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Valeria Gnan 9° classificato nel concorso Marguerite Yourcenar 1997
con questo racconto:
- A Francesca
- Questo non è un giorno qualunque; sei arrivata tu, Francesca. Veramente sei nata due giorni fa, ma solo adesso mi sono accorta che ci sei. Adesso che ho guardato la mia pancia piatta e ci ho trovato una tasca vuota, una casa disabitata.
- È una notte di mezzo agosto, e io qua, in un sudato letto d'ospedale mi sorprendo a invocare Orfeo, il dio, di venirmi a rapire.
- Ma ci sei tu, comunque mi giri e rigiri fra le lenzuola. Ci sei tu, serpente impetuoso, che ti insinui tra l'erba delle mie ciglia, che t'addentri nelle stanze del mio cervello, che ti annodi attorno ai miei pensieri.
- Ci sei tu e mi tieni ben sveglia.
- Dunque sei nata; e non ho voglia di dire… finalmente.
- Hai voluto nascere, non avrei potuto ospitarti oltre. Per ore ho fatto il diavolo a quattro con quanta forza avevo in corpo per trattenerti, ogni mia energia centrata sui muscoli del ventre che diventavano via via morse d'acciaio e non volevano saperne di prepararti la strada dell'addio. Poi ci hanno pensato due mani guantate di ginecologo a farti affacciare al mondo.
- Oblio, semi incoscienza, black-out della mente, un mare bianchissimo, lattiginoso, fremente… mani di pescatore che si facevano largo in un antro marino e scavavano in un'insellatura fra gli scogli, cercavano, tastavano con le dita nervose, e poi… un istante, uno strappo doloroso. Avevano agguantato e portato alla luce.
- Così sei nata, amore mio. Ti ho guardata mentre scivolavi fuori da me, rossa e spumosa come un corallo, e con una sorpresa sgomenta acquattata in fondo alle pupille, ti contemplavo muta, ma con un desiderio soffocato in gola di gridarti: «Aspetta, aspetta… Dove vai?».
- Avrei voluto affondare i miei denti di madre nei tuoi morbidi tratti di figlia fino a ingoiarti, fino a ricacciarti dentro il cerchio magico delle mie proprietà, in quella carezza di liquidi tiepidi, di cuscini soffici su cui tu sprofondavi stanca, dopo aver compiuto tante capriole, tuffi, e dopo avermi teso agguati, anche.
- Io ero con te, sai, quando tu, padrona assoluta del mio cielo, agitavi le tue ali, dapprima tenere e solleticanti di farfalla, poi superbe e dominatrici di falco.
- Ti libravi sulle vette più alte dei miei paesaggi incantati e poi giù a picco, con le ali spianate, planando in velocità sopra valli soffici e formicolanti di tepori.
- Io restavo lì, ferma ad ascoltare quel massaggio infinito che mi scaldava dentro, e una gustosa spossatezza lambiva i miei muscoli, mentre le mie mani andavano a passeggiare su quella cupola misteriosa e potente che ogni giorno innalzava di più la sua parabola di vita.
- Un vagito lontano mi riporta con la mente alla mia stanzetta d'ospedale. Guardo l'ora, le sette. I neonati stanno per essere condotti dalla nursery alle rispettive neo madri. Finalmente.
- Mi preparo ad accoglierti, mentre un improvviso rimescolio di tutto il sangue mi avverte che nel mio corpo c'è ancora voglia di te.
- Eccoti. Buon giorno a te, piccola mia.
- Ti accoccolo sulle ginocchia e rimaniamo così: le tue dita serrate a pugno intorno ai miei pollici, il mio sguardo sprofondato e perso nel tuo, le nostre labbra vicine a scambiarsi lunghi discorsi innamorati.
- Continuiamo così, stiamo bene. Mille bandiere ci sventolano sul cuore.
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Montedit
Aggiornato 30 Ottobre 1997 (r1)
