- A me
venisti
-
- A me
venisti
- silente
come un sogno
- avvolto
dalla luce
- della
luna.
- Né
immagine, né voce
- avevi
nell'istante
- dell'incontro,
- ugualmente
avvertii
- la tua
presenza.
- Sospesa a
quel filo,
- rilucente
di speranza,
- alzai lo
sguardo
- in cerca
del qualcosa
- a cui
anelavo.
- Capii,
nell'attimo sublime,
- l'importanza
- di
quell'immobile momento.
- Fidando
nel destino
- mi resi
vulnerabile
- offrendoti
per sempre
- la mia
anima.
-
- Notte
invernale
-
- Limpida
notte invernale,
- simulacro
per venti scabri,
- che
graffianti s'insinuano
- fra cime
puntute
- di fieri
cipressi,
- ammanti,
con gelida carezza,
- l'oscuro
mistero
- che
trasfigura sembianze fraterne
- di luoghi
familiari.
- Evidenzi,
nell'animato silenzio,
- l'ululato
struggente,
- volto alla
luna,
- d'un lupo
solitario,
- ombra
fedele, d'antiche credenze
- sussurrate
da voci irreali.
- Notte
fonda d'abissi inesplorati,
- smerigli
dei monti
- le guglie
fiammeggianti
- di moniti
senza tempo,
- mai giunti
ad orecchie mortali.
- Austera ti
stendi,
- consacrata
sacerdotessa,
- su altari
pagani
- ed osservi
paziente
- le lente
ore passare
- sino allo
spuntare del giorno.
-
- Orrore
-
- Orrore,
- infinito
orrore
- in quegli
occhi!
- Occhi
persi nel vuoto
- d'un
insensato vivere.
- L'ultimo
limite d'aberrazione
- hanno
incontrato
- in quel
mattino.
- E in
quegli occhi,
- anime
smarrite,
- alla
mercè di vili
- dall'odio,
dal rancore manovrati,
- alla
vendetta, alla sopraffazione
dediti.
- Quegli
occhi angosciati,
- increduli!
- Occhi
lontani,
- di bimbi
sfruttati,
- mercificati,
- annientati
- con
viscido inganno,
- nell'innocenza
dell'età più bella
- calpestati.
- Ma
ciò alla filosofia
- del tutto
o niente non cale,
- voltar
pagina,
- come
sempre,
- è
d'uopo.
- L'orrore
di quegli occhi
- dimenticare.
-
- Incenso
-
- D'incenso
profuma l'aria
- densa di
preghiere inascoltate.
- Un'umanità
in attesa
- d'un tempo
migliore
- affolla il
vivere insensibile
- al grido
di pace
- che
graffia la coscienza del mondo.
- Arabeschi
di sangue
- solcano
sguardi
- che hanno
perso ogni innocenza,
- stanchi di
morti adagiati
- in fosse
anonime
- scavate
nella nuda terra,
- sì
martoriata da profonde ferite,
- bocche
spalancate in squassanti
gorgoglii
- di
bruciante impotenza.
- E negli
occhi atterriti
- di quella
madre piegata,
- costretta
a squarciar,
- con ruvida
lama,
- la gola
del figlio "traditore",
- più
niente,
- solo
l'abissale vuoto del nulla
- più
sordido, più vile.
-
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