- L'allievo
-
-
-
La finestra socchiusa dello studio sbatté
leggermente, richiudendosi alle sue
spalle.
- Con
la sensazione che quello fosse un "segno" di
ostilità ambientale collegato,
chissà
- come,
al suo umore spento e vagamente annoiato, incapace di
concentrazione sullo spartito, pensò che quella
non fosse una giornata propizia e decise di chiudere
così con gli esercizi quotidiani.
- Tolse
definitivamente le mani dalla tastiera del pianoforte,
vi stese sopra la striscia di pannetto verde ed
abbassò il coperchio.
- Alzandosi,
volse lo sguardo verso la cucina, dalla quale un odore
di caffè arrivava ancora a tentarlo; ma dopo un
attimo di incertezza si diresse pigramente alla
finestra, dove una tendina era rimasta incastrata
nella congiunzione delle ante.
- La
giornata di sole caldo e luminoso pareva aver
riportato il clima indietro di due mesi, quando, in
piena estate, già al mattino presto faceva
così caldo da fargli prendere un giorno una di
quelle decisioni alle quali non riusciva mai a venire
a capo, rimandandone continuamente la conclusione,
com'era suo solito. Era stato verso la metà di
luglio, quando gli esami di diploma lo avevano
stancato oltre il previsto, mentre faceva un caldo
insopportabile e i ragazzi sudavano più del
solito sulla tastiera e lui si disse con animo deciso
che " per quest'anno sarebbe andata ancora
così, ma che sarebbe stato l'ultimo. Che il
condizionatore era ora di comprarlo; che addirittura
le dita gli scivolavano sui tasti bagnati di sudore; e
che anche per dormire meglio era diventato
necessario".
- Avrebbe
fatto, probabilmente, come al solito. Si sarebbe
informato da qualcuno che di queste cose se ne
intendeva; magari gli avrebbe fatto vedere
l'appartamento e qualora avesse avuto l'impressione
che l'interpellato fosse una persona che , oltre ad
essere competente, fosse anche onesta, si sarebbe
lasciato convincere. In quanto poi a certi prezzi di
cui aveva sentito parlare per fare un buon impianto,
pazienza: era così; e poi se lo poteva
permettere. Ma sicuro! Non si poteva certo dire che
stesse sempre a spendere, anzi. Certe volte si
meravigliava lui stesso di quanto poco, in fondo,
spendesse i suoi soldi. A volte si accorgeva di
ciò, quasi improvvisamente, per lo più
mentre passeggiava sotto i portici a fianco di tutte
quelle vetrine quando di colpo si arrestava, attratto
dai più disparati oggetti, fissandoli fino a
convincersi che li avrebbe acquistati. Ma poi, dopo
averli osservati bene e, con l'immaginazione, averli
sistemati in quello che gli sembrava il luogo
più adatto per la sua casa, lasciava,
altrettanto improvvisamente, cadere l'idea,
convincendosi di punto in bianco del contrario e
allontanandosi con un lieve sorriso, già
contento così, di essersi concesso una bizzarra
fantasticheria.
- "
Beh!, vedremo
", gli passò per la testa a
proposito del condizionatore, mentre richiudeva la
finestra.
- All'improvviso
il telefono si mise a squillare.
- Quel
rumore inaspettato, insistente ed imperioso lo
lasciò di stucco per un istante, durante il
quale interrogò la memoria. Non gli venne in
mente niente lì per lì e si
affrettò all'apparecchio anticipando la
risposta automatica della segreteria.
- "Sì,
pronto?"
- "Pronto,
il professor Viviani?" Una voce di donna dall'altra
parte del filo gli chiedeva se fosse proprio il
maestro di musica e insegnante di pianoforte Corrado
Viviani, del Conservatorio.
- "Sono
io", rispose non senza una certa
diffidenza.
- "Buongiorno"
continuò la voce in fretta come se temesse un
brusco tentativo di interruzione da parte di lui.
"Scusi se la disturbo professore. Sono la mamma di un
ragazzo che fa la seconda
. La seconda media
voglio dire; e siccome voleva
anzi io, io e suo
padre vorremmo, per la verità, che riprendesse
gli studi di piano
Ecco, noi volevamo chiederle
se lei potesse "sentirlo" un attimo, per invogliarlo
un po' ecco; perché lui, mio figlio, era bravo
quando circa due anni fa si mise a prendere le prime
lezioni
. e aveva anche entusiasmo. Gli avevamo
preso il pianoforte, perché sembrava proprio
che gli piacesse, poi
Poi, a un tratto si
è stancato, non lo so
.. Comunque, adesso
l'ha abbandonato quasi del tutto; sembra che non gli
piaccia più. Ma era bravino, come le ho detto.
Ed è un peccato
anche per il pianoforte,
voglio dire: è lì che non viene quasi
più toccato ed è un peccato. Se lei
potesse sentire cosa gli è rimasto e magari
incoraggiarlo, ecco, mi farebbe un grande
piacere
"
- Era
una voce ferma, sicura, di chi è abituato a
stare al telefono. Le poche esitazioni i cui era
incorsa erano dovute sicuramente al fatto di parlare
ad uno sconosciuto.
- Le
pause che di tanto in tanto aveva creato erano servite
per tendere l'orecchio cercando di percepire una
qualche sensazione nel respiro che provenisse
dall'altro capo del telefono. Poi, non essendo stata
interrotta, la voce rallentò, verso la fine
della spiegazione, lo slancio iniziale del discorso; e
si fermò all'improvviso, con un abbassamento di
tono, fino a smettere di parlare, in una sospesa
attesa di risposta.
- Corrado
lasciò passare solo un istante prima di
rispondere. Era piacevolmente colpito da quella voce,
ma soprattutto dal modo di parlare di lei.
- "Ma
guardi, signora", rispose infine con tono calmo e
affabile, "lezioni private non ne do più, ormai
da anni. Non so come dirle ma
ho deciso
così allora per motivi che non sto a spiegarle.
Ormai si sa che dico di no e non me lo chiede neanche
più nessuno
. Veramente, mi dispiace
Capisco benissimo che è un peccato,
tuttavia
"
- "Ma
è solo per sentirlo", fece di colpo, ma
garbatamente, lei. "Per sentire cosa gli è
rimasto dopo due anni e soprattutto per incoraggiarlo
a riprendere. Poi se lei dice che può
riprendere e da che punto
e se, con il suo
consiglio, lui si decide,
allora lo
manderò da qualcuno. Magari me lo dice lei da
chi, se conosce un insegnante disposto".
- Di
nuovo si interruppe pronunciando a bassa voce l'ultima
sillaba; e di nuovo quella voce lo colpì.
Arrivava, da quelle parole, un sottofondo di suoni
bassi, lievemente smorzati, su cui poggiavano note
decise, come una fila di ottoni e di clarinetti e le
esalazioni del respiro ne caratterizzavano il timbro,
dando, alla voce stessa, movimento e unità di
ritmo. La sensazione forse più stravagante che
percepiva Corrado era quella di poter indovinare i
lineamenti di una simile cavità orale, che egli
immaginò ampia; e l'accentuazione delle ultime
sillabe gli dava l'idea di una persona pronta al
sorriso.
- "Beh,
senta
Non so
. Lei quando vorrebbe
venire?
."
- "Anche
oggi, se vuole!
.. Se può, anche
oggi."
-
- Arrivarono
dopo un'ora circa, lei e il ragazzo.
- Quando
aprì la porta, Corrado vide la bocca di lei
quasi esclusivamente e il suo cuore
sussultò.
- Ci
sono sorrisi che dicono tutto. Sgombrano il campo da
ogni perplessità e reticenza. Hanno a che fare
direttamente con l'anima; e non si fermano sullo
sguardo altrui, ma scendono. Vanno dentro espandendo
le
. E
dove si posano. Il corpo
rimane immobile e lo sguardo trafitto.
- Rimase
attaccato con lo sguardo ai suoi occhi neri, gli
zigomi leggermente pronunciati, i capelli scuri
arricciati e ancora quel sorriso contornato da labbra
carnose e sensuali. Lei, con espressione divertita,
osservò per qualche istante lo sguardo
insistito di lui, prima di dire: "Eccoci qua!".
Aggiunse anche una piccola risatina di compiacimento
che risuonò leggera e secca come una serie di
accentuate espirazioni.
- Corrado
si accorse del proprio attimo di confusione e
guardò di colpo in basso, verso il ragazzo e
con aria gentile e disponibile li esortò:
"Bene. Entrate, prego
"
- Il
giovane era un ragazzetto robusto, con le gote rosse e
rotonde; dall'aria un po' triste, come chi è
trascinato ad un supplemento di fatiche scolastiche
impreviste ma che, con appena malcelata rassegnazione,
dà a vedere di essere disposto a
sopportare.
-
-
Dopo che furono entrati, passarono nello studio e si
presentarono.
- "Mi
chiamo Paola", fece lei porgendogli la mano, "Paola
Melotti; e questo è Enrico". Il ragazzo sorrise
timidamente guardando il piano, quindi si accomodarono
tutti e tre al tavolo rotondo vicino alla finestra,
sul quale Enrico appoggiò la cartella che si
era portata appresso.
- "Bene.
Tua mamma mi ha detto che hai preso lezioni per
qualche tempo. Vuoi farmi vedere che cosa avete fatto
e su quali libri?"
- Corrado
cercò di assumere un tono il più cortese
possibile ed Enrico aprì la cartella tirandone
fuori due volumi di solfeggio e tre di tecnica
pianistica. Chiacchierò con lui fino a metterlo
a suo agio. Si informò su chi fosse stato
l'insegnante fino a quel punto, sulla frequenza delle
lezioni, sul pianoforte di entrambi e se fosse sicuro
che il suo fosse ben accordato. Poi, se aveva qualche
amico che studiasse musica, se con loro ne parlava, se
i genitori lo seguivano, che scuola media frequentava.
Cercò di farsi venire in mente se conosceva
qualcuno in quella scuola.
- Sua
madre era lì, seduta a fianco al ragazzo, di
fronte a Corrado, con la testa appoggiata alla mano
destra e il gomito sul tavolo, attenta a quello che i
due si dicevano; e quando Corrado la guardava
velocemente, si mostrava contenta per come si
mettevano le cose. Sorridendo, emetteva un'espirazione
e a Corrado pareva che da ciò gli pervenisse
parte dell'intimità di lei, una fragranza sua
interiore che si accompagnava al profumo che
emanava.
- Finì
col chiedere ad Enrico se facesse dello sport e quale
fosse la sua squadra di calcio preferita. Il ragazzo
sorrise enormemente, contagiando in questo gli altri
due e rispose con decisione, mentre Corrado
aprì un libro con l'intenzione di sentire un
po' di solfeggio. Enrico, ormai a proprio agio,
attaccò al meglio di quanto poteva ricordare
alcune righe abbastanza semplici, con una certa
disinvoltura.
- "Ho
capito. E sullo strumento? Cosa avete
fatto?"
- il
ragazzo spiegò, mentre insieme si portarono al
piano.
- "Hai
visto che bel piano?", disse lei dal
tavolo.
- "Non
farci caso
", lo tranquillizzò Corrado
temendo un condizionamento del ragazzo che si
apprestava a mettere le mani sul suo Steinway a mezza
coda, nero e austero: "
.è come il tuo".
- Enrico
invece si emozionò e balbettò uno dei
primissimi esercizi dell'Antologia pianistica della
Gioventù, sbagliando completamente tutto e
interrompendosi dopo tre battute, tutto rosso e
mortificato. "Fa lo stesso, Enrico. Non voglio che tu
mi faccia bene l'esercizio. Stiamo solo facendo due
chiacchiere per conoscerci meglio; non ti preoccupare.
Voglio solo vedere come hai impostato la
mano."
- "Comunque,
questi li faceva bene..", lo soccorse la
madre.
- "Ma
certo. Facciamo così: fammeli sentire, magari
solo accennati, a mani separate; poi
vediamo".
- Il
ragazzo si tranquillizzò nuovamente; ed in
effetti, a mani separate, le cose andarono meglio;
tanto che, anziché accennarli, Enrico ne
eseguì quattro di fila, prima con la destra poi
con la sinistra, molto meglio, senza interruzioni e
solo con qualche errore trascurabile, dovuto alla
rigidità del braccio. Quando poi Corrado disse:
"Bene", lui continuò con più attenzione,
ripetendo un esercizio a mani unite, eseguendolo
discretamente.
- Corrado
sorrise volgendosi verso la madre che lo guardò
felice: "E' solo questione di stare tranquilli",
soggiunse.
- Il
ragazzo, a questo punto, volle strafare e propose con
una certa smania: "Abbiamo fatto anche la Sonatina di
Clementi".
- "Beh,
se vuoi
. Sentiamo."
- Era
la prima del gruppo delle 6 delle Sonatine di
Clementi: la più conosciuta. Ma questa volta,
con un orribile e sgangherato "basso albertino" che
Corrado mal sopportò, Enrico eseguì,
come se stesse con le braccia sul manubrio della
bicicletta o giocando a bigliardino, tra errori e
battute fuori tempo, un'accozzaglia di note senza la
più lontana parvenza di musicalità, che
richiamavano solo a distanza abissale quelle, per la
cui grazia e leggiadrìa, era famosa la suddetta
Sonatina.
- Si
trattò, per fortuna, del solo Movimento finale:
il Vivace.
- Alla
fine, Corrado fece un vago cenno del capo, come se
avesse capito qualcosa e il ragazzo ne fu
contento.
-
- L'accordo
fu stabilito per sei lezioni, esclusa questa, a
partire dal giorno dopo, a metà pomeriggio. Si
sarebbe stabilito di volta in volta l'appuntamento
successivo. Ma, più o meno, sarebbero state due
volte la settimana, per tre settimane: giusto il tempo
che mancava all'inizio ufficiale delle scuole. Sarebbe
venuto solo il ragazzo. La madre lo avrebbe
accompagnato per tornare a riprenderlo dopo un'ora.
Corrado, con un certo imbarazzo, concordò il
costo orario e aggiunse che, comunque, si sarebbe
trattato solamente di lezioni di ripasso.
- "Ma
certo!", fece lei sorridente e felice dell'esito di
quella lezione; convinta com'era che Enrico fosse
rimasto ben impressionato dal modo di fare di Corrado
e che il figlio avrebbe tratto non solo giovamento da
quelle lezioni, ma, come aveva sperato, un rinnovato
piacere a continuare lo studio.
-
- Corrado
restò a pensarci un po' su, dopo che furono
usciti.
- Si
sorprese di come si fosse lasciato cogliere da
quell'evento che ora gli sembrava essersi svolto in
modo tanto rapido, con un ritmo a lui inconsueto.
Ricostruì il susseguirsi di quelle poche ore, a
cominciare dalla telefonata; da quella voce, da quel
moto interiore che gli aveva impedito di rifiutare
l'incontro, come invece era capitato altre volte:
sbrigativamente e seccamente. Poi la sensazione di
fastidio, emersa durante l'attesa per la rassegnata
accondiscendenza con cui aveva infine risposto
quel:"Va bene". Gli venne in mente il rapido rassetto
dello studio e del vano d'ingresso; il breve esame,
scacciato subito con un gesto stizzito, sulle cose da
offrire; fino allo squillo del campanello; fino al
sorriso di lei, davanti al quale egli si fermò,
parendogli ora che solo uno sforzo gli avesse
consentito di uscire dal suo fluido avvolgente. Ed ora
ascoltava il suo stato d'animo che si manifestava
inquieto e turbolento. Pensò a lei; ne
odorò il profumo persistente nello studio e ne
inspirò la voluttà.
-
-
- L'indomani
arrivò segnato da quell'attesa e dai
preparativi necessari. Corrado fu occupato per buona
parte del mattino dagli esercizi per sé, prima
di dedicare un po' di tempo alla costruzione di un
programma di ripasso per l'allievo. Per questo gli
bastò, quasi automaticamente, raccogliere
alcuni volumi dei primi corsi che teneva stipati in un
settore del mobile-libreria, di fianco al piano. Ne
mancava solo uno e gli dispiaceva non averlo. Era una
delle ultime raccolte della Ricordi dei piccoli brani
di Duvernoy, che era stato adottato dalle scuole negli
ultimi anni e che lui non aveva comprato per
sé, ma che riteneva buono, anzi,
indispensabile.
- "Peccato",
pensò con disappunto, sistemando i volumi
scelti sul piano, "faremo qualcos'altro. Anzi, no. Non
vedo perché dovremmo rinunciarvi: se lo
andrà a comprare. Certo, se vuole studiare se
lo và a comprare."
- Non
si sorprese più di tanto di questo moto
autoritario che gli salì all'improvviso. Gli
insegnanti, si giustificò, lo sanno loro
ciò che serve. Così aveva fatto lui a
suo tempo, quando i suoi maestri si presentavano e
dicevano: prendete questo e quello; e
basta.
- Tra
l'altro, allora bisognava andare da "Del Rio:
strumenti musicali e partiture", anche più di
una volta, a prenotare prima, e a sentire poi se fosse
arrivato ciò che era atteso con impazienza.
Già, con impazienza! Perché gli studenti
di musica amano i propri libri; quando il maestro
stabilisce che si è pronti per affrontare
qualcosa di nuovo dicono con emozione: " Il prossimo
è Debussy!" E quelle pagine sfogliate col fiato
sospeso già dentro al negozio e poi in strada,
a testa bassa tra la gente; con il nero delle note
sempre più fitto che sembra impossibile venirne
a capo e persino spaventano. Quei libri contengono
qualcosa di loro, qualcosa che per il momento è
ancora estraneo e sulla carta, ma che poi gli
scorrerà dentro e ognuno di loro darà al
contenuto un colore proprio, diverso da chiunque
altro; perché si tratta prima di capire, poi di
rielaborare.
-
- "Potrei
anche andarci io
"
- Gli
era passato per la testa di uscire e fare un salto al
negozio di musica collegato al Conservatorio. Non che
fosse necessario
Ma così: tanto per
uscire e per dare un'occhiata a qualcosa di nuovo che
eventualmente ci poteva essere al negozio di musica.
Tanto per vedere se c'era quel Duvernoy, per
esempio.
- Si
vestì; passò di fianco al mobiletto del
telefono e tirò fuori l'elenco.
- "Melotti
.",
disse fra sé. "Magari c'è
Forse
c'è lei sull'elenco
"
- "Melotti!
Melotti Ada, Aurelio, Claudio
Melotti Paola
via Lago di Como 27!
di
là dalla ferrovia
"
- "Và
beh!
ma che c'entra, andiamo!
"
- Uscì.
Prese la bici. Faceva caldo e la gente, per strada,
portava ancora le camicette estive. Si diresse in
centro, gironzolando adagio senza scendere dalla bici.
Poi infilò una delle stradine che portano al
Conservatorio, fermandosi qualche portone prima di
esso e appoggiando la sella della bicicletta a una
grondaia che scendeva di fianco al negozio di musica.
Il testo che cercava c'era e chiese al commesso di
riservargliene una copia per un suo allievo che
sarebbe passato in quei giorni a
prenderlo.
- Di
nuovo fuori, Corrado non indugiò molto a
dirigersi verso il passaggio a livello che separava
dal centro i quartieri con le vie dei laghi dove,
presumibilmente, si trovava la via Lago di
Como.
- Infatti,
dopo pochi isolati, si trovò lungo una strada
costeggiata da villette quasi tutte con giardino e da
un paio soltanto di piccoli condomini. Era al secondo
di questi, il numero ventisette, e Corrado lo
osservò. Una palazzina marrone, di tre piani,
compreso quello terra, dov'erano allineati i garages.
Con una fitta siepe davanti che lasciava posto a due
ingressi laterali per le auto e uno rientrante per il
vialetto centrale. Avvicinandosi al pannello dei
campanelli vide il nome che cercava: Melotti. Melotti
e nient'altro. Girò la bici, non prima di aver
guardato in su per assicurarsi di non essere osservato
e tornò indietro.
- Ci
mise un po' prima di pensare ad altro. Guardava avanti
a sé, distrattamente. Ascoltava la quiete della
propria solitudine scossa improvvisamente. Non era il
tipo da lasciarsi facilmente condizionare nelle
proprie abitudini; o almeno, così credeva.
Eppure non era solo una questione di solitudine quella
che stava affrontando con grande circospezione. Era
semplicemente il fatto che si era trovato di fronte a
ciò che desiderava: qualcosa, o meglio,
qualcuno
; diciamolo pure: una donna che lo aveva
colpito: e si trovava a pensare a lei.
- Una
donna forse sola, con un figlio; forse divorziata;
forse separata
Una donna forte, bella, con
personalità, con fascino. Ecco: più che
bella, con fascino. Anche con un corpo piacente, e un
sorriso abbondante e carnoso. Gli venne in mente una
frase che aveva sentito, non ricordava dove,
sull'incidenza dell'elemento di mascolinità
nella donna e, viceversa, quello di femminilità
nell'uomo come componenti caratterizzanti i due tipi
di fascino; e questo gli sembrò vero, come
qualcosa da lui stesso riscontrato.
-
- Si
diresse verso casa, senza aggiungere altro a
ciò che già gli era entrato in
testa.
-
- Alle
sei del pomeriggio del giorno successivo, Enrico
arrivò e Corrado gli aprì la porta
facendo in tempo a salutare la madre dalla soglia,
mentre lei dall'interno della macchina lo
ricambiò con un gesto della mano.
- La
lezione si svolse nel segno del ripasso, come
stabilito e Corrado disse che gli aveva prenotato un
altro libro da acquistare. Alla fine della lezione,
mentre stavano aspettando Paola, Corrado chiese: " Tuo
padre non ce la fa a venirti a prendere?
E' per
via del lavoro?"
- Enrico
rispose senza alcuna incertezza: "Mio padre non abita
con noi. Io sto con la mamma. Loro sono separati e lo
vedo la domenica. Non sempre,
però
"
- "Ah!
ecco. Beh!, questa forse è lei."
- In
strada, infatti, si era sentito il rumore di una
macchina che si era appena fermata e i due si alzarono
contemporaneamente.
- "Tutto
bene?", chiese Paola ad entrambi non appena li
vide.
- "Tutto
bene", rispose Corrado con le mani sulle spalle di
Enrico che guardò in su, girando un poco la
testa all'indietro, grato di quelle
parole.
- Lei
allargò il sorriso e Corrado mise gli occhi
dentro ai suoi, sorridendo anch'egli.
- "Bene;
allora a martedì della prossima
settimana
"
- "A
martedì. E tu, mi raccomando, insisti con gli
esercizi di tecnica."
- "Va
bene.."
- "Allora
arrivederci"
- "Arrivederci"
-
- Non
può fare molto chi non sa bene cosa fare.
Può stare a sentire ciò che il suo animo
vorrebbe; e immaginarsi le cose più disparate.
Corrado la voleva rivedere, al più presto. Non
avrebbe voluto che se ne andasse.
- Quanti
anni poteva avere, poi? A vedere così, giusto
quei quattro o cinque meno di lui. E il marito? Stava
con un'altra donna? Probabilmente sì.
Normalmente sì. Chissà da quanto tempo
erano separati? Era una cosa recente?
Mah!..
- Si
guardò intorno. Guardò la sua casa.
"Troppo poche luci accese nelle sere d'inverno!
Chi era che l'aveva detto?"
- Comunque,
il suo umore in quei giorni cambiò.
Telefonò a questo e a quello, suscitando
qualche sorpresa. Risentì a una vecchia amica
che sentiva di rado, generando i lei una reazione di
piacevole gratitudine; ancora di più quando le
chiese qualche ragguaglio sul rinnovo del guardaroba,
lasciandosi spiritosamente apostrofare con qualche
bonaria allusione al suo modo di presentarsi sempre
uguale da ottobre a maggio e da giugno a settembre; e
così via, parlando a lungo
lasciandosi
dire delle cose; senza obiettare; rispondendo
allegramente: "E' vero!".
- Aveva
voglia di uscire. Ridusse al minimo il tempo dei suoi
esercizi quotidiani e usciva di casa come uscisse di
prigione. Ad un certo punto di pensò: "Ma quale
altro insegnante? A Enrico ci penso io
",
lasciandosi andare a un eccesso di
entusiasmo.
-
- Arrivò
così il martedì successivo, poi il
venerdì. Enrico stava riacquistando
dimestichezza con ciò che aveva abbandonato e
le lezioni procedevano secondo il programma stabilito.
Era Corrado che vedeva ora con dispiacere
l'avvicinarsi dell'ultimo di quegli incontri;
perciò aveva raccomandato al suo allievo che,
qualora si fosse trovato in difficoltà col
piano, ora che ricominciava la scuola, di farglielo
sapere, senza timori; e lui gli avrebbe dato
senz'altro una mano. Cercava banalmente di avere un
aggancio, per potere rivedere Paola; forse anche nel
caso che Enrico si rivolgesse ad un altro insegnante,
com'era stato detto all'inizio.
- La
quale Paola però, dal canto suo, aveva
preparato una piccola sorpresa. Telefonò a
Corrado il giorno prima dell'ultima lezione per
invitarlo a cena la sera dell'ultima lezione: "Lo
vengo a prendere alle sette, come al solito, poi ci
troviamo a casa mia intorno alle nove; perché
sa
voglio avere il tempo di preparare qualcosa.
Niente di speciale però!
Glielo dico
perché non vorrei che lei si
aspettasse
"
- "No,
ma cosa dice. Anzi, la ringrazio molto di questo
gentile pensiero.."
- "Saremo
noi tre: lei, io e Enrico.."
- "Va
benissimo. Io porterò qualcosa
un po' di
vino
un dolce
"
- "No,
vino ne ho
non porti niente
"
- "Ma
"
- "Se
proprio vuole, porti un po' di gelato
A Enrico
piace con molto cioccolato."
- "Va
bene
del gelato
"
- "Aspetti
che le do l'indirizzo. Sa dov'è via Lago di
Como? E' nel quartiere che si trova dopo il passaggio
a livello della ferrovia
"
- "Ah,
ho capito! Dove ci sono tutte le vie dei
laghi"
- "Esatto.
La terza a sinistra rispetto alla strada principale,
venendo dal centro"
- "Perfetto.
Ho capito tutto. Allora ci vediamo domani, prima per
la lezione e poi per la cena"
- "Bene;
a domani"
- "A
domani"
- Era
sorpreso; gratificato. "Ma guarda un po' ", si disse,
"che succede, dopo che mi era sembrata una
seccatura
E' proprio vero: quando meno te
l'aspetti, ecco che ti succede quello che non avresti
mai immaginato
"
- Si
mise a pensare a tante cose. Anche la notte
rimuginò molto prima di prender sonno.
Pensò a come vestirsi, al gelato con molto
cioccolato; al fatto di vederla nella sua cucina, a
dire qualcosa sui reciproci gusti culinari.
Immaginò di sentirsi confessare che lei in
cucina era una frana e lui di rispondere che invece
amava la cucina e il cucinare. Pensò anche al
dopo
al saluto di commiato; e a questo proposito
gli venne in mente un innocuo giochetto. Avrebbe
portato con sé un piccolo cimelio: un articolo
di giornale di parecchi anni prima dove si parlava di
lui come di una giovane e brillante promessa
artistica, con tanto di foto. Un articolo del Resto
del Carlino molto esagerato e provinciale, dove
Corrado appariva insieme ad alcuni coetanei che erano
stati scelti per uno scambio culturale fra giovani
diplomati del conservatorio di Reggio Emilia con
quello di Monaco di Baviera, davanti al quale era
stata scattata la foto. C'era anche una medaglietta
ricordo, con tanto di data con su scritto, tutto in
tondo: " hoere Lehranstalt fur Kunste Musik" e dietro:
" das Munich Konservatorium ".
- Non
era niente in tutto; soprattutto considerando quali e
quante illusioni e disillusioni erano seguite a
quell'entusiasmo giovanile. Ma in quel momento a
Corrado piacque
- l'idea
di riprenderlo in mano e mostrarlo a lei: per
sorridere insieme anche su di sé, su cosa aveva
pensato negli anni, su come gli era andata
E il
giochetto era quello di fingere di dimenticarselo in
casa di lei; per poi telefonarle di nuovo dopo pochi
giorni; andarlo a riprendere; riparlarle
. Un
subdolo stratagemma da adolescenti che lo si intuisce
subito a cui ci si sente sempre rispondere: "L'avevo
capito". Ma tant'è. Il bello di queste cose
è la loro componente irrazionale, e Corrado,
sospettando un eccesso di ridicolo, lasciò il
giudizio in sospeso; ma l'idea continuava a non
dispiacergli
."Insomma: vedremo", si disse
decidendo di prender definitivamente
sonno.
-
- Così
il giorno arrivò. La lezione si svolse e Paola
venne a riprendere Enrico, precisando ancora una
volta: "Mi raccomando, più sulle nove che non
prima
"
- Corrado
si preparò. Si vestì, si mise in tasca
il famoso articolo e la piccola scatola
- che
conteneva la medaglia. Uscì fermandosi a
prendere il gelato e alle nove meno dieci suonò
il campanello di Paola.
- Lo
accolse Enrico e quando fu dentro Paola lo
pregò di accomodarsi facendo capolino dalla
porta della cucina, nella quale era impegnata,
assicurò, ancora per pochi minuti.
- La
tavola era apparecchiata per loro tre e dopo che
Corrado raccomandò a Enrico di mettere subito
il gelato nel frigo, si sistemò sul divano
impaziente di fare un po' di
conversazione:
- "Avrei
potuto portare anche un po' di vino!?..", disse
alzando la voce.
- "No,
ma ce l'ho il vino. Non c'è lì in
tavola?", rispose lei, mentre si muoveva ancora
all'interno della cucina.
- "Sì,
sì c'è
No, dicevo
così
per portare qualcosa in
più.."
- "No,
grazie. Spero che quello le piaccia,
piuttosto."
- "Certamente."
- Corrado
azzardò a pensare che lo avrebbe portato la
prossima volta, anche se non lo disse. Si girò
così verso Enrico, già seduto a tavola
al suo posto, ma non fece in tempo ad aprir bocca che
Paola uscì dalla cucina.
- "Eccoci
qua!", esclamò, reggendo con le due mani una
zuppiera che appoggiò rapidamente al centro
della tavola. Aveva preparato gli ossi buchi al riso e
ciò le comportava una doppia operazione: doveva
infatti, prima sistemare il riso in ogni piatto, poi
tornare in cucina e prendere il tegame dal quale
versare sul fondo di riso il sugo prima di appoggiarvi
sopra gli ossi buchi. Era un bel piatto unico, che si
presentava bene e che Corrado
apprezzò.
- "Questo
se uno vuole ancora del riso", aggiunse, alludendo
alla zuppiera rimasta in tavola. "Spero che le
piaccia", disse infine sedendosi, rivolto a
Corrado."
- "Molto
E' un bel piatto"
-
- Parlarono
di cucina, del tempo, di Enrico, della scuola, degli
insegnanti; e mentre in tavola arrivò il
gelato, Corrado mostrò i suoi ricordi.
- Si
accomodarono infine sul divano a continuare la
conversazione e la medaglietta rimase lì, sul
tavolino, tra una tazza e l'altra di gelato ormai
squagliato.
- Tutto
come previsto, se non chè il campanello
dell'ingresso, improvvisamente suonò. Due colpi
secchi che lasciarono Paola e Corrado in silenzio.
Enrico invece, saltò subito in piedi e corse a
premere il pulsante accanto al citofono:
- "E'
Vittorio!" strillò. "Mi ha riportato lo
skate-board
Grande: me l'ha
aggiustato!"
- Paola
si alzò in piedi e un minuto accolse Vittorio
che entrava con un braccio al colo di Enrico al quale
aveva consegnato l'oggetto di tanto
entusiasmo.
- "Ciao",
disse a Paola e le diede un piccolo bacio sulla bocca.
"Buonasera", aggiunse, rivolto a Corrado.
- Corrado
si alzò, rispose al saluto e gli strinse la
mano.
- "Stia
pur comodo, per carità! Mi siedo un minuto
anch'io, qui sulla poltrona"
- "Scusate
il disturbo", continuò, "ma sapevo che Enrico
ci teneva a riaverlo al più presto. Avete
finito di mangiare?"
- "Sì,
abbiamo finito", rispose sorridendogli Paola; "Stavamo
parlando del più e del meno
Anzi no! Il
professore ci faceva vedere che era una
celebrità."
- "Ma
no..", protestò a bassa voce Corrado: "Non
volevo dire questo
"
- Era
deluso; deluso, mortificato e imbarazzato.
- C'era
dunque quest'uomo nella sua vita. Altro che il vino la
prossima volta
Ma figuriamoci!
", si disse
condannandosi. "Basta guardarlo!.. Ma
certo!
"
- Era
esattamente il tipo d'uomo opposto a Corrado.
Sportivo, alla moda; con un codino che gli tirava
indietro la chioma di capelli neri e lucidi.
- Portava
una camicia estiva bianca e ampia che ne risaltava la
persistente abbronzatura; con una catenina al collo,
un orecchino pendente dal lobo sinistro e un grosso
orologio che gli stringeva il polso; un tono di voce
deciso e i modi di fare ancor di più.
Parlava.
- Disse
che aveva provato anche lui, tempo prima e solo per
poco, a fare musica: col basso elettrico,
precisò. Chiese a Corrado se faceva Jazz e se
gli piaceva il Jazz.
- "No"
- Corrado
rimaneva con un garbato e immobile sorriso fra loro.
Sentiva solo la sua fluidità arrestarsi,
ritirarsi, fino a svanire. Percepiva il movimento di
chiusura della sua anima e il rapido ripiegamento dei
suoi sensi percettori che si staccavano dalla
superficie interna della pelle come fossero ventose
ormai inutili.
- Non
aveva più niente da chiedere in quella casa e
quando fu il momento, si mosse per uscire,
ringraziando Paola dell'invito e salutando Enrico con
una composta esortazione alla perseveranza. Disse che
non era necessario accompagnarlo fino al cancello e
salutò di nuovo tutti sulla soglia.
- Non
era ancora in strada che, Paola lo richiamò.
Era scesa subito dopo di lui e con la mano protesa gli
chiedeva di fermarsi:
- "Professore
Professore"
- "Sì?"
- "La
sua medaglia
Se l'era dimenticata sul
tavolino"
- Corrado
tornò un passo indietro.
- "Ah,
già
che stupido!", le rispose
riprendendosi l'oggetto.
- "Che
stupido!", mormorò a bassa voce, mentre la
guardava rientrare con un piede ormai in
strada.
- "Che
stupido!", disse dentro di sé prima di girarsi
completamente e scomparire.
-
-
-
-
- L'appuntamento
-
-
- Il
signor Hans Krogel prese un giorno una decisione
improcrastinabile.
- Stabilì
che doveva essere il destino a farsi avanti, e non lui
a cercarne le tracce.
- Non
aveva più intenzione di continuare a farsi
prendere in giro; e voleva chiamarlo allo scoperto. Si
era stufato di attese interminabili e di speranze mal
riposte. Il destino doveva mostrarsi chiaramente e
farsi riconoscere. Se c'era, che venisse avanti; e gli
dicesse una buona volta come stavano le cose. Lui, da
quel momento, non avrebbe più partecipato a
quel gioco crudele, e non avrebbe fatto passi
ulteriori in nessuna direzione.
- Decideva
di cambiare atteggiamento; di porsi di fronte a chi si
divertiva alle sue spalle con un rifiuto deciso; di
fermarsi e di smetterla con gli atteggiamenti
accomodanti. Doveva fargli capire che così lui
non avrebbe proseguito. Voleva guardarlo in faccia, e
decise perciò di dargli appuntamento; di
chiamarlo al dunque. Lo avrebbe aspettato da qualche
parte, in città o altrove; per strada o al
caffè; comunque all'aperto, in un luogo
pubblico, dove le persone solitamente si incontrano,
si scambiano un saluto e parlano. Voleva una parola
chiara; e non più ascoltare l'angoscia
dell'anima tesa a riempire i vuoti della notte. Voleva
incontrarlo, farlo accomodare e starlo a sentire; lui
se ne sarebbe stato semplicemente ad ascoltare.
Tranquillo ma fermo, deciso; e voleva, alla fine,
essere convinto di qualcosa, di una cosa qualsiasi che
valesse la pena di essere intrapresa e perseguita; una
cosa che aspettasse proprio lui, per essere
realizzata.
- Il
luogo adatto poteva essere benissimo il parco
pubblico, perché no? La panchina di un parco,
anzi, è il posto giusto per attendere qualcuno.
- Si
convinse e così fece.
-
- Andò
a sistemarsi nel parco, senza pensare a niente.
Pensare voleva dire illudersi, e subirne poi i
contraccolpi. Il destino, lasciato libero di fare i
propri comodi, l'aveva ormai troppo deluso, al punto
di aver dubitato che esistesse.
- "
Questo però non può essere ",
sentenziò. " I grandi uomini c'è
l'hanno; quindi esiste anche per gli altri. E' solo
più piccolo, e più difficile da
trovare... "
- Per
esserci, c'era. Lui era solo stanco di cercare; di
abbandonare ogni volta una strada intrapresa. E ormai
non sapeva più cosa rispondere al suo cuore
sconfortato.
- "
Finora, non è successo mai niente ", si
dispiaceva Hans. Mai una volta che si fosse sentito
soddisfatto appieno di ciò che aveva
cominciato. Mai sicuro che un entusiasmo potesse
durare e alimentarsi da sé. E dire che non
voleva niente di eccezionale. Aveva desiderato
dapprima, come tutti, a una vita semplice, normale.
Dopodichè, visto non si era sentito bene in
quella prospettiva, aveva provato quelle più
difficili
Ora era di fronte a un muro, a una
nebbia; aveva le gambe molli e non sapeva come
orientarsi. Forse non era vero niente, pensava; anche
se una piccolissima zona del suo essere rimaneva di
parere contrario. Al limite, gli sarebbe bastata anche
solo una conferma, che qualcuno gli dicesse: " Signor
Hans, il suo destino è quello di non averlo.
Lei è condannato a cercare; a cercare e
basta
inutilmente. Creda che, al mondo,
c'è bisogno anche di quelli come lei
.Ci
dispiace ma è così
".
- Ecco,
anche una cosa del genere
purché fosse
qualcosa.
- Tutt'al
più, si sarebbe chiesto come mai.
- Comunque,
ora bisognava cambiare tattica. Era il momento di
imporsi e di provare a controbattere decisi: o si sa
qualcosa o si sta fermi. In cambio del silenzio non si
vedrà più sullo sfondo una macchiolina,
un ballerino senza speranza.
-
- Arrivò
nel parco e si sedette su una panchina. Ne scelse una
proprio di fronte alla fermata dell'autobus, in modo
da tenere d'occhio la possibilità che l'atteso
potesse arrivare da quella parte. " Il destino ", si
disse con una punta di amarezza, " nessuno sa come sia
fatto. Se però lo devo riconoscere, sarà
meglio che assuma le sembianze umane. "
-
- Il
parco, in quel punto, non era molto frequentato. Si
sentiva il rumore del traffico che scorreva abbastanza
vicino. La panchina dov'era seduto costeggiava uno dei
vialetti esterni e solo qualche ciclista, più
un podista sbuffante gli erano passati davanti. Un
cane, tenuto d'occhio da un po' distante dal padrone
annusava l'erba, fermandosi a ridosso di ogni panchina
libera ad urinare. Un ammasso di verde lo sovrastava,
lasciando intravedere solo qualche piccolo puntino di
azzurro fra le abbondanti fronde. Foglie e frammenti
di piccoli rami spezzati erano stati spazzati ed
ammucchiati qua e là sul prato da un diligente
lavoro mattutino.
- Un
uomo, seduto poco più in là, si era
messo ad osservarlo. Sbirciava, con lo sguardo mezzo
nascosto dal giornale, l'espressione tesa e
concentrata del nuovo arrivato.
- Hans
se ne accorse e un po' si mosse. " Già ", si
rammaricò: " sarebbe stato meglio portare
qualcosa per ammazzare il tempo. "
-
- Arrivò
l'autobus.
- Si
sentì dapprima lo stridore cigolante dei freni,
poi un tonfo brusco di stantuffi e la porta si
aprì. Scese una donna; un'anziana signora che
si diresse verso il vicino ospedale.
- Quell'uomo
continuava a guardare; e Hans ad evitare il suo
sguardo.
- Arrivarono
poi altri autobus e altre persone scesero, senza che
lui provasse alcunché di emotivo
nell'osservarli.
- La
rabbia iniziale che lo avevano condotto a quella
mortificazione, cominciava ad affievolirsi.
Sentì pian piano salirgli in corpo uno nuovo
stimolo di ripresa; un istinto che giudicò di
sopravvivenza, e che tastò con cautela. Si
abbandonò, allora, alla sua immaginazione
pensando a come se lo sarebbe aspettato un individuo
apparente che in realtà celasse il suo destino.
- Si
figurò un uomo serio, vestito di nero, con il
cappello; con sottobraccio una borsa, nera anch'essa.
Che scendeva alla fermata e si guardava intorno per
individuare a sua volta qualcuno. Una volta
avvicinatosi, avrebbe messo mano alla cartella, senza
nemmeno salutare, da cui avrebbe estratto qualcosa.
Dei fogli?
- Una
scena alquanto suggestiva.
- Sorrise.
- "
Chissà cosa direbbe quel tipo che mi osserva se
fosse al corrente di questa cosa? " Lo guardò.
L'altro fissò il giornale
intensamente.
-
- Attese
un ultimo autobus che arrivò quasi vuoto. Hans,
ormai, si era alzato in piedi e osservava davanti a
sé con il distacco dell'ennesima disillusione.
Quella volta, non scese addirittura nessuno. Ci fu
invece una donna che salì all'ultimo minuto,
dopo aver lanciato cenni e richiami all'autista, che
dallo specchietto la vide e la aspettò. Non era
stata, neanche quella, una buona idea. Era valsa
solamente come grido interiore, come inutile protesta
personale lanciata nel nulla e ormai
caduta.
- Si
incamminò. Passando davanti alla panchina dove
stava quell'uomo, Hans salutò: " Buongiorno
", disse con un sorriso.
- L'altro,
un po' sorpreso, ricambiò: " Buongiorno
"
-
- "
Il fatto è ", concluse allontanandosi, " che le
speranze, o meglio le illusioni fanno presto a
rispuntare. "
-
- Dopo
che se ne fu andato, un altro autobus
arrivò.
- Scese
un uomo, vestito di nero; con una borsa sottobraccio e
col cappello in testa.
- Si
guardò intorno, un po' spaesato, come per
cercare un riferimento o lo sguardo interessato di
qualcuno. Fece qualche passo in direzione del parco,
ma vide solo un uomo intento a leggere il giornale.
Aspettò qualche minuto, poi tornò alla
fermata.
- L'autobus
successivo arrivò e lui salì così
com'era sceso; e se lo portò via.
-
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