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Ritorno a
casa
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- È una bellissima giornata. Il cielo di
un azzurro intenso si stende sopra la vallata che
ancora dorme silenziosa. Gli alberi sembrano stirarsi,
allungare i loro rami verso il sole, un po' pigri,
ancora mezzo addormentati e l'erba, bagnata dalla
rugiada, allunga i fili, si muove in un fremito unico,
invisibile.
- Le poche case della valle sonnecchiano. Dietro
qualche persiana cominciano ad accendersi le luci,
dietro altre è ancora tutto buio e silenzioso.
C'è un'aria particolare in giro. Camminando per
le stradine intorno alle case si respira un'aria di
festa, anche se la gente sta dormendo o appena
svegliandosi. Dietro l'angolo di una casa arriva
improvviso l'odore del pane fresco e facendo capolino
alla finestra si intravede la figura del grosso
fornaio, già abbondantemente sudato, ma
sorridente che inforna pagnotte e ne sforna altre,
dorate, profumate, avvenenti come non lo è la
più bella donna.
- Io amo passeggiare al mattino presto per queste
strade, amo sentire gli odori che emanano dalle case,
gustare i sapori delle cose semplici, ricordare di
quando bambino correvo fuori casa, presto al mattino
prima di andare a scuola, con quel soldo che mi dava
ogni tanto mia madre, e dal fornaio compravo la
"schiaccia" fresca, unta e salata come piaceva a me,
ancora calda e fragrante. Sento il sapore di quella
schiaccia, il profumo e rivedo nitidamente quel
ragazzino. E gli anni si cancellano
improvvisamente.
- Ero un ragazzo vivace, amavo tutto ciò
che mi circondava, gli alberi, i prati, gli animali,
la mia casa. Vivevo con mia madre. Eravamo rimasti
soli dopo che mio padre se ne era andato per
un'"avventura di mezza età", come la definiva
mia madre che da allora lo ha sempre aspettato fino al
giorno in cui è morta, serenamente accanto a
me, sorridendomi e raccomandandomi di amare quel padre
lontano che mi aveva donato la vita. Quale vita ? mi
chiedevo da ragazzo. Con che diritto mi aveva dato una
vita se poi se la riprendeva ogni giorno
costringendoci a vivere in ristrettezze, tra continue
preoccupazioni, con un futuro che di certo aveva
soltanto la fatica. Ma queste domande mi si
affacciavano alla mente la sera, quando ero molto
stanco perché avevo lavorato sodo tutto il
giorno nei campi, e solo per pochi attimi
perché il sonno prevaleva sui pensieri tristi e
mi addormentavo nel lettone accanto a mia madre. E al
mattino la giornata era più bella di quella
precedente e l'entusiasmo mi accompagnava sempre.
- Venne il giorno in cui mi sentii abbastanza
grande da capire che non potevo più dormire nel
lettone e, per non far soffrire mia madre, per non
umiliarla (perché non avevo mai avuto una
stanza mia), cominciai a sistemare la piccola stanza
di rimessaggio accanto alla cucina. Avrei preferito
mettere un letto in cucina e dormire lì,
sarebbe stato più facile, ma questo angosciava
mia madre che riteneva indecoroso dormire in cucina
per un giovanottone come me. Un giorno, al ritorno dai
campi, sgombrai quella piccola stanza, la pulii e poi
la dipinsi con i miei colori. Il soffitto di un
profondo azzurro per sentirmi in ogni attimo a
contatto col cielo ; le pareti di un verde tenue come
l'erba appena nata. Vi portai un letto, un armadio
raccattato dalla vicina e una vecchia poltrona
appartenuta a mia nonna. Avevo creato il mio regno.
Ora, alla sera, potevo chiudermi nella "mia " stanza e
fare ciò che volevo. Talvolta leggevo. Avevo
imparato a prendere in prestito i libri dalla piccola
biblioteca del paese vicino e la bibliotecaria, una
ragazza carina, mi indirizzava verso letture
appropriate e mi dava spiegazioni e consigli. E io
leggevo molto, quando non ero troppo stanco, o mi
sdraiavo sul letto sotto quel mio cielo azzurro e
sognavo ad occhi aperti. Sognavo di ricevere una
lettera da mio padre nella quale mi annunciava che
sarebbe tornato per portarci via, per portarci in un
paese lontano, in riva al mare, dove il sole splende
sempre e dove potevamo stare di nuovo tutti insieme.
Non c'erano spiegazioni sulla sua assenza in quella
lettera, né io le volevo. Mi bastava sapere che
sarebbe tornato a prenderci. E quando mi risvegliavo
dal sogno ad occhi aperti, l'amarezza invadeva il mio
cuore; in quei momenti la sentivo forte e aveva un
cattivo sapore; quel sapore sgradevole che mi è
poi rimasto da adulto e che sono riuscito a superare
con difficoltà.
- I giorni passavano e anche gli anni. Ero
diventato un uomo, sapevo che avrei dovuto prendere
una decisione. Lavorare nei campi mi gratificava, mi
faceva sentire vicino a quella terra che tanto amavo,
ma non poteva essere così tutta la vita. Non
avevo il coraggio di andarmene. Mia madre era vecchia
e troppo sola. Lei mi spingeva a trovare una compagna,
a lasciare il paese, a cercare lavoro in città.
Mi spinse addirittura a ricominciare a studiare, a
frequentare corsi serali che si tenevano al paese
vicino (quello della biblioteca) e, quando ebbi
superato l'esame di maturità, mi regalò
un orologio e un pacco di carta da lettere. "Vai
figliolo - mi disse - nella valigia riponi le tue
cose, l'orologio ti servirà per arrivare
puntuale ai tuoi appuntamenti importanti e la carta da
lettere per scrivermi ogni tanto, quando ne avrai
voglia". Quella notte, nel mio letto, piansi. Forse
per la prima volta, da quando ragazzo realizzai che
mio padre se ne era andato, piansi a lungo in
silenzio. Cosa facevo della mia vita ? Sentivo
chiaramente il bisogno di spazi nuovi, quel cielo
sopra di me cominciava a starmi stretto, a non
bastarmi più; sentivo il bisogno di una donna
accanto a me che dividesse il mio letto, i miei
pensieri, il mio cuore. Ma adoravo mia madre, i suoi
capelli bianchi, i suoi occhi stanchi, quel sorriso
dolce. Le sue mani ormai grinzose che per anni avevano
ricamato e cucito, nell'angolo della finestra di
cucina, alzando ogni tanto gli occhi per sbirciare se
mai qualcuno fosse apparso di là dalla porta.
Amavo i suoi silenzi, le parole che non diceva,
l'amore che regalava. Non sarei mai potuto andare via.
E lei capì e di nuovo mi venne incontro in
silenzio. Una mattina, sorridendo, mi disse che era
giunto il suo momento, che non dovevo piangere
perché lei così mi faceva il suo ultimo
regalo, il più bello: la libertà. Questo
avrei dovuto aggiungere nella valigia, all'orologio e
alla carta da lettera che mi raccomandò di
usare per scriverle lo stesso, per raccontarle le mie
esperienze e soprattutto per presentarle la mia
ragazza che avrei dovuto cercare presto, molto presto
per farla felice; lei l'avrebbe amata come una figlia.
Quel pomeriggio stesso se ne andò, col suo
sorriso dolce sulle labbra e io non riuscii a versare
una lacrima. Ero rimasto attonito, ma non c'era
sgomento in me, né disperazione. Sapevo che lo
aveva fatto per me e ciò che sentivo era solo
amore, tanto amore.
- E con questo bagaglio d'amore me ne andai da
quella casa, da quel paese. Girai molti posti con
quella valigia regalatami da mia madre, ma infine
trovai un buon lavoro, una casa, persino una donna.
Purtroppo, non era quella giusta per me. Non posso
dire che non fosse una brava ragazza, ma non era per
me. E mi sono ritrovato di nuovo solo. Nel lavoro ho
avuto successo e sono riuscito a "farmi una
posizione". Non ho problemi di denaro, ma sono solo. E
la solitudine mi ha riportato qui, al mio vecchio
paese, a risentire i profumi conosciuti, a ricercare
la mia casa, a camminare scalzo nell'erba bagnata di
rugiada.
- La vita ci riserva sempre delle sorprese e
talvolta sono molto belle.
- Dopo aver camminato senza meta per le strade
del mio paese ho bussato alla porta della mia vecchia
casa, con la sola intenzione di conoscere i suoi
abitanti. Mi ha aperto una ragazza, non più
giovanissima, ma ancora piacevole, dal buon profumo di
pulito, di semplicità. Penso di essere rimasto
a guardarla a bocca aperta perché lei, ridendo,
mi ha chiesto se avevo visto un fantasma. Le ho
risposto che quello che avevo visto non era un
fantasma ma una fata, la fata della mia vita. Non mi
sbagliavo; era lei e nessun'altra.
- Non me ne sono più andato. Sono tornato
ai campi, ho rimbiancato tutta la casa con i colori
che amiamo entrambi, l'abbiamo ampliata per avere una
stanza in più... il futuro può
riservarci altri miracoli. Io so che sono possibili
perché il cielo mi ha concesso il più
grande: l'amore, incondizionato, sincero, sereno,
prima di mia madre e ora della mia donna. L'amore
è sufficiente a se stesso, è la
più grande ricchezza cui possiamo
anelare.
- Maria Cristina Sermanni
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