- ADUNATA
-
- Era una
formazione straordinariamente compatta quella che
in molti videro avanzare nel cielo, a ridosso delle
Alpi, in un tiepido mattino d'autunno. Considerata
la stagione gli adulti dedussero che si poteva
trattare di beccacce, ma i bambini, che hanno la
vista più acuta, si accorsero subito che non
si trattava di uccelli. Eh sì, proprio
così, quella che avanzava verso oriente era
un'enorme schiera di copricapo, tutti quanti
guarniti da penne nere, (forse erano state proprio
queste ultime a trarre in inganno i
grandi).
- Ora dovete
sapere che una bambina, forse più curiosa di
altri o, semplicemente, più sola, decise di
unirsi a quell'insolito stormo e, prova e riprova,
dopo essersi infilata nell'abitino di lana dai
mille colori una penna qui e una penna là,
(le gazze vanitose le cambiavano spesso nel suo
giardino), aperta la finestra della sua cameretta,
cominciò a sbattere le braccia nell'attesa
di un potente soffio di zefiro, il vento di
ponente, che l'avrebbe portata in
quota.
- Così
avvenne e Iris (così si chiamava la bambina
che in verità già da un po' si
esercitava a volare) in poco tempo raggiunse la
formazione.
- Quando i
cappelli la videro non si stupirono più di
tanto poiché raramente avevano pronunciato
la parola "impossibile". Uno di loro, in quel
momento si trovavano al confine tra Francia ed
Italia, a questo proposito, raccontò del suo
tenente che, nel lontano 1896, invitato
scherzosamente dai Francesi a brindare, con un
balzo superò il tetro burrone largo cinque
metri che separava le due nazioni; poi, vuotato il
calice e salutati militarmente i Chasseurs des
Alpes, con una bella rincorsa rifece quel salto
incredibile e ritornò sul suolo
patrio.
- Mentre i
cappelli così chiacchieravano amabilmente
tra loro e si spostavano verso la Svizzera, Iris
guardandosi intorno si accorse che non erano
affatto tutti uguali. V'erano, infatti, cappelli di
feltro nero di forma tronco conica, guarniti da una
fascia di cuoio nero, da una stella a cinque punte
di metallo bianco e da una coccarda tricolore;
altri, invece, al posto della stella avevano
un'aquila incoronata appoggiata su una cornetta
sovrapposta a due fucili. La maggior parte
però erano di feltro grigio verde con
un'aquila in volo ricamata in filo ed una nappina
di vari colori: bianca, verde, rossa. Tutti,
proprio tutti, avevano una penna nera, in
verità spezzata in due, mozza.
- Questo fatto
stupì un poco Iris che però non
osò fare domande ai nuovi amici sembrandole
di essere indiscreta.
- Intanto vola e
vola i cappelli erano transitati per il passo del
San Gottardo, avevano passato lo Spluga e si
avviavano a scendere in Valtellina. Il paesaggio
era come quello delle fiabe, con i monti
incappucciati dalla neve, le baite raggruppate a
proteggersi reciprocamente, un laghetto azzurro ed
una moltitudine di piccoli fiori che avevano i
colori dell'autunno.
- I cappelli che
avevano il cuore tenero avrebbero voluto
raccoglierne un mazzolino e donarlo alla bambina ma
non c'era tempo, allora, per consolarla, intonarono
una bella canzone che subito il vento, attraverso
gole dirupate e balze ripide, portò
giù nella valle, disperdendola sui sentieri
fino alla pianura. Le parole vennero udite da altri
cappelli che prontamente si levarono in volo e si
unirono al gruppo. Fra questi ve n'erano alcuni un
po' frusti, sfilacciati, bucati e Iris,
preoccupata, chiese loro se stessero
bene.
- "Sai come
succede...", rispose l'ultimo arrivato, "quando nel
bosco un tronco pesa e fa male alle spalle, sotto
il cappello! Quando sui ripidi pendii pesa la
gerla, sotto il cappello! Quando i bambini giocano
alla guerra e tutti vogliono fare il comandante ma
uno solo è il cappello, chi va di mezzo? Il
cappello! Ma non preoccuparti, abbiamo le ossa dure
che hanno sopportato ben altre fatiche e
sventure.
- Poi il cappello
tacque. Nella sua mente si erano affacciati tanti
dolorosi ricordi: gli automezzi fermi, bloccati
dalla neve, le marce a piedi, il gelo condensato in
ghiaccioli attorno alla bocca, le incursioni dei
carri armati russi, gli scontri tra le isbe, le
grida di chi invocava aiuto, la fame, la
stanchezza, lo sfinimento...
- " Il vecio, il
capo, Toni Cantore!"
- Queste parole,
pronunciate all'improvviso, con foga, quasi
gridate, distolsero il vecchio cappello dalle sue
riflessioni ed egli, prontamente, si spostò
per fare largo ad una "penna bianca" appena
arrivata. Era una sorta di leggenda questo cappello
e tutti lo guardavano con rispetto.
- "Avvanti,
avvanti, non perdete tempo a guardarmi, facciamo
presto, andiamo!" disse con il suo inconfondibile
accento e si mise alla testa della colonna come era
sua abitudine di comandante, quando trascinava gli
Alpini con l'esempio ed il coraggio.
- Sorvolarono
l'Engadina, Innsbruck, il Brennero, Bolzano,
Trento, Bassano; furono infine a Gorizia, a
Redipuglia, il luogo del raduno.
- Planarono
dolcemente, la penna tesa come una bandiera e si
mescolarono a tanti altri cappelli.
- " Sono proprio
tanti", pensava Iris, "una massa
enorme".
- In effetti,
tutti i battaglioni, tutti i reggimenti, tutte le
divisioni erano presenti. Qualcuno aveva dovuto
volare più di altri (si sa, la steppa russa
ed il deserto africano sono lontani) ma erano
arrivati tutti ed iniziarono ad avanzare compatti
come una valanga.
- Sfilarono le
penne nere della sfortunata battaglia di Adua;
sfilarono le penne nere che furono in Libia sulle
brulle colline di Derna, a Sidi Garbaa, a Cirene;
sfilarono le penne nere della grande guerra e,
mentre i saggi "veci" e gli irruenti "bocia"
avanzavano, cominciarono a cadere le prime gocce di
pioggia, lacrime del cielo per coloro che avevano
combattuto in mezzo alla tormenta e al rombo del
cannone, dopo aver marciato nella neve, trascinato
i pezzi dell'artiglieria a forza di braccia
lassù dove nemmeno i muli riuscivano ad
arrivare, dopo aver trasportato persino i sacchetti
di terra per costruire un riparo dove la montagna
non ne offriva di naturali.
- E mentre il Col
di Lana, il Monte Nero ed il Monte Ortigara
rivivevano in quei cuori, monumenti perenni ad una
storia scritta col sangue su tutte le cime delle
Alpi, nel silenzio, davanti all'enorme cimitero di
guerra, rimbombò come il tuono della valanga
il richiamo del generale Martinat, rivolto agli
uomini della Tridentina, della Julia, della
Cuneense: "Alpini, con me, avanti".
- E gli Alpini
avanzarono con il loro passo eguale, cadenzato, da
montanari, ricordando il tremendo fango albanese,
il fronte greco, il Ponte di Perati, la Vojussa
insanguinata. Passarono quelli del Cervino,
più numerosi seguirono quelli del "secondo"
Cervino, caduti nella steppa russa, a Rossosch.
Passarono i battaglioni del primo, del secondo, del
terzo, del quarto reggimento. Passarono i lombardi
del quinto, Battaglioni Morbegno, Tirano, Edolo, il
meglio delle valli lombarde. Sfilarono proprio
tutti e sembravano dimentichi del loro calvario,
del gelo, della fame, dello sfinimento, della
disperazione, alla ricerca di una via d'uscita
dalla maledetta sacca in cui i russi li avevano
intrappolati, sembravano dimentichi della prigionia
nei lager, del disprezzo del nemico. Si
motteggiavano, parlavano di contrabbando, di prati
da falciare, cantavano canzoni in cui si
mescolavano il dolore, l'amore, la nostalgia della
casa, il ricordo di un bacio, della ragazza
lasciata in valle, delle battaglie combattute.
- Quanti canti
ascoltò Iris quel giorno, poi, le voci
tacquero, l'adunata terminò e tutti i
cappelli si apprestarono a fare ritorno nel
"Paradiso di Cantore". Sapendo che a casa non
avrebbe trovato nessuno ad aspettarla (i genitori
erano sempre più impegnati dal lavoro), la
bambina non voleva rassegnarsi ad abbandonarli.
Aveva sentito le loro voci, aveva dato loro un
volto, preciso, vero, aveva conosciuto in poco
tempo emozioni, sentimenti, parole nuove, il senso
della solidarietà.
- Si arrovellava
il cervello alla ricerca di un modo per rimanere
per sempre con loro. Si ricordò che per i
suoi amici niente era impossibile e allora con le
sue manine si avvinse stretta all'ultimo cappello
che si stava levando in volo.
- Alla fine il
prodigio si compì. Iris sentì il suo
corpo bagnato dalla pioggia che diventava leggero,
si allungava, si tendeva, si curvava. Chiuse gli
occhi e quando finalmente trovò il coraggio
di riaprirli si accorse che i suoi piedini erano
rimasti sulla terra, lontani, la testa invece
toccava le nuvole in cielo ed il suo corpo era un
ponte colorato che univa questi due universi.
- Iris sorrise
mentre il vento asciugava il suo vestitino di mille
colori e le sussurrava: " D'ora in avanti i
messaggi degli Alpini sarai tu a portarli a tutti i
bambini".
-
Racconto
pubblicato in "Una fiaba per la montagna" G.S.
Editrice 2003
-
- MAMUSCA
-
-
- Era l'inverno
del 1942: dopo una lunghissima marcia di
trasferimento eravamo finalmente giunti al nostro
caposaldo, in riva al Don.
- Davanti agli
occhi non avevo che le rovine di un villaggio, il
bianco della neve, il grigio delle canne palustri
irrigidite dal gelo; nella mente, nel cuore, il
profilo delle mie amate montagne della Valle
Intelvi, dove falciavo prati e custodivo mucche.
Ogni tanto facevo anche qualche "viaggio" oltre il
confine. Per questo motivo nel mio battaglione, il
Morbegno, gli alpini mi avevano soprannominato
sfroos 1 e, la sera, mentre tenevamo d'occhio il
caposaldo dei russi sull'altra sponda del fiume e
insieme fumavamo una Milit 2, raccontavo storie di
bricolle 3, di strüse 4, d'inseguimenti, di
ragazze che ci tenevano bordone, fino a quando si
facevano sentire i morsi della fame. Allora
uscivamo dai camminamenti e andavamo a frugare,
speranzosi, nei rifugi davanti alle isbe bruciate,
dove i contadini russi proteggevano dalla luce e
dal gelo patate, cavoli e barbabietole da
zucchero.
- Il più
delle volte non si trovava nulla e allora non ci
restava che sognare le nostre baite, il latte
appena munto, un bicchiere di vino fresco di
canvetto 5 e una fetta di polenta calda.
- Fame e freddo
sembravano aumentare ogni giorno di più,
anche se erano sempre meglio delle pattuglie russe
che tentavano azioni di sorpresa, delle pallottole
di mitragliatrice che ci piovevano addosso come
grandine e dei colpi di mortaio che sbriciolavano
il terreno e bucavano l'acqua ghiacciata del fiume.
Che sconquasso quando rispondeva la nostra
artiglieria con i suoi mortai!
- Si andò
avanti così fino a quando i Russi, dopo aver
sfondato le linee rumene ed ungheresi, riuscirono
ad intrappolarci in un'enorme sacca. Cominciammo
allora a ripiegare cercando di rimanere uniti e di
portare con noi quanto più possibile di
viveri e di munizioni. La debolezza, il gelo, il
nemico, ci azzannavano con i loro artigli ogni
giorno di più, costringendoci ad abbandonare
molto materiale e purtroppo anche i nostri compagni
caduti nella neve che gridavano e ci chiedevano
aiuto che, seppure col cuore straziato, non
potevamo dare loro poiché non avevamo slitte
su cui poterli caricare.
- Andavamo avanti
attraversando balche 6, paludi e fiumi gelati,
seguendo la colonna col volto coperto da un
passamontagna che non riusciva a difenderci dal
gelo, ombre scure in un inferno bianco dove, ormai,
ci si poteva riconoscere solo per la voce. Quando
dalla steppa si levava il vento forte di tormenta
si barcollava come ubriachi, si gemeva come punti
da sciami di vespe. Una notte mi accorsi di essermi
perso nella bufera. Disorientato e solo, con i
piedi doloranti, tanto da camminare a stento,
andavo avanti col pensiero di potermi riposare, di
poter mangiare, senza altra certezza all'infuori di
quella che la mia baita sui monti di Ponna, la mia
casa, mia madre, erano lontane.
- Pensavo alla
cartolina con l'immagine del presepe e di
Gesù Bambino che ella mi aveva spedito per
Natale e alle parole che mi sussurrava quando ero
bambino: " Nella legge del monte è scritto
che ogni fatica abbia un premio" e piangevo. Mi
rivedevo bambino mentre salivo l'erta del prato con
la gerla così carica di concime che sembrava
voler spezzare le gambe. Dopo, quando finalmente
arrivavo in cima e la scaricavo, tornava leggera ed
io, senza l'oppressione del peso sulle spalle mi
precipitavo giù a corsa pazza sentendomi
come le ali ai piedi. Anche in quei momenti avrei
voluto correre ma riuscivo soltanto a trascinarmi
stancamente mentre pensavo: "Mio Dio, fai che
resista ancora" e avrei voluto buttarmi sulla neve
a sognare il caldo del focolare, il suono dei
campani, il profumo del fieno appena tagliato, lo
scrosciare del torrente. Ma andavo avanti, anche se
sempre più lentamente, tormentato dal dolore
ai piedi, oppresso dal freddo tagliente, dalla
stanchezza, dalla fame.
- All'improvviso,
dopo aver superato a fatica un avvallamento, mi
trovai davanti ad una piccola isba dove brillava un
incerto lumino. La raggiunsi. Bussai. Si
affacciò sulla porta una donna russa,
osservò per un istante il mio cappello
d'alpino con la penna, poi mi sorrise e mi fece
cenno d'entrare. Aveva il sorriso di mia madre.
Entrai e la mamusca7 in silenzio mi aiutò a
svestirmi. Si prese cura di me come di un figlio;
disinfettò i miei abiti, mi diede da
mangiare frittelle di patata e zuppa calda e infine
mi porse un paio di valenchi, i famosi stivali di
lana pressata, senza cuciture e molto caldi che
volli subito infilarmi nonostante i dolori. Poi mi
sdraiai sul pavimento dove vi era della paglia e,
finalmente, nel caldo dell'isba mi addormentai
sognando la capanna del presepe ed il Bambino nella
sua culla di legno che dormiva col viso illuminato
da un raggio di luna.
- Dormii molto a
lungo e quando mi risvegliai cercai invano la
mamusca. Provai a chiamarla ma nessuno mi rispose:
era scomparsa.
- Ripresi allora
la ritirata col pensiero a quanto era avvenuto
quella notte. Mi sembrava di avere sognato ma avevo
i valenchi ai piedi e, anche se il freddo era
ancora insopportabile, l'ansia e l'angoscia erano
scomparse.
-
- 1 Sfroos. Da
sfrosare, ovvero esercitare il contrabbando,
attività diffusa nei paesi di
confine
- 2 Milit.
Sigarette molto forti che venivano solitamente
distribuite ai soldati.
- 3 Bricolle.
Contenitori di sacco sostenuti da due rametti di
nocciolo snervati ed attorcigliati che contengono
merci per un peso di oltre 30 chilogrammi. La
bricolla veniva trasportata a spalla, da qui il
termine spallone, sinonimo di
contrabbandiere.
- 4 Strüsa.
Traccia.
- 5 Canvetto.
Piccola cantina
- 6 Balca.
Avvallamento.
- 7 Mamusca.
Mamma.
Menzione
per il simbolo universale della maternità
2° Premio Letterario Nazionale "E. Trione"
-
-
Il cantore di Natale
-
-
- Un velato sole
di Dicembre era ormai scomparso da un pezzo e
nell'aria fredda le ombre erano scese a fugare la
pallida luce dell'ovest che aveva indugiato sui
muri delle cascine.
- Allora dal
minuscolo campanile della chiesetta di Erbonne si
propagò il suono dell'Angelus e i rintocchi
salirono attraverso la Val Breggia fino all'Alpe e
al passo di Orimento e si diffusero anche oltre il
confine svizzero verso Scudellate e
Muggio.
- In quell'inverno
del 1915 la neve era venuta presto e ce n'era
talmente tanta che per andare alla fontana del
lavatoio bisognava camminare dentro una bianca
trincea orlata di lucenti merletti e cristalli che
parevano capolavori di traforo. Così per
andare di casa in casa, per raggiungere l'unica
osteria.
- Ma, in
quell'ora di attesa, di Vigilia, quei sentierini
stretti scavati dentro un bianco candore s'erano di
colpo svuotati: anziani, donne e, ultimi, i
ragazzini con le guance arrossate dal gelo, si
erano ritirati nelle loro abitazioni lasciando
fuori degli usci i primi fiocchi di neve che
vorticando scivolavano lentamente verso
terra.
- Nel silenzio
greve di malinconia che era calato sul piccolo
paese nemmeno la presenza amica del Monte Generoso
sembrava di conforto a coloro che avevano figli o
mariti al fronte. A tutta la comunità
sarebbe mancata in particolare la presenza di
Pietro che aveva il dono di saper consolare tutti e
una bellissima voce; senza di lui il canto della
mezzanotte sarebbe sembrato spento e l'armonium
sarebbe rimasto muto.
- Sandro e Maria
nella loro baita all'Alpe di Gotta, al centro di
una grande conca prativa situata a circa 1200 metri
di altitudine, sorridevano finalmente contenti per
essere riusciti, invero dopo aver molto insistito,
a convincere la loro mamma a lasciarli scendere a
Erbonne dai nonni paterni. Fra questi ultimi,
d'origine svizzera, e i nonni materni, d'origine
italiana, c'erano stati in passato forti screzi per
via di un campo di patate e di un bosco maldivisi.
Anche se non erano una novità queste storie
in quel piccolo lembo di terra dove tutti erano
imparentati fra loro, (pochissimi, infatti, erano i
cognomi che si potevano leggere sulle lapidi del
piccolo cimitero, per lo più Cereghetti e
Puricelli), la giovane donna non riusciva a
metterci una pietra sopra. Ma, si sa, anche in
guerra vengono ordinate delle tregue e per la notte
di Natale Teresa decise di accontentare i figli che
volevano vedere il presepe fatto dal nonno e
speravano in una licenza miracolosa per poter
ascoltare le dolci melodie del cantore di Natale.
Pietro, infatti, che sapeva suonare l'armonium,
aveva una voce sonora che incantava tutti, grandi e
piccini, ciascuno nel suo canto udiva le parole
desiderate, il conforto sperato ed era come se,
dimenticata ogni offesa ed affanno, tutta la
comunità si allacciasse in un unico
abbraccio.
- Nel primo
pomeriggio dunque i bambini partirono contando di
giungere dai nonni prima del tramonto del sole. La
mamma sarebbe rimasta nella baita per accudire
all'ultimo nato, mentre il padre avrebbe badato
alle mucche, alle pecore, alle capre, che
abbisognavano d'altrettanto amore e che producevano
tante cose necessarie alla famigliola che era
destinata ad ingrandirsi ancora.
- Arrivati al
valico detto "Barco dei Montoni" Sandro e Maria,
che avevano percorso la ripida salita a passo
sostenuto, si fermarono a prendere fiato ma,
recuperate in breve le forze, incominciarono a
giocare.
- Il sole faceva
luccicare la distesa immacolata del pascolo e fu
divertente osservare le evoluzioni di uno
scoiattolo sui rami di un larice, leggere sulla
neve, come fosse il sussidiario di scuola, le orme
dei selvatici e seguire quelle di un capriolo forse
alla ricerca della corteccia di maggiociondolo, per
lui gustoso nutrimento dell'inverno, imitare il
"crit crit" dello scricciolo, gettarsi l'urlo ed
ascoltarne l'eco mentre si perdeva
lontano.
- Quando Sandro si
accorse che s'era fatto tardi decise di prendere
una scorciatoia che, dopo aver superato alcune
radure dove nel mese di luglio egli andava con la
sorellina a raccogliere mirtilli, s'inoltrava in
ripida discesa nel bosco.
-
-
- Al posto di
vedetta sopra il Gavia, il giovane alpino Pietro in
quella vigilia di Natale osservava la vallata
sottostante bianca di neve e pensava ai suoi cari,
alla sua casa, al suo villaggio, piccola frazione
del comune di San Fedele Intelvi, in cui ci si
conosceva tutti, dal bambino più piccolo al
pastore più anziano. Com'era lontano
ciò che amava di più e che gli
apparteneva. In quei mesi in cui s'era assoggettato
ad ogni sorta di fatica con la stessa umiltà
con cui si avviava alle fatiche dei campi e
dell'alpe, aveva però imparato a comprendere
il senso tragico della vita e il pensiero della
morte gli si affacciava alla mente senza
procurargli angoscia.
- Una cosa gli
dispiaceva: di non poter occupare in quella notte
santa il suo posto in chiesa, accanto all'armonium.
Gli sembrava di vedere il banco dove sedevano le
donne del coro, di sentire il fruscio delle loro
vesti, i bisbigli dei bambini, ma era solo la voce
del vento che annunciava l'arrivo della tormenta.
Così, quando Pietro si sporse dal suo
appostamento per controllare se stessero salendo i
portatori con i muli carichi di rifornimenti e le
lettere dei parenti lontani, confuse quella voce
col sibilo della pallottola che lo colpì in
fronte.
-
-
- Sandro e Maria
scendevano velocemente sulla neve ghiacciata che
scricchiolava appena sotto il peso leggero dei loro
corpi quando ad un tratto una nebbia grigia prese a
discendere dalla pineta del Monte Generoso che
s'erano lasciati alle spalle e fu subito un
mulinare di fiocchi, di grani di neve rabbiosi che
picchiavano con forza sul viso. In breve le nuvole
furono ai piedi dei due piccoli, li avvolsero e
oscurarono tutto.
- "Così ci
perderemo" disse Maria con un accenno di pianto
nella voce.
- "Non avere
paura" rispose Sandro aggiustando alla sorellina il
passamontagna di lana grezza fatto dalla nonna,
"presto arriveremo ad Erbonne". In realtà
non ne era così sicuro. Si sentiva colpevole
per essersi attardato nel gioco e gli tornavano
alla mente certi spaventosi racconti fatti dai
pastori più anziani, senza contare che tutto
quel buio lo aveva completamente
disorientato.
- Continuarono a
camminare senza sapere se quella seguita fosse la
direzione giusta. Intanto le ore
passavano.
- "Sandro",
piagnucolò Maria, "ho le mani e i piedi
gelati".
- "Non
preoccuparti, adesso ci ripariamo in quella grotta
che ci ha mostrato papà dove un tempo si
rifugiavano gli orsi con i loro piccoli e facciamo
quella "conta" che ti piace tanto".
- Sandro
però sapeva che la grotta era molto
più in alto, lontana da loro che si erano
sicuramente persi nella bufera di neve.
- All'improvviso,
come ad una muta invocazione d'aiuto, davanti ai
due bambini si materializzò un'ombra
possente.
- "Oh, ma è
Pietro" esclamò Maria, "Siamo
salvi!".
- Intanto come se
qualcuno avesse tirato un immaginario tendaggio la
nebbia scomparve e nella vallata tornata limpida e
illuminata dal chiarore delle stelle i due bambini
poterono scorgere il piccolo campanile di
Erbonne.
- Si precipitarono
allora correndo verso la chiesa facendovi ingresso
proprio mentre il parroco di San Fedele che quella
sera aveva parlato molto di amore, invitando a
pregare per chi era lontano, al fronte, intonava il
Credo.
- I bambini,
raggiunto il banco dove stavano i nonni, unirono la
loro voce al canto sul quale si levò
altissima e piena di tono anche quella di Pietro,
mentre il suono dell'armonium risuonava nella
piccola navata fumigante d'incenso con note ora
dolci, ora tristi, ora alte e solenni, ora basse e
fievoli, proprio come fanno i fiocchi di neve che
dopo aver sfarfallato nell'aria come risucchiati
verso l'alto si posano dolcemente a terra.
- Quando canto e
suono si spensero i due bambini corsero con lo
sguardo all'armonium ma ciò che videro fu
solamente un raggio di luna che illuminava la
tastiera proprio là dove erano solite
posarsi le mani di Pietro, il cantore di
Natale.
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