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Stefania Sernicola

 

Stefania Sernicola è nata a Venezia-Lido il 6 settembre 1968.

A sette anni scrive la sua prima poesia: Novembre. Dai sette ai quattordici anni studia danza classica (a undici anni balla al Teatro La Fenice con Carla Fracci ne La peri; l'anno seguente ne Il flauto magico).

Dopo la maturità classica si iscrive alla Facoltà di Lettere all'Università di Ca' Foscari, dove si laurea nel febbraio 1994 nel Dipartimento di Antichità e Tradizione Classica; la sua tesi in Letteratura Latina, Seneca e Tertulliano contro la cosmetica: un nuovo contributo sulla presenza del filosofo latino negli autori cristiani, è pubblicata presso la casa editrice Firenze Libri nella collana di saggistica «Athenaeum».

Nel 1989 partecipa per la prima volta ad un concorso di poe sia; da allora ha ottenuto numerosi riconoscimenti per meriti letterari, tra cui: Umbria d'oro e I Leaders nel 1993 Oscar d'Europa, Coppa della cultura Europea e Targa delle Nazioni nel 1994; Trofeo Intercontinentale, Pioniere della Cultura Europea e Cavaliere dell'arte nel 1995.

Attualmente impartisce lezioni private di italiano, latino e greco, si occupa di volontariato in favore di ragazzi disabili e partecipa attivamente alla vita culturale veneziana. Inoltre cura spazi fissi in prestigiose riviste culturali (tra cui Il Club degli Autori).

 

Il Vento Avverso

Giovane poetessa veneziana alla sua prima pubblicazione, la Sernicola si ritaglia immediatamente un posto a sé nel quanto mai frastagliato panorama dell'arcipelago poetico, attualmente tanto frequentato da raccogliere sotto di sé modi e risultati assolutamente disparati …

…È lei per prima, del resto, a sfidare se stessa, impegnandosi coraggiosamente a non essere frettolosa e banale…

…Sostenuto è anche il ritmo il cui andamento solenne, peraltro, si addolcisce talvolta sfumando in ballata, più quieta e triste (si pensi alla dolce, cantilenante nenia della parte centrale di E domani), in accordo con un contenuto in cui il latente pessimismo (noi altro non siamo / che sfocati accenti / tra miriadi di voci), il senso di vuoto e inutilità che a tratti emerge è temperato da immagini di grande serenità, talmente cariche di significato da non volere commenti: basti per tutte il Grande Fiume, così carico di tradizioni e memorie, eterno simbolo di vita che fluisce e rifluisce senza posa (Siddharta insegna).

Olivia Trioschi

 

Nessuna voce

 

Ormai l'estate

in me si schianta

soffiata in forme di bottiglia;

mi screziano appena

falsi chiarori d'inverno

(quasi m'angoscia

questo tepore di paglia

su freddi muri scrostati).

 

Oggi io sono lento

stormire di foglia

tra ceneri di nebbia;

immemore dileguo nel tempo

riannodando maglie

di reti strappate.

 

Nessuna voce mi raggiunge

se annego

in miraggi di sorgenti:

inerme imito i miei gesti.

Ventosi vengono a me

solo canti di morti

come malinconie di chitarre;

lieve respiro è la terra,

frullare antico di risacca.

 

 

Anno dopo anno

 

Città di creta infransero

bicchieri sul pavimento,

fili di luci piovvero

tra corde di vesti;

spore di memorie lessero

presagi di stelle,

maree rifluirono

conchiglie vuote.

 

Anno dopo anno

sbrigliare tastiere nude

in alfabeti di note,

tra polveri di nubi

cercare echi di scogli sommersi

in aurore salmastre;

giorno dopo giorno

crescere unghie come artigli

per arare nuovi lembi di terra

e incidere fredde iniziali;

ora dopo ora

in noi soltanto

con bende di sale

posare illanguiditi.

 

L'asfalto è sudicio,

il muschio ingiallisce sulla porta;

città di creta infrangono

bicchieri sul pavimento,

fili di luci piovono

tra corde di vesti,

spore di memorie leggono

presagi di stelle.

 

 

Tempo breve

 

La lucciola si spense

nel palmo d'una mano:

breve lucore

la sua anima estiva,

supplice foglia

da rinsecchito ramo

(il vento divelse colori

in lacrime di cera,

caddero stelle

nell'impronta sporca

della pioggia).

 

E non avesti più storia

né fantasie di giorni

né sorgenti da possedere

ebbra d'azzurro

(il mare schiuse

un'alba d'apparenze,

abbaglio e schianto

di sole nuovo).

 

Per il cristallo spezzato

per il collo reciso

sortire ora

solo glabre parole,

simulare addii

come mimi senza gesti

(nel silenzio che abbruna

un faro cattura

polvere di naufragi).

 

 

Sensazioni

 

Ritornami il volto

scarnito di ieri,

fradicio di pioggia,

imbevuto di suoni:

corolle, memorie di farfalle;

restituiscimi profili di smalto

(cristalli, atmosfere)

il mio nome perduto

in trasparenze d'acqua.

 

Trattengo passi

danzanti sulla soglia,

scalzi;

l'attimo è frusciare di mantelli,

un'aria striata di perla.

 

Ali librano amorfi voli,

oscuro vibrare di segni;

vecchie barche ondano

in stagnanti correnti.

 

Non parlare,

la verità nella mente assorda;

scuotere di finestre,

ilari arabeschi.

 

Tracce di oggetti sparsi,

voci di reliquiario;

il vento mormora

tra lische di vetro.

 

Frammenti

 

Labili creste di mare

si squamano

in sfrangiati colloqui;

acerba esistenza

si smaglia

in dispersi frammenti.

 

Stralci di vivida luce

come decrepite mani

sfrondate;

disperato grido

d'un'alba appassita.

 

Lacerate le vesti

la nebbia torna a fasciare

sprazzi di sole;

estranei riflessi

di perle estinte

in nevose tristezze.

 

Aleggiare

e cadere di voli

come simboli astratti.

 

Addio

 

Ora dunque per noi

perduti tra zolle di musica

solo vetri sporchi

come rimorsi

e indizi caduti

in viluppi di giorni.

 

Non più mani librate

in racconti d'aria,

non più cieli abbagliati

da duplice sole

ma piaghe di vento,

mare che attende infido.

 

Teatro spento

polvere di scenari,

luna rovescia

in gorghi di sillabe mute:

finirà mai questa danza

di rami spezzati,

sacrilegio di luci e ritmi?

 

La noia

 

In macerie di giorni

affondare senza inizio,

inutili come barattoli vuoti,

cadenzati come richiami

a un sogno incolore.

 

Nudi cercando

parodie di fuochi

sciacquare ricordi

che non ricordano,

mendicare strappi di sole

a muri di cemento;

soli ascoltando

folle di voci

invecchiare senza mistero,

vorticare nella fuga del tempo.

 

Esule andare di carri

tra le alghe del mondo,

stanco precipitare

come ombre di morte falene.

 

 

È tempo ormai

 

Ormai queste ore

sanno di pioggia

e questo vento

sordo di lusinghe

abbruna e marcisce

albori di gesti.

In questo mattino

che sconfina

spento come cera

si cade plasmati

da metalli di suoni,

perduti in ricami

di parole insolute.

 

È tempo ormai

di sortire l'ultima meta

e rotolare increduli

tra scoppi di risa,

o turbinare ignavi

in abissi di paure.

Dimenticheremo il gioco

della lucciola sul dito,

la scogliera che chiama

e non ci somiglia;

lasceremo quest'ansia

che denuda e non è luce,

barbaglio senza colore

che rimbalza

e terrorizza muri.

 

 

Il giorno e l'uomo

 

Disorientato albore,

estroso brivido di luce:

noi, immersi in valve di conchiglia

fingendo sfondi di madreperla.

 

Solare euforia,

scarmigliate ebbrezze di voli:

noi, deluso risveglio,

passi bendati tra fili sospesi.

 

Chiaroscuro infuocato,

bagliore di stelle improvvise:

noi, sguardi di cane accovacciato,

lieve disagio d'alcove perdute.

 

Impalpabile notte,

inafferrabile luna:

noi, obliate presenze

affondate in pozzi d'inchiostro.

 

 

Notte a Sarajevo

 

Deserto d'ombre

è il limbo della sera,

assordato da cupi silenzi;

donne come fiumi stravolti,

città come nidi

spazzati da folgori.

 

La notte, come un fuggitivo,

corre e s'incaglia

dove urlano randagi,

affolla derive

con voce straziata

d'impotenza.

 

Non dà gioia questa luna

che filtra finestre

e trasuda barlumi d'ametista;

ha occhi vuoti di squalo

e mani ossute che scavano

e riversano croci.

 

 

Ritagli d'un amore

 

È passato

il tuo viso

tra nebbie di foglie.

 

Strada deserta

senza ritorno,

porta murata

che insegue

rumori di stanze,

voci scomparse

come fuochi

sotto un mucchio

di stracci.

 

Silenzi avevi

come naufragi

e lente movenze

di sole amorfo.

 

Scorrevano onde,

file di siepi,

sogni di cotone;

pendevano stelle

da soffitti scrostati.

 

Mimo il tuo nome,

laconica ombra

su ruvide vetrate.

 

 

 


©1996 Il club degli autori , Stefania Sernicola.
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