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         Sezione Narrativa 
               1°
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                  Remo
                  Starzani  
 
             
            
            
               Delitto
               di pensionato  Le
            acque che scorrono fresche e veloci in fondo alla Valle
            di San Giacomo, come se avessero fretta di recare al
            grande fiume Adda il loro equoreo tributo, segnano
            profondamente l'ambiente con l'inconfondibile marchio
            della loro origine alpina.A loro
            si deve, infatti, il rigoglio dei boschi che ne
            ombreggiano le rive, ove larici, abeti, pini, ontani e
            frassini sono testimoni e artefici di una natura bella e
            confortevole; a loro si deve il primaverile trionfo dei
            fiori, quando primule, viole, margherite, mimose,
            campanule, genziane, sassifraghe e colorata compagnia
            floreale fanno a gara per esibirsi; a loro si deve il
            vellutato manto verde dei prati, come la generosa
            fertilità dei campi e degli orti che ne
            accompagnano il corso; a loro si deve la vita degli
            animali che vi si abbeverano, quella dei grandi abitatori
            delle alte montagne incombenti sul Passo dello Spluga -
            camosci, caprioli, stambecchi, timidi e sospettosi per
            l'umana presenza perché ancora memori di recenti
            stragi inconsulte - e quella delle numerose colonie di
            bestiole da tana - marmotte, tassi, martore, donnole,
            scoiattoli e perfino ermellini - una fauna varia e
            vivace, sulla quale aleggiano gli uccelli rapaci -
            aquile, falchi, poiane, gheppi e sparvieri - che calano
            fulminei per artigliare le prede più
            incaute.Poteva
            il ragioniere Cassiano, dopo quaranta anni di onorato
            servizio presso una banca di Chiavenna in qualità
            di vice capoufficio addetto agli assegni circolari e
            collocato in pensione per raggiunti limiti di età,
            rimanere insensibile al richiamo dell'aria balsamica
            dell'alta valle e all'invito seducente delle limpide
            acque del Liro?Poteva
            il neo pensionato Cassiano ignorare la serena
            voluttà di beate sieste all'ombra amica di un
            frondoso albero, con il sommesso sottofondo dell'acqua in
            perenne colloquio intimo con sassi e ciottoli, quasi un
            gorgogliante invito alla pace dei sensi e nello spirito,
            immerso in un ambiente sano e incontaminato?Non
            poteva.Il
            signor direttore della banca aveva convocato il personale
            dipendente: "Oggi il nostro caro ragioniere Cassiano
            chiude la sua carriera dopo quaranta anni di servizio
            prezioso e apprezzato", disse visibilmente commosso. "Lo
            accompagnano i nostri sinceri auspici per una vita da
            pensionato lunga e serena", aggiunse stringendogli
            calorosamente la destra. "Egli è stato un
            ammirevole esempio di serietà e di
            professionalità", continuò con enfasi,
            battendogli affettuosamente sulla spalla"."La
            nostra banca, che sa essere per noi anche madre munifica
            e provvida sorella, intende per mio tramite dimostrare
            tangibilmente al caro ragioniere Cassiano tutto il suo
            apprezzamento per l'opera svolta con costante abnegazione
            in perfetta sintonia con i nobili fini economici e
            sociali che ne ispirano la secolare attività,
            ognora pensosa della prosperità della sua eletta
            clientela", concluse a braccia alzate e occhi al cielo
            mettendogli il mano una busta sigillata.Applausi,
            strette di mano, pacche sulle spalle, auguri, battute
            scherzose, parole buone ed effusioni varie. Un quarto
            d'ora dopo il ragioniere Cassiano si trovò sulla
            strada con la sua busta in tasca e con la testa che gli
            ronzava. Tre mesi dopo l'assegno circolare contenuto
            nella busta - il primo da lui non personalmente compilato
            - si era trasformato in una cassetta di cinquanta metri
            quadrati, con giardinetto e orticello, in riva al
            Liro.Per un
            paio di settimane fece quello che fanno quasi tutti i
            bancari che vanno in pensione: s'inventò qualcosa
            per riempire la giornata, dato che non aveva moglie che
            provvedesse all'uopo. S'affaccendò con lena nella
            sua casetta fino a renderla lustra e graziosa come una
            bomboniera; si dedicò con entusiasmo di neofita al
            giardino e all'orto, incurante dei danni arrecati alle
            aiuole, non ché degli scempi su cipolle,
            prezzemoli, rape e raperonzoli, lattughe e verdure varie;
            trafficò attorno alla siepe di ligustro che
            riuscì a sopravvivere malgrado l'imperizia
            dell'improvvisato giardiniere; s'impegnò, insomma,
            in imprese fuori della portata di un bancario che ha
            trascorso una intera vita di lavoro a compilare assegni
            circolari, e che s'illude che basta la buona
            volontà per fare bene cose mai fatte
            prima.Passata
            che fu la sbronza dell'attivismo manuale si dedicò
            al miglioramento della propria cultura, rimasta ferma
            alla partita doppia e al calcolo degli interessi
            composti. Si procurò ponderosi volumi
            enciclopedici per affacciarsi - diceva - al fascinoso
            mondo dei pensatori che sanno muoversi fra i problemi
            esistenziali dell'umano genere.Con
            intenso sforzo di volontà riuscì ad
            arrivare fino alla pagina diciassette della 'Filosofia
            dello spirito" di Benedetto Croce, che gli fece capire
            - se non altro - di non essere tagliato per la
            speculazione filosofica.Ripiegò
            allora sulla più accessibile filosofia del
            pescatore di acque dolci. S'iscrisse al "Circolo della
            lenza"; s'abbonò alla "Rivista della Pesca
            Sportiva"; comprò tutto l'armamentario consigliato
            dalla più raffinata tecnica pescatoria; si
            procurò un pastrano impermeabile di un ripugnante
            colore verde-marcio, di un giaccone con venti tasche, di
            un cappellaccio buono per il solleone come per la
            pioggia, di stivali gommati a tutta coscia, e
            sistemò in giardino il più numeroso e
            qualificato allevamento di vermi, larve di mosca,
            lombrichi e anellidi varii di tutta la
            Valchiavenna.Con il
            raziocinio pignolo proprio dei bancari in pensione
            ripartì la sua giornata: un terzo alla cura della
            casa e della persona, un terzo al riposo notturno e un
            terzo ai pesci del torrente, metà al mattino e
            metà al pomeriggio.Una
            ricetta sicura per ripulire gli asfittici polmoni
            intasati da fumo passivo con l'aria balsamica del bosco,
            per distendere i nervi logorati dalla stressante vita di
            banca e per sollecitare la mente a pensieri grandi, ben
            al di sopra gretta logica del dare e dell'avere. Una
            ricetta che consentiva di vivere in armonia con
            l'umanità, tenuta a rispettosa distanza, e con il
            Signor Iddio Creatore, che pare vicino e presente quando
            si è immersi nella primigenia malia del
            creato.Benedetto
            il giorno del pensionamento! Il ragioniere Cassiano era
            felice.Ma
            quando mai la felicità si protrae nel tempo, che
            ha ritmi e misure diverse da quelle degli
            uomini?Fu in
            un afoso pomeriggio estivo che al pescatore pensionato
            capitò qualcosa d'imprevisto.Il
            ragioniere Cassiano si era sistemato, in completo assetto
            pescatorio, sulla riva destra del Liro, in un punto ove
            la corrente è forte e l'acqua abbastanza profonda
            per insidiare qualche preda significativa. Ma le ore
            passavano senza che il galleggiante della sua lenza desse
            segni di vita. Calma piatta e noia crescente. Un leggero
            torpore si era impadronito del pescatore, preludio ad una
            salutare siesta, quando un rumore inconsueto lo fece
            sobbalzare. Un cane si era piazzato accanto a lui. Niente
            di straordinario, beninteso. I cani sono liberi di
            girovagare a loro piacimento anche sulla riva destra del
            Liro. Ma quel cane - un magnifico esemplare di pointer -
            aveva un comportamento strano: zampettava lungo la riva,
            quasi volesse tentare un guado, impossibile in quel
            punto; scuoteva la testa emettendo brevi guaiti;
            scodinzolava freneticamente e saltellava, in preda a
            palese agitazione; tremava in ogni fibra e sollevava di
            tanto in tanto una delle zampe anteriori. Poi
            s'avvicinò al pescatore, lo fiutò
            accuratamente, e lo fissò.Cassiano
            era abbastanza informato sui pesci d'acqua dolce, ma non
            sapeva niente sui cani. Tuttavia capì che quel
            cane ce l'aveva con lui. Con quegli occhi canini puntati
            addosso non era il caso di pescare, e neppure di dormire.
            Tanto più che il pointer era privo di collare e di
            museruola. "Con i pesci si va sul sicuro - pensava il
            ragioniere - ma con un cane grande, robusto e dotato di
            poderosa dentatura qualche rischio
            c'è".Stava
            arzigogolando sullo strano incontro quando sulla scena
            comparve un altro attore che strappò a Cassiano un
            grido di meraviglia: una grossa lepre che iniziò a
            saltabeccare sulla riva del torrente con l'evidente
            intenzione di tentare la disperata impresa di guadagnare
            l'opposta sponda.Cassiano
            era trasecolato: un cane grande e forte che non si cura
            di una lepre quasi cadutagli fra le fauci! E una lepre
            che non degna di uno sguardo il suo atavico
            nemico!"Qui
            si sovvertono le leggi della natura!", pensò
            l'esterrefatto pescatore.Ma pre
            odore di bruciato gli aggredì le nari, sulle ali
            di un vento caldo, mentre una densa nube di fumo nero
            invadeva tutta la zona. Era chiaro: quelle due creature,
            nemiche per natura, erano uguali e non più nemiche
            di fronte all'incombente pericolo.ura, erano uguali e non
            più nemiche di fronte all'incombente
            pericolo.Bofonchiando
            contro la sorte ria che gli stava rovinando la giornata
            il ragioniereCassiano
            s'accinse, con flemma da pensionato, a sgombrare le
            postazione di pesca, ma non tardò ad accorgersi
            che non era il caso d'indugiare. La cortina di fuoco
            avanzava veloce e l'aria diventava irrespirabile.
            Tossendo e lacrimando si mise sulla via di casa, ma fu
            respinto dopo un centinaio di metri da un fronte ardente
            di crepitanti fiamme che lo ricacciarono in riva al
            torrente. Quivi trovò il cane e la lepre, fianco a
            fianco, con gli occhi sbarrati per il terrore e fissi
            all'altra sponda, che significava salvezza.Ma il
            turbinoso flutto era un ostacolo insormontabile per un
            uomo. Figurarsi per due piccoli animali che con l'acqua
            non hanno dimestichezza. Cassiano brancolava lungo la
            sponda, ansimando penosamente e incespicando, lo sguardo
            spento e la testa vuota, stordito per la sopravvenuta
            emergenza e terrorizzato per la possibile morte
            atroce.L'istinto
            gli suggerì di riportarsi dove il cane e la lepre
            stavano tremanti a guadare oltre le ostili acque del
            Liro. "Chissà mai - riuscì a pensare -
            forse l'istinto animalesco è più affidabile
            di quello umano". Il calore era insopportabile. Cassiano
            dovette liberarsi in fretta dei pesanti paludamenti da
            pescatore e arrancò faticosamente fino alla
            postazione di pesca. Occhi umani, canini e leporini,
            tutti dilatati dalla paura, chiedevano al vorticoso Liro
            il salvacondotto per la vita.Fu la
            lepre che per prima decise, da provetta saltatrice. Ma
            l'opposta sponda era troppo lontana. Sparì
            dibattendosi nell'impietoso vortice.Il
            cane fissava l'uomo. Da lui attendeva qualche salvifico
            lume. Ma la ragione dell'uomo vacillava, la sua voce era
            un rantolo e i suoi occhi erano abbuiati. Il pointer
            capì allora che da quel fantasma tremante di paura
            era vano attendere scampo alla morte incombente. Assunse
            perciò il comando delle operazioni. Con garbo
            canino addentò gli orridi mutandoni a righe
            verticali bianche e celesti, che erano l'unico indumento
            rimasto addosso al ragioniere; tirò abbastanza
            forte per fargli capire che urgeva muoversi di lì,
            ma abbastanza delicatamente per non lasciarlo nudo come
            un verme. Poi puntò deciso verso il fronte
            fiammeggiante, rasentando la sponda del torrente, ove la
            vegetazione era meno folta.Come
            un sonnambulo in piena crisi Cassiano lo seguì.
            Qualche passo fra le vampe, dietro al cane; transitorio
            obnubilamento della mente, grida di dolore soffocate
            nella strozza e cuore tumultuante: un prezzo accettabile
            per salvare la vita. Il fuoco era alle spalle. Il
            ragioniere Cassiano poté svenire in
            pace.Il
            cane è un animale intelligente, non c'é
            dubbio. Se è un pointer è anche rapido
            nell'azione. Se è senza collare perché
            abbandonato nel bosco da un padrone incosciente, o
            stupido, oppure incosciente e stupido, sa come cavarsi
            d'impaccio. Quando
            il ragioniere Cassiano riprese coscienza non ebbe motivo
            di rallegrarsi per averla scampata: due uomini erano
            chini sopra di lui. Erano giovani, e indossavano la
            divisa dei carabinieri. Un terzo uomo, più
            anziano, stava eretto a un passo di distanza, con l'aria
            di chi comanda. Esibiva un mostaccio terrificante
            inquadrato fra due basettoni metà bianchi e
            metà neri. Dalle sue labbra strette sui denti in
            segno di palese schifo uscirono parole ferrigne: "Si
            è finalmente svegliato, il piromane?"Avuta
            la conferma estrasse una tessera con l'emblema della
            Polizia e la mise sotto il naso del Cassiano che stava
            tentando di capire perché si trovava lungo disteso
            a terra, in mutande, sotto una coperta militare,
            sovrastato da tre sconosciuti che, evidentemente, ce
            l'avevano con lui. Percepì a fatica la voce di uno
            dei carabinieri:"Lei
            è in stato di arresto. Declini le sue
            generalità". Fra violenti accesi di tosse il
            ragioniere rantolò nome e cognome, aggiungendo,
            con bancario scrupolo, la paternità, l'indirizzo,
            il codice fiscale e il gruppo sanguigno. Poi
            farfugliò: "In
            stato di arresto? Ma che cosa ho fatto di tanto grave?"
            La voce aspra del funzionario di polizia calò su
            di lui come una staffilata: "Si guardi attorno, e
            vedrà quello che lei ha fatto!" Il povero
            ragioniere allibì: tutto era nero. La natura era
            morta. Ovunque sterpi inceneriti, rami e tronchi
            combusti. Alcuni residui focolai mandavano al cielo le
            ultime faville. Cassiano era annichilito. Le parole che
            uscirono dalla bocca del funzionario dal truce cipiglio
            non giovarono di certo al suo morale:"Nel
            nome del popolo italiano io... (e giù una sfilza
            di nomi, cognomi, patronimici, casati e ascendenze
            illustri), in base a precisi elementi di prova forniti
            dai carabinieri di... (e giù una sequela di paesi,
            borghi, località, frazioni e perfino casolari)
            accuso lei, in flagranza di reato, per i delitti di cui
            al vigente Codice Penale... (e giù una litania di
            articoli, capitoli, titoli, commi e sottocommi, decreti,
            regolamenti, ordinanze, disposizioni e leggi varie), che
            prevedono l'arresto immediato e la detenzione in attesa
            di giudizio".Quasi
            nudo sotto la coperta militare pietosamente prestatagli
            il malcapitato pensionato Cassiano ormai basiva. Infilato
            in mutandoni a righe verticali bianche e celesti
            decisamente osceni e bruciacchiati, lo sfortunato
            pescatore affamato, assetato, stremato, arrabbiato ed
            abbacchiato, boccheggiava gemendo sotto lo spietato
            incalzare delle pesanti accuse. Ma un bancario ultra
            settantenne in pensione possiede una forza di reazione al
            fato avverso tale da contrastare validamente ogni
            sventura. Come la bella Rosina immortalata da Gioacchino
            Rossini diventa cattiva e vendicativa se la toccano nel
            suo debole, così Cassiano reagì al diluvio
            delle cervellotiche contestazioni con la rabbia di un
            aspide disturbato nel suo covo. Per di più il suo
            accusatore si era espresso con accenti e toni di lontane
            regioni meridionali non facilmente percepibili in
            Valchiavenna, talché il Cassiano aveva intuito,
            più che capito, la gravità degli addebiti
            portati contro di lui. S'aggiustò sulle spalle la
            coperta militare, ma mo' di toga senatoria, gonfiò
            il petto quel tanto che gli consentì la sua
            rachitica cassa toracica, si schiarì al meglio la
            voce arrochita, e così declamò:"Ringrazio
            per le informazioni gentilmente fornitemi, e mi scuso per
            il mio abbigliamento, che è la conseguenza di
            eventi fuori dalle mie possibilità di controllo.
            Non è mia abitudine girare in mutande per i
            boschi, né appiccarvi fuoco. Qui c'è un
            evidente errore di persona. Non sono io il piromane che
            cercate. Io sono invece una vittima di quei mascalzoni
            che distruggono il nostro patrimonio forestale. Sono vivo
            per miracolo.Stavo
            tentando di pescare in riva al torrente quando mi sono
            trovato con il fuoco a pochi metri. Non avevo scampo. Se
            non ci fosse stato il cane sarei morto".La
            mutria del funzionario ebbe una lieve contrazione. "Il
            cane? Quale cane?", domandò. Il ragioniere
            riferì per filo e per segno la sua disavventura,
            senza omettere la faccenda del cane salvatore e della
            lepre suicida. La grinta del funzionario non
            s'addolcì granché. "Mi parli del cane. Di
            quale razza era?", chiese, con una punta di
            sarcasmo.Cassiano
            rispose che i pescatori s'intendono di pesci, non di
            cani. Tuttavia lo descrisse. Non si dimenticano le
            caratteristiche fisiche di chi porta la salvezza. Il
            funzionario ascoltò con distaccata degnazione, poi
            sentenziò: "Lei ha visto un cane da caccia. Mi
            spieghi che cosa faceva un cane da caccia al fianco di un
            pescatore".Il
            viso di Cassiano s'imporporò. Tuttavia il bravo
            pensionato riuscì a trattenersi: "Non avevo mai
            visto quel cane. Anche lui cercava scampo dal fuoco, come
            la lepre. Avevamo lo stesso problema, io, il cane e la
            lepre: evitare di morire arrostiti. La lepre ha cercato
            la salvezza oltre il torrente. Ma il salto non è
            riuscito, ed è morta. Il cane ha deciso di
            affrontare il fuoco, e si è salvato. Per mia
            fortuna io l'ho seguito, e sono qui malridotto e
            impresentabile, ma salvo. Ero ben lontano dall'immaginare
            di dovere giustificarmi per reati che non ho commesso. Mi
            dica, adesso, in base a quali elementi di prova lei mi
            accusa?"Il
            ceffo del funzionario assume un'espressione ancor
            più arcigna: "Lei è la sola persona
            presente sul luogo del delitto. Adesso compare un cane.
            Ma non riesco ad attribuire al cane la
            responsabilità dell'incendio". Si produsse in una
            smorfia che trasformò il ceffo in un ghigno
            inquietante. Poi cavò dai precordi una risata che
            precipitò Cassiano nell'afflizione più
            cupa: "Non rimane che incriminare la lepre suicida!",
            concluse mentre le sue nere pupille dardeggiavano lampi
            sinistri.L'eco
            della risata era ancora nell'aria quando s'udì il
            rompo di un motore. Apparve una camionetta militare dalla
            quale scese un colonnello dei carabinieri, che fece un
            cenno. Il funzionario s'avviò, dopo aver ordinato
            ai due carabinieri: " non perdete di vista
            l'indiziato"."Non
            sono gli uomini a dominare la sorte, ma è la sorte
            a dominare gli uomini", afferma Erodoto. Il grande
            storico greco non era fra gli autori preferiti da
            Cassiano, che meglio se la cavava con i manuali sulla
            pesca in acque dolci, ma c'è da giurare che
            l'ex-bancario sarebbe insorto contro il fatalismo di
            Erodoto.Si
            sarebbe piuttosto schierato con Schopenhauer: "Il destino
            mescola le carte, e noi giochiamo". Era una partita
            difficile e pericolosa quella che il ragioniere Cassiano
            doveva giocare. Ma lui sapeva che ogni partita non
            giocata è persa. Avrebbe lottato, lui, anche se
            era sconvolto per la desolazione del bosco incenerito;
            anche se si sentiva ridicolo a causa di quei mutandoni a
            righe verticali bianche e celesti, con segni evidenti di
            bruciacchiature, e assai disdicevoli per la
            dignità di un pensionato di banca; anche se
            accusato di delitti orrendi; anche se sorvegliato a
            vista, come se fosse un lestofante o un malavitoso
            incallito; anche se solo, abbandonato dagli uomini, e
            forse anche da Dio. Ebbene lui, ragioniere Cassiano,
            pensionato, avrebbe trovato la forza e l'orgoglio per
            dimostrare a Erodoto che non sempre la sorte riesce a
            dominare gli uomini, e per insegnare a Schopenhauer che
            l'importante è giocare bene le proprie
            carte.Tre
            ore passarono prima che il funzionario dai basettoni
            comparisse davanti all'indiziato pensionato Cassiano. "Mi
            guidi al punto dove lei stava pescando", ordinò
            con tono perentorio. Si formò un piccolo corteo
            formato da Cassiano, più che mai abbiosciato,
            affiancato da due carabinieri e seguito dall'accigliato
            funzionario. Nello spettrale scenario della natura
            mortalmente ferita, fra sterpi carbonizzati e residui
            focolai d'incendio, il quartetto giunse in riva al
            torrente. Anche lì il fuoco aveva compiuto la sua
            opera devastatrice: tutto era annerito dove prima era un
            rigoglio di verdi fronde; la fresca aria balsamica si era
            trasformata in una soffocante cappa di sapori acri, che
            facevano tossire i quattro uomini. Nello squallore di
            tanta rovina una lenza semi bruciata era l'unico indizio
            evidente di una scalognatissima giornata di
            pesca.Con un
            fazzoletto premuto sulla bocca il funzionario
            iniziò una meticolosa perlustrazione. Ad un certo
            punto si chinò, raccattò qualcosa,
            esaminò accuratamente il reperto. Poi si
            piantò di fronte al Cassiano, che ne seguiva i
            movimenti mogio mogio."Ecco
            la sua licenza di pesca, signor Cassiano. - disse
            porgendo il documento qui e là annerito - Da
            questo momento lei è un libero cittadino. Il
            colonnello mi aveva informato dell'arresto di una persona
            a carico della quale sono emersi gravi indizi di
            colpevolezza. Ma per convincere me non bastava. Ci voleva
            la prova che lei, signor Cassiano, non si trovava nel
            punto ove fu appiccato il fuoco. Questa sua licenza di
            pesca è quello che cercavo. Adesso, se lei si
            sente in vena, può di nuovo pescare. La saluto, e
            le auguro buona pesca".Il
            ragioniere Cassiano impallidì. Per un pescatore
            non c'è augurio più iettatorio.Ma
            riuscì, ancora a dominarsi. D'altronde che altro
            c'era da aspettarsi da quello scostante funzionario
            piovuto in Valchiavenna chissà da dove, brutto e
            arrogante, pieno di albagia inquisitoria, altezzoso e
            tracotante, che tratta gli indiziati come rei confessi,
            che fa di un vago sospetto una prova irrefutabile e che
            calpesta ogni umano sentimento con spocchia altezzosa?
            L'avrebbe strozzato volentieri, quel tanghero, lo
            sdegnato pensionato! Ma come si può vendicare il
            sopruso patito quando si è abbigliati con
            mutandoni a righe verticali bianche e
            celesti!?La
            calma è la virtù dei forti. Il ragioniere
            Cassiano era forte, anche se non se ne era mai reso
            conto. Comunque si comportò da forte, e seppe
            trattenere le ire ultrici che gli turbinavano in testa.
            S'inchinò con sussiego biascicando un "grazie"
            grondante di formale cortesia, restituì la coperta
            militare ad uno dei carabinieri e restò impalato
            ad osservare i tutori della legge che si allontanavano,
            nell'atteggiamento più dignitoso che i mutandoni
            osceni gli consentivano. Poi crollò a sedere in
            riva al torrente, con la testa fra le mani.Quivi
            rimase a lungo per tentare di mettere ordine nella ridda
            dei suoi pensieri.Quando
            riemerse dallo stato confusionale gli venne alla mente
            una frase che il suo direttore di banca - cultore per
            diletto delle filosofie orientali - voleva citare, a
            proposito ed a sproposito: "L'uomo che vince se stesso
            è il grande dei conquistatori".In
            verità Cassiano non aveva l'aria di conquistatore,
            così discinto, male in arnese, stanco e depresso
            qual'era. inoltre gli pesava come una cappa di piombo la
            solitudine che in quelle passate ore convulse gli
            procurò angustie devastanti. Aveva lui, Cassiano,
            imposto giustamente la sua vita da pensionato? Era forse
            fallace l'antico motto latino 'beata solitudo, sola
            beatitudo'? Non era forse meglio trascorrere gli ultimi
            anni di vita con qualcuno che, all'occorrenza, potesse
            porgere una mano amichevole? E affrontare il rischio
            d'incappare nel qualcuno sbagliato? Schopenhauer - ancora
            lui - che di solitudine s'intendeva, ammonisce, dall'alto
            della sua eruzione pessimista che 'la solitudine è
            la sorte di tutti gli spiriti eminenti'. Ma c'è da
            fidarsi di un filosofo fatalista che vede sempre il
            bicchiere mezzo vuoto? Non è meglio abituarsi a
            pensare che è mezzo pieno?Mentre
            il tapino s'arrovellava in siffatta guisa un lieve rumore
            alle sue spalle gli fece voltare il capo. Il pointer era
            lì, a un metro di distanza, e lo fissava, come
            solo un pointer sa fissare. Dalle fauci gli penzolava il
            pastrano impermeabile color verde-marcio che,
            stropicciato e bruciacchiato qual'era, faceva più
            schifo di prima. Ma era pur sempre un indumento che
            serviva a nascondere la vergogna dei mutandoni a righe
            verticali bianche e celesti, e avrebbe consentito il
            rientro a casa senza scandalizzare nessuno.Quasi
            piangeva, il Cassiano, recuperando l'abominevole
            giubbone, e non poté fare a meno di pensare,
            rabbrividendo, che se l'avesse trovato il funzionario dei
            bassettoni lontano dalla postazione di pesca, gli si
            sarebbero spalancate le porte della galera.Lo
            indossò, e si mise in cammino. Giunto in vista
            della sua casetta, si voltò. Il pointer era
            lì. Se lo caricò sulle spalle, allegro come
            non mai, e aprì la porta con aria trionfante. "La
            solitudine non è la sola beatitudine -
            pensò - ma se al tuo fianco c'è un cane
            puoi vincerla, Cassiano, e nel contempo evitare le umane
            compagnie pericolose". Un
            cane non parla, ma sa farsi capire. Se è un
            pointer sa farsi rispettare. Se è un pointer senza
            collare sa anche comunicare pensieri canini con il solo
            ausilio degli occhi e della coda. Così quegli
            occhi parlavano al ragioniere Cassiano: "Com'è
            lunga e noiosa per un cane da caccia la giornata in riva
            al torrente accucciato al fianco di un pescatore pigro e
            con la testa fra le nuvole! Almeno catturasse qualche
            pesce! Non dico una trota, impresa proibitiva per questo
            mio nuovo padrone, ma almeno un cavedano, anche sotto
            misura!"Andò
            a finire che il signor Cassiano capì il muto
            messaggio canino, e si convinse che occorreva cambiare
            vita. Basta con le crebre giornate rigorosamente
            cadenzate su schemi predisposti, tutte uguali, tutte
            monotone! Basta con l''aurea mediocritas' che inganna il
            tempo senza costrutto, e finisce con l'approdare
            all'arido terreno della futilità! Basta con
            l'inerzia, basta con l'isolamento egoistico, basta con la
            vita da cenobita che non medita né
            prega!Moto
            ci vuole, dinamismo, e uno scopo nobile da
            perseguire!Fu
            così che un pescatore d'acqua dolce divenne
            cacciatore. Il ragionier Cassiano, pensionato bancario
            ultra settantenne, di indole mansueta e di buon
            carattere, oltre che dotato di buona salute,
            comprò un fucile a canne sovrapposte e
            cominciò a girare su e giù per la
            Valchiavenna dietro al suo cane che ostentava un collare
            nuovo e impreziosito da borchie d'ottone. Una vita
            dinamica, e piena di moto, non c'è dubbio. Ma
            Cassiano ora aveva anche un nobile scope da perseguire:
            quello di difendere la rigogliosa e provvida natura della
            Valchiavenna dai vili attentati di inconsulti guastatori
            piromani.L'uomo
            e il cane si erano equipaggiati come un 'commando'
            incaricato di una missione rischiosa in terra nemica, ma
            non incutono spavento perché tutti sanno che non
            farebbero male neppure a una mosca. Perfino gli
            scoiattoli, i tassi, le lepri, i ricci e le talpe,
            perfino gli uccelli che nidificano fra gli alberi hanno
            capito che non v'è alcun motivo di temere il
            fucile di Cassiano, né i denti del
            cane.Perché
            uomo e cane non sono normali cacciatori: infatti vanno a
            cassia solo di piromani. Solo i balordi seminatori di
            rovine e di morte, i miserabili incendiari furtivi
            distruttori della ricchezza che una prodiga natura
            elargisce, hanno buoni motivi per stare alla larga dal
            fucile di Cassiamo e dai denti del suo pointer. Un fucile
            speciale, che spara solo cartucce da lui fabbricate
            personalmente. Sono caricate con sale grosso misto a
            polvere di peperoncino siciliano. Non ammazzerebbero
            neppure un coniglio, ma chi le ha assaggiate non
            vorrà di certo correre il rischio di una nuova
            esperienza.Il
            ragioniere Cassiano le chiama 'piccanti bocconcini
            antipiromani'. La gente della Valchiavenna guarda con
            simpatia quell'anomalo cacciatore. Qualcuno lo ferma, e
            gli chiede: "Come può lei, ragioniere Cassiano,
            individuare con certezza un piromane?""È
            sufficiente avere un cane che è stato addestrato a
            fiutare il petrolio ed altre sostanze incendiarie" -
            è la risposta - "È più facile che
            fiutare droga". Poi aggiunge: "Chi s'aggira per boschi
            recando quantità sospette di materiale incendiario
            ha quasi sempre malvage intenzioni. Il mio cane
            s'avvicina e fiuta. Poi punta il potenziale piromane. Non
            sbaglia mai. La faccenda si conclude spesso con un po' di
            sale al peperoncino nel deretano. Tre giorni d'impacchi
            freddi, e tutto passa. Anche la voglia di appiccare fuoco
            ai boschi".Così
            parla il ragioniere Cassiano, ultra settantenne bancario
            a riposo. Se in Valchiavenna - ma non solo lì - si
            troverà chi l'ascolta e ne sostiene il civico
            impegno la piaga degli incendi boschivi potrà
            essere santa. 
            
            
               TORNA
               ALL'INIZIO
            
            
 
            
            
               2°
               classificata 
               
               
                  Marianna
                  Scibetta   
            
            
               La
               montagna: il bosco e il
               torrente  C'era
            una volta un gigante e, nascita o risveglio che fosse,
            una mattina aprì gli occhi. "Buongiorno, chi sei
            tu che pervadi la valle?" domandò il gigante alla
            montagna riflessa in uno specchio d'acqua. "Io non
            pervado la valle, la sovrasto". Rispose la montagna con
            tono pacato. "Sono io che la sovrasto; io sono il
            gigante!" rispose quello guardando ancora nello specchio
            d'acqua. "Se tu decidessi di voltarti a guardarmi,
            capiresti che è solo un'immagine riflessa quella
            che ti inganna". Il gigante allora si voltò e si
            accorse che la montagna era molto più grande di
            lui: "Hai ragione, se tu che sovrasti la valle e sopra di
            te, solo il sole può toccare le tue cime" ammise
            il Gigante. "Allora, se tu sovrasti la valle, sei anche
            la più saggia" dedusse ancora il gigante. "Ti
            sbagli, più saggio di me è il torrente"
            echeggiò la montagna. "Il torrente? Che cosa
            può sapere più di te che sovrasti la
            valle?" Allora la montagna indicò un punto in cui
            il suo cuore di ghiaccio incrinandosi al calore della
            primavera, si scioglieva in cento rigagnoli di acqua
            pura."Il
            torrente è l'origine e il corso. Corso d'acqua che
            raggiunge la valle, la attraversa e la trapassa fino al
            limitare della terra, per dileguarsi nell'onda del mare"
            rispose la montagna e continuò: "Io sono ferma da
            tempo immemore su queste rocce, non posso che riflettermi
            nell'acqua del lago, ascoltare il grido dell'aquila e il
            fischio del vento". "Ho capito... il torrente è
            più saggio perché arriva lontano." "Voglio
            conoscere il torrente! Ma dov'è il suo letto, il
            tratto in cui placa la sua corsa? " chiese il
            gigante."Potrai
            incontrarlo al limitare del bosco, lì il suo
            scorrere si fa più dolce". Il gigante si
            incamminò seguendo il rumore dell'acqua,
            finché, questo da fragore non divenne che un
            gorgoglio confuso al richiamo degli uccelli. Intanto era
            calata la notte, il buio era divenuto fitto, più
            fitto man mano che, il gigante si addentrava nel sentiero
            del bosco. Arrivato, ai margini dell'ombra più
            allungata delle fronde, sul limitare del bosco, il
            gigante fu investito dalla luce dorata della luna,
            guardò in basso e si stupì. A fior d'acqua
            vide risplendere una infinita quantità di piccole
            luci, alcune delle quali si alzavano dal torrente e
            sciamavano verso la sagoma informe del bosco. "Chi
            siete?" domandò il gigante, pensando che le luci
            fossero fate. "Siamo lucciole, veniamo ad incontrare le
            nostre sorelle nel torrente" risposero quelle in coro. "E
            perché venite ad incontrarle nel torrente le
            vostre sorelle?" chiese il gigante. "Perché solo
            in questo riverbero possiamo ricongiungerci alle
            stelle... lo spirito del bosco volle lucciole in cielo e
            lucciole in terra. Così, possiamo incontrarci solo
            nell'acqua pacata del torrente". Poi iniziò la
            loro danza scandita dal canto leggero della notte sul
            fiume di luce. "Sei davvero il più saggio!"
            esclamò il gigante rivolgendosi al torrente che
            sembrava addormentarsi, al ronzio leggero dei canti senza
            suoni delle lucciole. "Davvero, mi reputi il più
            saggio?" chiese il torrente in un flutto improvviso. "Oh
            sì! Me lo ha detto la montagna e lo vedo con i
            miei occhi giacché puoi riflettere le stelle".
            "C'è qualcuno che è più saggio di
            me, perché sa deviare il mio corso, domare la mia
            irruenza come un cavallo docile alla briglia"
            fluttuò il fiume al gigante.Fu
            allora, che il gigante udì il sibilo del vento, il
            canto delle cicale e il suono monotono del gufo. "Chi
            sei?" chiese il gigante spaventato al nulla "Sono lo
            spirito del bosco, che anima l'oscurità della
            notte con i versi risonanti degli uccelli e colmo lo
            spazio del silenzio con le ombre parlanti dei rumori"
            rispose il bosco. "Dimmi, chi è più saggio
            della montagna e del torrente" domandò il gigante
            in cerca della verità. "La montagna è la
            grande madre e il torrente suo figlio, ma c'è
            qualcuno che può scalare le vette e piegare la
            piena" sospirò il bosco. "Chi può fare
            questo è più grande di me che posso
            guardare la montagna negli occhi e deviare il torrente
            con una mano?" domandò il gigante che non riusciva
            ad immaginare. "No, gigante ti sbagli, in verità
            è più piccolo dell'abete, della montagna,
            del torrente e di un gigante... ma il suo pensiero
            può superare il guado, scalare le cime delle
            montagne e rivolgersi alle stelle" risposero le molte
            voci del bosco. "È davvero straordinario!"
            esclamò allora, il gigante "Dimmi, chi è in
            grado di fare tutto questo?" incalzò il gigante.
            "Guarda quelle luci nella radura" lo spirito
            indicò un punto, oltre la riva opposta del
            torrente. "Sono stelle quelle luci? " chiese il
            gigante."No,
            sono i fuochi, attorno ai quali vive l'uomo" rispose il
            bosco. "L'uomo? I fuochi?" domandò il gigante che
            voleva capire. "Il fuoco serve all'uomo per rischiarare
            la notte e per perpetuare il racconto" rispose il bosco.
            "E che cos'è il racconto?" chiese ancora il
            gigante che sedutosi, appoggiò la sua mano
            sull'erba umida, carezzandola piano. "Il racconto
            è il suono del tempo che l'uomo fa vibrare come
            una corda tesa, suono che colma la radura, pervade il
            bosco e risuona nella valle, perpetuato dalla luce delle
            stelle"."Voglio
            conoscere l'uomo!" esclamò infine il gigante.
            Allora il gufo interruppe il canto, il vento tacque la
            sua voce nel gorgoglio muto dell'acqua, lo spirito del
            bosco si assopì, e il silenzio avvolse la notte.
            Il gigante attraversò la radura e si fermò
            presso i fuochi, lì vide uomini e donne, vecchi,
            giovani e bambini. Si accorse che non tutti erano saggi
            alla stessa maniera; quelli che lo erano in maggior
            misura si ponevano in ascolto e il racconto proseguiva
            sempre nella medesima cadenza, come un canto, come un
            rito... il rito del tempo che si perpetua. Poi, il
            gigante guardò nel cuore degli uomini e vide
            radure costellate di speranze, e vide dirupi adombrati
            dalla tristezza e vide deserti cosparsi di malvage
            cupidigie e dive pareti rocciose grondanti di dolore.
            Allora il gigante capì la natura dell'uomo e il
            suo impervio e sterile campo del non rispetto e
            finalmente, conobbe. Decise a qual punto di tornare
            indietro, attraversò la radura fino al bosco,
            lì bevve nelle acque del torrente, riempì
            le sue orecchie dei canti stregati della notte,
            mangiò le radici delle conifere dei boschi,
            traendole piano dalla terra, in cui per ultimo depose le
            sue lacrime. Poi raggiunge la montagna e si distese ai
            suoi piedi, posando la testa ad oriente. Così,
            disteso, aspettò la pioggia che lo tramutò
            in albero, in terra, in acqua, in spirito. Nessuno seppe
            di lui e della sua sete di sapere, ma intorno al fuoco,
            gli uomini perpetuarono il racconto del gigante, fa uno
            della montagna e delle lucciole che incontrano le stelle
            sulle acque del torrente al limitare del bosco, questa
            è la sua leggenda. 
            
            
               TORNA
               ALL'INIZIO 
         
         
 
               3°
               classificata 
               
               
                  Arrigo
                  Filippi  
 
             
            
            
               Il
               grido  Il suo
            nome, Giovanni. La sua anima un canto di pietra e acqua.
            Il suo cuore, un nodo di silenzio e
            passione...Autunno.
            Sto rientrando da un'escursione in alta montagna, lungo
            un ripido sentiero ormai vellutato dalle prime ombre
            crepuscolari.Mi
            aspettano diverse ore di cammino. Troppe. Giunto a una
            casupola, decido di chiedere ospitalità per la
            notte. Il giorno dopo raggiungerò la valle, con
            calma.Il
            vecchio Giovanni mi accoglie con silenziosa
            cortesia.Da
            tempo ha lasciato il mondo per rifugiarsi tra montagne
            solitarie, incrostate di silenzi, coperte di boschi
            ombrosi.Protetto
            dal magico eremitaggio delle altezze è diventato
            un essere senza tempo, ruvido di riservatezza, franoso di
            malinconie, ispessito di sogni...Ah, i
            sogni dei vecchi, fiammeggianti spirali di solitudine e
            veggenza, nostalgia e pietà!...Ceniamo.Chiuso
            nella sua animalesca diffidenza, asciutto come un alveo
            in secca, l'uomo scodella poche parole, una minestra
            calda e sorsi di vino denso e nero come la notte, appena
            scesa sulle montagne.Accenno
            alla mia avventura, al paese, alle vicende recenti, ma
            non sembra interessato a questo tipo di argomenti. Si
            limita ad ascoltare, se veramente è ascoltare, il
            suo.Dopo
            cena siede di fronte al camino, assorto in chiusi
            pensieri. Se pensieri sono, i suoi...Poi si
            alza, spalanca uno stipo, estrae un sigaro e lo accende.
            Dense volute di fumo odoroso si spandono intorno.
            Raggiunge la finestra. Immobile contempla la
            notte."Nevicherà...
            tra un po' nevicherà..." vaticina con lungimirante
            sicurezza. "Forse..."
            rispondo io.Echi
            di quelle parole vibrano a lungo nella stanza. Poi,
            silenzio. Il
            vecchio torna a sedere.Le
            fiamme gli riverberano sulle gote arrossandone la pelle
            coriacea, mentre una corona di luce gli fa risaltare il
            corpo, sgravandolo di ogni peso, elevandolo
            misticamente...Così
            i vecchi giocano a fare i fantasmi...D'improvviso
            ripenso a figure dell'infanzia, vecchi dai volti
            innocenti e luciferini, visitati dall'inesprimibile,
            zappati dal tempo, butterati dal mistero.Vecchi
            dai visi di roccia e sangue, terra e carne.Vecchi
            dalle mani di pietra e ossa, fango e vento, dai visi
            impagliati di giorni, infuocati di mosto, lavati
            d'aria.Ripenso
            alle loro pupille acuminate e visionarie, sempre in
            agguato tra ispidi rovi di ciglia muscose, con gli
            sguardi arrugginiti da antichi dolori, bracieri in cui
            perenne ardeva una conoscenza taciuta.Rivedo
            i loro teneri sorrisi bucati e le fronti solcate da
            improvvise mareggiate di rughe, eternamente frangenti
            sulle rocce dell'anima.Vecchi
            imbottiti di silenzio, odorosi di parole segrete,
            lasciate ad ammuffire in una cantina di visceri
            scontrosi, tenute a fermentare nei tini di un ruvido,
            antico riserbo. Poi all'improvviso sturati, i visceri,
            per un ingorgo di parole, venute su tutte insieme a
            gorgogliare in un catino di labbra, ammassate nei recinti
            di lunghi racconti serali, per una baldoria di pelose
            paure e allegre sorprese.Bambino,
            sostavo sull'orlo precipite di quelle labbra come il
            cacciatore sta in agguato della selvaggina ai bordi della
            boscaglia. Aspettavo il guizzo improvviso di un suono, il
            frullare d'una verità bruscamente levatasi in
            volo... poi sparavo, sparavo all'impazzata raffiche di
            stupore!...Ah, le
            parole nude e crude, brusche e dolci, magicamente eterne
            dei vecchi!...Mi
            ridesto dai sogni. Giovanni continua a fissare il fuoco.
            Dal mio posto percepisco ogni rumore nella stanza: il
            cicalare della fiamma e il gracidare dell'uscio ad ogni
            soprassalto di vento, la tosse di una vecchia cassapanca,
            lo squittio dell'imposta, il pausato respiro del vecchio,
            e persino l'agitarsi dei pensieri nel chiuso della sua
            mente...I
            vecchi hanno pensieri che fanno un rumore di
            tuono...A un
            tratto si alza e raggiunge di nuovo la finestra; guarda
            nel buio ma calmo, imperturbabile, come celebrando un
            rito eternamente ripetuto.Fuori
            ogni cosa è soggiogata dal l'incontrastato dominio
            dei silenzio che spegne i passi dei vento, asciuga il
            respiro dei bosco, cancella il motore sempre acceso dei
            ruscello.Il
            bosco è muto, fermo, imboscato in un silenzio di
            ferro, la sua anima è alla deriva nel mare grande
            della notte di montagna. È una macchia sul cuore,
            il bosco di notte, un carbone acceso che arde nel camino
            dell'attesa e infiamma l'anima di dolce
            spavento.E la
            notte di montagna è un cane che morde lo sguardo,
            lappa i pensieri, scorre le praterie dei sangue e lo
            inchiostra di una paura rabbrividita.È
            anche un pigolio molle e felice, la notte di montagna,
            canto sottile all'orecchio del mondo, il muscolo del buio
            che d'improvviso si contrae e solleva gli sguardi degli
            uomini al mistero elettrico dell'inesplorato.Sì,
            la montagna di notte, quando non è che una vela al
            largo tra i marosi del silenzio, il fantasma di una
            verità scolpita nella pietra, dolce, spettrale
            visione che non si può reggere a lungo...
            perché è una felicità che fa male,
            fa male al cuore, la montagna di notte!...Il
            vecchio è sempre alla finestra e mostra una calma
            perfetta e sapiente. Una calma modellata negli anni,
            cresciuta nella gioiosa temerarietà di
            innumerevoli notti come questa, avvezza agli incanti
            trasfigurati delle vette solitarie, dei boschi
            addormentati in grembo al buio, dei ruscelli che tramano
            parole col filo del silenzio.A un
            tratto accenna un sorriso. Mi chiama con la mano a
            sé. Mi alzo. Lo raggiungo. Fuori qualcosa di
            grande e ineffabile è accaduto: radi fiocchi
            vaporosi solcano lo spazio deserto e scrivono sulla
            pagina dei buio una bianca felicità tutta da
            contemplare...Aveva
            ragione lui: sta nevicando!...Il
            mondo lentamente si trasforma sotto i nostri occhi. La
            neve, fluendo leggera e ipnotica, ci trascina nel vortice
            di un ritmo narcotico, lattea pulsazione che batte una
            musica infinita."Là...
            guardi là!..." esclama a un tratto il
            vecchio.Scruto
            ma non vedo nulla e il buio cancella con inoppugnabile
            uniformità ogni distinzione, smussa rilievi,
            appiana identità.Eppure
            il mondo è sempre, indubitabilmente là,
            più segreto e reale che in qualsiasi altro
            momento, avvolto nella cortina fumosa della notte di
            montagna...Il
            mondo si rivela... scomparendo..."Laggiù...
            guardi meglio... laggiù!..." mi sollecita ancora
            una volta, il vecchio.Osservo
            intensamente, fino al limite del bosco, dove una luce
            pallida e irreale spiove da un imprecisato punto
            dell'Universo, inargentando le chiome di un abete
            solitario: laggiù, laggiù una figura
            fantastica, semovente e inquietante mi appare
            all'improvviso.Cosa
            sia non capisco. Ma il vecchio mostra di saperla
            lunga."Ne
            ero certo... eccolo!..." mormora raggiante di
            soddisfazione. "Eccolo...chi?" domando."Quando
            c'è neve, scende a quote basse" risponde lui
            trasognato.La
            creatura resta immobile, stagliata nella fredda luce che
            spiove dall'alto e lo avvolge in un rarefatto sudario
            incantato.E
            mentre la notte si libra come un uccello enorme sopra
            noi, un'atmosfera d'attesa stringe il vecchio, me, la
            montagna, e la nera sagoma laggiù, laggiù,
            muta e solitaria ai confini estremi del bosco, del
            mondo...Ma chi
            è quella figura spettrale comparsa
            all'improvviso?... Uomo?... Animale?... Il cuore segreto
            della terra?... L'anima del mondo?... L'ombra furtiva di
            Dio?...Forse
            tutte queste cose insieme... "Chi
            è?" domando ancora.Ma il
            vecchio non risponde... e guarda... e sorride...
            sorride... Ah,
            come a volte sorridono misteriosi, i
            vecchi!...D'improvviso
            un grido roco, selvaggio, ultraterreno... La tenebra
            sussulta... Il silenzio sviene... La montagna si alza...
            e il cuore precipita in ginocchio..."Cos'è
            stato?..."."L'amore!..."
            risponde il vecchio. "L'amore
            di chi?"."L'amore!..."
            ribadisce Giovanni...Un
            secondo grido risuona folle e dolente, cupo e glorioso,
            carta vetrata sulla cruda nudità del
            silenzio.Il
            grido ascende pendii, colma anfratti e abissi, rimbomba
            in caverne e dirupi, turba quieti immutabili... poi
            s'inarca sotto la nera volta del cielo e lo strappa al
            suo letargo autunnale...Sì,
            quella che ascoltiamo è la voce della creatura
            misteriosa, il lampo sonoro del suo immenso e straziato
            desiderio, il brivido bollente del suo sogno
            amoroso...Lo sa
            bene, il vecchio: quel grido è anche il nostro
            grido, la nostra pena, il nostro desiderio più
            profondo. Quella voce... siamo noi!...E
            mentre l'urlo s'inabbissa in più vaste lontananze,
            la quiete torna a regnare sulla montagna
            deserta.E
            forse anche la creatura, adesso, ci sta guardando e
            ascolta i nostri cuori battere all'unisono col suo. Anche
            lei, come noi, dispersa nella notte
            trascendente...All'improvviso,
            laggiù, la figura è scomparsa. Il vecchio
            lascia la finestra e torna a sedere di fronte al
            fuoco..."È
            l'amore!..." seguita a dire.La
            parola "amore" gli crepita fra le labbra nell'istante in
            cui la fiamma guizza nel camino con sorprendente,
            inesplicabile coincidenza. E
            ancora una volta risuona il grido dolce e terribile...
            Ma
            stavolta è nel cuore, soltanto nel cuore sconvolto
            del vecchio, che risuona il grido dolce e
            terribile...E il
            suo sguardo all'improvviso, s'illumina bellissimo,
            commosso d'infinita pietà per l'intero creato,
            mentre parole leggere come fiocchi di neve gli salgono
            alle labbra: "È l'amore!... l'amore!..."...
            Il suo
            nome, Giovanni. La sua anima un canto di pietra e acqua.
            Il suo cuore, un nodo di silenzio e
            passione... 
            
            
               TORNA
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