Testi
Sezione Narrativa
- 1°
classificata
- Remo
Starzani
-
-
- Delitto
di pensionato
-
- Le
acque che scorrono fresche e veloci in fondo alla Valle
di San Giacomo, come se avessero fretta di recare al
grande fiume Adda il loro equoreo tributo, segnano
profondamente l'ambiente con l'inconfondibile marchio
della loro origine alpina.
- A loro
si deve, infatti, il rigoglio dei boschi che ne
ombreggiano le rive, ove larici, abeti, pini, ontani e
frassini sono testimoni e artefici di una natura bella e
confortevole; a loro si deve il primaverile trionfo dei
fiori, quando primule, viole, margherite, mimose,
campanule, genziane, sassifraghe e colorata compagnia
floreale fanno a gara per esibirsi; a loro si deve il
vellutato manto verde dei prati, come la generosa
fertilità dei campi e degli orti che ne
accompagnano il corso; a loro si deve la vita degli
animali che vi si abbeverano, quella dei grandi abitatori
delle alte montagne incombenti sul Passo dello Spluga -
camosci, caprioli, stambecchi, timidi e sospettosi per
l'umana presenza perché ancora memori di recenti
stragi inconsulte - e quella delle numerose colonie di
bestiole da tana - marmotte, tassi, martore, donnole,
scoiattoli e perfino ermellini - una fauna varia e
vivace, sulla quale aleggiano gli uccelli rapaci -
aquile, falchi, poiane, gheppi e sparvieri - che calano
fulminei per artigliare le prede più
incaute.
- Poteva
il ragioniere Cassiano, dopo quaranta anni di onorato
servizio presso una banca di Chiavenna in qualità
di vice capoufficio addetto agli assegni circolari e
collocato in pensione per raggiunti limiti di età,
rimanere insensibile al richiamo dell'aria balsamica
dell'alta valle e all'invito seducente delle limpide
acque del Liro?
- Poteva
il neo pensionato Cassiano ignorare la serena
voluttà di beate sieste all'ombra amica di un
frondoso albero, con il sommesso sottofondo dell'acqua in
perenne colloquio intimo con sassi e ciottoli, quasi un
gorgogliante invito alla pace dei sensi e nello spirito,
immerso in un ambiente sano e incontaminato?
- Non
poteva.
- Il
signor direttore della banca aveva convocato il personale
dipendente: "Oggi il nostro caro ragioniere Cassiano
chiude la sua carriera dopo quaranta anni di servizio
prezioso e apprezzato", disse visibilmente commosso. "Lo
accompagnano i nostri sinceri auspici per una vita da
pensionato lunga e serena", aggiunse stringendogli
calorosamente la destra. "Egli è stato un
ammirevole esempio di serietà e di
professionalità", continuò con enfasi,
battendogli affettuosamente sulla spalla".
- "La
nostra banca, che sa essere per noi anche madre munifica
e provvida sorella, intende per mio tramite dimostrare
tangibilmente al caro ragioniere Cassiano tutto il suo
apprezzamento per l'opera svolta con costante abnegazione
in perfetta sintonia con i nobili fini economici e
sociali che ne ispirano la secolare attività,
ognora pensosa della prosperità della sua eletta
clientela", concluse a braccia alzate e occhi al cielo
mettendogli il mano una busta sigillata.
- Applausi,
strette di mano, pacche sulle spalle, auguri, battute
scherzose, parole buone ed effusioni varie. Un quarto
d'ora dopo il ragioniere Cassiano si trovò sulla
strada con la sua busta in tasca e con la testa che gli
ronzava. Tre mesi dopo l'assegno circolare contenuto
nella busta - il primo da lui non personalmente compilato
- si era trasformato in una cassetta di cinquanta metri
quadrati, con giardinetto e orticello, in riva al
Liro.
- Per un
paio di settimane fece quello che fanno quasi tutti i
bancari che vanno in pensione: s'inventò qualcosa
per riempire la giornata, dato che non aveva moglie che
provvedesse all'uopo. S'affaccendò con lena nella
sua casetta fino a renderla lustra e graziosa come una
bomboniera; si dedicò con entusiasmo di neofita al
giardino e all'orto, incurante dei danni arrecati alle
aiuole, non ché degli scempi su cipolle,
prezzemoli, rape e raperonzoli, lattughe e verdure varie;
trafficò attorno alla siepe di ligustro che
riuscì a sopravvivere malgrado l'imperizia
dell'improvvisato giardiniere; s'impegnò, insomma,
in imprese fuori della portata di un bancario che ha
trascorso una intera vita di lavoro a compilare assegni
circolari, e che s'illude che basta la buona
volontà per fare bene cose mai fatte
prima.
- Passata
che fu la sbronza dell'attivismo manuale si dedicò
al miglioramento della propria cultura, rimasta ferma
alla partita doppia e al calcolo degli interessi
composti. Si procurò ponderosi volumi
enciclopedici per affacciarsi - diceva - al fascinoso
mondo dei pensatori che sanno muoversi fra i problemi
esistenziali dell'umano genere.
- Con
intenso sforzo di volontà riuscì ad
arrivare fino alla pagina diciassette della 'Filosofia
dello spirito" di Benedetto Croce, che gli fece capire
- se non altro - di non essere tagliato per la
speculazione filosofica.
- Ripiegò
allora sulla più accessibile filosofia del
pescatore di acque dolci. S'iscrisse al "Circolo della
lenza"; s'abbonò alla "Rivista della Pesca
Sportiva"; comprò tutto l'armamentario consigliato
dalla più raffinata tecnica pescatoria; si
procurò un pastrano impermeabile di un ripugnante
colore verde-marcio, di un giaccone con venti tasche, di
un cappellaccio buono per il solleone come per la
pioggia, di stivali gommati a tutta coscia, e
sistemò in giardino il più numeroso e
qualificato allevamento di vermi, larve di mosca,
lombrichi e anellidi varii di tutta la
Valchiavenna.
- Con il
raziocinio pignolo proprio dei bancari in pensione
ripartì la sua giornata: un terzo alla cura della
casa e della persona, un terzo al riposo notturno e un
terzo ai pesci del torrente, metà al mattino e
metà al pomeriggio.
- Una
ricetta sicura per ripulire gli asfittici polmoni
intasati da fumo passivo con l'aria balsamica del bosco,
per distendere i nervi logorati dalla stressante vita di
banca e per sollecitare la mente a pensieri grandi, ben
al di sopra gretta logica del dare e dell'avere. Una
ricetta che consentiva di vivere in armonia con
l'umanità, tenuta a rispettosa distanza, e con il
Signor Iddio Creatore, che pare vicino e presente quando
si è immersi nella primigenia malia del
creato.
- Benedetto
il giorno del pensionamento! Il ragioniere Cassiano era
felice.
- Ma
quando mai la felicità si protrae nel tempo, che
ha ritmi e misure diverse da quelle degli
uomini?
- Fu in
un afoso pomeriggio estivo che al pescatore pensionato
capitò qualcosa d'imprevisto.
- Il
ragioniere Cassiano si era sistemato, in completo assetto
pescatorio, sulla riva destra del Liro, in un punto ove
la corrente è forte e l'acqua abbastanza profonda
per insidiare qualche preda significativa. Ma le ore
passavano senza che il galleggiante della sua lenza desse
segni di vita. Calma piatta e noia crescente. Un leggero
torpore si era impadronito del pescatore, preludio ad una
salutare siesta, quando un rumore inconsueto lo fece
sobbalzare. Un cane si era piazzato accanto a lui. Niente
di straordinario, beninteso. I cani sono liberi di
girovagare a loro piacimento anche sulla riva destra del
Liro. Ma quel cane - un magnifico esemplare di pointer -
aveva un comportamento strano: zampettava lungo la riva,
quasi volesse tentare un guado, impossibile in quel
punto; scuoteva la testa emettendo brevi guaiti;
scodinzolava freneticamente e saltellava, in preda a
palese agitazione; tremava in ogni fibra e sollevava di
tanto in tanto una delle zampe anteriori. Poi
s'avvicinò al pescatore, lo fiutò
accuratamente, e lo fissò.
- Cassiano
era abbastanza informato sui pesci d'acqua dolce, ma non
sapeva niente sui cani. Tuttavia capì che quel
cane ce l'aveva con lui. Con quegli occhi canini puntati
addosso non era il caso di pescare, e neppure di dormire.
Tanto più che il pointer era privo di collare e di
museruola. "Con i pesci si va sul sicuro - pensava il
ragioniere - ma con un cane grande, robusto e dotato di
poderosa dentatura qualche rischio
c'è".
- Stava
arzigogolando sullo strano incontro quando sulla scena
comparve un altro attore che strappò a Cassiano un
grido di meraviglia: una grossa lepre che iniziò a
saltabeccare sulla riva del torrente con l'evidente
intenzione di tentare la disperata impresa di guadagnare
l'opposta sponda.
- Cassiano
era trasecolato: un cane grande e forte che non si cura
di una lepre quasi cadutagli fra le fauci! E una lepre
che non degna di uno sguardo il suo atavico
nemico!
- "Qui
si sovvertono le leggi della natura!", pensò
l'esterrefatto pescatore.
- Ma pre
odore di bruciato gli aggredì le nari, sulle ali
di un vento caldo, mentre una densa nube di fumo nero
invadeva tutta la zona. Era chiaro: quelle due creature,
nemiche per natura, erano uguali e non più nemiche
di fronte all'incombente pericolo.ura, erano uguali e non
più nemiche di fronte all'incombente
pericolo.
- Bofonchiando
contro la sorte ria che gli stava rovinando la giornata
il ragioniere
- Cassiano
s'accinse, con flemma da pensionato, a sgombrare le
postazione di pesca, ma non tardò ad accorgersi
che non era il caso d'indugiare. La cortina di fuoco
avanzava veloce e l'aria diventava irrespirabile.
Tossendo e lacrimando si mise sulla via di casa, ma fu
respinto dopo un centinaio di metri da un fronte ardente
di crepitanti fiamme che lo ricacciarono in riva al
torrente. Quivi trovò il cane e la lepre, fianco a
fianco, con gli occhi sbarrati per il terrore e fissi
all'altra sponda, che significava salvezza.
- Ma il
turbinoso flutto era un ostacolo insormontabile per un
uomo. Figurarsi per due piccoli animali che con l'acqua
non hanno dimestichezza. Cassiano brancolava lungo la
sponda, ansimando penosamente e incespicando, lo sguardo
spento e la testa vuota, stordito per la sopravvenuta
emergenza e terrorizzato per la possibile morte
atroce.
- L'istinto
gli suggerì di riportarsi dove il cane e la lepre
stavano tremanti a guadare oltre le ostili acque del
Liro. "Chissà mai - riuscì a pensare -
forse l'istinto animalesco è più affidabile
di quello umano". Il calore era insopportabile. Cassiano
dovette liberarsi in fretta dei pesanti paludamenti da
pescatore e arrancò faticosamente fino alla
postazione di pesca. Occhi umani, canini e leporini,
tutti dilatati dalla paura, chiedevano al vorticoso Liro
il salvacondotto per la vita.
- Fu la
lepre che per prima decise, da provetta saltatrice. Ma
l'opposta sponda era troppo lontana. Sparì
dibattendosi nell'impietoso vortice.
- Il
cane fissava l'uomo. Da lui attendeva qualche salvifico
lume. Ma la ragione dell'uomo vacillava, la sua voce era
un rantolo e i suoi occhi erano abbuiati. Il pointer
capì allora che da quel fantasma tremante di paura
era vano attendere scampo alla morte incombente. Assunse
perciò il comando delle operazioni. Con garbo
canino addentò gli orridi mutandoni a righe
verticali bianche e celesti, che erano l'unico indumento
rimasto addosso al ragioniere; tirò abbastanza
forte per fargli capire che urgeva muoversi di lì,
ma abbastanza delicatamente per non lasciarlo nudo come
un verme. Poi puntò deciso verso il fronte
fiammeggiante, rasentando la sponda del torrente, ove la
vegetazione era meno folta.
- Come
un sonnambulo in piena crisi Cassiano lo seguì.
Qualche passo fra le vampe, dietro al cane; transitorio
obnubilamento della mente, grida di dolore soffocate
nella strozza e cuore tumultuante: un prezzo accettabile
per salvare la vita. Il fuoco era alle spalle. Il
ragioniere Cassiano poté svenire in
pace.
- Il
cane è un animale intelligente, non c'é
dubbio. Se è un pointer è anche rapido
nell'azione. Se è senza collare perché
abbandonato nel bosco da un padrone incosciente, o
stupido, oppure incosciente e stupido, sa come cavarsi
d'impaccio.
-
- Quando
il ragioniere Cassiano riprese coscienza non ebbe motivo
di rallegrarsi per averla scampata: due uomini erano
chini sopra di lui. Erano giovani, e indossavano la
divisa dei carabinieri. Un terzo uomo, più
anziano, stava eretto a un passo di distanza, con l'aria
di chi comanda. Esibiva un mostaccio terrificante
inquadrato fra due basettoni metà bianchi e
metà neri. Dalle sue labbra strette sui denti in
segno di palese schifo uscirono parole ferrigne: "Si
è finalmente svegliato, il piromane?"
- Avuta
la conferma estrasse una tessera con l'emblema della
Polizia e la mise sotto il naso del Cassiano che stava
tentando di capire perché si trovava lungo disteso
a terra, in mutande, sotto una coperta militare,
sovrastato da tre sconosciuti che, evidentemente, ce
l'avevano con lui. Percepì a fatica la voce di uno
dei carabinieri:
- "Lei
è in stato di arresto. Declini le sue
generalità". Fra violenti accesi di tosse il
ragioniere rantolò nome e cognome, aggiungendo,
con bancario scrupolo, la paternità, l'indirizzo,
il codice fiscale e il gruppo sanguigno. Poi
farfugliò:
- "In
stato di arresto? Ma che cosa ho fatto di tanto grave?"
La voce aspra del funzionario di polizia calò su
di lui come una staffilata: "Si guardi attorno, e
vedrà quello che lei ha fatto!" Il povero
ragioniere allibì: tutto era nero. La natura era
morta. Ovunque sterpi inceneriti, rami e tronchi
combusti. Alcuni residui focolai mandavano al cielo le
ultime faville. Cassiano era annichilito. Le parole che
uscirono dalla bocca del funzionario dal truce cipiglio
non giovarono di certo al suo morale:
- "Nel
nome del popolo italiano io... (e giù una sfilza
di nomi, cognomi, patronimici, casati e ascendenze
illustri), in base a precisi elementi di prova forniti
dai carabinieri di... (e giù una sequela di paesi,
borghi, località, frazioni e perfino casolari)
accuso lei, in flagranza di reato, per i delitti di cui
al vigente Codice Penale... (e giù una litania di
articoli, capitoli, titoli, commi e sottocommi, decreti,
regolamenti, ordinanze, disposizioni e leggi varie), che
prevedono l'arresto immediato e la detenzione in attesa
di giudizio".
- Quasi
nudo sotto la coperta militare pietosamente prestatagli
il malcapitato pensionato Cassiano ormai basiva. Infilato
in mutandoni a righe verticali bianche e celesti
decisamente osceni e bruciacchiati, lo sfortunato
pescatore affamato, assetato, stremato, arrabbiato ed
abbacchiato, boccheggiava gemendo sotto lo spietato
incalzare delle pesanti accuse. Ma un bancario ultra
settantenne in pensione possiede una forza di reazione al
fato avverso tale da contrastare validamente ogni
sventura. Come la bella Rosina immortalata da Gioacchino
Rossini diventa cattiva e vendicativa se la toccano nel
suo debole, così Cassiano reagì al diluvio
delle cervellotiche contestazioni con la rabbia di un
aspide disturbato nel suo covo. Per di più il suo
accusatore si era espresso con accenti e toni di lontane
regioni meridionali non facilmente percepibili in
Valchiavenna, talché il Cassiano aveva intuito,
più che capito, la gravità degli addebiti
portati contro di lui. S'aggiustò sulle spalle la
coperta militare, ma mo' di toga senatoria, gonfiò
il petto quel tanto che gli consentì la sua
rachitica cassa toracica, si schiarì al meglio la
voce arrochita, e così declamò:
- "Ringrazio
per le informazioni gentilmente fornitemi, e mi scuso per
il mio abbigliamento, che è la conseguenza di
eventi fuori dalle mie possibilità di controllo.
Non è mia abitudine girare in mutande per i
boschi, né appiccarvi fuoco. Qui c'è un
evidente errore di persona. Non sono io il piromane che
cercate. Io sono invece una vittima di quei mascalzoni
che distruggono il nostro patrimonio forestale. Sono vivo
per miracolo.
- Stavo
tentando di pescare in riva al torrente quando mi sono
trovato con il fuoco a pochi metri. Non avevo scampo. Se
non ci fosse stato il cane sarei morto".
- La
mutria del funzionario ebbe una lieve contrazione. "Il
cane? Quale cane?", domandò. Il ragioniere
riferì per filo e per segno la sua disavventura,
senza omettere la faccenda del cane salvatore e della
lepre suicida. La grinta del funzionario non
s'addolcì granché. "Mi parli del cane. Di
quale razza era?", chiese, con una punta di
sarcasmo.
- Cassiano
rispose che i pescatori s'intendono di pesci, non di
cani. Tuttavia lo descrisse. Non si dimenticano le
caratteristiche fisiche di chi porta la salvezza. Il
funzionario ascoltò con distaccata degnazione, poi
sentenziò: "Lei ha visto un cane da caccia. Mi
spieghi che cosa faceva un cane da caccia al fianco di un
pescatore".
- Il
viso di Cassiano s'imporporò. Tuttavia il bravo
pensionato riuscì a trattenersi: "Non avevo mai
visto quel cane. Anche lui cercava scampo dal fuoco, come
la lepre. Avevamo lo stesso problema, io, il cane e la
lepre: evitare di morire arrostiti. La lepre ha cercato
la salvezza oltre il torrente. Ma il salto non è
riuscito, ed è morta. Il cane ha deciso di
affrontare il fuoco, e si è salvato. Per mia
fortuna io l'ho seguito, e sono qui malridotto e
impresentabile, ma salvo. Ero ben lontano dall'immaginare
di dovere giustificarmi per reati che non ho commesso. Mi
dica, adesso, in base a quali elementi di prova lei mi
accusa?"
- Il
ceffo del funzionario assume un'espressione ancor
più arcigna: "Lei è la sola persona
presente sul luogo del delitto. Adesso compare un cane.
Ma non riesco ad attribuire al cane la
responsabilità dell'incendio". Si produsse in una
smorfia che trasformò il ceffo in un ghigno
inquietante. Poi cavò dai precordi una risata che
precipitò Cassiano nell'afflizione più
cupa: "Non rimane che incriminare la lepre suicida!",
concluse mentre le sue nere pupille dardeggiavano lampi
sinistri.
- L'eco
della risata era ancora nell'aria quando s'udì il
rompo di un motore. Apparve una camionetta militare dalla
quale scese un colonnello dei carabinieri, che fece un
cenno. Il funzionario s'avviò, dopo aver ordinato
ai due carabinieri: " non perdete di vista
l'indiziato".
- "Non
sono gli uomini a dominare la sorte, ma è la sorte
a dominare gli uomini", afferma Erodoto. Il grande
storico greco non era fra gli autori preferiti da
Cassiano, che meglio se la cavava con i manuali sulla
pesca in acque dolci, ma c'è da giurare che
l'ex-bancario sarebbe insorto contro il fatalismo di
Erodoto.
- Si
sarebbe piuttosto schierato con Schopenhauer: "Il destino
mescola le carte, e noi giochiamo". Era una partita
difficile e pericolosa quella che il ragioniere Cassiano
doveva giocare. Ma lui sapeva che ogni partita non
giocata è persa. Avrebbe lottato, lui, anche se
era sconvolto per la desolazione del bosco incenerito;
anche se si sentiva ridicolo a causa di quei mutandoni a
righe verticali bianche e celesti, con segni evidenti di
bruciacchiature, e assai disdicevoli per la
dignità di un pensionato di banca; anche se
accusato di delitti orrendi; anche se sorvegliato a
vista, come se fosse un lestofante o un malavitoso
incallito; anche se solo, abbandonato dagli uomini, e
forse anche da Dio. Ebbene lui, ragioniere Cassiano,
pensionato, avrebbe trovato la forza e l'orgoglio per
dimostrare a Erodoto che non sempre la sorte riesce a
dominare gli uomini, e per insegnare a Schopenhauer che
l'importante è giocare bene le proprie
carte.
- Tre
ore passarono prima che il funzionario dai basettoni
comparisse davanti all'indiziato pensionato Cassiano. "Mi
guidi al punto dove lei stava pescando", ordinò
con tono perentorio. Si formò un piccolo corteo
formato da Cassiano, più che mai abbiosciato,
affiancato da due carabinieri e seguito dall'accigliato
funzionario. Nello spettrale scenario della natura
mortalmente ferita, fra sterpi carbonizzati e residui
focolai d'incendio, il quartetto giunse in riva al
torrente. Anche lì il fuoco aveva compiuto la sua
opera devastatrice: tutto era annerito dove prima era un
rigoglio di verdi fronde; la fresca aria balsamica si era
trasformata in una soffocante cappa di sapori acri, che
facevano tossire i quattro uomini. Nello squallore di
tanta rovina una lenza semi bruciata era l'unico indizio
evidente di una scalognatissima giornata di
pesca.
- Con un
fazzoletto premuto sulla bocca il funzionario
iniziò una meticolosa perlustrazione. Ad un certo
punto si chinò, raccattò qualcosa,
esaminò accuratamente il reperto. Poi si
piantò di fronte al Cassiano, che ne seguiva i
movimenti mogio mogio.
- "Ecco
la sua licenza di pesca, signor Cassiano. - disse
porgendo il documento qui e là annerito - Da
questo momento lei è un libero cittadino. Il
colonnello mi aveva informato dell'arresto di una persona
a carico della quale sono emersi gravi indizi di
colpevolezza. Ma per convincere me non bastava. Ci voleva
la prova che lei, signor Cassiano, non si trovava nel
punto ove fu appiccato il fuoco. Questa sua licenza di
pesca è quello che cercavo. Adesso, se lei si
sente in vena, può di nuovo pescare. La saluto, e
le auguro buona pesca".
- Il
ragioniere Cassiano impallidì. Per un pescatore
non c'è augurio più iettatorio.
- Ma
riuscì, ancora a dominarsi. D'altronde che altro
c'era da aspettarsi da quello scostante funzionario
piovuto in Valchiavenna chissà da dove, brutto e
arrogante, pieno di albagia inquisitoria, altezzoso e
tracotante, che tratta gli indiziati come rei confessi,
che fa di un vago sospetto una prova irrefutabile e che
calpesta ogni umano sentimento con spocchia altezzosa?
L'avrebbe strozzato volentieri, quel tanghero, lo
sdegnato pensionato! Ma come si può vendicare il
sopruso patito quando si è abbigliati con
mutandoni a righe verticali bianche e
celesti!?
- La
calma è la virtù dei forti. Il ragioniere
Cassiano era forte, anche se non se ne era mai reso
conto. Comunque si comportò da forte, e seppe
trattenere le ire ultrici che gli turbinavano in testa.
S'inchinò con sussiego biascicando un "grazie"
grondante di formale cortesia, restituì la coperta
militare ad uno dei carabinieri e restò impalato
ad osservare i tutori della legge che si allontanavano,
nell'atteggiamento più dignitoso che i mutandoni
osceni gli consentivano. Poi crollò a sedere in
riva al torrente, con la testa fra le mani.
- Quivi
rimase a lungo per tentare di mettere ordine nella ridda
dei suoi pensieri.
- Quando
riemerse dallo stato confusionale gli venne alla mente
una frase che il suo direttore di banca - cultore per
diletto delle filosofie orientali - voleva citare, a
proposito ed a sproposito: "L'uomo che vince se stesso
è il grande dei conquistatori".
- In
verità Cassiano non aveva l'aria di conquistatore,
così discinto, male in arnese, stanco e depresso
qual'era. inoltre gli pesava come una cappa di piombo la
solitudine che in quelle passate ore convulse gli
procurò angustie devastanti. Aveva lui, Cassiano,
imposto giustamente la sua vita da pensionato? Era forse
fallace l'antico motto latino 'beata solitudo, sola
beatitudo'? Non era forse meglio trascorrere gli ultimi
anni di vita con qualcuno che, all'occorrenza, potesse
porgere una mano amichevole? E affrontare il rischio
d'incappare nel qualcuno sbagliato? Schopenhauer - ancora
lui - che di solitudine s'intendeva, ammonisce, dall'alto
della sua eruzione pessimista che 'la solitudine è
la sorte di tutti gli spiriti eminenti'. Ma c'è da
fidarsi di un filosofo fatalista che vede sempre il
bicchiere mezzo vuoto? Non è meglio abituarsi a
pensare che è mezzo pieno?
- Mentre
il tapino s'arrovellava in siffatta guisa un lieve rumore
alle sue spalle gli fece voltare il capo. Il pointer era
lì, a un metro di distanza, e lo fissava, come
solo un pointer sa fissare. Dalle fauci gli penzolava il
pastrano impermeabile color verde-marcio che,
stropicciato e bruciacchiato qual'era, faceva più
schifo di prima. Ma era pur sempre un indumento che
serviva a nascondere la vergogna dei mutandoni a righe
verticali bianche e celesti, e avrebbe consentito il
rientro a casa senza scandalizzare nessuno.
- Quasi
piangeva, il Cassiano, recuperando l'abominevole
giubbone, e non poté fare a meno di pensare,
rabbrividendo, che se l'avesse trovato il funzionario dei
bassettoni lontano dalla postazione di pesca, gli si
sarebbero spalancate le porte della galera.
- Lo
indossò, e si mise in cammino. Giunto in vista
della sua casetta, si voltò. Il pointer era
lì. Se lo caricò sulle spalle, allegro come
non mai, e aprì la porta con aria trionfante. "La
solitudine non è la sola beatitudine -
pensò - ma se al tuo fianco c'è un cane
puoi vincerla, Cassiano, e nel contempo evitare le umane
compagnie pericolose".
-
- Un
cane non parla, ma sa farsi capire. Se è un
pointer sa farsi rispettare. Se è un pointer senza
collare sa anche comunicare pensieri canini con il solo
ausilio degli occhi e della coda. Così quegli
occhi parlavano al ragioniere Cassiano: "Com'è
lunga e noiosa per un cane da caccia la giornata in riva
al torrente accucciato al fianco di un pescatore pigro e
con la testa fra le nuvole! Almeno catturasse qualche
pesce! Non dico una trota, impresa proibitiva per questo
mio nuovo padrone, ma almeno un cavedano, anche sotto
misura!"
- Andò
a finire che il signor Cassiano capì il muto
messaggio canino, e si convinse che occorreva cambiare
vita. Basta con le crebre giornate rigorosamente
cadenzate su schemi predisposti, tutte uguali, tutte
monotone! Basta con l''aurea mediocritas' che inganna il
tempo senza costrutto, e finisce con l'approdare
all'arido terreno della futilità! Basta con
l'inerzia, basta con l'isolamento egoistico, basta con la
vita da cenobita che non medita né
prega!
- Moto
ci vuole, dinamismo, e uno scopo nobile da
perseguire!
- Fu
così che un pescatore d'acqua dolce divenne
cacciatore. Il ragionier Cassiano, pensionato bancario
ultra settantenne, di indole mansueta e di buon
carattere, oltre che dotato di buona salute,
comprò un fucile a canne sovrapposte e
cominciò a girare su e giù per la
Valchiavenna dietro al suo cane che ostentava un collare
nuovo e impreziosito da borchie d'ottone. Una vita
dinamica, e piena di moto, non c'è dubbio. Ma
Cassiano ora aveva anche un nobile scope da perseguire:
quello di difendere la rigogliosa e provvida natura della
Valchiavenna dai vili attentati di inconsulti guastatori
piromani.
- L'uomo
e il cane si erano equipaggiati come un 'commando'
incaricato di una missione rischiosa in terra nemica, ma
non incutono spavento perché tutti sanno che non
farebbero male neppure a una mosca. Perfino gli
scoiattoli, i tassi, le lepri, i ricci e le talpe,
perfino gli uccelli che nidificano fra gli alberi hanno
capito che non v'è alcun motivo di temere il
fucile di Cassiano, né i denti del
cane.
- Perché
uomo e cane non sono normali cacciatori: infatti vanno a
cassia solo di piromani. Solo i balordi seminatori di
rovine e di morte, i miserabili incendiari furtivi
distruttori della ricchezza che una prodiga natura
elargisce, hanno buoni motivi per stare alla larga dal
fucile di Cassiamo e dai denti del suo pointer. Un fucile
speciale, che spara solo cartucce da lui fabbricate
personalmente. Sono caricate con sale grosso misto a
polvere di peperoncino siciliano. Non ammazzerebbero
neppure un coniglio, ma chi le ha assaggiate non
vorrà di certo correre il rischio di una nuova
esperienza.
- Il
ragioniere Cassiano le chiama 'piccanti bocconcini
antipiromani'. La gente della Valchiavenna guarda con
simpatia quell'anomalo cacciatore. Qualcuno lo ferma, e
gli chiede: "Come può lei, ragioniere Cassiano,
individuare con certezza un piromane?"
- "È
sufficiente avere un cane che è stato addestrato a
fiutare il petrolio ed altre sostanze incendiarie" -
è la risposta - "È più facile che
fiutare droga". Poi aggiunge: "Chi s'aggira per boschi
recando quantità sospette di materiale incendiario
ha quasi sempre malvage intenzioni. Il mio cane
s'avvicina e fiuta. Poi punta il potenziale piromane. Non
sbaglia mai. La faccenda si conclude spesso con un po' di
sale al peperoncino nel deretano. Tre giorni d'impacchi
freddi, e tutto passa. Anche la voglia di appiccare fuoco
ai boschi".
- Così
parla il ragioniere Cassiano, ultra settantenne bancario
a riposo. Se in Valchiavenna - ma non solo lì - si
troverà chi l'ascolta e ne sostiene il civico
impegno la piaga degli incendi boschivi potrà
essere santa.
-
- TORNA
ALL'INIZIO
-
-
- 2°
classificata
- Marianna
Scibetta
-
-
- La
montagna: il bosco e il
torrente
-
- C'era
una volta un gigante e, nascita o risveglio che fosse,
una mattina aprì gli occhi. "Buongiorno, chi sei
tu che pervadi la valle?" domandò il gigante alla
montagna riflessa in uno specchio d'acqua. "Io non
pervado la valle, la sovrasto". Rispose la montagna con
tono pacato. "Sono io che la sovrasto; io sono il
gigante!" rispose quello guardando ancora nello specchio
d'acqua. "Se tu decidessi di voltarti a guardarmi,
capiresti che è solo un'immagine riflessa quella
che ti inganna". Il gigante allora si voltò e si
accorse che la montagna era molto più grande di
lui: "Hai ragione, se tu che sovrasti la valle e sopra di
te, solo il sole può toccare le tue cime" ammise
il Gigante. "Allora, se tu sovrasti la valle, sei anche
la più saggia" dedusse ancora il gigante. "Ti
sbagli, più saggio di me è il torrente"
echeggiò la montagna. "Il torrente? Che cosa
può sapere più di te che sovrasti la
valle?" Allora la montagna indicò un punto in cui
il suo cuore di ghiaccio incrinandosi al calore della
primavera, si scioglieva in cento rigagnoli di acqua
pura.
- "Il
torrente è l'origine e il corso. Corso d'acqua che
raggiunge la valle, la attraversa e la trapassa fino al
limitare della terra, per dileguarsi nell'onda del mare"
rispose la montagna e continuò: "Io sono ferma da
tempo immemore su queste rocce, non posso che riflettermi
nell'acqua del lago, ascoltare il grido dell'aquila e il
fischio del vento". "Ho capito... il torrente è
più saggio perché arriva lontano." "Voglio
conoscere il torrente! Ma dov'è il suo letto, il
tratto in cui placa la sua corsa? " chiese il
gigante.
- "Potrai
incontrarlo al limitare del bosco, lì il suo
scorrere si fa più dolce". Il gigante si
incamminò seguendo il rumore dell'acqua,
finché, questo da fragore non divenne che un
gorgoglio confuso al richiamo degli uccelli. Intanto era
calata la notte, il buio era divenuto fitto, più
fitto man mano che, il gigante si addentrava nel sentiero
del bosco. Arrivato, ai margini dell'ombra più
allungata delle fronde, sul limitare del bosco, il
gigante fu investito dalla luce dorata della luna,
guardò in basso e si stupì. A fior d'acqua
vide risplendere una infinita quantità di piccole
luci, alcune delle quali si alzavano dal torrente e
sciamavano verso la sagoma informe del bosco. "Chi
siete?" domandò il gigante, pensando che le luci
fossero fate. "Siamo lucciole, veniamo ad incontrare le
nostre sorelle nel torrente" risposero quelle in coro. "E
perché venite ad incontrarle nel torrente le
vostre sorelle?" chiese il gigante. "Perché solo
in questo riverbero possiamo ricongiungerci alle
stelle... lo spirito del bosco volle lucciole in cielo e
lucciole in terra. Così, possiamo incontrarci solo
nell'acqua pacata del torrente". Poi iniziò la
loro danza scandita dal canto leggero della notte sul
fiume di luce. "Sei davvero il più saggio!"
esclamò il gigante rivolgendosi al torrente che
sembrava addormentarsi, al ronzio leggero dei canti senza
suoni delle lucciole. "Davvero, mi reputi il più
saggio?" chiese il torrente in un flutto improvviso. "Oh
sì! Me lo ha detto la montagna e lo vedo con i
miei occhi giacché puoi riflettere le stelle".
"C'è qualcuno che è più saggio di
me, perché sa deviare il mio corso, domare la mia
irruenza come un cavallo docile alla briglia"
fluttuò il fiume al gigante.
- Fu
allora, che il gigante udì il sibilo del vento, il
canto delle cicale e il suono monotono del gufo. "Chi
sei?" chiese il gigante spaventato al nulla "Sono lo
spirito del bosco, che anima l'oscurità della
notte con i versi risonanti degli uccelli e colmo lo
spazio del silenzio con le ombre parlanti dei rumori"
rispose il bosco. "Dimmi, chi è più saggio
della montagna e del torrente" domandò il gigante
in cerca della verità. "La montagna è la
grande madre e il torrente suo figlio, ma c'è
qualcuno che può scalare le vette e piegare la
piena" sospirò il bosco. "Chi può fare
questo è più grande di me che posso
guardare la montagna negli occhi e deviare il torrente
con una mano?" domandò il gigante che non riusciva
ad immaginare. "No, gigante ti sbagli, in verità
è più piccolo dell'abete, della montagna,
del torrente e di un gigante... ma il suo pensiero
può superare il guado, scalare le cime delle
montagne e rivolgersi alle stelle" risposero le molte
voci del bosco. "È davvero straordinario!"
esclamò allora, il gigante "Dimmi, chi è in
grado di fare tutto questo?" incalzò il gigante.
"Guarda quelle luci nella radura" lo spirito
indicò un punto, oltre la riva opposta del
torrente. "Sono stelle quelle luci? " chiese il
gigante.
- "No,
sono i fuochi, attorno ai quali vive l'uomo" rispose il
bosco. "L'uomo? I fuochi?" domandò il gigante che
voleva capire. "Il fuoco serve all'uomo per rischiarare
la notte e per perpetuare il racconto" rispose il bosco.
"E che cos'è il racconto?" chiese ancora il
gigante che sedutosi, appoggiò la sua mano
sull'erba umida, carezzandola piano. "Il racconto
è il suono del tempo che l'uomo fa vibrare come
una corda tesa, suono che colma la radura, pervade il
bosco e risuona nella valle, perpetuato dalla luce delle
stelle".
- "Voglio
conoscere l'uomo!" esclamò infine il gigante.
Allora il gufo interruppe il canto, il vento tacque la
sua voce nel gorgoglio muto dell'acqua, lo spirito del
bosco si assopì, e il silenzio avvolse la notte.
Il gigante attraversò la radura e si fermò
presso i fuochi, lì vide uomini e donne, vecchi,
giovani e bambini. Si accorse che non tutti erano saggi
alla stessa maniera; quelli che lo erano in maggior
misura si ponevano in ascolto e il racconto proseguiva
sempre nella medesima cadenza, come un canto, come un
rito... il rito del tempo che si perpetua. Poi, il
gigante guardò nel cuore degli uomini e vide
radure costellate di speranze, e vide dirupi adombrati
dalla tristezza e vide deserti cosparsi di malvage
cupidigie e dive pareti rocciose grondanti di dolore.
Allora il gigante capì la natura dell'uomo e il
suo impervio e sterile campo del non rispetto e
finalmente, conobbe. Decise a qual punto di tornare
indietro, attraversò la radura fino al bosco,
lì bevve nelle acque del torrente, riempì
le sue orecchie dei canti stregati della notte,
mangiò le radici delle conifere dei boschi,
traendole piano dalla terra, in cui per ultimo depose le
sue lacrime. Poi raggiunge la montagna e si distese ai
suoi piedi, posando la testa ad oriente. Così,
disteso, aspettò la pioggia che lo tramutò
in albero, in terra, in acqua, in spirito. Nessuno seppe
di lui e della sua sete di sapere, ma intorno al fuoco,
gli uomini perpetuarono il racconto del gigante, fa uno
della montagna e delle lucciole che incontrano le stelle
sulle acque del torrente al limitare del bosco, questa
è la sua leggenda.
-
- TORNA
ALL'INIZIO
- 3°
classificata
- Arrigo
Filippi
-
-
- Il
grido
-
- Il suo
nome, Giovanni. La sua anima un canto di pietra e acqua.
Il suo cuore, un nodo di silenzio e
passione...
- Autunno.
Sto rientrando da un'escursione in alta montagna, lungo
un ripido sentiero ormai vellutato dalle prime ombre
crepuscolari.
- Mi
aspettano diverse ore di cammino. Troppe. Giunto a una
casupola, decido di chiedere ospitalità per la
notte. Il giorno dopo raggiungerò la valle, con
calma.
- Il
vecchio Giovanni mi accoglie con silenziosa
cortesia.
- Da
tempo ha lasciato il mondo per rifugiarsi tra montagne
solitarie, incrostate di silenzi, coperte di boschi
ombrosi.
- Protetto
dal magico eremitaggio delle altezze è diventato
un essere senza tempo, ruvido di riservatezza, franoso di
malinconie, ispessito di sogni...
- Ah, i
sogni dei vecchi, fiammeggianti spirali di solitudine e
veggenza, nostalgia e pietà!...
- Ceniamo.
- Chiuso
nella sua animalesca diffidenza, asciutto come un alveo
in secca, l'uomo scodella poche parole, una minestra
calda e sorsi di vino denso e nero come la notte, appena
scesa sulle montagne.
- Accenno
alla mia avventura, al paese, alle vicende recenti, ma
non sembra interessato a questo tipo di argomenti. Si
limita ad ascoltare, se veramente è ascoltare, il
suo.
- Dopo
cena siede di fronte al camino, assorto in chiusi
pensieri. Se pensieri sono, i suoi...
- Poi si
alza, spalanca uno stipo, estrae un sigaro e lo accende.
Dense volute di fumo odoroso si spandono intorno.
Raggiunge la finestra. Immobile contempla la
notte.
- "Nevicherà...
tra un po' nevicherà..." vaticina con lungimirante
sicurezza.
- "Forse..."
rispondo io.
- Echi
di quelle parole vibrano a lungo nella stanza. Poi,
silenzio.
- Il
vecchio torna a sedere.
- Le
fiamme gli riverberano sulle gote arrossandone la pelle
coriacea, mentre una corona di luce gli fa risaltare il
corpo, sgravandolo di ogni peso, elevandolo
misticamente...
- Così
i vecchi giocano a fare i fantasmi...
- D'improvviso
ripenso a figure dell'infanzia, vecchi dai volti
innocenti e luciferini, visitati dall'inesprimibile,
zappati dal tempo, butterati dal mistero.
- Vecchi
dai visi di roccia e sangue, terra e carne.
- Vecchi
dalle mani di pietra e ossa, fango e vento, dai visi
impagliati di giorni, infuocati di mosto, lavati
d'aria.
- Ripenso
alle loro pupille acuminate e visionarie, sempre in
agguato tra ispidi rovi di ciglia muscose, con gli
sguardi arrugginiti da antichi dolori, bracieri in cui
perenne ardeva una conoscenza taciuta.
- Rivedo
i loro teneri sorrisi bucati e le fronti solcate da
improvvise mareggiate di rughe, eternamente frangenti
sulle rocce dell'anima.
- Vecchi
imbottiti di silenzio, odorosi di parole segrete,
lasciate ad ammuffire in una cantina di visceri
scontrosi, tenute a fermentare nei tini di un ruvido,
antico riserbo. Poi all'improvviso sturati, i visceri,
per un ingorgo di parole, venute su tutte insieme a
gorgogliare in un catino di labbra, ammassate nei recinti
di lunghi racconti serali, per una baldoria di pelose
paure e allegre sorprese.
- Bambino,
sostavo sull'orlo precipite di quelle labbra come il
cacciatore sta in agguato della selvaggina ai bordi della
boscaglia. Aspettavo il guizzo improvviso di un suono, il
frullare d'una verità bruscamente levatasi in
volo... poi sparavo, sparavo all'impazzata raffiche di
stupore!...
- Ah, le
parole nude e crude, brusche e dolci, magicamente eterne
dei vecchi!...
- Mi
ridesto dai sogni. Giovanni continua a fissare il fuoco.
Dal mio posto percepisco ogni rumore nella stanza: il
cicalare della fiamma e il gracidare dell'uscio ad ogni
soprassalto di vento, la tosse di una vecchia cassapanca,
lo squittio dell'imposta, il pausato respiro del vecchio,
e persino l'agitarsi dei pensieri nel chiuso della sua
mente...
- I
vecchi hanno pensieri che fanno un rumore di
tuono...
- A un
tratto si alza e raggiunge di nuovo la finestra; guarda
nel buio ma calmo, imperturbabile, come celebrando un
rito eternamente ripetuto.
- Fuori
ogni cosa è soggiogata dal l'incontrastato dominio
dei silenzio che spegne i passi dei vento, asciuga il
respiro dei bosco, cancella il motore sempre acceso dei
ruscello.
- Il
bosco è muto, fermo, imboscato in un silenzio di
ferro, la sua anima è alla deriva nel mare grande
della notte di montagna. È una macchia sul cuore,
il bosco di notte, un carbone acceso che arde nel camino
dell'attesa e infiamma l'anima di dolce
spavento.
- E la
notte di montagna è un cane che morde lo sguardo,
lappa i pensieri, scorre le praterie dei sangue e lo
inchiostra di una paura rabbrividita.
- È
anche un pigolio molle e felice, la notte di montagna,
canto sottile all'orecchio del mondo, il muscolo del buio
che d'improvviso si contrae e solleva gli sguardi degli
uomini al mistero elettrico dell'inesplorato.
- Sì,
la montagna di notte, quando non è che una vela al
largo tra i marosi del silenzio, il fantasma di una
verità scolpita nella pietra, dolce, spettrale
visione che non si può reggere a lungo...
perché è una felicità che fa male,
fa male al cuore, la montagna di notte!...
- Il
vecchio è sempre alla finestra e mostra una calma
perfetta e sapiente. Una calma modellata negli anni,
cresciuta nella gioiosa temerarietà di
innumerevoli notti come questa, avvezza agli incanti
trasfigurati delle vette solitarie, dei boschi
addormentati in grembo al buio, dei ruscelli che tramano
parole col filo del silenzio.
- A un
tratto accenna un sorriso. Mi chiama con la mano a
sé. Mi alzo. Lo raggiungo. Fuori qualcosa di
grande e ineffabile è accaduto: radi fiocchi
vaporosi solcano lo spazio deserto e scrivono sulla
pagina dei buio una bianca felicità tutta da
contemplare...
- Aveva
ragione lui: sta nevicando!...
- Il
mondo lentamente si trasforma sotto i nostri occhi. La
neve, fluendo leggera e ipnotica, ci trascina nel vortice
di un ritmo narcotico, lattea pulsazione che batte una
musica infinita.
- "Là...
guardi là!..." esclama a un tratto il
vecchio.
- Scruto
ma non vedo nulla e il buio cancella con inoppugnabile
uniformità ogni distinzione, smussa rilievi,
appiana identità.
- Eppure
il mondo è sempre, indubitabilmente là,
più segreto e reale che in qualsiasi altro
momento, avvolto nella cortina fumosa della notte di
montagna...
- Il
mondo si rivela... scomparendo...
- "Laggiù...
guardi meglio... laggiù!..." mi sollecita ancora
una volta, il vecchio.
- Osservo
intensamente, fino al limite del bosco, dove una luce
pallida e irreale spiove da un imprecisato punto
dell'Universo, inargentando le chiome di un abete
solitario: laggiù, laggiù una figura
fantastica, semovente e inquietante mi appare
all'improvviso.
- Cosa
sia non capisco. Ma il vecchio mostra di saperla
lunga.
- "Ne
ero certo... eccolo!..." mormora raggiante di
soddisfazione. "Eccolo...chi?" domando.
- "Quando
c'è neve, scende a quote basse" risponde lui
trasognato.
- La
creatura resta immobile, stagliata nella fredda luce che
spiove dall'alto e lo avvolge in un rarefatto sudario
incantato.
- E
mentre la notte si libra come un uccello enorme sopra
noi, un'atmosfera d'attesa stringe il vecchio, me, la
montagna, e la nera sagoma laggiù, laggiù,
muta e solitaria ai confini estremi del bosco, del
mondo...
- Ma chi
è quella figura spettrale comparsa
all'improvviso?... Uomo?... Animale?... Il cuore segreto
della terra?... L'anima del mondo?... L'ombra furtiva di
Dio?...
- Forse
tutte queste cose insieme...
- "Chi
è?" domando ancora.
- Ma il
vecchio non risponde... e guarda... e sorride...
sorride...
- Ah,
come a volte sorridono misteriosi, i
vecchi!...
- D'improvviso
un grido roco, selvaggio, ultraterreno... La tenebra
sussulta... Il silenzio sviene... La montagna si alza...
e il cuore precipita in ginocchio...
- "Cos'è
stato?...".
- "L'amore!..."
risponde il vecchio.
- "L'amore
di chi?".
- "L'amore!..."
ribadisce Giovanni...
- Un
secondo grido risuona folle e dolente, cupo e glorioso,
carta vetrata sulla cruda nudità del
silenzio.
- Il
grido ascende pendii, colma anfratti e abissi, rimbomba
in caverne e dirupi, turba quieti immutabili... poi
s'inarca sotto la nera volta del cielo e lo strappa al
suo letargo autunnale...
- Sì,
quella che ascoltiamo è la voce della creatura
misteriosa, il lampo sonoro del suo immenso e straziato
desiderio, il brivido bollente del suo sogno
amoroso...
- Lo sa
bene, il vecchio: quel grido è anche il nostro
grido, la nostra pena, il nostro desiderio più
profondo. Quella voce... siamo noi!...
- E
mentre l'urlo s'inabbissa in più vaste lontananze,
la quiete torna a regnare sulla montagna
deserta.
- E
forse anche la creatura, adesso, ci sta guardando e
ascolta i nostri cuori battere all'unisono col suo. Anche
lei, come noi, dispersa nella notte
trascendente...
- All'improvviso,
laggiù, la figura è scomparsa. Il vecchio
lascia la finestra e torna a sedere di fronte al
fuoco...
- "È
l'amore!..." seguita a dire.
- La
parola "amore" gli crepita fra le labbra nell'istante in
cui la fiamma guizza nel camino con sorprendente,
inesplicabile coincidenza.
- E
ancora una volta risuona il grido dolce e terribile...
- Ma
stavolta è nel cuore, soltanto nel cuore sconvolto
del vecchio, che risuona il grido dolce e
terribile...
- E il
suo sguardo all'improvviso, s'illumina bellissimo,
commosso d'infinita pietà per l'intero creato,
mentre parole leggere come fiocchi di neve gli salgono
alle labbra: "È l'amore!... l'amore!..."...
- Il suo
nome, Giovanni. La sua anima un canto di pietra e acqua.
Il suo cuore, un nodo di silenzio e
passione...
-
- TORNA
ALL'INIZIO
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