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SAYAD, ALGERIA: NAZIONALISMO SENZA
NAZIONE
- A
CURA DI SALVATORE PALIDDA E NINO
RECUPERO
- MESSINA,
EDIZIONI MESOGEA,
2003
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- "I rapporti
fra colonizzatori e colonizzati non
riescono a essere dei rapporti normali,
proprio quando ci si sforza, da tutte
le parti, di renderli e farli apparire
ordinari e di comportarsi come se
davvero fossero tali. [...] Le
due parti si trovano condannate a
questa specie di gara al falso
apparire, alla simulazione e alla
dissimulazione".
- Così si
apre il breve, fulminante testo del
sociologo algerino Abdelmalek Sayad,
Algeria: nazionalismo senza
nazione, curato da Salvatore
Palidda e Nino Recupero e pubblicato
dalla piccola editrice Mesogea di
Messina, che si specializza in
materiali, letterari e non letterari,
che trattino delle culture mediterranee
nel loro insieme, nel loro sguardo
reciproco e nei loro secolari rapporti
intrecciati. In questo caso,
l'intreccio diventa un groviglio
complesso, nutrito com'è di una
lunga e intensa storia di
colonizzazione francese declinata sul
territorio prospiciente l'Europa e
nutrita da una lunga pratica di
insediamento.
- Abdelmalek
Sayad è stato uno dei più
geniali sociologi della scuola di
Pierre Bourdieu. Nato nel 1933 in
Cabilia, è scomparso nel 1998,
senza mai prendere la cittadinanza
francese né rinnegare la propria
ascendenza e appartenenza algerina. In
Italia è noto per La doppia
assenza, saggio pubblicato a Milano da
Raffaello Cortina nel 2002.
Riconosciuto in ambito internazionale
come il rifondatore di una "scienza
della migrazione", Sayad ha
reinterpretato la posizione ambigua e
ibrida del migrante che non è
cittadino di pieno diritto né
nella società di provenienza
né in quella d'approdo; e
così facendo ha ripreso il
concetto di 'erranza' così caro
alla riflessione anche letteraria delle
culture maghrebine. D'altro canto, la
sua lettura dell'ambiguità
insita nell'inevitabile doppiezza
prodotta dalla colonizzazione lo
avvicina anche alle figurazioni del
marocchino Abdelkébir Khatibi,
anch'egli sociologo, che nel romanzo
Amore bilingue aveva messo in
scena il dilemma essenziale del
bilinguismo con cui si confrontano gli
scrittori maghrebini dopo la conquista
delle indipendenze: straziante storia
d'amore, vicenda di perdita e di lutto
inevitabili.
- Le pagine di
Sayad pubblicate ora da Mesogea fanno
parte di un manoscritto inedito che lo
stesso autore desiderava comparisse in
Italia anziché in Francia,
proprio per evitare il clima
incandescente che ancora brucia la
storia francoalgerina. I curatori si
sono trovati di fronte a un materiale
frammentario e rapsodico, sotteso
però con continuità
bruciante da un disperato desiderio di
spiegare, chiarire, illuminare la
tragedia algerina; lo hanno
amorevolmente cucito e tradotto,
arricchendolo con un utile miniapparato
esplicativo comprendente anche una
cronologia essenziale. Ne è
uscito un piccolo gioiello, che
verrà certamente raccolto da
molti lettori e soprattutto da coloro
che si occupano di problematiche
postcoloniali.
- La vicenda
dell'Algeria si colloca infatti come
emblema del rapporto violento, lacerato
e oscuro fra colonizzato e
colonizzatore. Conquistata dalla
Francia nel 1830 e colonizzata negli
anni successivi, trasformata in
territorio di insediamento attraverso
un esproprio radicale della terra e una
trasformazione delle colture
tradizionali, nel 1947 l'Algeria si
vide rifiutare l'indipendenza promessa
e venne invece trasformata in provincia
metropolitana francese. L'insurrezione
contro il dominio coloniale
iniziò nel 1954 (del 1957
è la battaglia di Algeri) e,
dopo anni atroci, portò
all'indipendenza nel 1962: ma non
risolse i problemi di fondo. Come
osserva Sayad, la genesi del
nazionalismo algerino ne ha marchiato
indelebilmente il carattere
impostandolo come anticolonialismo:
insomma, "è stata la
colonizzazione a dargli sia la forma
che lo spirito, a forgiarne le armi
politiche. Il nazionalismo algerino si
è sempre trovato a rimorchio
della colonizzazione - ma poteva forse
essere diversamente? - per quanto
riguarda le intenzioni che proclama, le
finalità che reclama, i principi
costitutivi che afferma, per i
molteplici riferimenti ideologici,
impliciti o espliciti e spesso
contraddittori, dei quali ama
avvalersi".
- Questo
groviglio di rapporti opposti e
speculari è letto da Sayad come
"passionale", poiché combattere
lo stato colonizzatore è anche
farne il proprio modello di
riferimento. Tutto ciò nel caso
specifico è vero soprattutto dal
punto di vista politico e statuale -
istituzionale, insomma - che ha portato
a plasmare un'Algeria postcoloniale
centralizzata, burocratica, preda
infine del militarismo e della
corruzione. Così il nazionalismo
algerino ha postulato che "la nazione
in quanto illusione comune - perfino
ben fondata come direbbe Durkheim -
è un dato immediato, quasi
naturale, una costruzione indipendente
da qualsiasi determinazione storica...
e che era appunto compito del
nazionalismo (e cioè del suoi
"professionisti") assicurarne la
salvaguardia e la riaffermazione di
fronte al pericolo di annientamento e
negazione che per essa rappresenta
l'impresa coloniale". L'esito di questa
operazione, conclude Sayad, è
stato un nazionalismo senza nazione e
senza Stato, che si è
soddisfatto delle apparenze sia della
nazione sia dello Stato.
- Una ulteriore
sconfitta del nazionalismo, nella
lettura critica di Sayad, è la
perdita della prospettiva storica.
L'Algeria, già derubata del
proprio passato dalla colonizzazione,
non ha potuto rispondere al bisogno di
una identità unica e totale
quale quella cui fa appello il
nazionalismo algerino:
un'identità algerina e araba,
laica e musulmana, occidentale e
orientale, moderna e insieme
tradizionale. Vittime di questa
spoliazione storica sono l'immagine
dell'Africa antica, romana e anche
preromana; la conquista araba e
l'islamizzazione del paese; la
cancellazione dei regni berberi e,
infine, la valutazione della reggenza
ottomana assimilata alla pirateria
barbaresca del Mediterraneo. Il
risultato di ciò è la
confusione fra nazione e nazionalismo,
e una generale assenza di riferimenti
storici oltre che politici certi, e
tali da poter reggere alla richiesta
identitaria postcoloniale.
- Sayad quindi
ascrive al vizio lontano del
nazionalismo algerino lo sfascio e la
tragedia che il paese sta vivendo
attualmente, divorato da una carenza di
autorevolezza che rende impossibile
allo Stato invocare una
sovranità credibile. I massacri
recenti si sono susseguiti in Algeria a
partire dal 1991, anno in cui il Fronte
Islamico di Salvezza (FIS) vinse il
primo turno alle elezioni generali, ma
non si vide riconoscere tale vittoria:
il secondo turno venne infatti
annullato. Dopo d'allora, al FIS si
è affiancato il Gruppo Islamico
Armato (GIA), che si rifiuta di
accettare gli accordi firmati dal FIS;
e si è aggiunta la rivolta
esplosa in Cabilia nel
2001-2002.
- L'Algeria
racchiude nella propria vicenda i segni
del colonialismo europeo (in questo
caso, squisitamente francese) e i nodi
irrisolti del postcolonialismo. La
riflessione dolorosa e appassionata,
talora addirittura veemente, di
Abdelmalek Sayad serve a districarne il
groviglio, a valutarne il senso e a
capirne i possibili sviluppi. Sebbene
l'analisi sia specificamente legata
alla realtà francoalgerina, essa
insegna come si debbano battere vie
nuove e diverse nel caso di tante altre
situazioni postcoloniali soprattutto
africane, tanto più quanto
più profondo e forte è
stato il coinvolgimento del
colonizzatore, sia materiale sia
fantastico. Si pensi, per fare degli
esempi, al Sudafrica, allo Zimbabwe,
alla Liberia, palesi ed emblematici
(anche se assai diversi) risultati di
rapporti speculari, di tremenda
"passione": elemento, quest'ultimo, che
Sayad sottolinea e valorizza senza
tregua.
- Da attento
osservatore del fenomeno migratorio,
Sayad legge la complessità in
esso iscritta, tale da farne un
fenomeno di inestricabile simbiosi
culturale: aspetto che potrebbe
risultare in esiti straordinariamente
fertili e vitali se venisse capito,
accettato, affrontato, e collocato al
centro di una nuova e diversa
concezione della cittadinanza e
dell'appartenenza.
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