LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA

Poeti contemporanei affermati, emergenti ed esordienti
Elena Dragone Pasianot
Laureata in architettura, ha insegnato disegno tecnico e artistico, incisione e grafica negli istituti tecnici e professionali di Torino dal 1974 al 1994. Nel corso di questi anni ha partecipato a concorsi di pittura e di poesia che hanno fatto conoscere le sue opere in Italia e all'estero e ha prestato la sua consulenza di architetto alla stesura e illustrazione di sei testi di educazione tecnica per le scuole medie, editi la Lattes e di alcuni giornali locali. Nel dicembre 2000, nell'ambito delle celebrazioni del Giubileo, dipinge, su commissione della Comunità di San Paolo di Torino, una grande tela raffigurante La Conversione di San Paolo. Lasciato l'insegnamento, lavora come grafica, pittrice, stilista e arredatrice, realizzando pannelli, vetrate e trompe-l'oeil di grande respiro descrittivo. Tecnica che trova risvolto letterario nei romanzi, dove il racconto di saghe familiari sono pretesto al tratteggiare atmosfere d'ambiente e situazioni d'epoca. Scrive racconti e poesie, oltre a favole per bambini, illustrate da lei stessa, che ottengono targhe e apprezzamenti, in numerosi e importanti concorsi letterari nazionali.

Estate in città
 
Sornione, assonnato, questo caldo invadente.
Guardo l'aria che trema sull'asfalto infuocato.
Non muovo più un passo, incollata sul suolo.
Immobile, ascolto il messaggio che sale:
le cose son vive, più stanche di me.
Mi basta un sospiro e son sotto le fronde,
a guardare d'attorno colori decisi,
profumi di mare che scendono in gola.
Mi fanno sognare, di quando, bambina,
intrecciavo ghirlande di foglie puntute e fiori odorosi.
Del mondo regina son stata così...
Continuo a vagare, in una terra lontana.
Là in fondo alla strada c'è un'ombra d'argento...
cavalli al galoppo e spade sguainate
scintillano al sole,
una palma si piega, la sfinge sorride.
Poi il sogno si ferma e l'aria ristagna:
il rombo d'un filobus,
la mia fata Morgana.

Nel bosco, un mattino
 
La neve, con lampi rosati
Si sfalda e si chiude
intorno alle gambe.
Si sfarina di malinconia
ad ogni tuo passo,
restìa a lasciarti andare.
Sterpi pungenti
Ti stringon le braccia,
offrendosi in dono, con bacche brunite dal gelo.
Ragnatele di ghiaccio tessute sui rami
Allargano al cielo ventagli d'azzurre crisalidi.
È l'alba e il mondo respira.
 

 Lumie di Sicilia
 
Filomena girava e rigirava la busta arrivata con la posta del mattino, senza decidersi ad aprirla. Era di sua nuora, l'aveva capito dalla scrittura sottile e rotonda, come quella dei bambini e dal timbro sopra il francobollo. Ma la scrittura era sbavata, come se l'avesse bagnata la pioggia... La tenne per un poco dentro la tasca del grembiule nero che usava per raccogliere le verdure nell'orto, poi, buttando indietro il capo con gesto deciso e una tacita preghiera a Santa Rosalia, la aprì. Sul foglio, macchiato come la busta, le parole erano alquanto confuse, alcune corrette con uno scarabocchio nervoso, altre semicancellate.
'Cara mamma Filomena,
scrivo di nascosto a Vincenzo: se vi sentite con lui, vi prego, non ditegli di questa mia. Sembra passata una vita, che ci siamo salutati, il primo di settembre, sulla soglia di casa vostra, con i templi d'Agrigento che le facevano da cartolina dietro. I bagagli che occupavano metà del sedile dietro, in macchina, la coperta piegata, vicino, per fare il lettino a Sara che, tra un orso di peluche e un pacchetto di biscotti, si potesse accucciare, durante il viaggio di ritorno. Il paniere con i limoni, davanti ai miei piedi, davanti, mandava il profumo che, per un mese, ho sentito andando a letto, la sera. Voi lo sapete, quanto siamo stati felici, tra le lenzuola di tela spessa che ne sapevano! che, più cercavamo di far piano, per non svegliare voi e Don Mimì, nella stanza accanto, o Sara, nel lettino di tela al fondo del letto, tra l'armadio e il canterano, più ci saliva un respiro grosso, mentre ci sentivamo il profumo dei limoni e del mare, sulla pelle...
Due giorni, per tornare a Torino, quasi senza parlare, con la gola chiusa, dalla nostalgia, dall'emozione dei ricordi e dall'ansia di quel che ci aspettava: le bollette da pagare, l'incertezza del futuro. Non ne abbiamo mai parlato con voi, quest'estate, sembrava di fargli perdere la faccia, a quel vostro figlio! Già non vi ha mai detto quanti sacrifici ha dovuto fare per campare, quando è venuto a cercare lavoro qua e io che so quanto è orgoglioso, ho pensato che, non era il caso di tornare indietro su cose tristi di allora, quando avevamo tanta paura di quelle di oggi. Quando ci siamo conosciuti, questo lo sapete, ancora lavoravo nella fabbrica di telerie e sembrava che dovesse andare tutto per il meglio. A ventitré anni, io ero già responsabile di reparto, mentre lui, appena arrivato, pieno di forza come sapete, ci ha messo un poco di tempo, per trovare lavoro. Ma ce l'ha fatta e ci siamo sposati: il mio lavoro ci dava da vivere, intanto che lui era in prova. Poi, lui è stato assunto, ma la fabbrica dov'ero io ha chiuso, proprio quando mi sono accorta che ero incinta... Pazienza, ha detto Vincenzo: avrai più tempo per noi. Perché Sara l'abbiamo voluta, e avete visto, come si illuminano gli occhi a vostro figlio, quando la guarda! ma non pensavamo che la picciliddra, nata a Torino, soffre il freddo più di suo padre siciliano e ha spesso bisogno di cure che costano. Mamma Filomena! Che ci succede adesso a tutti noi, con quest'aria di guerra che si respira dappertutto? Qui non c'è il profumo dei limoni e il rotolìo del mare a dare speranza. Solo paura: volevamo vivere tranquilli e lavorare, per crescere nostra figlia, anche se qui la nebbia, il freddo e la neve tirano l'inverno per almeno nove mesi l'anno. Ma c'era il lavoro sicuro. Adesso, la fabbrica dove lavora vostro figlio ha chiuso; io vado a servizio, non mi importa se faccio fatica e alla sera sono così stanca da non riuscire neanche a prendere in braccio mia figlia per metterla a dormire... ma gli occhi di Vincenzo! Quegli occhi neri luccicanti che quando rideva, con i denti bianchi nel viso scuro lo facevano assomigliare a un torero... Non li alza mai dal piatto, come si vergognasse di quel che non c'è dentro! Venite a trovarci, voi e Don Mimì, chissà che quegli occhi tornino a ridere! Vi prego, con tutti i miei sentimenti. Vostra Annuccia'
Filomena sospirò, alzò una mano callosa a ravviarsi una ciocca sfuggita alla treccia arrotolata sulla nuca e si dispose a preparare il pranzo per Don Mimì, rigirando nella mente le parole che avrebbe dovuto suggerirgli. Tre giorni dopo, rincasando dal lavoro, Annuccia trovò il telegramma da Licata: "Figli ecché ci voleva guerra per farvi tornare casa stop segue vaglia traghetto stop Don Mimì et limoni aspettanovi qui stop". D'istinto, Annuccia alzò quel rettangolo di carta ad asciugare le lacrime di consolazione che le sgorgarono dagli occhi... E all'improvviso le parve di sentire un sottile, ma penetrante, profumo di limoni spandersi nell'aria.

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©2003 Il club degli autori, Elena Dragone Pasianot
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Ins. 06-05-2003