Autori contemporanei
affermati, emergenti ed esordienti
Simonetta Gravina
Ha pubblicato il libro
- Simonetta Gravina - La stanza dei balocchi
Collana Le schegge d'oro (i libri dei premi) 15x21 - pp. 48 - L. 21.000 - Euro 10,85 ISBN 88-8356-237-2
Prefazione
- "La stanza dei balocchi" è una silloge di poesie da sfogliare per dare vita ai sogni, per liberare la nostra anima ed i suoi "balocchi" risvegliano la speranza ed i desideri: per credere in un futuro migliore.
- Simonetta Gravina ci invita con garbo a godere il profumo della vita, senza nostalgia o rimpianti, a smarrirci in un girotondo con parole che sfuggono alla nostra mente, tra delirio e realtà, fuori dal tempo. A volte le sue parole sono sussurrate in fretta e hanno un sapore un po' amaro, altre volte sono generate dall'"inferno del cuore" e dal tormento ma hanno sempre una direzione comune: la ricerca di una méta, di un luogo dove vivere il proprio equilibrio interiore, la pace dell'animo.
- Le strade da percorrere sono, come sempre, tortuose e richiedono continua attenzione perché si può sempre precipitare vorticosamente nel baratro, essere "risucchiati in un gorgo magnetico, gestito dalla follia".
- Ecco allora che si deve cercare tra i recessi della mente, "artigliare le memorie" anche se "le lacrime scavano solchi nell'anima".
- Non a caso Simonetta Gravina sente che il suo cuore è perso in un "mondo agnostico difficile da capire", un inesauribile "gorgo profondo che risucchia" ed ha il suo epicentro nell'antitesi tra la tristezza e la tenerezza: "lame infuocate su sentieri ghiacciati".
- Sullo sfondo delle passioni e delle innumerevoli sfumature della vita, trovo emblematica la poesia "La partita a scacchi" nella quale la scacchiera carpisce i pensieri incurante della vita:"I pedoni allineati/ marcian tronfi, imbambolati./ Sopra i merli delle torri/ sono issati sogni folli./Gli alfieri nella notte/ i vessilli hanno spiegato/ per un sogno mai vissuto/ una chimera del passato./ I cavalli imbizzarriti/ son dal vento cavalcati/ e ora scalciano per niente/ contro il fato prepotente./ Siede il re, sul trono avito./ Scacco matto gli han servito./ La regina si è destata/ e lo guarda scanzonata./ E laggiù dalla scogliera/ getta in mare la scacchiera".
- La vita come una partita a scacchi, fatta di strategia, mosse e contromosse, arrocco, aperture e chiusure: una eterna lotta non per una vittoria o uno scacco matto, tanto inutile quanto effimero, ma per la conquista o la scoperta di un'oasi alla quale dissetarsi d'amore, lasciarsi accarezzare dal vento, godere i profumi intensi ed i colori: poco importa sia la bellissima Ponza (che ben conosco avendo soggiornato per qualche anno a Formia) o Ventotene o qualunque altro luogo.
- Ognuno di noi vivrà la sua isola, scruterà la realtà filtrata attraverso le metafore ed i simboli che continuamente cercano di definire i misteri dell'amore, della bellezza, della vanificazione di ogni cosa: questo nostro mondo, questa nostra stessa vita.
- Le poesie limpide, serene, appassionate, dense di infinite sfumature da scovare attraverso l'evidente meraviglia dello sguardo di Simonetta Gravina, aprono la porta verso la serenità interiore e la gioia, nonostante tutto, come lei stessa scrive "la vita è un gomitolo/ che si svolge intrigante/ rincorrendo affannata/ un ruscello sfuggente".
- Massimo Barile
Introduzione - In nome di quel "fanciullino" che dorme dimenticato, nel sobborgo del nostro cuore, dovremmo, qualche volta, guardare indietro, e dare aria, alla stanza dei balocchi.
- Svegliare quell'eterno bambino che con fiducia si affaccia alla vita.
- Rendergli i suoi sogni, riconciliare con la speranza quella "creaturella" che vedeva il mondo per la prima volta.
- E ritrovare i balocchi sarà come riaccendere i desideri.
- E credere nel domani, e se non c'è, crearlo.
- E basta crogiolarsi nella crepuscolare malinconia Gozzaniana, pregna del rammarico e della nostalgia per "quelle cose che potevano essere e non sono state".
- E impariamo a godere del profumo della nostra rosa, senza pensare a "quella che non colsi", che probabilmente, adesso sarà avvizzita e piena di spine!
- Dedico a Te papà, questa mia raccolta di versi.
- Allo scrittore latente che viveva nel tuo cuore.
- Smarrimento
- Mi persi quella sera,
- in un girotondo,
- e non trovai più,
- la porta del mondo.
- Mi smarrii tra le stelle,
- tra la via Lattea e Sirio,
- e rimasi lassù,
- tutta sola,
- in delirio.
- Voltai le spalle all'amore.
- E non cercai più,
- quella porta.
- Ma un varco tra le nubi,
- ad un tratto si fece,
- e abbracciai con lo sguardo,
- ai miei piedi, le cose.
- Volevo restare.
- Curar le ferite.
- Ma tu mi pregasti,
- e varcai quella soglia,
- perché senza me,
- la tua vita era spoglia.
- E di vivere ancora,
- non avevi più voglia.
- Potrei
- La notte si adorna di magici orpelli.
- Il sonno mi prende e la vita sospende.
- Parole slegate sfuggono dalla mente,
- e rimbalzano tra delirio e realtà.
- Vestite di niente.
- Potrei continuare a dormire,
- e lasciare le mie pene nel sonno.
- Potrei fuggire,
- e rifugiarmi in un sogno.
- Potrei evaporare,
- come rugiada al sole.
- Potrei liberare i fiori,
- che nascondo nel cuore.
- Potrei esibirmi,
- in acrobazie sopra un filo.
- Potrei estrarre uccelli,
- dal mio vecchio cappello.
- Potrei svuotare tutti i cassetti,
- e liberare i sogni,
- che vi dormono stretti.
- Potrei camminare,
- lungo il greto di un fiume,
- e svegliare i sassi assopiti.
- Potrei librarmi in cielo,
- incontrare le stelle, e udirle tintinnare,
- come cristallo.
- Potrei svegliarmi, riaddormentarmi.
- Ascoltarti parlare.
- O per follia,
- potrei voler restare,
- qua tra le stelle a riposare.
- A te
- Aldilà della notte,
- al di fuori del tempo.
- Il mio cruccio sei tu.
- Il mio grande tormento.
- Nell'inferno del cuore,
- tra le vie della mente,
- tu sei costante,
- ogni ora presente.
- Ti vorrei sostenere,
- poterti aiutare.
- Sottrarti, amor mio,
- all'antico male.
- Gettare su me,
- tutto ciò che ti affligge.
- Vorrei ritornare,
- a quel giorno lontano,
- quando piccino,
- mi stringevi la mano.
- Il giorno è splendente.
- La notte ti ascolta.
- Sù mio campione,
- sorridi al destino,
- riprendi il cammino.
- La strada è tortuosa,
- ma dolce è la meta.
- Mio bel cavaliere,
- imbranca la spada!
- Lo vedi?
- Laggiù per te, c'è una stella.
- Coraggio bambino,
- il sole è vicino.
- Riemergi campione,
- dal buio cammino.
- Tu sei il più forte.
- Ti sono vicino.
- Risveglio
- E mi svegliai!
- Precipitavo vorticosamente,
- sprofondando in un baratro,
- irto di aculei fiammeggianti,
- senza fine,
- risucchiata in un gorgo magnetico,
- gestito dalla follia,
- attratta in un vortice,
- ai limiti della paranoia,
- annaspando, tra le putride acque,
- del dubbio,
- assalita da viscide alghe.
- E cercai. Cercai disperatamente,
- frugando tra i recessi della mente,
- sgretolando con gli artigli,
- il muro della memoria, nella
- filigrana della realtà,
- in cerca di una verità celata,
- un attimo da salvare.
- E mi travolse, qual muro che crollava.
- E tutto intorno a me si infranse.
- E mentre le lacrime scavavano
- solchi accesi nella mia anima,
- le membrane incrinate della mente,
- esplosero. E incontrai il dolore,
- che mi offrì la sua coppa.
- E bevvi, come nettare, il fiele.
- E sprofondai. Ancora più giù,
- sempre più giù, nel nonsenso.
- E approdai, rabbrividendo con disgusto,
- nel gelido lago della tua mente.
- Roma, 13 gennaio 2000
- Bufera d'estate
- Una cappa pesante,
- opprime il mio cuore.
- Minacciose nel cielo,
- si addensan le nubi.
- Scontroso il sole,
- diserta la scena.
- Eolo si appresta,
- a svuotare il suo otre.
- Nel cielo adombrato,
- esplose la furia.
- Squarciate, le nubi,
- scoppiarono in pianto.
- Stravolta la chioma,
- la foresta di pietra,
- le scheletriche braccia protese,
- in preghiera.
- Dall'Olimpo, Zeus,
- scatenò le saette.
- Tra lampi e bagliori,
- la terra si accese.
- Ma in estate, si sa,
- la tempesta non dura.
- Il sereno tornò,
- si placò la natura.
- Tutto ora è calmo,
- ma nulla è com'era.
- Sfiducia e dubbio,
- cavalcano a fianco.
- Due linee distratte,
- due parallele protese.
- E mai più,
- si potranno incontrare.
- L'arcipelago del malessere
- Qualche volta mi sento un'aliena,
- persa in un mondo agnostico, che non so capire.
- Qualche volta vorrei dimenticare, poter ignorare.
- Qualche volta mi vorrei sbarazzare di robot, fretta,
- pillole killer e male.
- Qualche volta, vorrei azzittire,
- quell'astratto signore, che in virtù della notizia,
- con voce pacata narra,
- storie di sangue, di pazzia e di orrore.
- La conoscenza della realtà è forza troppo grande,
- per l'ignorante stupore.
- E talvolta la mente fiacca nella follia si esalta,
- e al mostro dona allori e lo eroicizza.
- E nell'emularlo poi, di sangue e fango,
- le sue mani imbratta.
- Qualche volta, vorrei parlare con un adolescente,
- fragile fiore senza passato,
- figlio di un arcipelago ignoto,
- dove il linguaggio dei sentimenti è stato dimenticato.
- "Vorrei conoscere la radice del tuo male.
- Di quel gorgo profondo che ti risucchia il cuore.
- La matrice dell'odio, il perché del rancore!".
- E al mio dire accorato, si leva con sdegno,
- un vecchio fanciullo, di malessere pregno.
- "Non giudicare, ragiona col cuore.
- Ti voglio parlare del mio dolore.
- Perché non si spoglia del suo sussiego,
- e non cresce con me. Non mi fruga nel cuore?
- Perché non si ferma e si sforza a capire?
- Perché non combatte con me, il mio dolore?!
- Ma no, non ha tempo. È troppo impegnato.
- Mio padre è importante.
- Lui è un uomo arrivato!".
- Ricordando un amico
- Secca è la pianta,
- la foglia ingiallita.
- Sanguinano i rami
- della tua vita.
- E lei vivrà,
- chiusa in tristezza,
- la solitudine,
- al posto della tenerezza.
- Va cieco il vento,
- scompigliando le fronde,
- senza riguardo,
- per quello che rompe.
- Marionette volteggiano,
- la vita è in malora.
- Domani il sole,
- sorgerà ancora.
- Il mio cuore gonfio,
- detta ora un saluto,
- a Te amico caro,
- che non ho più veduto.
- Secca è la pianta,
- la foglia ingiallita.
- Si sgretola a pezzi,
- la fragile vita.
- 18 febbraio 2001
- Affinità elettive
- Nel silenzio profondo,
- la tua mente errabonda,
- raggiunge la mia,
- sulla medesima onda.
- Lo sguardo affonda nella tua mente,
- che la mia penetra e la comprende.
- La bocca tace, ma il cuore canta,
- intrigante complice,
- sulla tua stessa banda.
- Muta ti osservo, la bocca non dice,
- ma io so che comprendi,
- quello che tace.
- Non c'è bisogno di sprecar parole,
- quando è la mente a dialogare.
- La bocca è muta, ma il cuore attento,
- e già sa tutto, su ciò che sento.
- Amore mio, l'anima canta.
- Vieni, ti aspetto sulla nostra banda.
- L'addio
- Lame infuocate,
- su sentieri ghiacciati.
- Frasi sfuggite,
- così a mezza bocca.
- Profili distratti,
- che non stanno a sentire,
- rivolti a un futuro,
- ormai superato.
- Strade dirette
- verso diversi domani.
- Parole slegate
- sussurrate di fretta,
- per concludere presto,
- un rapporto annoiato,
- dal sapore un po' amaro,
- che ti allappa la bocca.
- Desaparecido
- Un corpo in croce giace nel mare.
- Chi sei creatura, che non sa più pregare?
- Un Albatro bianco sorvola le onde.
- I corpi sono troppi, si rincorrono a fronde.
- Gli occhi sbarrati implorano il cielo,
- la bocca serrata è colma di terra.
- Ma cosa è accaduto nel vostro paese,
- che così vi ha costretto, anime appese?!
- Chi vi ha ridotto a tanta onta?
- Non c'è pietà sussurra l'onda.
- Non c'è vita, né terra, né amore.
- È l'olocausto di un intero paese.
- Io non mi chiamo.
- Non sono morto, non sono mai nato.
- E se per caso, lo fossi stato,
- è per morire, che fui creato!
- Io non ho nome.
- Né casa, né onore.
- Sono un "DESAPARECIDO",
- e rovente è il mio cuore!
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