- Ted
Chabasinsky,
ricoverato a New York
nel 1944: "Prima che nascessi avevano già
stabilito che ero matto". A 6 anni il primo
elettrochoc.
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- Questa è la storia dell'altra metà
della mia vita.
- Psichiatri e assistenti sociali avevano già
deciso prima ancora che io nascessi che io sarei
diventato un paziente delle istituzioni psichiatriche. La
mia madre naturale era stata rinchiusa poco prima che io
nascessi e fu rinchiusa nuovamente subito dopo.
L'assistente sociale del Foundling Hospital disse ai miei
genitori adottivi che mia madre era "diversa" e Miss
Callaghan ben presto li indusse a trovare sintomi anche
in me. Ogni mese Miss Callaghan veniva a discutere dei
miei problemi coi miei genitori adottivi. Se io volevo
semplicemente stare nel giardino sul retro con mia
sorella e giocare a fare tortine di fango, questo era un
segno che ero troppo passivo e introverso, e mia madre e
mio padre avrebbero dovuto incoraggiarmi a esplorare
maggiormente gli altri posti nelle vicinanze. Quando
iniziai a vagare per i dintorni andai nel giardino di un
vicino di casa e colsi alcuni fiori. Il vicino si
lamentò e Miss Callaghan tenne una lunga
discussione coi miei genitori sul modo di reprimere i
miei impulsi dannosi.
- Quando Miss Callaghan ebbe scoperto abbastanza
sintomi fui spedito in un istituto psichiatrico per
bambini per essere diagnosticato ufficialmente e
diventare una cavia per la dottoressa Lauretta Bender.
Fui uno dei primi bambini "trattati" con l'elettroshock.
Avevo sei anni.
- Non volevo subire l'elettroshock, non volevo! Ci
vollero tre infermieri per tenermi. All'inizio fu la
dottoressa Bender in persona ad azionare l'interruttore,
ma più t ardi quando non fui più un caso
interessante, il mio torturatore fu diverso ogni
volta.
- Volevo morire, ma non avevo realmente idea di cosa
fosse la morte. Sapevo che era qualcosa di terribile.
Forse sarò così stanco dopo il prossimo
trattamento che non mi alzerò più, e
sarò morto. Ma mi rialzavo sempre. Qualcosa in me
al di là dei miei desideri mi faceva ritornare in
me stesso. Memorizzavo il mio nome, insegnai a me stesso
a dire il mio nome. Teddy, Teddy, io sono Teddy ... io
sono qui, io sono qui, in questa stanza, nell'ospedale. E
la mia mamma se n'è andata ... Voglio andare
giù, voglio andare dove l'elettroshock mi sta
mandando, voglio smettere di lottare e morire ... e
qualcosa mi ha fatto vivere e andare avanti a vivere.
Dovevo ricordarmi di non lasciare che nessuno mi stesse
più vicino.
- Passai il mio settimo compleanno in questa
maniera, e il mio ottavo ed il nono rinchiuso in una
stanza al Rockland State Hospital. Avevo imparato che la
migliore maniera di resistere era di dormire il
più possibile, e dormire era tutto quello che
potevo fare in ogni caso. ero in uno stato di costante
deperimento ed iniziai ad avere raffreddori che duravano
tutto l'anno perché il più sadico
infermiere spegneva il riscaldamento e apriva la finestra
anche a Dicembre. Il dottor Sobel disse che ciò
era un segno della mia debolezza e che non amavo l'aria
fresca.
- A volte gli infermieri lasciavano la porta della
mia stanza aperta mentre il resto dei ragazzi andavano
nella stanza da pranzo ed io andavo in giro a cercare
qualcosa da leggere, qualcosa da guardare, con cui
giocare, qualsiasi cosa che avessi potuto usare per
distrarmi. Conservavo parte del mio cibo e pensavo per
ore a quando l'avrei mangiato. A volte i gatti correvano
attraverso la stanza, lungo i muri, e li guardavo con
attenzione stando attento a non spaventarli. Avrei voluto
essere abbastanza piccolo da correre sotto la porta come
potevano fare loro. A volte non c'era niente nella
stanza, proprio niente, ed io mi stendevo sul materasso e
piangevo. Cercavo di addormentarmi ma non potevo dormire
24 ore al giorno, e non potevo sopportare i sogni. Mi
raggomitolavo come una palla, afferrando i ginocchi e
rotolando avanti e indietro sul materasso cercando di
confortarmi. E ho pianto e pianto sperando che qualcuno
venisse. Sarò buono dicevo. E l'infermiere mi
guardava fisso inaspettatamente attraverso la piccola
finestra irrobustita con dei fili all'interno in modo che
io non potessi rompere il vetro ed uccidermi.
- E così ho passato la mia infanzia
svegliandomi da un incubo all'altro in stanze chiuse a
chiave con ritagli di giornali e pagine di fumetti
strappate e croste di pane e i miei anici i gatti, con
nessuno che mi dicesse chi fossi. E quando compii 17 anni
e i medici pensarono di avermi distrutto mi
liberarono.
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- Testo scelto e composto dal Comitato
di base contro la psichiatria di Messina
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