- Cioccolata con
panna
-
-
- "Una cioccolata
con panna, grazie!"
- "Due."
-
- Ci ritroviamo a
parlare sempre quando ne avremmo meno
voglia.
- Ci ritroviamo a
parlare sempre nei bar e, quasi per una legge di
natura, sempre nei bar più squallidi, di
quelli con le pareti verdine, i liquori mignon
sulle casse e il solito cliente catarroso attaccato
ad una macchinetta mangiasoldi.
- Ci ritroviamo a
parlare proprio quando desidereremmo essere
altrove, impegnati in altre mille attività
più noiose, pur di non essere costretti a
rivelare qualcosa di noi.
-
- "Le vostre
cioccolate!"
-
- E il gesto
automatico di strappare la bustina di zucchero,
senza pensare di assaggiare prima, come se invece
nella vita reale mettessimo sempre un piede davanti
allaltro, invece di buttarci sempre a
capofitto nelle situazioni, come sempre e comunque
faremo, nonostante le cantonate che dovrebbero
servirci. "Ah, quelle vedrai che ti aiuteranno a
crescere". E invece, eccoci ancora qui, a vivere
situazioni che in fondo abbiamo già
vissuto.
-
- "Scusate, le
cioccolate sono già zuccherate. Vi consiglio
di assaggiarle prima o saranno
imbevibili".
-
- E mi chiedo cosa
serva allora quella bustina che ho già
strappato. Cosa serva essere qui seduta di fronte a
lui, che so già che non dirà le cose
che vorrei sentire.
-
- Un sms per
spiegarsi, una peugeot 106 che aspetta paziente
sotto il mio palazzo. Ore 12:30, perché chi
vuole parlare non ha quasi mai fame. Poi, appena
udibile, il rombo di motore di una peugeot 106 che
riparte. E al terzo piano io, ad aspettare con le
scarpe indosso, in attesa di quella macchina che
invece è già ripartita.
-
- Io ti sto
aspettando, comunque. Quello ad essere ripartito
sei tu, senza uno squillo, senza un suono ad un
citofono, neppure un banale suono di clacson. Sei
ripartito, lasciandomi ad aspettare, con le scarpe
indosso e le gambe impazienti pronte a scendere a
rotta di collo giù per le scale. Sei
ripartito, per un motivo che non dirai
mai.
-
- E ora siamo qui.
Un appuntamento di ripiego alle 18. Due cioccolate
calde, con la panna quasi sciolta. Non sei bello,
non hai lo sguardo che brilla, solo due occhi scuri
che non sanno guardare oltre le cose più
ovvie. Non vesti con gusto, non sei brillante. E io
dovrei stare qui, seduta, e dovrei aver voglia di
parlare, perché lo hai deciso tu,
perché vuoi spiegare cose che mi rifiuto di
capire. Cose che non voglio sentire. Di fronte a
me, tu. Tu mi guardi di sbieco e sorridi. Sorridi
nervoso, perché sai che mi basta uno sguardo
e ti ho già letto dentro. E la cosa non ti
piace. Non piace a nessuno nascondersi sotto un
lenzuolo trasparente. Chiudere i propri segreti a
chiave in una stanza e poi scoprire che qualcuno vi
ha frugato dentro. Mi guardi e forse ti chiedi
quale pagina del tuo io sto leggendo adesso. Non
sai che ti basterebbe girarti da unaltra
parte, con una scusa uscire fuori e tornare a casa,
nasconderti. Ma resti lì, ti attira capire
come ci riesco. Chiederti se bluffo o se tiro a
indovinare e poi ci prendo sempre.
- Basta che tu
esca. Ma non lo fai. Fermo immobile sulla tua sedia
di plastica, una tazza di cioccolata tra le mani, a
ingannare gli spazi tra una pausa e laltra.
Perché dovrei essere io a parlare? So
già quello che vorrei dire e so che non ti
piacerebbe.
- Stavolta resto
io immobile, ma sui miei pensieri, pensieri che di
certo non apprezzeresti se sapessi indovinare. Io
non ti sento. Ti sono amica, ma non ti sento. E la
cosa non mi piace. Ti guardo e non sono capace di
leggerti dentro, come tu pensi che io stia facendo.
Ho intravisto qualcosa di grande, dentro, ma tu ti
ostini a tenere tutto sotto chiave. E sono
arrabbiata con te, perché non mi dirai mai
dove la nascondi. Non un solo aiuto da te. Sono
arrabbiata perché ti fai bastare persone che
ti guarderanno in volto e si accontenteranno di
credere che tu sia così come loro ti vedono.
Nessuno mai ha provato ad andare oltre il primo
strato di pelle, ma ti va bene così e non lo
capisco. Ci si nasconde anche per capire chi
è disposto a trovarti. E tu non vuoi questo?
Ti fa ridere limbarazzo di sapere che ci sto
provando e forse ci riuscirò e ti fa ridere
sapere che forse mi arrenderò
allevidenza, che tu non vuoi che io guardi
dentro di te. Appropriazione indebita, saresti
capace di dire.
-
- E ora le
cioccolate sono ancora mezze vuote. Dà
sicurezza sapere che ci sarà ancora qualcosa
da bere quando la tensione si farà alta e
ancora una volta nessuno dei due saprà cosa
dire.
-
- Mi arrendo io
per prima. Un sorso, un getto ancora tiepido nella
pancia, scaldare le emozioni fredde che viaggiano
dentro, mentre ascolto parole in cui non
credo.
-
- Guarda. Un
giallo piccolo di Labrador ciccione scodinzola
felice, precipitoso, verso una donna che non
conosce al tavolino di fronte, istinto di cucciolo
giocoso proteso verso qualcuno che lo
accarezzerà e vezzeggerà, giusto la
voglia di sentire mani diverse da quelle
allestremità del suo guinzaglio che lo
strapazzino di amore. Lo guardo rapita. E
come un bimbo, indifeso e ancora puro. Ma gli
animali rimangono sempre puri, anche una volta
cresciuti. Tu no, tu non guardi
neppure.
-
- Non ti piacciono
gli animali. Un altro punto fermo alla mia
incapacità di capire chi sei. Impreparazione
totale alla comprensione. Mi allontana da
te.
-
- Sempre
più buio fuori. Sempre più scuri i
tuoi occhi. Non sento quasi quello che dici. Non
accetto sentirti così lontano.
-
- Eppure la prima
volta che ti ho incontrato in quellufficio,
mentre scendevo di corsa le scale, mi hai salutato
con quello slancio di chi è vivacemente
proteso verso la vita. E dopo uno spazio di qualche
settimana in cui sono rimasta brevemente sospesa su
quel filo del mi cercherà oppure
no è stato piacevole conversare con
te, placidamente, senza alcuna fretta,
perché tu non salti mai le tappe e ti
accompagna sempre un velo di paura, in ogni gesto o
breve frase si avverte sempre la tensione,
quellangosciosa domanda che ti poni, se
questa volta rivelare qualcosa di te oppure no. Ti
concedi poco, senza slanci, senza emozioni vissute
con rapidità. Ti piace parlare, ma a frasi
brevi o lasciate a metà.
-
- E tu, un altro
sorso, un altro sguardo, un altro rapido silenzio.
Un sorso, un altro ancora, adesso la voglia forse
di finirla con questa stupida forzatura di quella
che dovrebbe essere una conversazione tra noi. Tu
cosa pensi? Ti dà fastidio la mia invadenza,
la caparbietà di sfondare la tua scatola del
pensiero? Vedere cosa cè
dentro.
-
- Tu non ti fidi
di me. Anche se dici di no. Tu non ti sai fidare,
non ti va, non ti piace affidarti anche solo per
qualche ora ad un amico. Non mi lasci far scivolare
la mano su quel vetro appannato, per guardare
dentro, come in una vecchia casa abbandonata
lasciata a se stessa, ma ancora piena degli oggetti
di chi lha abitata.
- E ora della
nostra amicizia rimangono solo spazi vuoti.
Rimangono le cose di cui si fa a meno, chilometri
macinati sulle strade, serate sprecate nelle
pizzerie vocianti di gente e frastuoni, a
rimpiangere le intimità di conversazioni
vissute in auto, tra paesaggi quasi liquidi
intravisti tra unocchiata timida e uno
sguardo distratto al finestrino.
- Mi piace
guardare le luci della strada, le ombre proiettate
dai lampioni sul cemento. Mi affascinano le
finestre senza luce. Chissà se un volto si
nasconde, un volto che ti guarda. Ci penso e
tremo.
-
- E tu, pensi mai
alle cose che non potrai mai sapere? Alle vite che
non sarai mai in grado di sfiorare? Mi guardi, ma
hai già lo sguardo perso. Una rapida
occhiata alla tua tazza. Col cucchiaino recuperi
una goccia di cioccolata sfuggita alle tue labbra.
E guardi fuori. Ormai lontano, ormai fuori dal
discorso inesistente. Non servono poi tante parole
questa sera.
-
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