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UNA
PROMESSA
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- Era lì, davanti a me, con
quegli occhi liquidi e malinconici, con l'aria di
chiedermi: «Sei proprio tu?», mentre il mio
cuore aveva preso a battere a mille e le mie mani
tremavano.
- Proprio quando avevo perso ogni
speranza, il cane era arrivato,trotterellando verso di
me, e si era accucciato al bordo del sentiero di ghiaia.
Ma il suo padrone, dov'era? Da qualche parte in mezzo
agli alberi, tra i cespugli, probabilmente a osservarmi
studiarmi, dopo tutto questo tempo. Dieci anni.Speravo di
non deluderlo troppo: avevo passato gli ultimi due mesi a
prendermi cura in modo maniacale del mio corpo e del mio
aspetto, per lui.
- Gerry. A quel tempo sembrava che
tutti si chiamassero Gerry. Era il diminutivo più
usato per Gerardo, Geremia, persino Virgilio. Lui si
chiamava Ruggero e se ne vergognava un poco: gli pareva
un nome decadente e snob. Lui, che pure vestiva jeans
logori, camicie di flanella e magliette scolorite, era in
realtà uno snob all'incontrario, uno che doveva in
ogni modo e in ogni istante mettere in mostra il suo
essere
- fuori dagli schemi. In mezzo a
branchi di eskimo puzzolenti e trucidi, di capelli a
riccetti impegolati, lui portava con ostentazione un
reazionario montgomery di loden verde; i suoi capelli
lunghi, neri e lisci, erano sempre lucenti e profumati;
la barba, rigorosamente alla nazarena, curata e morbida
(una volta sola l'ho potuta accarezzare...).
- E io lo amavo, con una
confusione di sentimenti da adolescente mal-cresciuta,
col corpo che mi doleva e tremava ogni volta che gli ero
vicina e il cuore che mi smoriva dentro se lui mi faceva
uno di quei suoi morbidi gesti di saluto o un
sorriso.
- Lo seguivo per i corridoi
dell'università, saltando le lezioni; andavo alle
assemblee solo per vederlo e sentirlo parlare. E quando,
nei momenti cruciali delle decisioni solenni, si alzava,
sempre al centro del gruppo, ed esordiva con il suo
mitico «Badate, compagni...»; e poi parlava di
responsabilità e libertà, di scelte, di
vita, di lotta, io mi perdevo nella musica ora suadente
ora dissonante delle sue parole,
- nell'incantesimo del suo viso
tanto bello e irraggiungibile e del suo corpo che seguiva
l'onda dei pensieri.A lui, di me, non importava niente.
Quando scoprii che viveva con una donna di due anni
più vecchia e una bambina che, forse, era sua
figlia, il mondo mi rovinò addosso a pezzi e a
brani e per molto tempo rimasi sepolta sotto le macerie
senza riuscire quasi a respirare, senza più voglia
di vivere. Ho ricominciato il giorno che ho conosciuto il
suo cane. L'aveva appena trovato, affamato e solo, e lo
teneva in casa anche se era proibito dal regolamento del
condominio. Non so bene perchè quel bastardino
scorbutico si fosse affezionato a me e io a lui, forse
perchè eravamo tutti e due insignificanti e
innamorati. Ma ogni volta che arrivavano, l'uno
scodinzolante dietro l'altro, poco dopo me lo ritrovavo
in braccio ( il cane, non il padrone, purtroppo...) a
esigere coccole e grattatine.
- Gerry, in quei momenti, mi
guardava con blanda simpatia; ma se solo mi
- rivolgeva la parola arrossivo,
diventavo goffa e mi comportavo da
- perfetta idiota.
- Una sola volta, allora, si
mostrò interessato a me. Fu durante una
occupazione quando, inviperita per non poter dare un
esame che mi era costato mesi di studio, andai in sala
riunioni a cercare qualcuno su cui sfogare la mia rabbia.
Il cane era lì, doveva esserci anche Gerry, ma
nella confusione non riuscivo a vederlo. Andai ai bagni,
dove, oltre alle scritte oscene rivoluzionarie sui muri e
sporcizia di ogni genere sul pavimento, le tazze erano
lorde e intasate di merda. Scoppiai a piangere come una
deficiente e poco dopo sentii il cane strusciarsi alle
mie gambe e la voce di Gerry che lo chiamava. Due mani mi
strapparono dal muro e Gerry stava già urlando
intorno che i cessi andavano ripuliti
«im-me-dia-ta-men-te» e che tutti quanti non
erano che luridi
- sacchi di escrementi.
Andò lui stesso a versare secchiate d'acqua,
mentre io scappavo via.
- Dopo, per un paio di settimane,
se lo vedevo da lontano cambiavo strada. Venivo dalla
provincia, io, ero stupida e imbranata, non sapevo niente
del mondo, avevo la testa piena di greco e poe-sie,
filosofia e favole.
- Quello che mi stava succedendo
intorno era troppo brutto, violento,sporco e non sapevo
accettarlo. Solo Gerry... per me era il centro
dell'universo.
- Ma lui, già fuoricorso di
un anno, a un tratto scomparve dalla circolazione e,
qualche mese dopo, si sparse la notizia che, a
luglio,
- avrebbe discusso la sua tesi di
filosofia su Mircea Eliade. Quel giorno c'erano tutti.
Anche il cane
- Ma non la sua donna che,
dicevano, Gerry aveva lasciato solo poche settimane
prima. Io gongolavo. Dopo che, con uno sbalorditivo 106,
fu dichiarato dottore, tutti gli si fecero intorno per
complimentarsi. Vidi che le ragazze lo baciavano e lo
feci anch'io. Non so se fosse la gioia a confonderlo o
chissà che altro, ma quando gli buttai le braccia
al collo lui mi strinse così forte che in quel
troppo breve istante mi
- sembrò di vivere tutta
una vita. Finimmo a festeggiare in un bar e, davanti a
bicchieri multicolori levati verso di lui, disse con un
solenne ironico sor-riso:-Questo è anche il mio
saluto, gente. Domani parto. -
- Per poco il bicchiere non mi
cadde di mano. Partiva. Scappava per non dover fare il
servizio militare. Lo aveva detto spesso, ma nessuno lo
aveva preso sul serio. E adesso ci diceva addio. Dieci
anni. Non sarebbe potuto tornare prima. Più tardi,
dopo una serie infinita di saluti, tutti se ne andarono.
Io ero rimasta seduta in un angolo, perchè il cane
dormiva sulle mie ginocchia. Lui mi venne vicino, mi
prese per mano e lo seguii. non parlammo quasi, fino alla
panchina del parco, la stessa su cui mi trovavo dieci
anni dopo, di fronte al cane.
- -Mi dispiace che vai via. -
riuscii a dirgli, con il coraggio della
disperazione.
- -Lo so. -
- Mi guardava con i suoi occhi
grigioverde, che ogni volta mi facevano sentire una
farfalla infilzata su uno spillo, che sbatte le ali negli
ultimi guizzi d'agonia. In quel momento però
avevano dentro una docezza e una tristezza sconosciute.
Li avevo visti irati e ridenti, pungenti e sprezzanti,
mai così: smarriti, indifesi.
- Lo strinsi fra le braccia e lui
piegò la testa sulla mia spalla, con
un
- sospiro.
- -Dispiace anche a me.
Soprattutto perchè mi perdo l'occasione
di
- conoscerti meglio. -
disse.
- Ero sbalordita, incredula. Osai
sfiorargli i capelli, insinuare le dita
- tra i fili setosi, accarezzare
la barba e la pelle liscia del suo viso,
- poi lui mi
baciò.
- Lo so, Gerry era solo, triste
per l'imminente partenza, un po' spaventato dal futuro,
deluso epr gli sforzi vani di anni di lotta. Andavo bene
anch'io. Non ero bella, non avevo stile né
fascino, ma ero lì, a sua disposizione, ed ero
follemente innamorata di lui.
- Mi baciò e mi strinse su
quella panchina, passarono in fretta minuti e ore e lui
mi parlò di cos'avrebbe fatto a Londra, di certi
amici che gli avrebbero dato una mano.Poi disse che
avrebbe portato il cane in campagna dai suoi parenti e fu
questo, alla fine, che mi fece piangere.
- Lui mi confortò con altri
baci e disse:
- -Non vado via per sempre.
Tornerò. Ci rivedremo, voglio ritrovarti.
Tu
- sei così... affidabile.
Avrò bisogno dell'aiuto di qualcuno,
per
- ricominciare.
- Gli venne così l'idea
dell'appuntamento. Lo stesso giorno, lo stesso posto,
dieci anni dopo.
- -Entro le otto di sera. Io ci
sarò. Mantengo sempre le promesse, lo sai.-
disse.
- E io non ebbi alcun dubbio.
Promisi.
- Per dieci anni ho vissuto
aspettandolo. Ho avuto un paio di storie, niente di
speciale. Perchè ero sola, perchè fanno
tutti così. Ma è a lui che ho sempre
pensato. Ero cresciuta, ero diventata più
attraente e sicura di me, quanto può esserlo una
che, da ragazza, nessuno guardava più di una
volta. La sua promessa mi aveva sostenuta, spronata.
Avevo fatto di me stessa quanto di meglio avrei potuto,
come voleva lui, cometante volte aveva detto.
- Dieci anni erano passati e non
erano stati inutili. Ma avevo tanto temuto che sarebbe
stata inutile quell'attesa e temevo soprattutto di
ritrovarlo cambiato, diverso. Il tempo e la vita potevano
avere spento la meravigliosa luce che gli splendeva negli
occhi, offuscato la sua volontà e i sogni,
bruciato le sue speranze. Lo avrei amato ancora,
in
- quel caso?
- Il cane si teneva a distanza,
guardingo. Dopo tanto tempo forse non era
- sicuro che fossi davvero io. Ero
diversa. Usavo"Rive Gauche" non sapevo più di
sudore, di bar e di treno.
- Mi guardavo intorno, cercando la
snella alta figura di Gerry. Portava ancora i capelli
così lunghi, e la barba? Volevo correre tra i
cespugli, stanarlo, ma le gambe mi tremavano e lo stomaco
mi frullava dentro. Era così tardi ormai, quasi le
otto. Ancora pochi minuti.
- «Io mantengo sempre le
promesse»... I dubbi mi disfacevano e nel mio cuore
si stavano aprendo crepe e scheggiature.
- -Pippi! Qui, vieni!
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- Una vocetta stanca e una figura
un po' curva, in uno sbiadito abitino beige, arrivavano
da dietro i cespugli e il cane si mosse, raggiungendo con
una breve corsa la padrona. La taglia del cane era
più piccola, la coda era sottile, senza nessuna
macchia bianca sulla punta. E si chiamava
Pippi.
- Erano le otto di sera.
- Mi alzai senza sentire
più niente di me, né corpo né cuore
né luce. Dio, come si può essere tanto
stupidi?
Per leggere la
poesia inserita nell'antologia del Premio
Olympia
Montegrotto Terme 2003
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