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Recensioni
- Lidia
De Michelis
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- ANITA
BROOKNER, THE NEXT BIG
THING,
- LONDRA,
VIKING, 2002
-
- Gli estimatori
di Anita Brookner, fedeli da oltre un
ventennio al filo rosso di nostalgia e
di illusioni finemente negate che
alimenta la sua narrativa con scansione
quasi annuale, sanno di doversi
addentrare a ogni nuovo romanzo
nell'atmosfera rarefatta e
claustrofobica che ne costituisce la
cifra caratteristica. Questo smarrito
paesaggio interiore, che già
Aisling Foster (The Times Literary
Supplement, 25 giugno 1993) aveva
definito "Brookner country" e che Helen
Stevenson (The Guardian, 3
febbraio 2001) ha ribattezzato con
espressione scanzonata e trendy
"park theme" e "Brookner Experience",
demarca un territorio rare volte
battuto dalla narrativa più
recente. Dominato dalla nostalgia per
vite non vissute e da un senso
lancinante di esilio interiore sui
quali, negli ultimi romanzi, per buona
misura incombe lo spettro della
vecchiaia, esso circoscrive un ambito
di disperazione autentica benché
sofisticata comune all'esperienza di
tanti lettori: un territorio nel quale,
nelle parole di Hugo Barnacle (The
Independent, 1 settembre 1990),
nessun altro osa oggi addentrarsi, per
la qual cosa ad Anita Brookner va
riconosciuto il merito di avere "the
courage to chart it, like those
Victorian women who went off to climb
deadly mountains in flowing skirts and
fetching hats".
- In The Next
Big Thing, il ventunesimo romanzo
apparso nel giugno del 2002, questo
coraggio sembra però abdicare a
ogni leziosità residua per
trasformarsi nell'ardire temerario di
chi si dedica a uno sport 'estremo': la
'prossima grande impresa' cui allude il
titolo non è infatti altro che
la morte, cui il protagonista va
incontro al termine del libro con la
stessa muta passione e inquieta
speranza d'avventura che ne hanno
caratterizzato il vivere trepido e
represso.
- In questo
coraggioso e raffinato romanzo Anita
Brookner sceglie come figura principale
un uomo, forse per salvaguardare questo
soggetto così arduo dalle miopi
connotazioni di 'romanticismo' o di
'isteria' con cui troppo facilmente
alcuni recensori hanno caratterizzato i
drammi interiori di tante sue eroine.
Dopo Lewis Percy (1989), A
Private View (1993) e Altered
States (1996) (ma anche
Latecomers [1988] e
Incidents in the Rue Laugier
[1995] offrono prospettive
generose e solidali sulle aspettative e
l'interiorità degli uomini),
The Next Big Thing è il
quarto dei suoi romanzi a porre la
sensibilità maschile al centro
della scena. Si tratta, come nei casi
precedenti, di un personaggio le cui
caratteristiche maschili appaiono per
così dire 'recessive',
stemperate dal medesimo retaggio di
idealismo e introspezione che ne rende
la figura assimilabile a quella delle
tipiche eroine brookneriane. Simile ad
esse nella tenera ostinazione a credere
nel trionfo delle istanze etiche e
nella forza dell'ideale, Julius Herz
(il cui cognome, non a caso, in tedesco
significa "cuore") è come queste
soggetto all'influsso invalidante di un
ambiente familiare assillante,
claustrofobico e straniato. Reso
incapace di ascoltare ed esprimere i
segnali del proprio desiderio da
un'educazione incentrata sulla
negazione del sé e da un eccesso
di scrupoli morali, Herz raffigura una
volta di più la perfetta
incarnazione della vittima predestinata
a soccombere, in ragione proprio della
sua storia personale, contro lo sfondo
di una realtà volgare e
impoetica.
- Il romanzo
mette a nudo con impietosa
sincerità ma al tempo stesso con
grande rispetto e tenerezza i momenti
finali della vita di un uomo che a
settantatre anni, incalzato
dall'insoddisfazione per un'esistenza
rinunciataria e pavida, dalla monotonia
di una routine quotidiana scandita solo
dal passare del tempo e dai segnali
sempre più inquietanti di un
cuore malato, accetta di scandagliare
gli abissi di se stesso - le
verità e le bugie del passato
come le sfide e le tentazioni del
presente - per cercare di giungere con
autenticità e coerenza
all'appuntamento estremo della morte.
Attraverso un'esecuzione sempre
più raffinata di quella tecnica
narrativa che già a proposito di
Visitors Maggie Gee (New
Statesman, 1 agosto 1997) aveva
definito "an interior monologue where
resolutions and conclusions are pushed
steadily into the past tense. It's a
curious inversion of
stream-of-consciousness, where thought
is caught warm and on the wing", Anita
Brookner racconta tramite il filtro dei
ricordi la storia di Julius, emigrato
adolescente a Londra dalla natia
Germania con i genitori e il fratello
ebrei per sottrarsi alla minaccia
nazista. Ne consegue una storia
personale vissuta nel segno
dell'esilio. Esilio dalla patria e
dalla propria lingua, esilio dalla
propria giovinezza, sacrificata alle
esigenze di Freddy, il fratello
bambino-prodigio del violino in cui i
genitori, avviliti e spaesati, avevano
riposto le loro speranze di rivincita,
miseramente tradite dalla fuga del
ragazzo in una nevrosi depressiva che
lo porterà alla morte. Un
esilio, ancora, dall'agiatezza di
un'infanzia benestante e dalla
religione dei padri, vissuta come un
ostacolo all'integrazione in
Inghilterra e come condanna a
un'alterità invincibile; esilio
infine, con il passare degli anni,
dalla pienezza di risposte del corpo
giovanile e, soprattutto, dall'amore.
Il simbolo del senso di
provvisorietà e lacerazione che
accompagnerà Julius per tutta la
vita è infatti l'idealizzazione
del suo amore adolescenziale e non
corrisposto per la cugina Fanny,
vissuto prima dell'arrivo in
Inghilterra. Il matrimonio inglese con
Josie, coraggiosa e pragmatica, non
reggerà alle incertezze
caratteriali di Julius e alle tensioni
della convivenza con la sua famiglia,
possessiva e pervicacemente aliena per
formazione e abitudini. Dopo il
divorzio, che lascerà il passo a
un sincero rapporto di amicizia, il
protagonista tornerà a proporsi
a Fanny, ancora invano, in occasione
della sua vedovanza. La donna,
tuttavia, non lo considererà
neppure, preferendogli un altro
pretendente e divenendo agli occhi di
Julius simbolo
dell'impossibilità dell'amore.
Commesso in un negozio di dischi di
proprietà di Ostrovski, membro
benestante della sua stessa
comunità di profughi, un giorno
Julius riceve da lui una visita,
descritta come un evento magico, nel
corso della quale Ostrovski gli
annuncia di volere vendere il negozio
per ritirarsi a vivere i propri ultimi
anni in Spagna, al sole. A Julius, che
sopra il negozio aveva anche la sua
modesta abitazione e che si
troverà d'un tratto pensionato e
costretto a cambiar casa, Ostrovski
offre come ultimo atto di
solidarietà e di amicizia una
lauta somma, sufficiente a comperare un
appartamento accogliente e a viverci
senza preoccupazioni
finanziarie.
- La scena si
sposta quindi a illuminare le giornate
senza storia di Julius, trascorse tra
passeggiate, tazze di tè, soste
nei bar e nei giardini pubblici,
elucubrazioni infinite in cui, come
già in Visitors, "each small
action (or absence of action) deploys
around itself pages and pages of
anticipation, speculation, comment,
analysis and regret" (Gee: 1997). In
quella casa un giorno, di nuovo come
per miracolo, giungerà ad
abitare Sophie Clay, una giovane
consulente finanziaria bella,
aggressiva e indipendente, per la quale
Julius s'infiammerà di una
passione senile che saprà
nascondere sino a quando non
riuscirà a trattenersi dal farle
una carezza. Gli innocenti sogni di
trasgressione e di rivalsa cullati
dall'anziano Julius si tingono
brutalmente dei colori della sua
umiliazione e dell'ottuso disprezzo
della giovane, incapace di comprendere
la prospettiva nostalgica della
vecchiaia. Julius si richiude
maggiormente in se stesso e cala sempre
più a fondo la lama impietosa
della propria disincantata memoria.
Poi, il terzo miracolo: dopo complicate
peripezie postali lo raggiunge una
lettera di Fanny, spedita a un vecchio
indirizzo da lei ritrovato in mezzo
alle pagine, guarda caso, de I
Buddenbrooks. In difficoltà
economiche dopo la morte del secondo
marito, Fanny si rivolge a quello che
ora è il suo unico parente
attraverso una lettera che in certa
misura aiuta Julius a interpretare le
vicende del passato, e a rileggere la
storia della propria esistenza e di
quella dei suoi cari con inconsueta
chiarezza. Dopo un'alternarsi di
risentimento e slanci, di fame di
illusioni e impegno a non più
mentire a se stessi, dopo distaccati
paragoni tra il romanticismo triste e
decadente della spaurita alleanza di
vecchi che si prospetta con Fanny e
l'autenticità dell'impulso
provato per Sophie, Julius sceglie di
restare fedele, dopo averla finalmente
compresa senza equivoci, alla propria
storia di esule la cui stessa
sopravvivenza è garantita dalla
lealtà alla famiglia. Simbolo di
questa nuova capacità di
sacrificarsi per scelta alla coerenza
del passato pur avendone scandagliate
le infinite trappole sono le lettere
consapevolmente impietose che in due
occasioni Julius scrive a Fanny, per
poi stracciarle e sperdirne altre
più congrue alla sua immagine e
alla situazione presente. Cede il suo
appartamento a Matt, il giovane
compagno di Sophie, e concorda con
Fanny di provare a ritrovarsi, come
un'anziana coppia, nello stesso albergo
di Nyon, in Svizzera, in cui le aveva
chiesto anni prima di sposarlo. Il
romanzo si conclude bruscamente
all'aeroporto, dove Julius, mentre
procede all'imbarco, viene colto da un
attacco di cuore di cui non si
conoscerà mai l'esito, celato
dietro il pudore di uno splendido
finale 'aperto'.
- Come appare
evidente da questo breve sunto, le
caratteristiche stesse dei personaggi e
della trama già segnalano
l'inequivocabile appartenenza
'genetica' di questo romanzo
all'immaginario brookneriano, della cui
produzione trascorsa l'opera riprende
immagini, tratteggio umano, riflessioni
e temi. Più intensamente
dialogico, tuttavia, è il
rapporto che The Next Big Thing
instaura con alcuni precedenti romanzi
dell'autrice, A Private View
(1993) e Visitors (1997). Al
primo lo collegano per analogia diretta
la comune elezione di un protagonista
maschile e non più giovane,
nonché le vistose coincidenze di
una trama che per entrambi i personaggi
mette in scena la passione senile per
una donna di personalità,
cultura ed età assai diverse.
Molto più pervasivo e sottile si
rivela il vincolo di fruttuoso
contrappunto che, nonostante il
ribaltamento di genere del punto di
vista, fa della vicenda di Julius Herz
una sofisticata 'variazione su tema' e
insieme un significativo
approfondimento della condizione di
Dorothea May in
Visitors.
- Al di
là delle numerose corde fatte
risuonare con algido tocco nel romanzo,
The Next Big Thing si segnala
soprattutto per la sua articolazione
innovativa di due particolari temi che
con il trascorrere degli anni hanno
acquisito nella narrativa brookneriana
sempre maggiore evidenza: il motivo
della vecchiaia e il rapporto non
ancora del tutto risolto dei personaggi
(e dell'autrice) con la propria
identità ebraica in un contesto
britannico e cristiano. Due temi che,
come suggerisce la storia di Julius,
possono reciprocamente illuminarsi
tramite risposte distinte e tuttavia
irradiate nel segno di una comune
poetica della memoria.
- Nata a Londra
da genitori ebrei polacchi il cui
cognome era in origine Bruckner, la
scrittrice per sua stessa ammissione
non è mai riuscita a superare la
percezione invincibile della propria
alterità culturale: più
volte ha sottolineato in ripetute
interviste lo spaesamento che deriva
dal sentirsi condannati in qualche
misura a un'esistenza ai margini, in
cui a un interiorizzato senso di esilio
si affiancano la nostalgia e il
desiderio per un'integrazione destinata
a dimostrarsi sempre elusiva.
- A fronte dei
numerosi tentativi di studiosi e
critici appartenenti alla
comunità anglo-ebraica di
sollecitare un'adesione esplicita della
scrittrice a temi attinenti all'essere
ebreo nel mondo contemporaneo, Anita
Brookner, che si dichiara non credente,
ha affermato in una recente lettera a
Sorrel Kerbel di non desiderare di
essere 'ghettizzata', e di aspirare ad
essere conosciuta invece come
scrittrice 'inglese' . Ciò non
impedisce che l'opera di Anita Brookner
sia organizzata in misura significativa
e caratterizzante intorno a quei nodi
tematici della diversità
culturale e della vita come esilio che
l'autrice ha attinto dalla propria
esperienza privata: un senso di
deradicamento profondo da cui ha
origine quell'infinite longing
che in egual misura sostanzia la sua
critica d'arte e la sua
narrativa.
- Nell'articolare
questi temi The Next Big Thing
segnala un mutamento struggente e
radicale nel modo di porsi dell'autrice
dinanzi al dramma della diaspora.
Già sotteso, tramite allusioni
inequivocabili, ad altri romanzi tra
cui spiccano Family and Friends
(1985), Latecomers (1988) e
Visitors (1997), esso si
conferma nodo traumatico da cui si
sviluppano l'impossibilità di
sentirsi mai 'a casa' e, di
conseguenza, quella 'nostalgia di casa'
che percorre l'intero universo
brookneriano. Ma anche se (non
diversamente che negli altri scritti)
neppure in quest'ultimo romanzo mai
figurano le parole "ebreo" o "ebraico",
The Next Big Thing affronta in
maniera diretta, tramite le riflessioni
e i ricordi del protagonista, ogni
lembo delle ferite inferte alla
coscienza e alla personalità dei
profughi dall'esperienza di un esilio
che finalmente appare contestualizzato.
Essa riaffiora come una resurgiva ogni
qualvolta Julius fa risuonare le note
dei ricordi, dagli accenni alla rete di
assistenza che accoglieva all'arrivo a
Londra i nuovi profughi ("This eased
the transition to a considerable
effect, but had kept them from making
new friends" [12]) al ritratto
affettuoso di personaggi quali Bijou
Frank, legati a un innominabile passato
(" 'What news from over there?' 'What
do you think? Best not to think about
it' " [15]), dall'amarezza per
l'ostracismo iniziale degli inglesi
("In any event they had not felt
welcome, had been aware that critical
eyes surveyed them in the street"
[12]) all'astio spinto sino
all'ingratitudine per la
'diversità' del proprio ambiente
familiare, che gli rendeva ancora
più ostico ogni tentativo di
integrazione: "Ostrovski had been his
first and last benefactor, had
befriended him, had taken him to the
Czech club to meet others on the same
boat. Exiles, Herz had had time to
reflect, were the original networkers.
At the time he had not recognized the
generosity of feeling this represented;
he was reading his way through
Palgrave's Golden Treasury and
exiles had no place in his new English
life" (9).
- Persino la
religione dei padri, "his ancestral
religion, which he did not practise"
(16) viene rifiutata dal giovane Julius
in termini di rivolta contro norme
avvertite come opache e prescrittive
che minacciano di perpetuare
l'isolamento e il senso d'alienazione
di cui soffre ("seemed to him an affair
of prohibitions, of righteous
exclusiveness for which he could see no
justification", ibid.). Ne
deriva un sentimento di rivolta che lo
induce a cercare sovente illuminazione
in chiesa, per sentirsi ogni volta
respinto anche dalla religione
cristiana a causa della nozione
introiettata attraverso lo sguardo
degli altri di essere stato "expelled
from Germany as if guilty for some
ancestral flaw" (ibid.).
Soprattutto pervasiva è la
consapevolezza dello Julius anziano di
essere condannato ad essere per sempre
esule nella sua città, nel suo
quartiere, persino in casa ("I feel as
if I were abroad already. London is
still strange to me [...].
Somehow it still doesn't feel entirely
like home" [45]) a causa della
diversità 'culturale' della
propria storia e della propria
formazione rispetto al pure amato
ambiente inglese. La risposta che egli
saprà dare alla fine del romanzo
alla propria esistenza di autonegazione
sarà quella di abbandonare i
sogni ansiogeni di omologazione per
accettarsi come la Storia (la sua
personale e quella d'Europa) lo hanno
forgiato. Questo percorso si snoda
lungo diverse tappe, una delle quali
è segnata dalla visita di Julius
a un giovane medico dopo un lieve
disturbo cardiaco, durante la quale
egli paragona il proprio malore al
disagio avvertito da Freud
sull'Acropoli ("he was uneasy because
he had gone beyond the father.
[...] he had in a sense
betrayed him, outclassed him. The
theory is very beautiful, don't you
agree?" [76]), domandandosi se
il proprio risentimento nei confronti
del padre non sia anche all'origine del
suo male di vivere, del suo senso di
colpa.
- Significativo
è anche l'episodio dello strano
pellegrinaggio del protagonista a
Parigi, alla ricerca di un illusorio
risveglio emotivo. Come spesso avviene
nei romanzi di questa scrittrice dai
trascorsi di studiosa e critica d'arte,
il momento d'illuminazione coglie
Julius davanti al quadro di Delacroix
situato nella chiesa di St. Sulpice che
raffigura la lotta di Giacobbe con
l'Angelo. Un luogo di culto non a caso
cattolico, nel quale con gesto
sincretico il protagonista riconosce in
Giacobbe la permanenza delle proprie
radici: "As Herz remembered the story,
the fight ended in a draw. Jacob had
come out of it rather better than might
have been expected, had shown a kind of
understanding, had demanded a blessing.
This fact alone signified
acknowledgement, even grace. Nothing
more need be demonstrated.
[...] Mystified, gratified, and
somehow heartened, Herz stood for a
moment in tribute. He had few beliefs,
certainly none that would carry him to
a peaceful conclusion. Yet Jacob was
his ancestor, in more ways than one"
(97-98). In quel dignitoso 'pareggio'
(cui si è tentati di accostare
la 'neutralità' evocata nella
prossima citazione, uno spazio di
reciprocità che è
possibile 'abitare') comincia a
delinearsi il disegno di un'eventuale
ricostituzione del sé che non
esige atti volontari o inconsci di
rimozione, un cammino che
porterà Julius alla fine della
storia a trasformare la percezione
negativa della propria vita in
accettazione pacificata e costruttiva
del cosmopolitismo. "He saw that he had
lived his life as if it were under
threat", recita un monologo interiore
di commovente lucidità nel
momento in cui Julius si appresta a
partire per Nyon, "as if he still bore
the marks of that original menace and
of the enormity of the fate that might
have been his. This, he was convinced,
made transience the only option, exile,
impermanence, the route indicated for
him so long ago. And it had taken a
lifetime for him to understand this! At
last he would take his place in
history. In making his home in a
country famed for its neutrality
he would be obeying ancestral impulses.
In that direction lay the safety he
might yet come to desire" (182-83, il
corsivo è di chi
scrive).
- La tolleranza
e il coraggio di tale decisione non
sono doni improvvisi, bensì
sofferto frutto delle illuminazioni
impietosamente oneste della vecchiaia,
che costituisce appunto il secondo
grande motivo del romanzo, quello che
soprattutto lo avvicina a
Visitors di cui rappresenta una
proiezione speculare al maschile.
Identica appare la difficoltà
dei protagonisti ad occupare i propri
giorni, analoga, con le dovute
differenze, la necessità di
proteggersi dall'ansia attraverso
piccoli rituali. Condivisi,
soprattutto, sono il senso di colpa,
quasi, per la condizione stessa
dell'essere vecchi, la vergogna
pressoché tangibile per i propri
corpi di anziani. Come già in
Visitors, desta ammirazione la
capacità di Anita Brookner nel
catturare "exquisitely", come ha
scritto Sara Maitland, "the physicality
of old age; its hesitations, confusions
and stubborness. [...] She lays
not so much bare as naked that
odd mixture of self-knowledge and
self-delusion that one experiences in
encounters with the very old" (The
Spectator, 29 giugno
2002).
- In un mondo
che ha respinto ai confini
dell'ineffabile le nozioni di vecchiaia
e di morte al punto che la semplice
parola 'età' quasi
automaticamente implica un'età
'avanzata', negli ultimi romanzi Anita
Brookner sceglie consapevolmente di
sondare la lama di ghiaccio
fragilissimo su cui si gioca
l'estenuante esercizio di equilibrio
tra l'esperienza concreta della
vecchiaia e la sua rappresentazione
negativa nel sociale.
- Al dilatato
universo interiore dei protagonisti si
contrappone in entrambi i romanzi un
rapporto con il proprio corpo vissuto
in termini di disintegrazione, come
testimoniano le scene in cui Mrs May si
guarda allo specchio o il pudore con
cui Julius evita di farlo: "He shied
away from the evidence of his own
physical decline, his tall sparse body,
his large red hands, the thick veins
that marked his dry sapless arms"
(127). L'unità della propria
immagine fisica appare disintegrata
agli occhi del vecchio che ha
interiorizzato il disgusto troppe volte
riconosciuto nello sguardo dei giovani,
derivandone un destabilizzante senso di
scissione tra il sentimento della
popria integrità, relegato
all'interno della coscienza, e la
consapevolezza di un decadimento
proiettato sull'esteriorità del
corpo.
- L'indulgere
esplicito del protagonista a fantasie
circa la figura e le teorie di Freud
(che in una celebre lettera a Lou
Salomé paragona la vecchiaia ad
un paesaggio lunare e a un'era glaciale
dell'animo, associandone il concetto al
terrore della castrazione) invita a una
lettura non solo romantica, ma anche
psicoanalitica della passione senile di
Julius per la molto più giovane
Sophie, una passione chiaramente
evocata nel testo anche in termini di
risveglio delle pulsioni sessuali e
della vitalità del fisico.
L'atroce sguardo di disprezzo, condanna
e incomprensione con cui Sophie
accoglie la sua unica carezza frantuma
di colpo e in maniera insanabile
l'immagine di un sé capace di
rigenerarsi e di liberare il proprio
desiderio nel futuro che Julius si era
illuso di aver ricostituito e lo
costringe a 'ripristinare l'ordine'
adeguandosi al ruolo discreto e
passivo, autolesionista quasi, previsto
per i vecchi dall'universo sociale. Una
definizione di ruoli che, come
già in Visitors, anche qui si
gioca in termini di partita per il
controllo di un appartamento,
suggestiva metafora del diritto ad
occupare con pienezza di esistenza il
terreno della vita.
- Il subdolo
"Intruder" che aveva infestato le
spaurite fantasie di Mrs. May ("an
image, a presence rather than a threat,
the potency of which she was able to
gauge by the fact that it had been with
her for as long as she could
remember"[172]) aveva
nell'immaginario della donna lo scopo
di "espropriarla": "Despite her longing
for company - also phantasmal - she
would be aware that the Intruder had an
eye on her belongings, and was only
waiting for a moment of disattention on
her part to take possession"
(ibid.). Questa temibile
figurazione dell'inconscio cede il
passo in The Next Big Thing a
una colonizzazione dello spazio vitale
di Julius da parte di Sophie e di Matt
non meno inquietante per il fatto di
essere stata accettata e prevista.
"Once", ricorda Julius, "he returned to
find a suitcase in the landing, which,
with only a brief sigh, he transferred
to his bedroom. He made no overt
objection to this, preferred not to be
present when the act of appropriation
took place" (233). Il processo per cui
tramite i giovani succedono ai vecchi
nell'ordine naturale si svolge
attraverso un'efficace dislocazione
simbolica dell'investimento emotivo
dalle persone agli oggetti. A sua volta
la collaborazione spontanea di Julius
all'invasione del proprio territorio
sta a significare come, dopo aver fatto
luce sulla vera natura dei suoi
sentimenti nei riguardi di Fanny e
delle altre persone che ha amato, il
protagonista riesca infine ad orientare
il proprio bisogno d'integrazione non
più verso l'appartenenza a
un'elusiva identità inglese,
bensì verso la ben più
vasta armonia di un ordine naturale che
con pari indifferenza accoglie
'residenti' ed 'esuli' senza
distinzione alcuna: "And surely change
was primordial; all must obey it. To
ignore the process was to ignore the
evidence of one's own evolutionary
cycle. Herz wondered how he had ever
imagined a state of permanence. Renewal
was an altogether wider prospect, one
that affected his future rather than
his timid present" (182). E più
concretamente, pensando alla
possibilità di contribuire alla
felicità della giovane coppia:
"Herz had no difficulty in acceding to
the laws of nature: the young must be
preferred to the old, whom they would
eventually replace" (204).
- Nell'illuminazione
fievole eppure così chiara di
una vita che si avvia alla dissolvenza,
Julius comprende come "the reality
principle" costituito dall'ex moglie
Josie e "the pleasure principle"
incarnato dalla Fanny della
gioventù rappresentino
un'antitesi che, al pari del sussulto
sessuale risvegliato da Sophie,
è destinata a perdersi
nell'onestà prospettica della
vecchiaia.
- "Herz had a
dream" (1) recita la prima frase del
romanzo. Ciò che alla fine il
suo vecchio cuore riesce ad augurarsi
da quel sodalizio con Fanny atteso
troppo a lungo è soltanto
l'illusione di un "simulacrum of
domesticity" (242) e il dono di uno
sguardo pieno di "unforced fondness,
not for what he had once been, the
humble suitor, but for what he was now,
a fellow being easily frightened by the
world as it was. For such a fond smile
he would be willing to cross any
distance" (243).
- E il coraggio,
la dignità, l'amore stesso
chiamati a raccolta nell'intenso finale
sono così coinvolgenti che chi
legge non può trattenersi
dall'incoraggiare Julius, su cui il
sipario cala ai margini stessi della
morte, willing him forward verso
l'ultima "grande impresa" entro il
fluire della storia.
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Culture
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