Home Page di Amelia Impellizzeri
- Amelia Impellizzeri è nata a Como, anche se risiede a Catania da anni. Nonostante sia parzialmente audiolesa a causa della parotite in età infantile, ha sempre affrontato con coraggio e determinazione le vicissitudini della sua non facile esistenza, attingendo forza da se stessa, e sfidando gli ostacoli derivanti dall'incolpevole menomazione; ha conseguito brillantemente la laurea all'università di Catania con il massimo della votazione, e successivamente l'abilitazione alla professione forense, e lavora presso il Teatro Stabile di Catania.
- Giocatrice di bridge e sportiva, appassionata da sempre di sci e di equitazione e amante della passeggiate in alta montagna, la sua innata sensibilità interiore, unita ad un profondo amore per la natura e gli animali, l'ha fatalmente spinta, quasi senza averlo scelto consapevolmente, verso la poesia e la pittura di tipo fantastico - onirico. Citata nel Comanducci, in Bolaffi e in Praxis Arte, ha ottenuto premi e riconoscimenti come pittrice, con mostre in Italia e all'estero; numerosi suoi quadri sono esposti presso musei e collezioni private di pregio.
- Ha collaborato in qualità di autrice al progetto letterario "Realfiabe", che ha riscosso un lusinghiero successo nelle scuole italiane, inserendosi nel programma didattico di varie regioni. Una sua poesia è stata di recente selezionata per essere inserita nell'Antologia "Il SOGNO. I grandi temi della poesia" edita da Giulio Perrone 2008.
- È diventata scrittrice per uno straordinario intreccio di circostanze originate da un sogno precognitivo, dal quale è scaturito il suo primo romanzo sostanzialmente autobiografico: "Illusione e Realtà", al quale sono seguiti altre due romanzi di fantasia, "Il Demone e l'Angelo" e "L'ombra nello specchio", ancora inediti.
- Dalle sue passeggiate al parco insieme al bellissimo e giovane cane Arco, da lei sottratto alla vita randagia, incontrando altri amici umani e canini e raccogliendo storie spesso commoventi, è nata l'idea di scrivere un libro di racconti veri ma a lieto fine relativi a vicende di animali selvatici e domestici, in loro favore. Il libro: "I NOSTRI AMICI RACCONTANO" pubblicato anche in Braille e sponsorizzato da Finanza&Futuro Banca Gruppo Deutsche Bank sarà presentato ufficialmente a Roma il 16 gennaio 2009 presso il Centro L.I.P.U. ed è inserito in copia cartacea e on line nel prestigioso Catalogo L.I.P.U in sito www.lipu.it (Emporio - libri) come prodotto prenotabile.
- Il suo sogno è quello di andare a vivere presso un lago alpino...
(Pubblicata nell'Antologia dei grandi temi della poesia: il SOGNO edita da Giulio Perrone 2008 )
- SOGNO E REALTÀ
- ... Un uccello
- dalle ali spezzate
- che anelava a librarsi nel cielo
- incontro ad un Sogno lontano
- che era, forse, una vuota chimera.
- ... Un uccello
- che follemente sbatteva
- contro la gabbia dorata
- e la falsa finestra irrideva
- quel suo patetico slancio.
- Eppure continuava a volare...
- incurante delle ali ferite
- cercando l'Autentica Via
- che, forse, era lì.
- E non la vedeva.
- Invece quel Sogno esisteva
- si è fuso nel mondo reale
- si sono dissolti i confini
- tra la Realtà e l'Illusione.
- ...Volerà !
- Quell'uccello fremente
- nel limpido vento dell'alba
- incontro all'aurora nascente.
"IL LAGO"
- Luisa era attirata irresistibilmente dal lago. Da sempre, quello specchio di acqua immoto aveva accompagnato il suo cammino...
- Quando era una bambina le piaceva sedersi su una panchina all'ombra dei platani, per gettare pezzi di pane ai cigni che si avvicinavano, agitando le grandi ali candide. Chiudeva gli occhi e iniziava a fantasticare... allora la sua mente spiccava il volo e lei si sentiva libera e felice, in sella ad un immaginario cavallo argenteo...
- Le brume che si levavano spiraleggiando dalle acque nelle fredde e nebbiose giornate invernali assumevano ai suoi occhi incantati l'aspetto di ninfe e di fate, che danzavano leggere nel vento.
- A Luisa mancava forse qualcosa, l'acutezza di un senso che una malattia beffarda in tenera età le aveva parzialmente sottratto, eppure la bambina possedeva la meravigliosa capacità di sintonizzarsi sulla natura, di udire il canto delle piante, e di vedere gli spiriti dei boschi e delle acque...
- Lei sapeva d'istinto che non erano creazioni illusorie della sua mente, ma esseri reali provenienti da invisibili dimensioni. Forse proprio quel suo senso apparentemente lesionato le aveva spalancato altre Porte...
- Eppure fu strappata via dal suo lago, e condotta in una terra profondamente diversa e aliena, una terra di sassi bruciati e di polvere color ocra, di luce dardeggiante e di piante piene di spini. Il canto tacque, e nel suo piccolo animo il buio discese.
- Trascorsero gli anni... lei crebbe, si sposò, ebbe un figlio, si separò, iniziò a lavorare, conobbe piccole gioie e grandi sofferenze, ma nel suo cuore il lago continuava a chiamarla...
- Era estate... anche se in Austria si era ammantata del dolce autunno.
- Il lago, selvaggiamente bello di Swartzsee, attirava Luisa potentemente. Era accaduto un miracolo, il bosco aveva ripreso a cantare...
- Quel giorno una nebbia sottile sfumava d'argento il verde dei prati, mentre Luisa disegnava lenti cerchi sull'acqua, osservando assorta le goccioline iridescenti ammiccare e rutilare, forgiando immagini evanescenti. Il suo volto sembrò fondersi nell'acqua, rimandando l'eco lontano di un Sogno perduto... lei percepiva potentemente lo Spirito del Lago, sapeva che l'avrebbe aiutata e protetta. Come in trance si strappò una ciocca dei suoi capelli dorati, e regalò sé stessa all'acqua.
- Quel giorno ritrovò il suo Sogno...
- IL LAGO
- Guardo il mio specchio
- tremolare nei vortici d'argento
- frantumando il volto in un viso di bimba.
- Riaffiora dal lago il passato...
- Nubi bianche dentro i gorghi profondi
- sfilacciano veli di bruma danzanti,
- ombre eteree di ninfe lontane.
- Immergo la mano
- nella me stessa di un tempo...
- Cristalli liquidi mi sfiorano dolcemente,
- sciogliendo nodi
- intessuti dal beffardo destino.
- Me perduta
- nei meandri oscuri del tempo,
- malinconicamente scissa
- dall'antica chimera.
- Un volo di corvi bruniti
- fluisce dalle vette innevate,
- mentre il sole lentamente si spegne.
- E ritrovo quell'ombra smarrita...
- sulle ali del vento delle stelle
- che soffia sortilegi agli abeti.
- LA TELA
- Trama una tela sottile
- il beffardo destino
- tra lame di un gioco di specchi
- che riflettono sagome d'ombra.
- E i silenzi ricamano il buio
- macinando le gelide stelle...
- Un pennello che colori la tela
- sfumando nell'argento le ore
- oppure con luce iridescente
- insegua le falene nel vento...
- Sei tu che dipingi la tela
- che il ragno ha tessuto per te
- e brilla fiocamente
- al declino.
- Si accendono nella notte
- le lucciole
- erranti come i sogni lontani
- degli anni perduti...
- E la tela risplende di luce
- nella nebbia che vela la sera
- celando le maschere vuote
- di antiche chimere.
LA DANZA NUZIALE DI FJORD - ... S'immerse nella densa foschia violacea del banco di nuvole compatte battendo ritmicamente le ali potenti, in attesa di riprendere la corrente ascensionale che l'avrebbe condotta in alto senza sforzo. Sarebbe bastato mantenere le ali allargate nel volo planato e la corrente l'avrebbe spinta naturalmente di là dello strato brumoso, ritrovando la luce abbagliante del sole.
- Un sibilo, accompagnato da un'improvvisa folata di vento, le scompigliò le penne brunite del dorso, facendo comprendere all'aquila di essere penetrata nel campo d'azione della corrente. Fjord spalancò al massimo le ali immense, allargando le penne, come cullata dalla brezza, volteggiando leggera oltre le alte vette dolomitiche spruzzate di neve abbagliante. Il suo sguardo selvaggiamente fiero errava verso la terra lontana, cogliendo ogni particolare. Attraverso un varco che si era formato a un tratto nella densa caligine nuvolosa poté scorgere il vecchio nido dov'era nata, addossato a un incavo della parete rocciosa che si protendeva verso lo strapiombo. Lo aveva abbandonato da tempo, scacciata dall'area di caccia dei genitori che, con le loro eleganti evoluzioni nel cielo, segnalavano alle altre aquile di non varcare i propri inviolabili confini. E lei, ormai giovane adulta, per loro era diventata un'estranea.
- Quel giorno Fjord stava vagando in solitudine, nel silenzio ovattato delle alte quote, percependo qualcosa di indomabile agitarsi nel fondo della sua anima selvaggia. Non riusciva a comprendere perché si sentisse così profondamente inquieta. Un richiamo primordiale, che affondava le radici in un istinto atavico che non riconosceva e non capiva ancora, le faceva scorrere il sangue con violenza nelle vene, e battere il cuore nel petto con rinnovato vigore. Il suo sguardo acutissimo e scintillante si posò a lungo sul disco immenso e splendente del sole senza che le sue palpebre avessero un fremito, poiché apparteneva all'unica specie di esseri viventi al mondo in grado di sfidare il fulgore accecante dell'astro. Il rapace continuò a volare in lenti cerchi, come cercando qualcosa...
- Ed ecco che, d'improvviso, attraverso un varco delle nuvole, apparve un'altra aquila di colore più chiaro e dimensioni più piccole, che puntò verso Fjord ad ali spiegate.
- S'incrociarono in volo per un magico istante che sarebbe durato tutta la loro vita, trasformando quella superba solitudine in un legame solido come le rocce tormentate dello strapiombo, che seguivano il filo della cascata fino alla valle.
- Per tutto il lungo giorno le due aquile danzarono tra le nuvole, intessendo arabeschi nel cielo ramato dal sole morente...
- A un certo punto Fjord si capovolse in volo rovesciato mentre il maschio le si agganciava addosso trascinandola in un avvitamento vertiginoso, poi si staccarono, per volare fianco a fianco in eleganti evoluzioni spiraleggianti fin'oltre il bordo delle nevi perenni e sopra al ghiacciaio azzurrato, che lampeggiava di sprazzi luminosi al pallido sole di fine inverno. L'alba del nuovo giorno li trovò all'inseguimento di un merlo nero come l'ebano con una candida macchia a mezzaluna sul petto, che fu raggiunto in volo e morì subito tra gli artigli impietosi del maschio; quindi si dedicarono alla caccia terrestre usando una strategia d'attacco tramandata loro dall'istinto, che avrebbero affinato nel tempo con il reciproco affiatamento: mentre il maschio scendeva velocemente di quota in volo radente, per terrorizzare la preda, Fjord si lanciava dall'alto a ghermirla. In tal modo catturarono un coniglio e risalirono, l'uno con il merlo tra gli artigli, l'altra con il roditore dalla pelliccia argentea. Ricominciarono le evoluzioni incrociate attraverso le nubi illuminate dal sole, piombando in spirali e avvitamenti, incrociandosi e allacciandosi in volo, giocando a scambiarsi le prede, mentre danzavano follemente nel cielo...
- Dopo alcuni giorni la coppia si mise in cerca di un territorio da adibire a propria riserva di caccia, dove iniziare a costruire il primo nido. Perlustrarono la zona per un ampio raggio, volando ad una quota non troppo elevata ed evitando i territori appartenenti ad altre coppie di aquile, finché sconfinarono senza saperlo nel Tirolo austriaco. Il luogo appariva libero per un raggio di oltre un centinaio di chilometri, e spaziava sulle alte vette tormentate imbiancate dalle nevi perenni della catena alpina, che degradavano in terrazze erbose poste a diversa altezza, sino alla valle sottostante.
- Fjord e il suo compagno scelsero una cavità rocciosa poco profonda a picco sull'abisso, che appariva riparata dai venti e perfetta per costruirvi un bel nido comodo e ampio, a un'altezza inferiore al grande altipiano dove avrebbero cacciato; infatti il nido, posizionato ad una quota più bassa rispetto al territorio di caccia, avrebbe consentito loro di trasportarvi agevolmente le grosse prede. A un battito d'ala dal nido, la distesa del prato di montagna costellato di fiori variopinti incorniciava uno splendido laghetto color smeraldo alimentato da una cascata gelida, dove avrebbero potuto bere.
- Con un gesto elegantemente emblematico - anche se non poteva saperlo - Fjord, dopo un breve volo, chinò il capo verso il terreno per afferrare con il forte becco adunco un grosso ramo, subito imitata dal compagno. Trasportati i rami sino all'anfratto, li posarono sul fondo della cavità rocciosa e vi allinearono altri rami egualmente solidi, sui quali ne deposero altri in posizione trasversale in modo da costruire la base a griglia stretta di una piattaforma aerea, che poi rifinirono attentamente sui bordi e verso l'interno con muschio, fuscelli, zolle erbose, pezzi di corteccia, ramoscelli e fronde, che avrebbero reso confortevole e caldo il nido.
- Quello sarebbe diventato il luogo dove tornare a riposare dai lunghi voli incontro al tramonto che incendiava di porpora il cielo e oltre le nuvole alte, dove costruire altri nidi, dove deporre le grandi uova maculate ed allevare gli aquilotti, per accompagnarli infine oltre i confini, a cercare un territorio che fosse soltanto loro...
(Estratto dal romanzo in elaborazione: "L'ombra dell'aquila" di Amelia Impellizzeri)
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Ins. 22-11-2008