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- 1° classificato
- Don Maurizio
Rolla
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- Pietra viva
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- Tatuato
- da secoli scomposti
- e ondulato
- da passi infiniti
- trovo
- in questo Duomo
- ora anche mio
- tracce
- antiche e recenti
- di santità.
- Volte
- trapassate
- al crogiolo del mistero
- restituiscono
- trattengono
- sospiri quasi millenari.
- Vecchie colonne
- sono confine esile
- di voci sussurrate.
- Fuori
- il vento vespertino
- sbatte sul rosone
- preci e imprecazioni.
- Dentro
- tutta la città
- ha volto
- inalterato
- di regina.
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- TORNA ALL'INIZIO
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- 2° classificata
- Ines Gastaldo
Carretto
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- Voci di
pietre
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- "Voci di pietre" oggi ho udito
- dalle labbra d'una fanciulla bruna.
- Pietre grandi, pietre possenti
- ai piedi della torre antica
- di quel di Torba il monastero,
- di rosso scarlatto, di fievoli
lamenti,
- di giovani soldati potete raccontare,
- di voci sommesse
- di monache in preghiera.
- Pietre di fiume:
- di furia delle acque in piena
- che scava, travolge e trascina via,
- del dolce accarezzare
- di un tranquillo mulinello,
- di un fresco e limpido ruscello.
- Pietre di mare:
- d'onde spumeggianti,
- della risacca il lento levigare,
- di nenia che all'infinito si protrae,
- del suo paziente rotolare.
- Pietre di rupe:
- di caldo sole, di fredda neve,
- di vento gelido lo sgretolare,
- di zoccoli arrancanti per brucare
- un filo d'erba rinsecchito.
- Pietre di strada lucide e consunte:
- di passi, di fatiche immani,
- d'uomini stanchi,
- della vita d'un antico borgo.
- E voi pietre tombali
- che raccontate voi?
- Di dolore, di pianto,
- dell'asciugar di lacrime
- di madri, di spose e di sorelle.
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- TORNA ALL'INIZIO
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- 3° classificata
- Monique Sartor
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- E gli
autunni
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- Le estati e gli inverni e le primavere e gli
autunni.
- E gli autunni, ventagli di rossi
- mesi di fuochi e turgori e rami a
riflesso
- di turbinanti foglie in sommesso scroscio
pluviale,
- lento colare di bragia e liquida lava di
metalli fusi in
- bagliori.
- E gli autunni umidi e di passione
ardenti
- accendono la neve dal volto ancora
opaco
- del bianco alone intorno al fuoco
- lavorano porcellana a lieve veste latteoazzurra
per la terra
- e da fiamma estraggono lo splendore blu per
volti e mani
- in passaggio sotto gli astri -
- vite prossime a traversare stagioni
scongiurate
- (le larve e gli scorpioni)
- di campi e strade ad aghi aguzzi e a vetri
franti
- dove vento e sole parlano lingua di spada per
dolori e per
- inganni
- (la terra promessa fu perduta per scommessa tra
narcisi
- insani).
- A piedi scalzi siamo passeggeri di
fatalità o caso amaro -
- la stagione mutilante l'anima, lacerante
scrigni di memoria
- a vita protetti fino a farne tempi da gettare
in gola all'oblio,
- polpa d'ossa fra denti di tigre
- (di tutti i mali la lebbra dell'oblio. Ammorba
e recide intere
- membra di sogni d'anima,
- ed è lo spegnersi d'un braccio di
fiume
- da aria torrida essiccato come foglia
- riarsa da un troppo umano bacio di
sole).
- Freme il sangue da nude caviglie e piedi
scalzi
- gocciolante un pianto di lutto a perle di
granato diffuse e
- disperse.
- Ma a corolla di nuovo equinozio
- sangue e pianto lesti si levano convivio di
voci in coro,
- su soglia di pietra portale di tende gonfie
d'acqua a sorgenti,
- saliva preziosa di nuova lingua rugiada per
ragnatela,
- e sostanza di luce dai nostri corpi irradiata
per trasumanare
- (punto di fuga - l'unico a noi - verso chiarore
d'ignoto
- divino)
- saldamente appoggiati a quattro fili d'erba e a
tre rose del deserto.
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- TORNA ALL'INIZIO
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- 4° classificata
- Liliana Zinetti
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- Ancora settembre
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- Verrà settembre,
- sciogliendo l'ansietà
- scarlatta dell'estate,
- a sussurrare ai vetri
- con le braccia scolorite
- degli alberi, busserà
- con liquide dita
- alle porte chiuse.
- Verrà settembre,
- spalancherà
- in torpidi pomeriggi
- gli occhi gialli
- dei lampioni, tra frange
- grigie di pioggia
- insinuerà la malinconia.
- Noi saremo quelli di ieri,
- i fantasiosi superstiti
- aggrappati alla speranza,
- non avremo memoria
- che di buia tristezza.
- Inventeremo il presente,
- come pittori folli
- dipingeremo le ore
- con un furore di colori,
- per non lasciar filtrare
- tra le smagliate difese
- lo stridere rabbioso
- di devastati silenzi.
- Verrà settembre, noi
- come canne arse
- chinate sull'acqua,
- mentre libellule
- scioglieranno ali
- di cenere, ancora
- cercheremo nel fango
- una traccia d'azzurro.
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- TORNA ALL'INIZIO
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- 5° classificato
- Rosario Norrito
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- La notte
bianca
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- Il muro del pianto
- si macchiava di stupore
- dietro il vicolo della morte
- quando tra le macerie della vita
- il canto del dolore
- intonava il martirio della carne
- l'ombra della ragione
- si perdeva nel buio della storia
- e il fuoco dello sterminio
- illuminava il sepolcro dell'orrore.
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- Ancora il sole nero
- vide la cenere dell'olocausto
- posarsi nel cratere della vergogna
- e il predatore di Auschwitz
- nascosto nell'abisso della follia
- oltre l'imprevedibile sorte.
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- La notte bianca
- non ha dimenticato
- il tramonto della ragione
- che ha rinnegato
- l'alba della pace.
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- Non ha dimenticato i figli del
lamento.
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- Non ha dimenticato.
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- Lei sa che il grido del perdono
- è senza voce quando l'eco della
croce
- sanguina nel cuore di ogni
- uomo.
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- TORNA ALL'INIZIO
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- 6° classificato
- Gil Pezza
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- Memento
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- E ritornano in mente i racconti
d'infanzia,
- dell'Ottocento scomparso,
- e di un Regno perduto.
- E poi gli anni lieti, cresciuti nel
dubbio,
- sparsi di odio, piazza, e clamore.
- Ed il rimpianto di allora,
- il lungo silenzio...
- e poi il terrore.
- E ricordi, ancora ricordi,
- di feste di giorno,
- di affanni nascosti,
- e di letti disfatti nella premura del
ritorno.
- E poi il dolore di crescere:
- le confidenze tradite,
- le amicizie perdute e
- le gelosie subite.
- Guardando poi Albione scomparire ad
Oriente
- e cercando l'Aurora in un cielo più
vasto,
- sento il bisbìglio degli anni
passati,
- delle voci che furono...
- e rivedo le lunghe corsie,
- i camici bianchi,
- e gli specchi nascosti.
- E con la mente, di nuovo,
- accorciando distanze percorse,
- mi perdo negli occhi di una figlia
straniera,
- di un amore sconfitto,
- e di una passione italiana.
- E ritroso nel tempo,
- mi trovo finalmente bambino,
- cercando rifugio nei sussurri materni.
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- TORNA ALL'INIZIO
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- 7° classificata
- Clara Cafaro Caimi
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- Normandia
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- Al grigio del cielo e a te,
- che hai risalito la sabbia a fatica
- - sbarco senza approdi - tra fili
spinati
- intrecciati al cardo selvatico.
- È stata pioggia di respiri
interrotti,
- voli spezzati, coraggio e paure;
- ora è profumo di terra bagnata,
- nomi di croci e stelle,
- anime di pietra e geometrie,
- in un vento che sradica le voci
- e àncora i ricordi all'ombra calma del
leccio,
- per nascondersi da un sole violento
- che non ha saputo illuminare.
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- TORNA ALL'INIZIO
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- 8° classificato
- Paolo Pietrobon
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- Felliniana
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- Non chiamarla morte
- se torna, notturno
- lo stacco morbido
- della civetta
- a fendere
- - rapita l'emozione,
- lo sguardo
- e il respiro
- sottratti -
- l'iridescenza siderale,
- e la crosta, pigra
- le rughe ospitali
- nei gendarmi eccelsi
- del bosco
- lamentano, tenui
- al fiato del vento
- che sale, la sera.
- La mano, pura
- ti tiene
- e gli occhi
- della compagna
- cristalli chiari
- annegano
- quel sentimento definitivo...
- Non chiamarla morte:
- epopea e mistero,
- arlecchini sgargianti
- impulso metastorico
- artificiale,
- riscopre
- la grotta antica,
- in un tratto
- tutti i segni dell'arte
- e i fantasmi
- dell'altra ricognizione.
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- TORNA ALL'INIZIO
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- 9° classificato
- Alberto
Ripamonti
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- Annuncio
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- Nel lampo rosso/viola che ha spezzato
- il buio azzurro della notte quieta:
- un soffio, un grido, un tuono, una
risata;
- tiepida voce altera e prepotente
- del vento, ricco di fruscii e
promesse.
- La primavera nuova canta Marzo:
- alito ed esplosione che a occidente
- fuga le nubi sfilacciate e nere.
- Il volo inebriato del rondone
- che - primo - lancia lo sperato
annuncio
- altissimo nel cielo e piomba, acuto,
- sopra le gemme in boccio ridestate.
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- TORNA ALL'INIZIO
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- 10° classificata
- Rosa Spera
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- Novecento
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- Indelebile essenza d'un ricordo
- nell'avvento ciclico di cieli nuovi
- fautori aerei di giorni inviolati
- in un millennio di bellezza implume,
- vetusto eremo di realtà
sbiadite
- tu che affiorasti dalle crepe d'erba
- espandendoti in sconfinati limiti
- ove intagliasti fiori di memorie.
- Novecento,
- oggi ti aggiri esule nel vento
- come saggio emblema d'un tramonto
- che ancora infiamma luce di pensiero,
- racconti remoti stralci costellati
- da un mosaico di fitte ragnatele
- ove attoniti dimorano gli scempi
- perpetrati alle terre d'ombre.
- Tu ci rammenti note di fulgori
- e nell'aulente frangersi dei suoni
- schiarisci il volto nero delle notti
- scoprendo il fulcro delle zolle
eterne,
- coltivi ebbrezze auree nelle assenze
- del tempio arcano dalle volte eteree
- ed immolato sugli altari eccelsi
- plasmi il prosieguo inedito del tempo.
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