- La
montagna Valle Spluga e i
"Salvadeghi"
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- In certe mattine
autunnali, quando le cime emergono da un mare di
nebbia che sale dal fondovalle dove scorre il Liro,
è facile fantasticare e, camminando a ritroso
fino nella preistoria, risalire a 7000-10000 anni fa,
quando un gruppo di cacciatori raggiunse, nella bella
stagione, il Piano dei Cavalli, forse anche loro
affascinati da una delle più belle valli delle
montagne Retiche, caratterizzata da cascate che
scendono dai pizzi vicini, fitti boschi di conifere,
radure dove fioriscono i rododendri e ampie praterie
alpine. Quegli uomini, che avevano con sé
coltelli, archi e faretre, avevano organizzato i loro
ripari sottoroccia e, quando pioveva e si annoiavano,
dipingevano e graffivano i loro dei e le figure degli
animali che cacciavano. In quelle spelonche si
sentivano al sicuro quando dense nubi salivano dal
fondovalle ed il cielo si oscurava all'improvviso come
sotto una gelida cappa di piombo.
- Essi sapevano che
tuoni e lampi avrebbero presto conquistato i picchi e
gli strapiombi di quelle montagne e così se ne
stavano accucciati intorno al fuoco mentre tonfi
paurosi, borbottii, scoppiettii, insomma un concerto
terrificante, faceva loro battere forte il
cuore.
- Con la stessa
velocità dei fulmini passarono anche i
millenni, i secoli, gli anni, ma quelle grotte
continuarono ad essere abitate, quei sentieri che
talvolta danno l'impressione di camminare sospesi nel
vuoto, continuarono ad essere frequentati.
- All'epoca di San
Carlo Borromeo, quella delle streghe e dei malefici
per intenderci, su quei pascoli dove un tempo le cacce
erano state abbondanti, in quella valle meravigliosa,
incominciarono ad accadere cose strane. Poteva
succedere ad esempio che d'estate, quando era il
momento di falciare il fieno, i contadini, sul far
della sera, udissero strane voci che dicevano: "
Lasciateci la falce ed il falcetto e qualche cosa da
mangiare". Se ciò puntualmente avveniva, il
mattino seguente i contadini trovavano i prati
falciati. Anche i pastori, se lasciavano una ciotola
piena di latte ed una pagnotta, si ritrovavano il
giorno dopo con il burro ed il formaggio già
preparati.
- Quando scendeva la
nebbia ombre furtive si azzardavano a scendere nei
villaggi e qualche volta riuscivano ad intrufolarsi
nelle case per rubare manciate di castagne ma
soprattutto fette di torta e certi biscotti che
sapevano di burro e di erbe profumate.
- Il più delle
volte si divertivano ad infastidire i viandanti sui
sentieri della valle, urlando e buttandosi giù
velocemente dai pendii, tanto velocemente che non si
riusciva a distinguerne le forme.
- Per ovviare a
questi gravi inconvenienti, insomma per evitare di
trovarsi a tu per tu con queste strane creature, gli
abitanti dei villaggi incominciarono ad apporre
inferriate in croce alle finestre oppure a costruire
queste ultime molto piccole, quasi delle feritoie.
Inoltre tutti evitavano di passare vicino a roccioni
dove si affermava che i "Salvadeghi" avessero dimora,
specialmente di notte e col brutto tempo, che erano i
momenti in cui costoro si divertivano di più,
probabilmente perché avevano la vista acuta
come quella degli animali notturni. Chi era costretto
a transitare vicino al loro rifugio, se riusciva a
passare inosservato, caso raro per la verità,
li sentiva ridere forte, gridare e fare
rumoracci.
- Dimenticavo di dire
che "Salvadeghi" è il nome con cui ho deciso di
chiamare questi esseri bizzarri, ma, in quei tempi
lontani, capitava di sentirli nominare anche in altri
modi e precisamente: "Pelùs", "Salvàn",
"Omeon del bosc", "Crescit", "Brà_ola",
ecc.
- Col tempo i
"Salvadeghi" si fecero sempre più capricciosi e
dispettosi: leccavano in un batter d'occhi la panna
che affiorava dalle conche del latte, afferravano
lesti le pagnotte appena sfornate, rubavano in una
manciata di secondi tutti i panni stesi sui prati ad
asciugare, facevano sparire, anche di giorno, qualche
capra e qualche pecora; si diceva infine che,
approfittando delle giornate di nebbia, rubassero
persino i bambini.
- A quel punto la
popolazione cominciò a non poterne più.
Giacché a nulla era valsa la proverbiale
solidarietà della gente della valle, che sempre
si era aiutata per fare strade, costruire case,
spalare neve, si decise di chiedere aiuto alla Chiesa.
Non essendoci però in Diocesi sacerdoti in
grado di risolvere il problema, ci si rivolse
nientemeno che a Carlo Borromeo.
- Il sant'uomo aveva
fatto il suo ingresso a Milano con la dignità
di arcivescovo nel 1564, ma già alcuni anni
prima si era distinto nella lotta contro l'eresia e la
stregoneria, non solo nella sua diocesi ma in tutta
l'Italia settentrionale. Fu così che nel mese
di luglio il giovane cardinale giunse in visita in
valle, dopo aver attraversato Chiavenna in una "notte
oscurissima" con grandissima pioggia. Qui l'indomani
mattina di buon ora pregò e, davanti
all'attonita popolazione, predicò che il "falso
inimico", l'essere che tutto può con la
complicità di streghe e stregoni, può
far capolino ovunque, spesso come una bella signora
nella quale solo i piedi non hanno forma umana, altre
volte invece con le sembianze del porco, simbolo di
lussuria e delle tentazioni, altre ancora con quelle
di creature insolite e misteriose. Più tardi si
risolse a risalire la vallata, da solo, rifiutando
qualsiasi scorta e pur anche l'ausilio di una
cavalcatura.
- Giunto alla meta il
prelato tolse da una sorta di zaino una bella tovaglia
bianca e la stese nei pressi del più gran
roccione, posto a precipizio sulla montagna, dopo
avervi imbandito, lui che era avvezzo ad una tavola
più che frugale, un'invitante colazione: torte,
biscotti e altre leccornie di cui i "Salvadeghi "
erano tanto golosi. Essi, infatti, incuranti
dell'uomo, uscirono dai loro nascondigli e si
precipitarono verso il cibo urlando come erano soliti
fare.
- A quel punto San
Carlo Borromeo levò alto il braccio e
tracciò sui "Salvadeghi" un segno di croce. Si
alzò un vento che sollevò la tovaglia e
tutte le creature che l'affollavano precipitarono nel
baratro sotto il roccione, in mezzo a sibili,
schianti, boati, alle voci dei "confinati" dei
"maget", delle streghe e di tutti gli spiriti della
valle.
- Da quel giorno
nessuno vide più quelle creature ma ancor oggi,
quando le forze della natura si scatenano ed i bambini
si nascondono fra le braccia dei genitori, c'è
qualcuno che sostiene di udirne le grida.
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