- Il
saluto.
-
- Mi torna in mente
ogni volta che al mattino c'è il cielo coperto
di nuvole. Non perché quel giorno ci fossero le
nuvole, per la verità non mi ricordo com'era il
tempo. Il ricordo si associa alla nuvole solo
perché il cielo grigio è triste. Infatti
è un ricordo triste.
- Quel giorno non le
ho detto neanche addio.
- Non l'ho
accompagnata al treno. Lei ci teneva, mi aveva detto,
l'unica cosa piacevole di un addio, secondo lei, stava
proprio in quell'ultimo saluto al vento mentre il
treno si allontana.
- Ma a me non
piacciono gli addii e non mi sono fatto vedere quel
mattino di marzo alla stazione. Lei mi deve avere
aspettato invano sulla banchina, poi deve essere
salita sul treno e affacciata al finestrino
continuando a sbirciare e pensando a che cosa poteva
essere successo che mi stava facendo tardare. Non lo
sapevo che non l'avrei rivista mai più?
Perché non mi sbrigavo a correre a salutarla?
Il fischietto del capostazione deve avere dato il via,
il treno deve essere partito e quell'ultimo saluto al
vento lei deve averlo dato alla banchina
vuota.
- Se ne è
andata per sempre. In fondo lo sapevo che non sarebbe
rimasta per molto e sapevo anche che era sposata. La
sua vacanza era stata breve, lo sapevo. Per questo non
ho versato neanche una lacrima benché mi
premesse sugli occhi.
- L'avevo amata. Per
due settimane l'avevo amata.
- In ogni caso quel
mattino non ero andato al lavoro, avevo preso un
permesso tempo prima quando pensavo che l'avrei
accompagnata in stazione. Ne ho approfittato per
disegnare un po': non ne avevo avuto il tempo da mesi.
Sono rimasto chiuso nel mio tugurio di periferia e mi
sono messo davanti al cavalletto. Ho provato a
mischiare i colori e a inumidire il pennello. Avevo
voglia di dipingere, ma non sapevo che cosa. Ero
convinto che bastasse avere l'ispirazione e poi la
mano si sarebbe mossa da sola, ma mi sono reso conto
di non essere tanto genio, perciò mi sono
rassegnato che non avrei combinato nulla se non avessi
avuto bene in mente che cosa disegnare. Certo non
avrei disegnato lei, sarebbe stato patetico. Lei mi
aveva chiesto tante volte di poter posare per me,
anche nuda. E che ne avrei fatto nel dipinto? Lo avrei
guardato a baciato nelle notti di nostalgia? Ma
via!
- "Puoi regalamelo."
Mi aveva detto.
- No, assolutamente,
la trovavo una cosa troppo sdolcinata. Finita una
storia si passa avanti, insomma, così almeno
dovrebbe essere. In realtà per me non era
esattamente così semplice. Lei era stata la mia
prima donna e avevo quasi trent'anni. "Colpa della
timidezza, o degli occhiali." Mi dicevo.
- L'avevo incontrata
ai giardini pubblici, dopo il lavoro andavo sempre
lì a fare un giro in bicicletta, e poi mi
sedevo su una panchina a leggere il giornale che al
mattino avevo solo fatto in tempo a sfogliare in
metropolitana. Di solito sceglievo una delle panchine
a ridosso del vialetto affacciato sulla strada. Erano
quelle meno ambite per via del rumore e del traffico
troppo vicini, perciò erano sempre libere e
soprattutto al riparo dall'assalto e dalle urla dei
bambini nelle giornate di sole.
- Lei era scesa da un
taxi, aveva in bocca una sigaretta spenta. Si è
messa a frugare con insistenza nella borsa, poi con
stizza è passata alle tasche della giacca. Ho
intuito qual era il suo problema e le ho detto che io
avevo da accendere, se voleva. Lei non ha capito
subito da dove era venuta la mia voce. Io mi sono
alzato dalla panchina e avvicinato al recinto che
separava il parco dal marciapiedi e lei mi è
venuta vicino sorridendo. Ha detto un: "Ma
grazie."
- Ho tirato fuori
dalla tasca l'accendino e gliel'ho passato attraverso
le sbarre. Lei lo ha preso, si è accesa la
sigaretta e me lo ha restituito.
- "Lo tenga. Tanto io
non fumo più." Mi sono schermito.
- Lei ha borbottato:
"Beato lei," mentre assaporava il fumo con
piacere.
- Eravamo rimasti
lì a parlare un po', divisi dalle sbarre del
recinto. Del fumo, voleva sapere come avevo fatto a
smettere di fumare, mi ha raccontato dei suoi
innumerevoli inutili tentativi. Poi è scattato
qualcosa, quelle sbarre fra noi sono diventate troppo
ingombranti, ci siamo incontrati sulla porta del
parco. Dopo lei è venuta a casa mia, abbiamo
fatto l'amore. Così per due settimane. Lei si
faceva trovare alla solita panchina, parlavamo due
minuti, poi andavamo a prendere la metropolitana fino
a casa mia. Non ero più andato al parco in
bicicletta dopo il primo giorno.
- All'inizio non lo
sapevo che era sposata, non portava la fede. Non
sapevo neppure che fosse in vacanza. Non sapevo nulla
di lei.
- Forse è
stata questa vena di incertezza a rendere magica la
nostra storia, quasi una sfumatura di irrealtà.
Il primo giorno non conoscevo neanche il suo nome.
Glielo avevo chiesto all'ultimo come si chiamava,
mentre stava salendo sul tram per
andarsene.
- Ero talmente
emozionato che non mi ero posto nessuna domanda.
Già mi vedevo a vivere con lei per sempre,
magari prendendo in affitto un appartamento un po'
più grande del mio monolocale, del resto avevo
appena avuto un aumento di stipendio. Avrei anche
potuto riprendere a dipingere, perché no? Fare
qualche mostra e guadagnare qualcosa. Sentivo che la
vita mi inebriava le membra assopite da quella
passività disillusa che mi dominava da
anni.
- Ma mi
confessò che era a Milano in vacanza e che era
sposata. Aveva anche una figlia.
- Avevamo appena
fatto l'amore, eravamo stretti sul letto, lei stava
fumando. Fu come un secchio d'acqua fredda buttato
addosso.
- Non avevo voluto
vederla per due giorni, non ero andato al parco a
incontrarla e avevo spento il cellulare. Poi mi ero
ricreduto. Che cosa mi aspettavo? Che l'amore fosse
piovuto dal cielo all'improvviso? Tanto valeva
divertirsi fino a quando lei non sarebbe tornata da
suo marito.
- Ritornai a
prenderla al parco, come ogni giorno, verso le cinque,
il tempo di arrivare dalla periferia.
- Lei era sempre
imbronciata, lo era sempre stata fin dall'inizio.
Anche quando sorrideva aveva un velo d'ombra
proiettato sulle palpebre un po' appesantite sui suoi
occhi nerissimi.
- Prima non ci avevo
fatto caso, ma ora forse potevo capire.
- "Ti senti in
colpa?" le domandavo "Per tuo marito?"
- Lei scrollava le
spalle e non rispondeva. Mi cercava le labbra e mi
baciava. Il velo d'ombra sugli occhi non era
scomparso.
- Un giorno mi ha
chiesto di fare una passeggiata insieme, proprio come
una vera coppia di fidanzati. Tanto a Milano non la
conosceva nessuno, che bisogno c'era di nascondersi in
casa mia come due amanti?
- "Ma noi siamo
amanti." Ho azzardato.
- Lei è
scoppiata a ridere. "Hai ragione." Ha soggiunto
tornando seria.
- Ho deciso di
assecondarla e le ho proposto di andare al cinema. Era
lo spettacolo del giovedì pomeriggio e oltre
noi c'erano solo una coppia di anziani e un giovanotto
da solo che si era seduto in una poltrona della
scomodissima seconda fila.
- Usciti dal cinema
siamo andati in un caffè del corso, uno di
quelli in cui non mi sarei mai sognato di bere neanche
un bicchiere d'acqua al banco col mio insipido
stipendio da impiegato, ma non ho rimpianto quello
sprazzo.
- Mi sentivo felice e
anche lei sembrava esserlo. Il velo d'ombra sugli
occhi era quasi scomparso ed era anche particolarmente
colorita sul viso.
- "Deve essere
perché al cinema c'era troppo caldo."Ha detto
sorridendo quando gliel'ho fatto notare.
- Stavo così
bene con lei, mi salivano alle labbra mille domande da
farle, di suo marito, del perché lo stava
tradendo con me.
- Ma temevo che quel
velo d'ombra sugli occhi sarebbe riapparso. E poi
parlarne non serviva proprio a niente. Mi aveva
già detto che sarebbe ripartita alla fine di
quella settimana e che io ero stato un bel diversivo
in una vacanza indimenticabile.
- Che senso aveva
tutto ciò? Cosa voleva da me? Evadere per
qualche giorno dalla routine della sua vita familiare
per poi tornarvi più libera e affettuosa che
mai? Solo questo? Probabile. E io che non avrei
esitato a portarla all'altare, mia madre ne sarebbe
stata felicissima.
- Mi sono scosso,
imposto di tornare alla realtà. Le mie
fantasticherie stavano prendendo una brutta piega.
L'importante era quella giornata in cui stavo bevendo
una tazza di cioccolata con lei in quel
caffè.
- Due giorni dopo se
ne è andata per sempre. La sera prima avevamo
fatto l'amore. L'indomani eravamo d'accordo che
l'avrei accompagnata in stazione, perciò non
c'era stato nessun sapore di addio. Mi ha salutato col
solito bacio. Il velo d'ombra, come di consueto, le
abbassava le palpebre.
|