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- Estate in
città
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- Sornione,
assonnato, questo caldo invadente.
- Guardo l'aria
che trema sull'asfalto infuocato.
- Non muovo
più un passo, incollata sul
suolo.
- Immobile,
ascolto il messaggio che sale:
- le cose son
vive, più stanche di me.
- Mi basta un
sospiro e son sotto le fronde,
- a guardare
d'attorno colori decisi,
- profumi di mare
che scendono in gola.
- Mi fanno
sognare, di quando, bambina,
- intrecciavo
ghirlande di foglie puntute e fiori
odorosi.
- Del mondo regina
son stata così...
- Continuo a
vagare, in una terra lontana.
- Là in
fondo alla strada c'è un'ombra
d'argento...
- cavalli al
galoppo e spade sguainate
- scintillano al
sole,
- una palma si
piega, la sfinge sorride.
- Poi il sogno si
ferma e l'aria ristagna:
- il rombo d'un
filobus,
- la mia fata
Morgana.
-
- Nel bosco, un
mattino
-
- La neve, con
lampi rosati
- Si sfalda e si
chiude
- intorno alle
gambe.
- Si sfarina di
malinconia
- ad ogni tuo
passo,
- restìa a
lasciarti andare.
- Sterpi
pungenti
- Ti stringon le
braccia,
- offrendosi in
dono, con bacche brunite dal gelo.
- Ragnatele di
ghiaccio tessute sui rami
- Allargano al
cielo ventagli d'azzurre crisalidi.
- È l'alba
e il mondo respira.
-
-
- Lumie
di Sicilia
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- Filomena girava
e rigirava la busta arrivata con la posta del
mattino, senza decidersi ad aprirla. Era di sua
nuora, l'aveva capito dalla scrittura sottile e
rotonda, come quella dei bambini e dal timbro sopra
il francobollo. Ma la scrittura era sbavata, come
se l'avesse bagnata la pioggia... La tenne per un
poco dentro la tasca del grembiule nero che usava
per raccogliere le verdure nell'orto, poi, buttando
indietro il capo con gesto deciso e una tacita
preghiera a Santa Rosalia, la aprì. Sul
foglio, macchiato come la busta, le parole erano
alquanto confuse, alcune corrette con uno
scarabocchio nervoso, altre
semicancellate.
- 'Cara mamma
Filomena,
- scrivo di
nascosto a Vincenzo: se vi sentite con lui, vi
prego, non ditegli di questa mia. Sembra passata
una vita, che ci siamo salutati, il primo di
settembre, sulla soglia di casa vostra, con i
templi d'Agrigento che le facevano da cartolina
dietro. I bagagli che occupavano metà del
sedile dietro, in macchina, la coperta piegata,
vicino, per fare il lettino a Sara che, tra un orso
di peluche e un pacchetto di biscotti, si potesse
accucciare, durante il viaggio di ritorno. Il
paniere con i limoni, davanti ai miei piedi,
davanti, mandava il profumo che, per un mese, ho
sentito andando a letto, la sera. Voi lo sapete,
quanto siamo stati felici, tra le lenzuola di tela
spessa che ne sapevano! che, più cercavamo
di far piano, per non svegliare voi e Don
Mimì, nella stanza accanto, o Sara, nel
lettino di tela al fondo del letto, tra l'armadio e
il canterano, più ci saliva un respiro
grosso, mentre ci sentivamo il profumo dei limoni e
del mare, sulla pelle...
- Due giorni, per
tornare a Torino, quasi senza parlare, con la gola
chiusa, dalla nostalgia, dall'emozione dei ricordi
e dall'ansia di quel che ci aspettava: le bollette
da pagare, l'incertezza del futuro. Non ne abbiamo
mai parlato con voi, quest'estate, sembrava di
fargli perdere la faccia, a quel vostro figlio!
Già non vi ha mai detto quanti sacrifici ha
dovuto fare per campare, quando è venuto a
cercare lavoro qua e io che so quanto è
orgoglioso, ho pensato che, non era il caso di
tornare indietro su cose tristi di allora, quando
avevamo tanta paura di quelle di oggi. Quando ci
siamo conosciuti, questo lo sapete, ancora lavoravo
nella fabbrica di telerie e sembrava che dovesse
andare tutto per il meglio. A ventitré anni,
io ero già responsabile di reparto, mentre
lui, appena arrivato, pieno di forza come sapete,
ci ha messo un poco di tempo, per trovare lavoro.
Ma ce l'ha fatta e ci siamo sposati: il mio lavoro
ci dava da vivere, intanto che lui era in prova.
Poi, lui è stato assunto, ma la fabbrica
dov'ero io ha chiuso, proprio quando mi sono
accorta che ero incinta... Pazienza, ha detto
Vincenzo: avrai più tempo per noi.
Perché Sara l'abbiamo voluta, e avete visto,
come si illuminano gli occhi a vostro figlio,
quando la guarda! ma non pensavamo che la
picciliddra, nata a Torino, soffre il freddo
più di suo padre siciliano e ha spesso
bisogno di cure che costano. Mamma Filomena! Che ci
succede adesso a tutti noi, con quest'aria di
guerra che si respira dappertutto? Qui non
c'è il profumo dei limoni e il
rotolìo del mare a dare speranza. Solo
paura: volevamo vivere tranquilli e lavorare, per
crescere nostra figlia, anche se qui la nebbia, il
freddo e la neve tirano l'inverno per almeno nove
mesi l'anno. Ma c'era il lavoro sicuro. Adesso, la
fabbrica dove lavora vostro figlio ha chiuso; io
vado a servizio, non mi importa se faccio fatica e
alla sera sono così stanca da non riuscire
neanche a prendere in braccio mia figlia per
metterla a dormire... ma gli occhi di Vincenzo!
Quegli occhi neri luccicanti che quando rideva, con
i denti bianchi nel viso scuro lo facevano
assomigliare a un torero... Non li alza mai dal
piatto, come si vergognasse di quel che non
c'è dentro! Venite a trovarci, voi e Don
Mimì, chissà che quegli occhi tornino
a ridere! Vi prego, con tutti i miei sentimenti.
Vostra Annuccia'
- Filomena
sospirò, alzò una mano callosa a
ravviarsi una ciocca sfuggita alla treccia
arrotolata sulla nuca e si dispose a preparare il
pranzo per Don Mimì, rigirando nella mente
le parole che avrebbe dovuto suggerirgli. Tre
giorni dopo, rincasando dal lavoro, Annuccia
trovò il telegramma da Licata: "Figli
ecché ci voleva guerra per farvi tornare
casa stop segue vaglia traghetto stop Don
Mimì et limoni aspettanovi qui stop".
D'istinto, Annuccia alzò quel rettangolo di
carta ad asciugare le lacrime di consolazione che
le sgorgarono dagli occhi... E all'improvviso le
parve di sentire un sottile, ma penetrante, profumo
di limoni spandersi nell'aria.
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