Testimonianze e testi scientifici sugli orrori della psichiatria
STORIE DI VITTIME
Sergio: giudicato "schizofrenico catatonico"
è guarito con ...una passeggiata


Il nome fittizio che adopererò per questo paziente è Sergio; venne dalla Sicilia assieme alla madre che, disperata, per sfuggire alla diagnosi catastrofica già emanata dagli psichiatri della sua città (schizofrenia catatonica) e volendo sottrarre il figlio a questa specie di sentenza capitale, era arrivata fino a Bologna nella speranza di trovare qualcuno che la pensasse diversamente. Sergio era davvero conciato male, non parlava più se non a monosillabi o con cenni del capo, rimaneva immobile e fisso in atteggiamenti statuari, anche abbastanza complicati, tanto che aveva già qualche deformazione da postura scorretta. La madre riferiva che era sempre stato un ragazzo molto isolato, poco socievole, che aveva interrotto gli studi senza un perché, che passava ore e giorni e notti solo e silenzioso, all'aria aperta, seduto su un masso nei pressi della sua casa, una casa di campagna alla periferia di un piccolo paese. Durante questi periodi trascurava anche il cibo, e qualsiasi tentativo della madre di smuoverlo da quella posizione naufragava nel più totale insuccesso. La madre riferiva, pure, di miserevoli condizioni di vita: una casa formata da un'unica camera, nella quale vivevano, assieme a lei e il marito, i quattro figli, quando questi non erano affidati ai collegi della zona per ragioni di studio, così com'era avvenuto per Sergio, che vi aveva trascorso alcuni anni. Nel caso di Sergio il lavoro con i genitori era stato pressoché nullo date le condizioni economiche che ci impedivano di fare venire a Bologna la madre o chi per lei. Comunque noi procedevamo nel nostro tentativo di sbloccare Sergio. Avevamo deciso, tutti quanti, di non dargli medicine, di lasciarlo il più libero possibile in modo che facesse quello che più gli piaceva, fra l'altro riuscimmo ad assegnargli una camera tutta per lui. Con noi si comportò subito in modo corretto, spesso andava nel giardino rimanendovi per lungo tempo, oppure si tratteneva in sala di soggiorno in piedi o seduto, immobile, in posizione di tipo catatonico. Non parlava mai, si nutriva appena a sufficienza, consumando i pasti in camera sua. Questo nei primi giorni del suo ricovero. Lentamente Sergio cominciò a fare i primi monosillabi, poi accettò di pranzare in sala con gli altri e mostrò di gradire qualche contatto sociale. Al sesto giorno dal suo ricovero, gli chiesi, con infinite precauzioni, se voleva venire a fare una passeggiata per i colli di Bologna, assieme a me, sulla mia auto. Accettò con un cenno del capo senza parlare. Eravamo in inverno, era l'ora del crepuscolo e c'erano già le prime stelle in cielo, ci fermammo su di uno spiazzo in cima ad una collina. Scendemmo dall'auto affrontando il freddo in cambio di un magnifico spettacolo, un tramonto ormai terminato con un cielo limpidissimo. Sergio incantato si mise a sedere su un masso e continuò ad ammirare estatico il cielo. Ciò durò trenta minuti, un'ora, non ricordo più. Ritornammo senza dirci un parola. Sergio era molto più slegato nei movimenti, seppi poi che a cena aveva mangiato con appetito. La sera dopo ripetei la proposta che egli accettò più volentieri della sera prima. La serata era simile alla precedente, ritornammo allo stesso punto ed io alla vista di un pianeta molto bello e luminoso, allo zenit, cominciai a chiedermi ad alta voce che pianeta fosse. Quale non fu la mia sorpresa nel sentire dietro le mie spalle la voce di Sergio che mi spiegava che quello non poteva essere altro che Giove, dimostrando di possedere una competenza di astronomia non comune. Ma quello che mi colpì più di tutto fu la sua estrema sensibilità e raffinatezza nel descrivere i colori, le sfumature e le sue sensazioni. Aveva davanti a me uno squisito poeta del cielo che sentiva e parlava da lasciare senza fiato. Era scomparso lo schizofrenico catatonico ed era rimasto un giovane dotato di una sensibilità eccezionale. Cos'era successo di tanto straordinario? Nulla di eccezionale, soltanto una vittoria sulla paura. Sentendosi fra persone che rispettavano le sue difficoltà, i suoi sforzi per vincerle, che non gli dimostravano né fretta né timore ma solo fiducia e pazienza, piano piano era riuscito a superare la sua paura di parlare e di muoversi ed aveva vinto la sua prima battaglia. Da quel giorno egli non manifestò piùalcuno di quei disturbi che avevano fatto fare la terrificante diagnosi. Era il settimo giorno del suo ingresso a Villa Olimpia. Continuò a parlare, aumentò i suoi contatti sociali, la sua esagerata timidezza andava via via attenuandosi; ora avevamo soltanto un giovanotto bisognoso di aiuti ed insegnamenti atti ad affrontare la vita pratica. Ci lasciò dopo due mesi completamente trasformato, un altro. Nel suo caso non potemmo fare altro che un lavoro limitatissimo nei confronti della madre ma la quasi miracolosa trasformazione del figlio deve aver fatto sì che le nostre parole le entrassero bene in testa.
 
Tratto da "Contro la psichiatria" di E. Cotti, ed. La Nuova Italia
 
Testo scelto e composto dal Comitato di base contro la psichiatria di Messina
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 Inserito 2 ottobre 1997