'oro.
- Naturalmente il
conte sarebbe rimasto proprietario dei terreni e degli
immobili di cui i mercanti avrebbero potuto disporre
soltanto pagando una sorta di affitto e pedaggio,
diritto che il principe vescovo già pretendeva
da qualche tempo da tutti coloro che inevitabilmente
passavano di lì, sulle strade che risalivano
fino all'estremo nord dell'Europa e discendevano
attraverso Venezia fino ai favolosi mercati
dell'oriente.
- L'avidità,
la sete di ricchezze terrene, l'invidia, spinsero
dunque i nemici di Ulrico al tradimento.
- Accusato di aver
dato asilo ad un gruppo di eretici che avevano aizzato
la turba dei rustici, dei diseredati, degli emarginati
del luogo ad incendiare le case dei nobili e del
vescovo, fu fatto ricercare e catturare da
quest'ultimo con l'accusa di eresia e consegnato
all'inquisitore perché procedesse contro di
lui.
- Il ritrovamento del
di lui fratello Corrado, morto in circostanze
misteriose, forse avvelenato, aveva fatto temere anche
per la sorte di Ildegarda.
- Per questo motivo
erano stati presi in tutta fretta contatti fra il
vecchio Manfredo e la badessa Guglielma
affinché quest'ultima, forte del suo potere e
delle sue conoscenze, si adoperasse per mettere in
salvo la giovane monaca.
- Mio padre era stato
incaricato di trovare alcuni uomini fidati che ci
avevano scortate fino al confine; di lì avevamo
proseguito verso sud-ovest trascorrendo le notti negli
ospizi dislocati sul nostro cammino.
- Dopo aver corso
pericolo di vita mentre valicavamo un alto passo a
causa del terreno accidentato ricoperto di neve e
ghiaccio, finalmente eravamo entrate in una valle che
ricordava la nostra terra per la ricchezza di vigneti
e il passaggio di un ampio fiume il cui nome
apprendemmo essere Adda.
- Da ultimo l'arrivo
sul lago, il Lario, in una giornata di pioggia e la
sosta ristoratrice della quale ho già detto in
un monastero benedettino femminile, di fronte a
ciò che aveva rappresentato l'ultimo caposaldo
bizantino nel nord Italia, una piccola isola chiamata
Comacina, o più familiarmente "Il Castello", a
ricordo della turrita dimora di un nobile
longobardo.
- Questa dunque la
storia da me rivissuta nella veglia di quella prima
notte trascorsa sulla montagna, quelli dunque i motivi
che ci avevano portate così lontano e che io
stessa avevo appreso durante il viaggio dalla viva
voce di Ildegarda, anche se ora mi sfuggivano i
particolari perché talvolta le spiegazioni
complicate, il paesaggio insolito e la stanchezza
erano stati per me motivo di distrazione.
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1.
Tremezzina. È la zona situata nella parte
centro-occidentale del Lago di Como. Essa, che prende
il nome dal Comune di Tremezzo, è ricca di
ville signorili e di alberghi di fama
internazionale.
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