- RICORDI
D'ESTATE
-
- Che bella sorpresa
ho trovato in soffita, insieme a scatoloni pieni fino
all'inverosimile di cianfrusaglie da buttare. Sono le
foto del casolare dei miei nonni, in un paesino
calabrese nei dintorni di Cosenza, dove fino a qualche
tempo fa trascorrevo le vacanze estive in compagnia
dei miei genitori, anche loro calabresi, ma
trasferitisi per lavoro a Milano, un anno dopo la mia
nascita. Mi mancano quei posti, ma ora il lavoro e la
vita frenetica che faccio qui mi assorbe
completamente; mi sento un po' in colpa, però,
per aver messo da parte le mie origini in questo modo,
cosa che non avrei mai creduto possibile da bambino,
quando contavo i giorni che mi separavano dall'arrivo
dell'estate, e quindi anche dal ritorno in Calabria.
-
- Lì avevo
tanti parenti ed amici che rivedevo con gioia, quasi
ogni anno. Solo una volta non tornai giù per
l'estate, e fu quando mio padre si ammalò; fu
un'estate tristissima, con mamma sempre a piangere in
cucina e papà che faceva finta di essere
allegro per tirarci su di morale, ma con scarsi
risultati. Io ero all'oscuro di tutto, questo almeno
credevano i miei, e questo feci credere loro per non
turbarli ulteriormente; e questa situazione fece si
che in casa non si parlasse quasi mai, per evitare di
affrontare l'argomento tabù, e così
lunghi silenzi imbarazzati avevano sostituito le
parole. Non seppi mai di preciso la malattia che mio
padre aveva avuto, ed in seguito non mi
interessò più, visto che fortunatamente
guarì: fu facile per me capirlo, perché
non vidi più mia madre piangere da sola in
cucina, e mio padre non doveva più fingere di
essere felice, perché lo era davvero.
-
- Quella fu l'unica
estate in cui non ritornai in Calabria, per il resto
le mie vacanze estive le trascorrevo sempre lì.
-
- Ricordo ancora
com'era bello fuggire per qualche mese dal grigio e
dal caos di una metropoli come Milano, e tuffarsi
corpo e mente in un posto dove tutto aveva un aspetto
più umano, dove i rapporti fra le persone erano
più importanti degli affari, e dove le
tradizioni conservavano il loro vero valore.
-
- Ogni anno al
momento di partire compravo tanti dolcetti e figurine
dei calciatori da portare a cuginetti e amici, che
apprezzavano sempre tanto. Partivamo tutta la famiglia
con l'auto che papà aveva acquistato usata, e
che si ostinava a definire un affare, anche se nel
tempo in cui quell'auto era stata nostra, era quasi
sempre dal meccanico, per "piccolezze, come succede ad
ogni auto", questa era la risposta imbarazzata di mio
padre quando mamma glielo faceva notare. Quando
arrivavamo al casolare da nonna, ad attenderci c'erano
tutti quanti: nonna e nonno, zio Alberto e zia Giulia,
con i figli Nicola e Paola, zio Mario e zia Teresa, e
le tre figlie Jessica, Nunzia e Sara, e tutti i vicini
di casa, amici dei miei genitori, anch'essi felici di
rivederci. Gli uomini erano quasi tutti in
pantaloncini corti e magliette a mezze maniche, mentre
le donne indossavano delle vesti svolazzanti tutte
colorate. Nicola, il mio cuginetto preferito, aveva
sempre il pallone in mano, ed io vedevo già da
lontano che fremeva per fare una partita. Sembrava
sempre una festa, dove noi eravamo gli ospiti d'onore.
Con gli occhi lucidi per via della gioia, salutavamo
tutti e li ringraziavamo per quella meravigliosa
accoglienza, capace di emozionarci ogni anno allo
stesso modo.
-
- La sera cenavamo
all'aperto, nel cortile davanti casa, alla luce dei
lampioni che mio padre aveva piazzato lì
insieme a mio nonno: eravamo in tanti fra parenti ed
amici, tutti insieme a ridere e a ricordare i vecchi
tempi. Gli anni successivi alla malattia di mio padre,
qualcuno, di tento in tanto gli chiedeva, in tono
serio e preoccupato, come andasse "quella cosa". Lui,
con sincera gioia, rispondeva con fare scherzoso:
"Penso proprio che non vi libererete di me molto
presto!". Allora tutti iniziavano a ridere
fragorosamente, quasi sollevati dalle parole di mio
padre, e nonna, con il viso commosso, iniziava, da
buona cristiana qual'era, a ringraziare una serie
infinita di santi, e se per mia sfortuna, mi trovavo
nelle sue vicinanze in quel momento, mi afferrava
stretto a sé, stringendomi in un fortissimo
abbraccio, anche se io sapevo, che era il figlio, mio
padre, il destinatario del suo affetto in quel
momento. Poverina, chissà quanto aveva
sofferto! Comunque la serata continuava in un clima di
gioia ed allegria sincera: era una festa!
-
- Poi, a fine serata
tutti a letto, e naturalmente io e mio cugino Nicola
dormivamo insieme, dividendoci un lettino singolo che
c'era in una delle tre camere per gli ospiti che
c'erano in quella casa. In camera con noi c'erano
anche mamma e papà, che invece dormivano nel
letto matrimoniale; sia loro che i genitori di Nicola,
sapevano che durante il mio soggiorno lì, era
impossibile che io e lui ci separassimo. Ed era bello
la notte, prima di addormentarsi, passare del tempo a
chiacchierare sottovoce per non disturbare i miei, ed
a sognare di diventare calciatori dell'Inter o
scienziati o esploratori, mentre pian piano gli occhi
si chiudevano e dolcemente il sonno ci sorprendeva,
conservando intatta la speranza del domani, bello e
affascinante agli occhi di due bambini.
-
- La mattina ci
svegliavamo verso le 8, ancora un po' intontiti, ma
subito pronti ad affrontare un'altra splendida
giornata. Nonna ci faceva trovare la tavola imbandita
con sopra tante delizie: c'erano due tazzone di latte
con dentro il miele, vanto di mio nonno, perché
fatto dalle sue api; c'erano i biscotti che nonna
aveva fatto con la ricetta appresa da sua nonna, le
marmellate di fragole o pesche, fette di pane caldo,
perché appena uscito dal forno. E poi i succhi
di frutta e altri tipi di dolci, sempre fatti da mia
nonna, perché lei amava cucinare, specialmente
per i nipoti. Ci alzavamo dal tavolo con lo stomaco
pieno, ma sapendo che la giornata avrebbe offerto
tante occasioni di consumare le calorie in eccesso.
-
- Con Nicola
raggiungevamo il nonno al fiume, dove stava lavorando
la terra. Lo trovavamo seduto su un masso ad ammirare
lo scorrere incessante delle acque, e sul suo volto si
poteva leggere una certa emozione, quasi come se fosse
stata la prima volta che vedeva il fiume. Quando poi
si accorgeva della nostra presenza, si alzava e ci
veniva incontro per accarezzarci sulla testa e
prenderci per mano, e iniziavamo un giro nel campo
coltivato, con lui che fungeva da cicerone, e ci
spiegava con amore e tanta pazienza pianta per pianta,
tutte le qualità che avevano e cosa bisognava
fare per lavorarle correttamente. Si vedeva che era
felice, che quello era il suo piccolo regno, e che non
lo avrebbe cambiato per tutto l'oro del mondo. Ed io
condividevo quella sua gioia silenziosa. Quella era
un'immagine destinata ad imprimersi indelebilmente
nella mia memoria.
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- Dopo pranzo era
nostra abitudine fare una bella "pennichella"
all'ombra degli alberi. Era un vero piacere stare
distesi a godersi quel freschetto, con le temperature
torride che c'erano in quel periodo. Confesso, un po'
malignamente, che il piacere aumentava quando pensavo
agli amici che erano rimasti a Milano, chiusi in
quella cappa afosa che diventa la città in
estate per via del caldo e dello smog.
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- Quando non riuscivo
a dormire mi dedicavo alla lettura di qualche libro,
in particolare romanzi d'avventure. Ricordo, durante
la lettura de "L'ISOLA DEL TESORO" di Stevenson,
donatomi da un'amica di mia madre, come la mia mente
si divertisse ad immaginarmi al posto del giovane Jim
Hawkins alle prese con pirati pericolosi e tesori da
ritrovare. Leggere era senza dubbio la mia più
grande passione, e i libri erano i regali da me
più graditi. Qualche volta le scrivevo io
stesso delle storie.Mi rinchiudevo da solo nella
cantina dei nonni, e al lume di una candela, e, con
l'odore del vino tutto intorno iniziavo a scrivere
storie avventurose, storie cavalieri coraggiosi,
pronti ad affrontare i terribili mostri che
minacciavano il regno o la bella di turno. Alla fine
delle mie storie il bene aveva la meglio sul male e
tutti vivevano felici e contenti: un finale ingenuo ma
per me, allora, era l'unico che vedevo.
-
- Nel mese di Luglio
ricordo che si svolgeva (e si svolge tutt'ora) la
festa dedicata al santo protettore del paese: per una
settimana all'anno il piccolo paesino si animava,
arrivavano le bancarelle, le giostre, si celebravano
messe e processioni in onore del santo, ed ogni sera
in piazza c'era uno spettacolo, tutto con lo scopo di
far divertire la gente che avevano l'occasione di
incontrarsi per le strade e stare un po' insieme. Io e
Nicola ci divertivamo tanto in quella settimana. Erano
due i posti dove passavamo le serate: il chiosco con i
dolci e la giostra. Con noi c'erano i nostri genitori
che ci tenevano d'occhio, anche se erano di continuo
accerchiati da qualche vecchio amico che non vedevano
da tanto. Proprio i miei genitori sono il ricordo
più bello che di quelle feste: una sera fu
chiamato ad esibirsi un gruppo musicale che cantava
vecchi successi di cantanti famosi. Mentre la band
stava eseguendo una bella e romantica canzone di
Claudio Baglioni, vedo mamma, che poco distante da me,
si volta verso mio padre e, guardandolo negli occhi le
ristringe forte al petto. Lui l'abbraccia con dolcezza
e la bacia delicatamente sulla fronte. Quella serata
la ricordo ancora come la prima volta in cui ho visto
l'amore.
-
- Di tanto in tanto
papà ci portava al mare. Ricordo che
impiegavamo circa un'ora per arrivare, e che,
ovviamente, Nicola era in macchina con noi. Durante il
tragitto eravamo impazienti, e nonostante le minacce
di mio padre di fare dietrofront se non la finivamo di
disturbare, noi continuavamo a chiedere "ci vuole
molto?" con una tale insistenza da risultare veramente
fastidiosi! Ma quando, finalmente arrivati,
papà spegneva il motore dell'auto, noi filavamo
di corsa dritti in acqua, in barba alle
raccomandazioni dei nostri genitori che ci dicevano di
aspettare. Giocavamo a schizzarci o con la palla,o
facevamo a gara a chi trovava sott'acqua la pietra
più bella. Ricordo zio Alberto, che con tanta
pazienza, si metteva lì ad insegnarmi a
nuotare, o per lo meno a non sprofondare, impresa
tutt'altro che semplice, data la mia scarsa
predisposizione al nuoto. Gli adulti giocavano a carte
sotto l'ombrellone, anche se la loro attenzione era
per lo più rivolta a ciò che combinavamo
io e Nicola, che eravamo quasi sempre in acqua, ma che
scattavamo appena vedevamo arrivare il ragazzo che
vendeva le ciambelle con sopra lo zucchero, che
adoravo. I nostri genitori, invece, facevano colazione
con i panini che la nonna aveva preparato per noi, ed
erano ripieni di vari tipi di salami e formaggi.
Quando poi, arrivata la sera, lasciavamo la spiaggia
per far ritorno a casa, l'entusiasmo che avevamo avuto
fino a quel momento lasciava il posto alla stanchezza,
ed infatti il viaggio di ritorno lo passavamo
dormendo. Quando arrivavamo a casa mamma era costretta
a trascinarmi di peso sotto la doccia, e poi, dopo una
rapida e leggera cenetta, filavo subito a letto dove
mi addormentavo immediatamente.
-
- In quei giorni si
andava spesso anche in Sila. Ho sempre pensato che
potendo scegliere un luogo ideale dove trascorrere la
mia vita in pace ed armonia, quei monti meravigliosi,
dove lo spirito può alimentarsi con la
maestosità e la tranquillità di paesaggi
da favola, sarebbero stati il luogo giusto. Era
stupendo fare dei pic-nic al fresco degli alberi,
avendo come sfondo e avendo come sfondo le acque del
lago Cecita, mentre si assaporavano i prodotti tipici
di quelle terre, acquistati, magari, direttamente dal
contadino che li produceva. Ricordo che era un vero
sacrificio per me la sera abbandonare quei posti,
lì dove lasciavo ogni volta un pezzo del mio
cuore; e ricordo ancora l'invidia che provavo verso
gli abitanti di quel luogo, che avevano l'immenso
privilegio di godere di quel spettacolo per 365 giorni
l'anno.
-
- Ma a casa la
nostalgia passava presto, visto che c'era tanto da
fare e da vedere. Alcune sere (quasi sempre per la
verità), mentre i grandi chiacchieravano
all'aperto, noi bambini ci radunavamo davanti casa per
giocare a nascondino o a rincorrerci l'un l'altro,
indifferenti alle urla dei genitori che ci
raccomandavano di fare attenzione a non farci male,
cosa che avveniva di frequente. Ricordo
quell'atmosfera così bella, così
fantastica nella sua semplicità. C'era,
però, in mezzo a quell'idillio, una nota
stonata, ed era il momento di ripartire, alla fine di
Luglio, perché papà finiva le vacanze e
doveva tornare a lavoro. Tutti gli anni sembrava
arrivare sempre troppo presto quel momento, e ricordo
come se fosse ora, la tristezza che aleggiava su di
noi man mano che il giorno che mio padre aveva
stabilita si avvicinava. Gli ultimi giorni poi, ogni
cosa che facevamo o dicevamo, ci portava a pensare
alla partenza, e via puntuali con le lacrime. Poi
arrivato il giorno "fatidico" sembrava che nella casa
ci fosse un lutto, viste le facce tristi e gli occhi
lucidi che avevano tutti. La macchina di papà
era sempre strapiena al ritorno per via dei tanti doni
che ricevevamo, soprattutto da parte dei nonni, che ci
riempivano dei prodotti propri, che avevamo mangiato
durante quel periodo e che a Milano ci sarebbero
mancati di sicuro. Nonna, dopo avermi fatto centinaia
di raccomandazioni, prima di partire, mi infilava in
tasca sempre dei soldi, per comprarmi il gelato,
diceva lei, ed il viso le si illuminava di un sorriso
abbagliante. Partivamo, e Nicola ci seguiva per un po'
correndo dietro l'auto, e salutando con le mani in
aria, prima di fermarsi vinto dalla stanchezza. Da
lontano lo vedevo asciugarsi le lacrime, mentre io in
macchina lo imitavo. Attraversavamo una Cosenza
deserta in quel periodo ed imboccavamo l'autostrada,
direzione Milano, per riprendere la solita vita,
almeno fine alla prossima estate...
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- Guardo le foto,
mentre con una mano tolgo la polvere accumulatasi
sopra, quasi ad accarezzarle, come se fossero dei
bimbi. Le osservo con un misto di tenerezza e
nostalgia, mentre dolci lacrime solcano le mie guance.
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