LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA
Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordientiHome Page di Dario Arena
"Mi chiamo Dario Arena, sono nato a Catania il 25.12.1972 ove risiedo, lavorando come dipendente pubblico. Sono laureato in legge ed ho scritto la prima poesia a tredici anni circa: è stata definita retorica dalla mia maestra. Convivo felicemente con la mia compagna che è mia valida collaboratrice oltre che mia musa senza tempo.- Non mi definisco poeta, ma mi piace tanto scrivere le mie emozioni che vengono fuori senza ragione alcuna. Quando sono pronte le scrivo come se esistessero già ed abbiano aspettato solo che fossi pronto per trovarle."
- Etna.
- Sulle tue pendici:
- posano luci voltaiche
- che sembrano essere cugine delle stelle di questo cielo;
- posano odori di zagare e pistacchi
- che sembrano ubriacarmi di dolce sobrietà;
- scorre bava di fuoco ardente
- che sembra color pastello nel buio
- e sembra voglia scrutarmi tra il fogliame degli alberi.
- Il fatto è che niente sembra, ma tutto è vero.
- Forse con tutto questo, quando non ti osservo per tanto tempo,
- cerchi il riscatto alla mia stupida indifferenza,
- e non smetti mai di destarmi dal quotidiano.
- E non smetti mai di farti amare.
- Pauroso dono di natura che non posso dimenticare.
- Volo.
- Non ti conosco,
- eppure questa pioggia sui prati mi ricorda casa, quando,
- pedalando sul mio triciclo,
- mi affacciavo dalla mia finestra sul mio mondo.
- Non ti ho mai vista prima,
- ma fai profumo di destino
- e questa stessa pioggia mi fa guardare avanti,
- dove i condor volano convinti d'esser stelle.
- Non ti conoscevo, sino a quando,
- sul mio cielo sommerso dall'orizzonte,
- ho imparato a planare di ali
- ed ho trovato il mio vessillo d'amore.
- Così oggi, senza peso mi sollevo in volo:
- le terre sono come fiori sugli oceani,
- le genti puntini e il vento mio amico.
- Dove gli altri sentono solo rumori,
- io odo il suono del vuoto sotto il mio corpo.
- Dentro i tuoi occhi vedo questo ed altro.
- Gioco a palleggi con il mondo
- quando arricci gli occhi vedendomi,
- incredulo che tu,
- maestosa e meravigliosa come gli alberi nei parchi,
- come la buganvillea viola tra i recinti delle case,
- sia felice grazie alla mia umile presenza.
- Dentro i tuoi occhi vedo questo ed altro.
- Tu.
- Un angelo è caduto stanotte sul mio letto,
- l'ho visto con le prime luci dell'alba,
- avvolto in lenzuola rosa, come fossero un vestito antico.
- Dormiva beato con le ciglia bionde
- ed innanzi a me ha sfilato, pur nella sua dolce immobilità,
- come un puledro tutto gaio perché splendido novizio
- nel trotterellare di gran gala sotto un melo in frutto.
- Volevo baciarlo sulle labbra, ma non ho voluto disturbare.
- Ho preferito meglio destarmi per arguire
- che, da quando vivo con il mio amore,
- ogni giorno è sempre uno splendido sogno di vita.
- Giorno.
- Il diadema ancestrale si fissa nel cuore
- come il meriggio nel cielo,
- come un ferita sulla pelle
- che nessun ossigeno potrà guarire,
- nessun chirurgo asportare.
- Nell'acqua si specchia
- come una tragedia greca negli occhi delle ninfe,
- mentre in cielo sfreccia l'ultimo bagliore
- dell'andato demone ansimante.
- Sole.
- I tuoi occhi blu e dorati sono luce impassibile
- del suono del mio petto,
- del mio respiro prigioniero del tuo,
- come se deserto sia stato e
- intricata foresta tutto sia diventato.
- Non mi perdo nel nuovo mondo.
- T'ho ritrovata sotto il mio stesso sole.
- Splendenti entrambi.
- Viaggio
- Le tue mani su di me sono ladre degli abissi.
- Faranno essi a meno di me
- se nello specchio della mia acqua appare l'-immenso che sei.
- Ma dove sono finito?
- Tra i tuoi capelli e le tue unghie pure che specchiano gli scafi.
- Tutto è fermo o tutto è movimento?
- Mare al vento di superficie.
- Il mio naso sfiora il tuo cuscino e già sorge la mia alba.
- E degli abissi solo un profondo ricordo.
- Occhi verdi.
- Meglio perdermi lontano da te in ampi spazi di sabbia,
- che girare tutt'intorno al periclo della tua montagne di coltelli,
- sistemati un giorno dal manico di legno,
- un giorno dalla lama d'acciaio inossidabile.
- Vado.
- Vado sotto il giorno d'inverno
- e vado sotto la luna d'estate che ugualmente giorno sembra
- nella mente dei bimbi che dormono,
- sognando di camminare ancora tra le farfalle d'alta quota.
- Lontano dal tempo vado.
- Così quando mi sveglierò, sposterò le lenzuola
- e mi appenderò agli ultimi fili dei tuoi capelli corti
- ed alle inesistenti lacrime dei tuoi occhi verdi
- per andare a valle della tua montagna.
- E non tornarvi più.
- Infinito
- Con cura sacrale sistemo i tuoi vestiti
- e capisco d'essere caduto nella tua tela
- sapientemente tessuta di merletti.
- Solo che l'ho voluto anch'io
- e questa stoffa di nuvole mi sembra come il mio amore per te:
- infinito.
- Anche il mare, guardandolo smarrirsi all'orizzonte,
- pare infinito,
- ma oltre ogni luce incontrerà la sabbia.
- Dentro me, invece, naviga felice
- questo folto universo di solleone e fiori d'inverno.
- E tale avvicendarsi delle stagioni è eterno.
- Proprio come ciò che sento per te.
- Luce.
- Tra le spine della candeggina boreale che ti ha ingrassato le ciglia,
- nel bel mezzo del loro dedalo vorticoso,
- scorgo il sole azzurro degli occhi tuoi.
- Pensieri disordinati ed illusioni di fango,
- rendono la tua pelle attraente e il tuo viso lucente,
- in questa lunga alba d'autunno.
- Così chiudo la porta e chiudo gli occhi:
- voglio vederti col tatto dell'immenso
- e placare il caos che dimora in me.
- Respiro la tua luce:
- vien giù l'ansia che opprime la fragilità della vita,
- cadono l'argilla ed il disordine.
- E restano la pella tua ed il cuore mio.
- Per sempre splendidi di corallo e delfino selvaggio.
- T'amo.
- Un angelo sorvolava i cieli con strisce di nuvole.
- Mi vedeva da lontano come fossi un puntino,
- un'isola di fuoco in terra battuta dal vento.
- Decise di farsi sfiorare e di lasciarmi una piuma di paradiso.
- Lo convinsi a restare, mi aprì gli occhi
- e annegò la mia isola nel suo mare di luce bianca.
- Da allora, terra e cielo non sono più gli stessi.
- Si sono uniti nell'immenso che ci appartiene
- e le mie lacrime non hanno più lo stesso sapore
- e quegli occhi non li voglio fare piangere più
- e il nostro figlio unisce due razze, due colori, una chiesa,
- un mondo intero in un abbraccio che mi fa ridere
- e guarire dal mare nero della tristezza,
- mi fa lottare contro gli schemi scettici ed ottusi dell'ignoranza.
- Perché io ti amerò per sempre,
- tra i prati, ai lati delle strade della gioventù,
- fin lassù, tra quelle strisce di nuvole azzurre.
- Come i tuoi occhi e la tua fronte liscia e piatta.
- Tu non hai idea.
Se l'avessi mi prenderesti con te,- sommessa e felice come le foglie sotto la pioggia.
- Ti piegheresti sotto il mio peso
- e mi lasceresti andare ad infilzare ancora
- la terra già inzuppata di aghi d'acqua volubili
- e dattilografati sotto le macèrie delle tempeste vorticose.
- Mi useresti come un aratro per zolle
- che mai hanno sentito l'aria baciare il loro fertile rosso.
- Se solo sapessi mi illumineresti come un faro celestiale
- sedando il rumoreggiare del mare stizzoso
- che, ingordo, chiede spazio alle sponde.
- Mi prenderesti le mani
- e ci uniremmo come elettroni e cellule
- per dar vita alla materia più essenziale.
- Noi.
- Inquietanti come il rombo lontano.
- Fulgidi come il fulmine
- che si arrampica fino a fendere l'inesorabile.
- Dubbi.
I dubbi sono come corvi che allignano- nelle radure dell'indecisione,
- nei grigi campi spogli e graffianti dell'insicurezza.
- Esco da questi cieli tristi e cerco il faro di luce,
- quello che guizza tra le temporalesche e le dirada,
- quello caldo che mi abbandona a vapori sulfùrei,
- a calore turco che mi rigenera da ogni taglio spifferante della mia forza,
- quello sotto cui tutto si colora e si tempra di vita svolazzante.
- Colà, nella fonte del mio sole, tutto abbaglia,
- non c'è aria percorribile in volo perché tutto brucerebbe inesorabile,
- perché le mie spade trafiggerebbero il dubbio che nasce nella tua lontananza.
- E resteremmo noi.
- In mezzo alla gente.
- Come quando in quella stanza, io, curvo e stanco,
- e tu, tu mi levasti le scarpe, mi rimboccasti le coperte e mi accudisti
- col tuo respiro tutto indaffarato ad essere specchio del batticuore per me.
- Lì mi fermai. Placido.
- Ed anche se, ogni tanto, vedo corvi nelle mie oasi sempreverdi, tu sei luce.
- Ed io posso respirare.
- che si arrampica fino a fendere l'inesorabile.
- Occhi
E' come se l'occhio più profondo, tra le unghie della testa,- fosse cieco ed emergesse, da sommergibile assetato d'aria,
- solo quando appari dietro la porta del nostro mondo
- d'abete, neve e mare oltreoceano.
- E' come se fosse una notte eterna nel cosmo
- ed il sole del mio sistema d'armonìa gravitazionale avesse senso lucente
- solo quando appari davanti ai suoi occhi raggianti.
- Altrimenti questi, anch'essi ciechi,
- si perderebbero nel loro vuoto catodico.
- Faccio parlare il mio terzo occhio,
- le mie valli mormoranti e nascoste.
- Ed io, quasi estraneo, sto zitto. Ad ascoltare.
- che si arrampica fino a fendere l'inesorabile.
- Solitudine piumata.
I bordi del rubinetto sono incrostati dagli anni e dal calcare.- Fuori il cielo è minaccioso di nuvole nere e,
- anche se l'estate è sopra esse,
- tutto preannuncia l'altalena tipica delle stagioni,
- prima del passaggio alla successiva. Autunno.
- Quell'odore di terra bagnata,
- il maglione di cotone che copre le braccia,
- i viaggi in centro Europa,
- con le valigie che corrono lontane da casa.
- Dove osano le aquile io sono.
- Sole, rapaci, padroni delle valli ignote all'uomo.
- Ogni giorno per me è un'avventura da affrontare,
- con coraggio, con amore, con rispetto di me stesso.
- La solitudine non mi fa paura,
- mi fa paura che mi possa ad essa abituare.
- Ma io lo so:
- i miei muscoli sono quelli di uno scattista sulla linea di partenza.
- Lì, sul mio petto, la coscienza di capire è sempre più matura.
- Gli eventi non li tengo in pugno,
- li faccio scorrere tra le dita.
- Come la vita.
- che si arrampica fino a fendere l'inesorabile.
- Stella cadente
Quella notte avevo appuntamento con il cielo.- Colorato di inchiostro nero profondo
- e decorato di aria fredda e spigolosa era.
- Ma non potevo aspettare.
- Nemmeno un istante,
- Tutti dormivano,
- perfino la luna era coricata rispetto al mondo immondo
- che giaceva sotto le mie gambe ancheggianti.
- Camminavo e la pelle, dalle spalle, s'alzò verso gli stinchi
- ove tremava, come onde spumeggianti ed increspate
- di questo nido di paglia che guarda.
- Ho visto e capito:
- la stella cadente voleva essere veduta da me e da me solo.
- La mia lei non vide e non seppe neppure che il mio desiderio
- fu quello di stare insieme.
- Per tutte le notti di questo mondo immondo.
- che si arrampica fino a fendere l'inesorabile.
- Scopro l'esistente.
Occhi azzurri,- per sempre tra gli alberi soffiano al battito delle ciglia,
- mentre il fogliame ombreggia il mare.
- Quando poi mi guardano è come uno specchio immacolato
- ove vedo la parte più nobile di me,
- quella che ho scorto e raggiunto tra colline verdi sempre esistenti,
- che gli appartenevano senza che lo sapessimo.
- Come un appuntamento alla luce.
- che si arrampica fino a fendere l'inesorabile.
- Tesoro mio.
Non vorrei mai addormentarmi e rubare ai miei occhi- l'immagine più sublime e deliziosa che abbiano mai visto.
- Non vorrei mai mangiare e rubare alla tua bocca
- i miei dolci baci.
- Non vorrei mai lasciarti le mani
- perché quando sono nelle mie, sento di toccare le montagne,
- e se ti abbraccio il cielo tocca la terra
- ed io divento padrone di entrambi,
- come un orizzonte senza fine dove il sole non tramonta mai
- ed incontra tutte le altre stelle.
- E' solo che nel mio cielo non c'è stella più bella.
- che si arrampica fino a fendere l'inesorabile.
- O luna
Vedo all'orizzonte buio uno spicchio di luna sembrar pompelmo rosa e non capisco,- ma fiero gli vado incontro.
- Ad ogni passo l'agrume ancestrale sale nel cielo notturno
- e si sbianca fino a raggiungere la stella polare.
- Sotto la riconosciuta a fatica luna,
- l'acqua, felice, si decora di specchi d'argento,
- mentre, più sagace, monta la marea
- ed io ti abbraccio, tenendo il tuo viso tra le mani.
- Il triangolo del tuo mento,
- l'azzurro cangiante e la quiete dei tuoi occhi
- mi hanno portato su questa spiaggia,
- lontano dal calmo ronzìo della cappa accesa nella mia cucina di solitudine.
- E sono qui a riflettere sul mio concetto congenito ed astratto di amore,
- intriso di profumi e baci che sanno di futuro eco quotidiano.
- Sei carne d'esso ed anche con vestito smesso,
- comincio a navigare bimbo e sicuro verso porti sconosciuti, ma non tenebrosi.
- I fari isolani e te,
- onda, vento, bussola e ode all'ormai concreto,
- siete i miei affabili e miti compagni di viaggio.
- E tu luna!
- Infuoca questo cielo senza bruciarlo,
- questo amore senza spegnerlo,
- questa speranza senza assopirla.
- E così, se i miei occhi toccassero
- e le mie mani guardassero,
- questa notte saprei dove riposare.
- che si arrampica fino a fendere l'inesorabile.
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