- Ad
Antonio - l'unico
- Penso
spesso al paese lontano
- accanto
al mare
- quando
mi era dolce vagare
- per
le vie solitarie
- e
i giardini in fiore.
- Dove
ogni giorno il crepuscolo
- era
un leggero fazzoletto
- colorato
di rosa e d'oro.
- E
la sera lasciavo
- che
gli occhi soavi
- delle
stelle
- vegliassero
sulle mie
- malinconie.
- E
poi sognavo un cavaliere
- sul
suo destriere bianco,
- che
osasse attraversare
- i
sentieri e i prati
- del
mio piccolo cuore.
- E
scavalcare le irte mura
- dell'omertà.
- E
mi portasse con sé
- galoppando
e sbalzando
- in
aria e per terra
- i
gemiti e le inquietudini passate.
- Che
potesse, con gli occhi
dell'amore,
- penetrare
i segreti del cuore
- e
dissolvere le ombre e i timori
- come
nebbia al sole.
- Che
potesse intenerirsi
- e
struggersi per me
- e
accendere i miei acerbi
- e
silenti ardori.
- E
tenermi stretta a sé
- con
affettuosa tenerezza.
- E
librarsi insieme a me
- sulle
chiome d'argento della luna
- a
raggiungere i regni nostalgici
- della
fantasia.
- E
meditare con me sulla
vanità
- dei
desideri e dei beni terreni
- all'ombra
di uno splendido futuro
- rigoglioso
e ricco di affetti
- e
tenere effusioni.
- Poi,
un giorno, altero
- apparve
il cavaliere a lungo atteso.
- Occhi
di perle scure e lucenti,
- mani
grandi e voce suadente.
- Eri
tu.
- E
i sogni e le preghiere
- si
avverarono.
- Lunghe
ore, giorni ed anni,
- son
trascorsi
- sopra
alle bufere dell'amore,
- ai
battiti disordinati del cuore,
- alle
braccia stanche,
- alle
sommesse lacrime brucianti.
- E
sulle mute e ammiccanti
- esplosioni
di pace.
- Sei
stato il mio unico uomo,
- il
mio uomo ideale
- e
lo sarai per sempre.
- Fino
a che l'anima
- risalendo
alla luce dalle tenebre,
- sentirà
di essere partecipe
- dell'essenza
divina.
- Anche
quando le ragioni della mente
- m'ingannano.
Ma è solo illusione.
- Silenzi
misteriosi e intensi
- intercorrono
tra noi
- come
tacita intesa.
- Sguardi
profondi fluiscono
- ad
arricchire d'intima forza
- i
nostri animi.
- Travagli
del cuore, orgoglio ferito,
- esplosioni
di rabbia,
- si
rifondono in uno sguardo d'amore.
- Che
ricuce in" un attimo
- le
dolorose fratture.
- Nulla
potrà mai distruggere
- ciò
che è stato e che
sarà
- alla
luce degli eventi.
- E
quando i miei occhi si
smarriscono
- nei
tuoi fili d'argento,
- una
lacrima sguscia furtiva
- a
cancellare rancori e sofferenze.
- E
nelle ombre fiabesche della notte
- il
dolore si dilegua nel sonno
- E
la pace dell'anima
- intenerisce
il cuore.
-
-
- Tratto
dal libro "Settimo cielo"
-
- La
città sommersa
- L'estate
di quell'anno si preannunciava più torrida
del previsto. Ai primi di maggio, un caldo
asfissiante invitava a rifugiarsi già in
riva al mare per trovare refrigerio alla calura
intensa e afosa. A me piaceva il sole: i suoi raggi
avvolgenti m'infondevano allegria e
pace.
- Odiavo
invece il mare, anche se ciò può
sembrare strano, essendo una ragazza che abitava
nelle sue vicinanze. Quando i miei genitori e i
miei zii decidevano di andarci non mi proponevano
più di seguirli. Si erano ormai arresi.
Avevano provato in mille modi a convincermi che il
mare era bellissimo, che mi sarei divertita un
sacco. Qualche volta, tuttavia, ci andai, per
accontentarli. Era sempre una delusione. Il mare mi
lasciava indifferente. La gioia, che avrebbe dovuto
sprizzare da tutti i pori, rimaneva latente. Non
vedevo l'ora di tornare a casa e immergermi nella
poesia e nella pittura.
- Allora
sì che ero felice. Le mie energie si
sprigionavano e davo il meglio di me. Il mio animo
e il mio cuore trovavano finalmente la gioia
repressa. Le idee, sempre nuove, che trasferivo
sulla tela o sulla carta, fluivano con
un'intensità e un impeto tali da lasciarmi
stupita. Stavo bene così, con me stessa, con
i miei pensieri e le mie manie.Il mare non mi
mancava. Anzi, starmene seduta sulla spiaggia era,
per me, un'inutile perdita di tempo e mi annoiavo.
Studiavo anche, naturalmente, ed ero molto brava.
Purtroppo davo l'impressione di essere introversa,
perché preferivo stare per conto
mio.
- I
miei genitori disapprovavano questa scelta. In
fondo, non davo fastidio a nessuno. Semmai erano
gli altri che, a volte, m'infastidivano. Non il mio
gatto Cherì. A lui permettevo tutto. Per
certi aspetti era simile a me,
indipendente.
- Quando
studiavo, saltava con passo felpato sulla scrivania
e si sdraiava sul libro che avevo davanti col suo
corpo flessuoso, per cui dovevo interrompere tutto
per fargli le coccole. Aveva il mantello tigrato e
un orecchio mozzo, a causa, probabilmente, delle
sue scorribande notturne nei giardini
limitrofi.
- Non
avevo né fratelli né sorelle. Le mie
amiche m'invidiavano. Col gatto non potevo certo
litigare, come spesso succedeva a loro con i
fratelli. Tutto sommato, il fatto di essere figlia
unica aveva i suoi lati positivi. Avevo a
disposizione un grande giardino con tanti alberi da
frutto che era il mio regno. Mi piaceva osservare
le formiche quando in fila trasportavano le
briciole che davo loro, e mi guardavo bene dal
calpestarle. All'ombra del grande mandarino,
durante le vacanze estive, avevo scoperto la gioia
della lettura. Trovavo stranamente interessanti le
storie di mare, anche se non ci andavo mai. A
volte, per inerzia, sognavo ad occhi aperti. Mi
piaceva osservare il cielo, distesa sull'erba, col
naso all'insù, quando tutti riposavano,
rispettando il sacro rito della siesta
pomeridiana.
- Mi
divertivo a fantasticare, soprattutto nelle
giornate di vento, quando con gli occhi accarezzavo
il contorno delle nuvole che mi passavano davanti
mentre loro facevano mille capriole nel cielo,
assumendo aspetti caratteristici e fantastici. Via
via scorrevano cavalli alati, profili di personaggi
strani o gnomi e fate che mi salutavano coi capelli
al vento. Ero una sognatrice senza speranza e
un'inguaribile romantica.
- Immaginavo
di visitare luoghi incontaminati dove mai nessuno
era approdato prima. Volevo avere il privilegio di
essere l'unica a sperimentare cose mai viste da
altri. Mi immedesimavo talmente nelle letture e nei
personaggi che, talvolta, non sentivo nemmeno mia
madre che mi chiamava. Mentre leggevo una di quelle
favole accadde un fatto incredibile. Ancora oggi, a
distanza di anni, stento a credere che si sia
trattato solo di fantasia. Forse mi ero
addormentata, op-pure ero stata colta da malore, o
semplicemente, come per magia, i miei sogni avevano
preso forma e consistenza. Non lo so. Fatto sta
che, di punto in bianco, mi ritrovai in un luogo
straordinario. Protetta da una capsula trasparente,
potevo osservare ciò che avveniva intorno a
me. Mi passavano davanti pesci dalle forme bizzarre
e dai colori sgargianti. Un puttino etereo dalle
ali dorate mi sorrise volando leggero come una
libellula. Brandiva un'asticella con una stella
fissata alla punta, dalla quale cadevano coriandoli
d'argento che si diffondevano nell'acqua restando
sospesi in un firmamento splendente. Piante
fantastiche ondeggiavano al movimento dell'acqua
creando un'aureola luminosa tutt'intorno. Era un
fondo marino affascinante, non nero e pauroso come,
a volte, crede la gente. Su nuvolette rosa, sospese
tra i flutti, i puttini intrecciavano ghirlande di
fiori marini lanciandosi manciate di stelle. A un
certo punto, mi trovai nei pressi di una barriera
corallina. Ero sospinta da una forza che mi
permetteva di addentrarmi tra i misteri di quelle
deliziose profondità marine. I coralli,
sfavillanti di bagliori, si muovevano al moto
naturale delle onde. Al di là del vetro di
protezione della capsula, si materializzò
una donna stupenda dal volto diafano che, sospesa
nell'acqua, mi fissava. I lunghissimi capelli come
fili d'argento si spargevano lasciando una scia
lucente. Dal dorso le spuntavano grandi ali
percorse da una fitta rete di minuscoli brillanti,
e dei veli impalpabili si libravano andando a
intrecciarsi con i capelli. La seguii, guidata
sempre da quella strana forza, e mi trovai in una
specie di grotta sulle cui mura si rifletteva un
gioco di luci sfolgoranti. Ebbi paura e il mio
corpo fu attraversato da un brivido. Ma quella
donna, che aveva percepito la mia incertezza con il
suo sguardo azzurro, riuscì a infondermi la
sicurezza di cui avevo bisogno. Rimasi stupita di
come fosse riuscita a leggere nei miei pensieri in
modo tanto repentino. Assorta nelle mie
riflessioni, ebbi improvvisamente l'apparizione di
uno spettacolo fantasmagorico, segno evidente che
io e la mia guida eravamo giunte alla fine del
tunnel. Una meravigliosa città sommersa,
adagiata su una roccia di alabastro, rifulgeva in
tutta la sua maestosa bellezza. Un immenso castello
sfavillava di colori. Le mura erano un intreccio di
stelle marine. La sua costruzione non era
terminata: intorno stavano infatti lavorando
migliaia di omini simili a gnomi. Gigantesche
stelle comete trasferivano i vari materiali da una
zona all'altra del palazzo. Su scogli scintillanti
si crogiolavano conturbanti sirenette dalla voce
melodiosa. Non avevo mai visto uno sfarzo simile.
Dal castello vennero fuori delle creature simili a
fate che si muovevano nell'aria come piume sospinte
dalla brezza. Mi presero per mano: il tocco delle
loro dita affusolate era leggerissimo. Realizzai
all'istante con gioia che, come per incanto, ero in
grado di muovermi libera dalla capsula protettiva.
Mi condussero nel loro magnifico castello dove
tutto rispecchiava la magia di quel regno favoloso.
Mi trasformarono lentamente in una di loro.
Sfilarono i miei indumenti, sostituendoli con altri
adorni di pietre preziose. Infine, posarono sui
miei capelli un diadema di diamanti. Ero diventata
una bellissima fata. Poi, le creature erano svanite
insieme al sontuoso castello, alle sirene, alle
splendide rocce e allo spettacolare fondale marino.
Non restava più nulla dell'incantevole
paesaggio. C'ero solo io. Notai con rammarico che
indossavo i soliti abiti. La delusione fu totale.
Perfino il mio giardino, sebbene stupendo, mi
appariva insignificante al confronto con il
meraviglioso paese che avevo visitato. I colo-ri
degli alberi mi sembravano sbiaditi rispetto a
quelli intensi del mio "sogno". Ero ancora seduta
sul prato, incredula, quando notai, poco distante
da me, il diadema delle fate che scintillava
nell'erba. Mi ritrassi spaventata. Tremavo in preda
a un intenso turbamento. Era reale e diffondeva i
suoi riflessi cristallini. Pensai che, in quel
luogo fantastico, forse c'ero stata davvero. Non
raccontai quello che mi era accaduto, perché
nessuno ci avrebbe creduto. Io invece credo nei
sogni, e conserverò per sempre il prezioso
diadema che attesta la veridicità del mio
viaggio. Ora, guardando il mare, mi tornano in
mente le meraviglie sommerse che questa immensa
massa d'acqua nasconde, e che nessuno, all'infuori
di me, conosce.
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- Dal
libro Greta May - Passioni e
mistero
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- Soluzione
estrema
- Non
so da quanto tempo stia fissando il soffitto bianco
del-la stanza. Non sono in grado di coordinare le
idee. Si affacciano alle soglie della mente come
folletti imbizzarriti che si stanno burlando di me,
rincorrendosi tra i cunicoli degli emisferi
cerebrali alla ricerca della
verità.
- Farei
qualunque cosa per poter individuare la ragione di
questo mio stato embrionale che mi sta conducendo
pericolosamente indietro nel tempo. Mi sembra di
essere tornata neonata, quando non si è
ancora in grado d'intendere né di volere e
si è alla mercé degli altri. Come
questo giovane che sta vegliando al mio capezzale
con gli occhi velati dalle lacrime. Mi fa una
carezza; la sua mano è fredda e un brivido
mi percorre di lungo in largo. Scuote la testa
mentre lacrimoni grossi come chicchi di grandine
rotolano giù fino a in-zuppare il lenzuolo
candido.
- Lo
guardo con occhi stralunati e inespressivi come
quelli di una bambola di pezza. Sono stupita, non
lo conosco, ma piange per me.
- «Sono
stati lesi centri nervosi di vitale
importanza.» Sta dicendo l'uomo dal camice
bianco al ragazzo seduto sul mio letto. Mentre si
allontana gli consiglia di andare a
riposare.
- «Tanto
è inutile restare, non la riconosce,
è simile a un vegetale.» Aggiunge prima
di chiudersi la porta alle spalle.
- L'uomo
mi da un bacio sulla guancia e va via lasciandomi
sola in questa stanza dove il silenzio regna
incontrastato. Non sono in grado di parlare, di
riconoscere nessuno né di muovermi. Come se,
al posto degli arti, avessi manici di
scopa.
- Continuo
a guardare il muro finché una luce soffusa,
calda e avvolgente, si sparge ovunque fino a
esaurirsi.
- Poi
un velo buio ricopre la stanza in un continuo
alternarsi di chiari e scuri: mentre io resto
invece inerte lasciandomi curare dagli infermieri
di turno. Loro non sanno che io ho il privilegio di
ascoltare, anche se il mio tracciato
elettroencefalografico risulta piatto: per un
fenomeno prodigioso che non rientra nell'ordine
naturale delle cose. Ho smarrito la cognizione del
tempo che sento sfuggire, lasciandomi con la vita
appesa a un filo.
- All'improvviso,
un'oscurità perenne stende le sue ali nella
stanza oppure si è solo insinuata nella mia
mente e tutto, intorno a me, è restato
immutato. Mi sembra d'intravedere, attraverso
l'aura buia che mi si è creata intorno,
volti mesti e sconosciuti che si alternano al mio
capezzale.
- Sono
deceduta, questa è la verità e sto
presenziando di riflesso alle mie esequie. Poi
quando il coperchio della bara d'ebano sta per
chiudersi sopra di me, una mano diafana, lo
trattiene facendolo scivolare con un tonfo sordo
sul pavimento della mia stanza che qualcuno ha
tirato a lucido per l'occasione.
- D'un
tratto, mi ritrovo in posizione verticale e guardo
meravigliata la misteriosa creatura circonfusa da
raggi di luce che si allontana e svanisce con la
sua nube chiara. Nella stanza si è sollevato
un gran putiferio, la gente corre di qua e di
là, fino a che resto sola, ancora seduta
nella bara rivestita di raso bianco e riccamente
decorata da rose e orchidee.
- Soltanto
un uomo mi sta venendo incontro cauto e con passo
felpato per paura, forse, di vedere dissolversi
l'incanto creato dalla situazione paradossale, ai
confini della realtà.
- Mi
sta contemplando con occhi terrorizzati in un volto
esangue. Lo riconosco, finalmente, è mio
fratello Marco, che mi ritrovo tra le braccia. In
silenzio cerca di aiutarmi ad abbandonare il
macabro giaciglio. Senza riuscirci perché,
anche se sono viva, le funzioni sensoriali relative
alla motilità volontaria, sono soppresse e
le gambe non rispondono ai miei
comandi.
- Sono
seduta su una sedia per paralitici mentre il medico
mi riferisce che mi sono imbattuta in un trauma
cranico, a seguito del quale, il mio cuore ha
cessato di battere temporaneamente simulando un
decesso a tutti gli effetti.
- «Il
classico caso di morte apparente, raro ma
possibile.» Conclude sereno il dottor Dario.
Lo guardo strabiliata. Come se restare in vita ma
ancorata su una sedia a rotelle, che mi preclude la
possibilità di usare le gambe, sia una manna
caduta dal cielo. La mia colonna vertebrale ha
subito danni irreversibili nel grave impatto che si
è verificato. Non posso accettare questa
cruda evidenza.
- Per
non rattristare mio fratello faccio buon viso a
cattivo gioco. Ha deciso di trasferirsi da me per
tenermi compagnia. So che lo fa volentieri. Ma
dentro di me ormai la voglia di vivere ha segnato
una svolta definitiva, abbandonandomi a una
depressione senza limiti.
- Ho
sognato la creatura angelica che mi era apparsa
sfolgorante di luce mentre ero in procinto di
intraprendere il lungo viaggio verso l'ignoto. Mi
ha guardata aggrottando la fronte e nei suoi occhi
blu vi ho letto tanta malinconia. Poi è
scomparsa.
- «Non
mi abbandonare, ti prego.» Ho esclamato tra le
lacrime, mentre lei ormai non poteva ascoltarmi
più.
- Mi
sveglio di soprassalto.
- È
notte fonda.
- La
mia decisione è maturata in
fretta.
- Non
voglio vedere un nuovo giorno e tanti altri ancora
se devo essere condannata a vivere così.
Prendo la lama che usa mio fratello per radersi e
mi taglio i polsi. Poi attendo la pace eterna
implorando la regina delle tenebre di accogliermi
nel suo freddo abbraccio, risolvendo così, i
miei conflitti inconsci.
- Non
so come mio fratello abbia intuito il mio insano
gesto.
- Forse
il richiamo dell'amore fraterno o un presagio di
sciagura imminente, l'hanno indotto a controllare
il mio sonno.
- Ora
sono in clinica con il corpo cosparso di
tubicini.
- "Lei"
mi attende avvolta in una luce azzurra, mentre i
suoi occhi sono due buchi neri, enormi come
voragini.
- Mio
fratello si sta disperando. «Qualcuno è
entrato qui e ha staccato i fili.» Grida preso
dal panico e porterò con me per sempre le
sue invocazioni di dolore. Mentre sto volando con
la mia signora verso la nuova dimora, mi struggo
per lui.
- Vorrei
che sapesse la verità.
- Nessuno
ha staccato i fili che mi tenevano legata alla
vita.
- È
stata "lei" a farlo perché gliel'ho chiesto
io.
- La
sua mano sta liberando la mia come un uccello che
avvia al primo volo il proprio cucciolo e mi
ritrovo a percorrere un sentiero di luce, alla fine
del quale, mi accoglierà, nella sua
pietà infinita, il mio angelo custode dagli
occhi blu.
-
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