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Letteratura
- Francesca
Romana Paci
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- STORIA
E DESIDERIO NELLA NARRATIVA DI YVONNE
VERA
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- Il vasto territorio africano,
che il mondo per quasi cento anni ha chiamato Rhodesia
del Sud e conosciuto come colonia inglese, è
diventato la nazione indipendente dello Zimbabwe nel
1980. Nonostante la storia del paese si estenda nel
passato per centinaia e centinaia di anni prima di
quella data, la situazione politica, sociale,
economica e culturale dello Zimbabwe di oggi è
legata soprattutto agli ultimi cent'anni o poco
più, a partire appunto da quando, negli anni
novanta dell'Ottocento, il magnate inglese Cecil
Rhodes, per iniziativa privata e non priva di ombre,
ne intraprese una conquista armata violenta. Ebbe
così inizio un lungo rapporto con
l'Inghilterra, un rapporto prima paracoloniale, e dal
1923 dichiaratamente coloniale con l'annessione della
Rhodesia del Sud alla corona inglese. La conseguente
colonizzazione economica e culturale, l'opposizione al
potere coloniale a partire circa dal 1961 di ZAPU e
ZANU1,
e il processo tormentato e contraddittorio della
decolonizzazione, da più di un punto di vista
palesemente ancora in atto, hanno inevitabilmente
fatto dell'ultimo secolo il periodo di storia che
è più necessario conoscere per
affrontare lo studio della nuova difficile
realtà materiale e intellettuale dello
Zimbabwe. Il futuro, forse, potrà concedere
agli studiosi e agli scrittori più
libertà di scelta. Questo è certamente
quello che Yvonne Vera auspica quando parla del suo
prossimo romanzo, che in qualche modo
coinvolgerà le grandi rovine megalitiche,
Zimbabwe, dalle quali il paese prende il suo nome
attuale.
- Yvonne Vera è tanto
convinta della urgenza della ricerca storica, proprio
in funzione di libertà e progresso sociale e
politico, da aver fatto di uno dei protagonisti
maschili del suo ultimo romanzo, The Stone
Virgins, proprio uno storico. Il giovane Cephas
Dube è uno studioso del passato dello Zimbabwe
e delle sue tradizioni - in realtà oltre che
uno storico è un antropologo e un archeologo, e
in tutte queste funzioni lavora per la nuova
istituzione statale dei National Museums and Monuments
of Zimbabwe. Raccoglie e ricostruisce dati e documenti
per gli archivi dell'ente, per conservare memoria e
testimonianza non solo dei grandi eventi, ma
soprattutto delle singole medie e piccole
realtà quotidiane, salvate così dalla
caduta nullificante nel "buio" e nel "silenzio": "My
name is Cephas Dube. I live in Bulawayo ... I work
there ... I work in an office in the city. I file
documents, in an archive ..." (Vera: 2002, 137-139).
Scopriremo alla fin del romanzo che non si limita a
catalogare documenti, Cephas Dube contribuisce alla
costruzione del futuro ricostruendo il passato come
conoscenza intellettuale, ma anche come
materialità. Le righe conclusive dell'ultimo
capitolo dicono e spiegano con una certa enfasi
retorica, che il suo vero lavoro è cominciato
proprio con l'Indipendenza.
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- A new nation
needs to restore the past. His focus, the
bee-hive hut, to be installed at Lobengula's
ancient kraal in kwoBulawayo the following year.
His task is to learn to recreate the manner in
which the tenderest branches bend, meet and dry,
the way grass folds smoothly over this frame and
weaves a nest, the way it protects the cool
livable places within; deliverance (Vera: 2002,
165).
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- La metafora composta, forse
meglio la composizione di metafore, è
particolarmente efficace, con una sfuggente ma
innegabile componente di sensualità, che, del
resto è anche uno squisito elemento del
personaggio Cephas Dube.
- Alla dichiarazione di
Indipendenza del 1980 il paese era un corpo
orribilmente lacerato, un orrore di ferite,
mutilazioni, e distruzioni, provocate da decenni di
lotte, di guerre e soprattutto di intense
attività di guerriglia2.
La lotta stessa per la liberazione, come è
noto, aveva visto al suo interno il contrapporsi
violento di gruppi neri nazionalisti diversi. Le
ostilità reciproche e gli episodi di sangue non
cessarono neanche dopo l'Indipendenza. Prima e dopo
vennero commesse atrocità difficili da credere
e da riferire, delle quali si hanno nondimeno
abbondanti testimonianze precise, ormai raccolte e
pubblicate in numerosi studi e documentazioni. In
tutta la sua narrativa Vera non indugia sugli orrori e
non se ne compiace, ma non li evita. Nella sua
rappresentazione alla violenza fisica e materiale si
sommano la violenza psicologica delle ideologie, del
razzismo quotidiano, e la non minore violenza di
alcuni costumi tribali locali. La violenza del
contesto africano nero e il razzismo sembrano spesso
figli della stessa nebbia intellettuale e della stessa
confusione morale. In uno dei suoi racconti,
Independence Day (Vera: 1992-1994) riesce a
rappresentare, con notevole distanza critica e uso
controllato di dettagli autentici di cronaca, la
reazione diurna e notturna al grande evento di un
anonimo bianco, impreparato e sgomento, che celebra
l'evento storico con abbondante birra gelata e
prostituta nera.
- Nel 1980 Yvonne Vera aveva
sedici anni, aveva la fortuna (che in interviste e
conversazioni private riconosce spesso con calore) di
essere nata in una famiglia di persone colte, di avere
la possibilità di studiare e di sapere
già osservare criticamente il contesto
ristretto e allargato intorno a lei. Uno dei suoi zii
si era unito agli uomini della lotta per la
liberazione, mentre il suo gruppo famigliare, come
tanti altri, aveva conosciuto le durezze di una grande
povertà3.
Il 1980, con nuove elezioni e nuove libertà, si
presentava come l'anno della pace e l'inizio della
ricostruzione, era l'ingresso in una fase nella quale
la storia nazionale sarebbe stata un problema che non
poteva essere evitato o sottovalutato. A tutto questo
Vera, che già allora si sentiva attratta dalla
scrittura narrativa, risponde negli anni che seguono
sviluppando fattivamente un interesse profondo per la
storia del suo paese. Non si accontenta, e quindi non
si ferma alla storia ufficiale, ma elabora, come il
suo personaggio Cephas Dube, in The Stone
Virgins, un concetto della storia come insieme
complesso di singole vite umane, e non soltanto, come
successione, pur altrettanto complessa, di eventi
monolitici. La sua concezione intellettuale della
storia si delinea già con la scelta e
l'attenzione per l'individuo in quanto tale largamente
presente nei racconti di Why Don't You Carve Other
Animals, che sono il suo esordio letterario nel
1992; si espande poi con impeto nel suo primo romanzo
Nehanda nel 1993, per essere successivamente
condotta a definirsi sempre meglio in ognuno dei
romanzi seguenti, dove la rappresentazione dedica lo
spazio maggiore alla vita "of the people who were
ignored"4,
la voce dei quali non è mai stata ascoltata e
neppure cercata. Vera cerca di ricostruire quelle vite
e quelle voci, ma non si concede illusioni, non ha
ottimismo di parte, non esibisce agiografie, non
semplifica. Anche quando narra le vicende più
terribili, però, mostra di avere speranze. Sono
speranze caute, sottili, difficili da rappresentare,
che nella sua visione generale, si potrebbe dire nella
sua poetica, sono saldamente connesse con la politica
nel senso più alto, con la cultura,
l'istruzione e l'acquisizione di
professionalità.
- Fino a oggi Yvonne Vera, che
viene da una famiglia di etnia shona e ha
scelto l'inglese come sua lingua letteraria, ha
pubblicato cinque romanzi. Dopo Nehanda nel
1993, vengono Without a Name nel 1994, Under
the Tongue nel 1996, Butterfly Burning nel
1998, fino al più recente The Stone
Virgins nel 1999. Ai romanzi e alla già
menzionata raccolta di quindici racconti, Why Don't
You Carve Other Animals, si aggiungono numerosi
scritti di critica letteraria e sociale e un esteso
studio sulla situazione coloniale e post-coloniale del
suo paese, The Prison of Colonial Space,
pubblicato nel 1995. Tutta la produzione narrativa di
Yvonne Vera in realtà è dedicata allo
studio e alla rappresentazione di momenti e aspetti
cruciali del suo paese, lungo l'arco di tempo di oltre
cento anni, appunto dalla conquista da parte di Cecil
Rhodes fino a oggi.
- Il cuore del suo sistema di
pensiero e rappresentazione è il rapporto del
desiderio umano con la storia passata e futura, mentre
il desiderio stesso è il rapporto di fondo
dell'individuo con la storia. L'individuo, e
certamente anche un popolo, ma nelle opere di Vera
sempre attraverso l'individuo, desidera un futuro di
crescita, una nuova storia, una storia migliore, e
desidera appassionatamente parole per esprimere e far
accettare il suo desiderio5.
La lotta per la parola è fondamentale,
perché senza diritto alla parola c'è
solo il silenzio, l'immobilità, e, come
vedremo, la morte. Le parole non sono l'unico
linguaggio della comunicazione che Vera valuti,
riconosce altrettanto grande valore alla
musica6,
al linguaggio del corpo nella danza, nella
sessualità, e nella sofferenza, ai rituali,
alla simbologia naturale e oggettuale. Ma la parola
nella sua visione filosofica del mondo mantiene sempre
una posizione di principio, mezzo, e condizione di
realtà e di esistenza.
- Nessuno dei libri di Yvonne
Vera offre una lettura facile, tutti richiedono
attenzione, per la struttura narrativa della
temporalità, per la deliberata costruzione a
rete tematica, per raffinatezze e idiosincrasie di
lingua e stile. Tutti richiedono, inoltre, impegno e
volontà di sapere e di capire insiemi complessi
di dati storici e sociali proposti in forma narrativa;
e inoltre pazienza nel seguire i movimenti meandrici
dell'azione, che viene fatta procedere con deliberata
lentezza e inframmezzata da altrettanto deliberate
digressioni. Le digressioni, però, una volta
accettate come approfondimenti, come di fatto sono, si
rivelano essere non solo elementi storici e culturali
di grande interesse per la comprensione del tutto, ma
anche elementi che rendono più viva l'emozione
della lettura.
- Ognuno dei cinque romanzi
è autonomo e può essere letto
indipendentemente dagli altri, e così
sarà sicuramente anche per i prossimi romanzi
che Yvonne Vera scriverà, ma ognuno acquista
ulteriore significato se lo si legge come parte di un
percorso di ricerca unico. Il primo tratto del
percorso è rappresentato da Nehanda, non
solo perché è la prima opera nel canone
di Vera, ma perché l'ambientazione temporale
è la più precoce. Nehanda, in
modo aperto, visionario e simultaneamente realistico,
racconta momenti della lotta di fine Ottocento contro
l'aggressione e le sopraffazioni del colonialismo.
Nehanda è una donna predestinata fin dal
momento della nascita a svolgere per il suo popolo un
ruolo storico e rituale; è una medium, che
incarna uno spirito potente del quale, come si
saprà nel corso del romanzo, ha preso anche il
nome. Fin da bambina è consapevole della sua
missione:
-
- The child
watched the wind come toward them. A voice rose
from beneath the earth. She saw birth and death,
and the presence of her ancestors. The wind was
full of the sun. She heard it call to her with
its song which emanated from within her: the
spirits had presided over her birth (Vera: 1993,
3).
-
- La bambina, quindi, venendo
al mondo ha incarnato lo spirito della leggendaria
Nehanda, una principessa shona del passato,
forse protagonista creata dall'immaginazione in
qualche antico racconto orale, forse personaggio
storico vissuto nel XV secolo, comunque mitizzato da
elaborazioni posteriori. La principessa Nehanda
è diventata uno spirito-leone, uno spirito del
rango più alto, e interviene nei momenti
critici della storia della sua gente, attraverso
medium dislocati nell'arco di
secoli7.
- L'inizio del romanzo è
visionario e sovratemporale; introduce direttamente
nel mito, ma contiene anche elementi riconducibili al
livello più realistico del racconto. Un
personaggio femminile, ieratico e assorto, individuato
prima come "she" e solo in seguito con il nome di
Nehanda, lascia scorrere il suo sguardo in basso sui
palmi delle sue mani, e lascia che insieme scorra il
suo pensiero:
-
- "Pain sears
the lines on her palms, and she turns her eyes
to her hands in wonder. Rivers and trees cover
her palms; the trees are lifeless and the rivers
dry. Anthills move in dying elongated shadows
while furious red clouds escape ..." (Vera:
1993, 1).
-
- Le sue mani rappresentano, e
nella immagine visionaria sono, il suo paese. Come uno
spirito posto in alto, in un luogo imprecisato, ma
comunque in alto, da qualche parte fra terra e cielo,
Nehanda guarda la sua terra ferita, e desidera
libertà e guarigione. Il romanzo è
diviso in capitoli di lunghezza molto diversa fra
loro; il primo capitolo, dal quale provengono le
parole sopra citate, è breve, ma contiene
alcuni dei temi principali del libro e di tutta la
narrativa di Vera. Ha, di fatto, la funzione
importante di primo program piece del suo
sistema di ricerca e rappresentazione, che, pur in
evoluzione aperta, mantiene sempre il fuoco
dell'attenzione sui grandi problemi di libertà,
giustizia, cultura - come sono vissuti dal desiderio e
negati dal potere. In stretta connessione con tutto
questo Vera pone il grande tema della parola, che era
comparso in frammenti nei racconti, e che qui prende
forza e acquista i suoi significati principali.
Nehanda, donna e spirito antenato,
-
- "carries her
bag of words in a pouch that lies tied around
her waist. She wears some along her arms, Words
and bones. Words fall into dreaming, into night.
She hears the bones fall in the silence" (Vera:
1993, 1).
-
- Le parole hanno consistenza
materiale, se ne intuisce il potere di scambio e di
affermazione, e si intuisce anche il pericolo che
venga negato il diritto all'uso delle parole, che le
parole siano solo sognate, oscurate, tenute in bocca
senza pronunciarle, e che diventino quindi
silenzio8.
Il diritto alla parola, come si è detto,
è uno dei fondamentali diritti che Vera chiede,
prima per il suo popolo e poi per le donne di quello
stesso popolo, vittime due volte, del sistema
coloniale e della cultura tribale tramandata
acriticamente. Possedere la parola significa poter
affermare la propria identità, libertà,
volontà, e alla fine: esistenza. La parola, il
linguaggio, e la lingua, come insieme di parole, e la
lingua come organo che permette di articolare le
parole insieme alle labbra9,
diventano tutti metafore di esistenza, tanto per un
popolo quanto per l'individuo.
- In Nehanda, dove il
potere di inibire la parola è rappresentato
essenzialmente dalla colonizzazione dei bianchi, in un
passo che descrive un momento di forte esaltazione
profetica della protagonista, la parola è
assimilata all'energia che muove il vento, e il vento
"is always in a state of creation, and of being born
... wind gives new tongues ... and new languages with
which to cross the boundaries of time". Il vento
rappresenta il desiderio perenne e quindi l'energia
perenne, e a sua volta genera parole per comunicare il
desiderio, in un modello circolare di
continuità. Le donne creano "new songs to help
clear the path into new lives ... With words
compelling them through the intersection of time, they
recognize their future selves" (Vera: 1993, 112-113).
Il collegamento tra i "nuovi canti" delle donne e la
scrittura della stessa Vera sarebbe difficile da
ignorare, mentre si deve contemporaneamente notare che
le donne cantano restando, insieme ai bambini,
fisicamente al di fuori del cerchio degli uomini che
discutono e deliberano sugli avvenimenti. Più
avanti nello stesso romanzo, Ibwe, l'oratore, dichiara
appassionatamente il valore delle parole: "Our people
know the power of words. It is because of this that
they desire to have words continuously spoken and kept
alive ... People are their words" (Vera: 1993, 40). Ma
la parola non è sempre concessa ai popoli e
agli individui. La negazione della parola è
fatale, perché di fatto nega il diritto
all'esistenza come soggetto, in quanto è
negazione da parte dell'uno del riconoscimento
dell'uguaglianza dell'altro. La parola è
ancipite, il suo valore dipende dall'essere
pronunciata e simultaneamente dall'essere
riconosciuta, nel doppio senso di capita e accolta;
senza riconoscimento, quindi, la parola è
assimilabile al silenzio. Chi non ha parola non ha
diritti, e chi non ha diritti perde la parola, fino a
perdere anche quella particolare parola che è
il suo nome, come leggiamo soprattutto in Without a
Name e in Under the Tongue.
- Se in Nehanda il
potere di negare la parola è esercitato da un
popolo nei confronti di un altro popolo, negli altri
romanzi l'attenzione maggiore di Vera è per il
silenzio imposto alle donne dagli uomini e talvolta da
altre donne entro il loro stesso popolo. Tutte le
opere di Vera hanno al centro figure femminili che
affrontano situazioni di sofferenza e di miseria
terribili. Le sue donne sono vittime della cultura
specifica del contesto africano locale, che sancisce
un assoluto predominio maschile e relega le donne in
uno stato perenne di minore età10.
In realtà nei romanzi di Vera uomini e donne
sono ugualmente vittime della sofferenza, della
povertà, della mancanza di istruzione, e delle
ingiustizie sociali, ma le donne sono doppiamente
esposte al male in un contesto dove l'eroe di una
guerra di liberazione e un padre possono diventare
stupratori, e dove su stupro e incesto gli uomini
possono imporre il silenzio11.
- Le variazioni di Vera su
questo tema sono tutte fortemente caratterizzate e
decise nella denuncia. In Without a Name,
ambientato nell'anno 1977 durante la 'guerra di
liberazione', come il titolo stesso del romanzo dice,
anche se il concetto diventa esplicito solo nel corso
della narrazione, esistenza e identità
dipendono dalla nominazione, dal dare o non dare un
nome. Mazvita non può dare un nome al suo
stupratore, un guerrigliero disperso o in fuga,
perché l'uomo ha annullato l'identità
personale nell'anonimato della guerra, e
nell'anonimato dell'uso consueto di un nom de
guerre fra i combattenti in clandestinità.
Parallelamente non può dare un nome al bambino,
che in realtà è una bambina, non
può compiere per lei il rituale della
nominazione, perché darle un nome e
pronunciarlo vorrebbe dire accoglierla nell'esistenza.
È molto significativo che "the baby", talvolta
"the child", sia una bambina, e che sia quindi una
futura donna che sprofonderà senza nome e per
sempre nel silenzio della morte. Mazvita è
imprigionata e nullificata lei stessa dal silenzio:
"She had no name for the baby ... A name is for
calling a child into the world ... Mazvita could not
name the silence" (Vera: 1994 e 2002, 85). Eppure
Mazvita è una giovane donna forte, coraggiosa,
che vuole una nuova vita, che è giunta fino a
Harare per trovare la libertà di costruirla:
"Mazvita had a strong desire to grow. She trusted the
future and her growth and her desire", inoltre
"Mazvita had a profound belief in her own reality"
(Vera: 1994 e 2002, 64). Ma la guerra, Harare, e
infine il nuovo compagno Joel, che non è il
padre del bambino e che non lo accetta, confinano
Mazvita nel silenzio, nella ingiustizia del non
diritto al desiderio di vita, e alla fine la spingono
a una scelta di morte. È significativo che nel
momento fatale Mazvita senta lontana da sé e
dalla sua volontà anche la stessa scelta di
morte. "Her decision came to her slowly. When it did
come, she was not sure that the decision had been
entirely her own" (Vera: 1994 e 2002, 95).
- Le pagine sul
bambino/bambina, e quelle dove sono anticipati gli
eventi connessi con il bambino/bambina, sono tanto
più terribili in quanto estremamente e
volutamente liriche, intrise del rimpianto bruciante
del desiderio, che elude e preme nello stesso momento.
La fragilità del collo del bambino/bambina, per
esempio, è anticipata dal piacere della
fragilità delle carni di un fungo nelle mani di
Mazvita, dalla tenerezza della fragilità
ricordata dell'uovo bruno di un uccellino nel palmo
della sua mano: entrambi sembrano magnetizzare la
violenza, proprio per la loro vulnerabilità. Il
delirio delle parole afone di Mazvita che ricorda e
rivive frammenti di quel vissuto è terrificante
anche perché si staglia senza pietà
contro gli altri eventi e contro un contesto
soffocante, con il quale non comunica.
- In Under the Tongue la
bambina Zhizha ha perduto la parola quando è
stata stuprata dal padre con una furia gelida e
inspiegabile. Pur lineare nella vicenda principale,
Under the Tongue, che racconta vicende avvenute
alle soglie del 1980 (o nel 1980), ma da un punto di
osservazione posteriore di anni, è il
più complesso dei romanzi di Vera. È
l'unico, finora, che rappresenti una struttura
familiare allargata e completa di tre generazioni e ne
esplori i rapporti. Le donne sono enfaticamente una
figlia, una madre e una nonna, legate da un dolore
ancestrale: "... our tears are as old as the daughters
and mothers and grandmothers of our ancient earth"
(Vera: 1996 e 2002, 132); legate dalla nascita, legate
dalla funzione che passa da una all'altra, da una
nascita all'altra: "We are women: We belong together
in an ancient caress of the earth" (Vera: 1996 e 2002,
132). A madre e nonna viene attribuito il nome di
Runyararo, che vuol dire 'silenzio', mentre Zhizha
suona come il rumore della pioggia nell'aria, dopo il
raccolto, il suono del suo nome ridotto appunto a un
rumore, con un suggerimento di tenerezza, ma anche di
impermanenza, di non identità12.
Come Mazvita, e come Phephelaphi in Butterfly
Burning, la madre Runyararo, che come sua madre,
la nonna della bambina, non può parlare e
ancora meno può essere ascoltata, reagisce con
la violenza. Runyararo uccide il marito che ha
stuprato la loro stessa figlia. La storia è
raccontata da un narratore onnisciente, che spesso
cede il compito a Zhizha, narratrice frammentaria,
immersa nella nebbia di ricordi terribili e
frammentati, il cui racconto procede in terza persona
e resta sempre un racconto interiore. Da alcuni
indizi, soprattutto di tempi verbali e di avverbi
temporali, si capisce che è una Zhizha adulta,
ma ancora gravemente sofferente, quella che ripercorre
le vicende, ridiventando bambina, rivivendo incubi e
sogni. Lo stupro e l'uccisione del padre da parte
della madre sono collocati nell'infanzia di Zhizha e
nell'infanzia dell'Indipendenza, ma quando Zhizha
ricorda quegli eventi il 1980 deve essere già
trascorso da alcuni anni.
- Al centro di tutto grava la
parola perduta dopo la violenza. Zhizha ha dentro di
sé il linguaggio, ma la sua lingua non le
consente di dargli voce: "My voice has forgotten me.
Only Grandmother's voice remembers me. Her voice says
that before I learned to forget there was a river in
my mouth ... I touch my tongue. It is heavy like
stone. I do not speak. I know nothing of rivers"
(Vera: 1996 e 2002, 121.122). Anche il desiderio di
parlare l'ha lasciata, abbandonandola in una specie di
stasi ipnotica nella quale scorrono pensieri e
ricordi. Vera è particolarmente efficace nella
rappresentazione di quello stato sospeso e
semiallucinato, parte in prima persona e parte in
terza. Le pagine di questo tipo sono quelle che
contengono i migliori momenti lirici e anche i
migliori momenti di indagine fenomenologia del e sul
rapporto mente-corpo-mondo circostante. Un esempio
ancora più completo è dato dal lungo
episodio dell'aborto in Butterfly Burning (nel
capitolo sedicesimo).
- In Under the Tongue,
come negli altri romanzi, anche gli uomini sono
vittime e si dibattono in una loro prigione di
desiderio e di sofferenza. Il nonno VaGomba, il padre
di suo padre, è diventato cieco nella
maturità, e la sua cecità è
spiegata con un racconto che allarga la metafora in
storia allegorica: un giorno mentre lavorava la terra,
il suolo ha sguainato una radice ("a root had sprung
from the earth and torn the sight from his eyes").
Muroyiwa, suo figlio e padre di Zhizha, "had been born
into his father's blindness and it received and
contained him like a vessel" (Vera: 1996 e 2002, 138).
Così Muroyiwa ha ereditato da suo padre anche
una cecità metaforica, che diventa una barriera
alla percezione dell'altro13.
Da VaGomba, accecato dalla terra, e indissolubilmente
legato alla terra, Muroyiwa riceve il suo desiderio:
"Muroyiwa longed to find the root which harbored the
sight of his father. One day this root would climb
outward to the sun, grow, and bloom. The flowers would
restore sight to his father" (Vera: 1996 e 2002, 149).
Quando parte per unirsi alla guerra di liberazione
Muroyiwa vuole portare il desiderio a unirsi con la
storia. Vita e morte, passato e futuro si agitano nel
suo desiderio, che diventa "an untarnished desire for
living", solo debolmente compreso. In parte uscendo
dal punto di vista del suo personaggio, con il suo
particolare metodo di oscillare tra onniscienza e
assenza autoriale14,
Vera scrive: "This came in the pursuit of a limitless
charm ..." (Vera: 1996 e 2002, 129). L'incontro di
Muroyiwa con le farfalle sulle colline ha un legame di
somiglianza emotiva e culturale con l'incontro di
Sibaso con le vergini graffite sulle pareti di una
grotta in The Stone Virgins. Sibaso è un
combattente della guerra di liberazione come Muroyiwa,
e come lui è travolto dallo spirito della
distruzione e lascia che il desiderio di impadronirsi
della propria storia diventi desiderio di morte. Per
Sibaso le vergini incedono verso una morte
sacrificale, per Muroyiwa le farfalle si levano "like
innocence into the air", ma il suo pensiero è
pieno del paradosso farfalle/guerra: come possono le
farfalle15
sopravvivere alla guerra?
- La narrazione di Under the
Tongue in apparenza si ferma, senza una
conclusione, con il penultimo capitolo, che si chiude
con una affermazione di Zhizha dalla quale si è
indotti a pensare a un nuovo inizio, forse la parola
è ritornata: "A word does not rot unless it is
carried in the mouth for too long, under the tongue"
(Vera: 1996 e 2002). L'ultimo capitolo può
sembrare avulso dal contesto precedente, ma è
solo apparentemente slegato dalla narrazione; è
un breve e difficile discorso sulla Indipendenza, e
proprio sul nuovo inizio promesso dal 1980. In
realtà l'ultimo capitolo, che ha stupito
recensori e critici, non è enigmatico se lo si
vive come dichiarazione di contesto e come
suggerimento, molto equilibrato, di interpretazione;
se, in breve, se ne coglie la componente corale,
veramente politica, della rappresentazione di un
popolo che riprende a costruire la propria
realtà. Zhizha ritrova la parola e ora deve
usarla, come il paese rientra in possesso
dell'indipendenza politica e ora deve imparare a
usarla. È un finale aperto, che lascia
chiaroscuri e dubbi ma non nega il risultato raggiunto
e insieme si protende verso il futuro: "1980 spelled
the end of loneliness and unfulfilled desire long kept
(...) 1980 was a time to shorten distances to desire".
Fra le due affermazioni si pone il bellissimo racconto
del rituale degli specchi infranti per strada dalle
donne: "History had become dazed and circular", mentre
le parole finali del romanzo sono dedicate a coloro
che non hanno avuto voce nella storia, ai quali Vera
ha affermato di voler appunto "dare voce": "Their
voices hewn, frail, and listless, their longing almost
forgotten - they had waited" (Vera: 1996 e 2002,
232-234).
- Il quarto romanzo,
Butterfly Burning, del 1998, segna nella
poetica di Vera una evoluzione coerente, ampliando il
campo di indagine. Racconta le vicende, situate nello
spazio di tempo tra gli anni 1946 e 1948 nella
township nera di Makokoba alla periferia di
Bulawayo, della giovanissima e appassionata
Phephelaphi, e del suo non giovane compagno Fumbatha.
Intorno a loro si muovono altri personaggi
co-protagonisti, tra i quali soprattutto tre donne,
Getrude, Zandile e Deliwe, che, con Phephelaphi,
affrontano la storia armate del loro desiderio. Anche
in questo romanzo le donne sono vittime nello stesso
tempo del colonialismo e del sistema africano locale,
così come lo sono delle proprie scelte, ma
anche in questo romanzo sono le donne a rappresentare
volontà di vita e di movimento. Giuste o
sbagliate che siano le loro azioni, Getrude, Zandile,
Deliwe e Phephelaphi rifiutano la stasi,
l'immobilità e l'affidarsi afasico e inerte a
un destino pensato da altri. Phephelaphi è la
più giovane; le altre tre donne sono in un
certo senso tutte madri per lei, tutte ancorate a una
cultura mista e spuria, coloniale e africana, alla
quale il loro desiderio si ribella, senza però
che possano fare qualcosa per cambiarla o anche solo
per prendere piena consapevolezza della situazione.
Per imporsi alla storia, sostiene implicitamente Vera,
bisogna andare oltre la ribellione, bisogna cercare di
possedere consapevolezza e conoscenza. Il desiderio
deve diventare proposta operativa. Anche le vite di
coloro "who were ignored", la cui voce non ha
risuonato con importanza, sono la
storia16.
Lo scriba ufficiale di Butterfly Burning,
inserendosi fra i pensieri di Phephelaphi, dice: "A
fragment is also a life, it is how all of life is
lived, in patches17
"(Vera: 1998 e 2002, 108).
- Phephelaphi è diversa
dalle sue madri, perché Vera ne arricchisce il
desiderio di curiosità, intuito,
volontà, e soprattutto istruzione. L'elemento
dell'istruzione, quindi della scuola dalla base fino
ai livelli più alti, è fondamentale.
Rappresenta una delle principali proposte operative di
Yvonne Vera perché la situazione femminile nel
suo paese evolva in vita che valga la pena di vivere,
non degradata e non degradante, e dove ci sia anche
posto per l'amore18.
Phephelaphi, come Nonceba in The Stone Virgins,
ha studiato, possiede un diploma e una competenza da
usare nella storia, e alla fine per la storia del
paese. Phephelaphi non potrà realizzare il
desiderio di crescita e di maturazione, vincerà
solo lasciando la stasi per levarsi in una vampa di
fiamma verso l'alto, ma per Nonceba la speranza
è ancora viva, e la storia è aperta.
- Il desiderio di Phephelaphi
è rappresentato con caratteristiche di forza
mentale e di passione fisica veramente travolgenti,
sia quando è vissuto dentro la musica come resa
a un fiume (Vera, 1998 e 2002, 66-67), sia quando
è percepito come leggerezza, quasi come volo
(Vera, 1998 e 2002, 98-99). Comunque il desiderio
è energia e movimento. Phephelaphi possiede un
titolo di studio sufficiente a farla ammettere cone
allieva alla scuola per infermiere del General Mission
Hospital, dove sarebbe la prima "Student Nurse" nera a
essere accolta: "It is not the being a nurse that
matters, but the movement forward - the entrance into
something new and untried. Her heart rises in an agony
of longing ..." (Vera: 1998 e 2002, 71). Queste due
righe sono, finora, uno dei momenti narrativi in cui
Vera esprime meglio il suo concetto di desiderio e
storia, e il rapporto tra desiderio e storia. Sono
anche righe di anticipazione della fine terribile di
Phephelaphi, che sceglie un'agonia di ascesa verso lo
spazio aperto anche per morire. Solo nel movimento si
può non tradire il desiderio. Ma da Fumbatha il
desiderio di crescita e di espansione è
percepito sempre come pericolo19.
In realtà sarà proprio lui che la ama a
spingerla alla scelta di morte. Naturalmente Vera
connette il desiderio con la sessualità, e
rende la sessualità e il diritto alla
sessualità un elemento indispensabile alla
vita, ma il desiderio è più grande anche
della sessualità, la contiene, non ne è
prigioniero. Se è prigioniero, il desiderio
è claustrofobico, come è per Mazvita e
Phephelaphi, e come non sarà per Nonceba nella
nuova vita a Bulawayo. In un altro modo si può
dire che la sessualità per Vera deve
magnificare la vita non umiliarla, sia per gli uomini
sia per le donne.
- Il romanzo più
recente, The Stone Virgins, del 1999,
ripercorre parte degli anni della guerra di
liberazione, prima quindi del 1980, per arrivare agli
anni dopo l'Indipendenza, e al momento della
prima20
tensione verso la ricostruzione del passato e la
costruzione del futuro. Come è già stato
notato, il lavoro che Cephas Dube svolge per l'ente
nazionale dei Musei dello Zimbabwe, e in realtà
la persona stessa di Cephas Dube, sono emblematici del
momento politico epocale.
- Dopo un primo capitolo di
celebrazione lirica di Bulawayo, che è
veramente e pienamente una celebrazione della
magnanimità (etimologicamente) del desiderio,
all'inizio del racconto, o meglio delle vicende in
sé, anche The Stone Virgins rappresenta
violenze atroci, ma Nonceba, la vera protagonista, la
donna nuova, dopo essere stata violentata e aver visto
morire sua sorella, alla fine trova qualche dolcezza.
Il desiderio non soffre più di claustrofobia:
Nonceba trova un lavoro, e può perfino
scegliere quale; con il lavoro sente di avere
acquistato una dignità nuova, e, anche se alla
fine del romanzo non ne è ancora consapevole e
se la questione rimane aperta, forse ha trovato anche
l'amore. The Stone Virgins è anche una
storia d'amore, complessa, in due parti, perché
coinvolge due sorelle, Nonceba e
Thenjiwe21,
entrambe in modo diverso amate da Cephas. Con il
personaggio di Cephas Dube, uomo completo quasi in
senso rinascimentale (affermazione da considerare con
tutta cautela), Vera, che dimostra di possedere una
grande capacità maieutica di pensiero, ha
creato un prototipo di sogno, non impossibile, non
eccessivo, ma veramente figlio del desiderio e
strumento della storia.
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