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David Maria Turoldo

 

Nacque nel 1916 a Coderno, in Friuli da famiglia poverissima e molto religiosa. Nel 1940 fu ordinato sacerdote entrando nell'Ordine religioso dei "Servi di Santa Maria". Soggiornò a Milano negli anni '40 fino a circa il 1953. Fu poi inviato, forse su pressione di esponenti della Curia Romana, all'estero dove il suo ordine religioso amministra diversi conventi. L'avvento di papa Giovanni XIII e il nuovo corso conciliare, favorì il suo ritorno in Italia, all'inizio degli anni '60. Si trasfererì infine, dopo la morte di Giovanni XXIII, presso il Convento dei Servi di Maria in Sotto il Monte, paese del quale divenne cittadino onorario, istituendovi un Centro Studi, presso il quale attualmente alcuni confratelli studiosi stanno organizzando la sua vasta produzione letteraria e saggistica.
Socialmente e politicamente impegnato, aderì alla resistenza con il gruppo de "L'uomo", per una "scelta dell'umano contro il disumano". Ma questo suo impegno durò per tutta la vita (anche se egli esplicitamente non aderì a nessun partito politico), convinto che la "Resistenza sia sempre attuale" e interpretando il comando evangelico "essere nel mondo senza essere del mondo" come un "essere nel sistema senza essere del sistema". Il suo impegno politico e sociale fu anche caratterizzato da una profonda umanità che lo portava non certo ad odiare ma a cercare un confronto di idee deciso e talvolta duro, ma sempre dialettico ("Credo di non avere dei nemici… posso avere avversari, questo sì"). Non di rado le sue prese di posizione crearono notevole imbarazzo e furono causa di scandalo in taluni ambienti cattolici. Ma anche la politica e l'impegno sociale non furono che ambiti, luoghi nel quale il poeta entrò senza mai soggiornarvi, cosciente del fatto che la sua vita era al servizio della Parola (e del Silenzio), in senso cristiano ma anche artistico, da poeta investito di una vocazione artistica. Scrive Andrea Zanzotto: "Turoldo ha percepito dunque da sempre la centralità della parola, … e l'ha percepita proprio come una delle sedi più alte in cui la parola (che cristianamente è il Verbo, "era ed è presso Dio") verifica se stessa e il mondo".
Le sue doti retoriche si esprimono in maniera straordinaria non solo nella sua opera letteraria, ma anche (per chi ebbe l'occasione di ascoltarlo) nelle sue omelie, negli innumerevoli discorsi che egli "predicatore" tenne in oltre 50 anni di attività, negli incontri con gruppi di ogni ambito culturale e sociale. Fu, tra l'altro, predicatore incaricato presso il duomo di Milano dal 1943 al 1953 Mi piace ricordare questo aspetto (di cui abbiamo anche qualche documento filmato), perché rappresenta forse la testimonianza più forte del suo slancio, della sua intelligenza, della sua creatività e capacità nel porgere una parola vera, allusiva, profonda. Passione per l'uomo e passione per Dio, forse queste sono le note caratteristiche, anche della sua poesia. "Difficilmente, infatti - scrisse Giovanni Giudici - si potrebbe reperire negli annali un esempio di così perentoria, sorprendentemente trasgressiva, coincidenza e inscindibilità tra vita ed opera, tra vocazione alla parola e testimonianza della parola".
Turoldo è anche il poeta cristiano che più d'ogni altro nel nostro secolo esprime la passione per il contrasto, lo stare fermamente dentro la Chiesa ma nello stesso tempo starvi criticamente, senza mollare mai d'un millimetro a minacce e lusinghe, opponendo fermamente ad ogni luogo comune e ad ogni perbenismo bigotto, una dialettica controllata da una coscienza aliena da compromessi, ostile a qualsiasi tentativo di distrarlo dalla coerenza con i suoi principi morali e religiosi, dall'imperativo della sua coscienza. In questo senso, la sua poetica si differenzia nettamente per una sua peculiarità, all'interno di una coscienza critica del cristianesimo contemporaneo, che vede ad esempio in Testori una diversa espressione: quest'ultimo infatti è lacerato dal dubbio e visibilmente a disagio di fronte all'incongruenza fede / vita, Turoldo invece è rivoluzionario proprio perché si abbandona a una fede cieca senza mai oscillare, facendone l'arma della sua cultura. Egli (con altri, come Padre Balducci, Don Milani , Padre Dossetti, Don Primo Mazzolari, ecc.) è uno degli esponenti più rappresentativi di un rinnovamento del cristianesimo e assieme di un nuovo umanesimo sociale che esprime una autentica novità socio-religiosa, certo ancora troppo superficialmente intesa e studiata, della seconda metà del '900.
Dopo la prima stagione della predicazione a Milano, Turoldo dunque viene inviato all'estero. Il suo peregrinare termina infine nell'eremo di Sotto Il Monte, paese nativo di Giovanni XXIII, in cerca di silenzio, e mantenendo comunque stretti e continui contatti con gli amici.
Se si pensa alla particolarità della poesia di Turoldo come "genere", nel '900 letterario, il pensiero corre a Rebora, soprattutto al primo Rebora. Ma non tanto (condividendo l'acuta osservazione che Vigorelli fa in un articolo apparso su "Il Giorno" del 13.1.1991) per le superficiali affinità che li accomunano (sacerdoti ambedue, dediti alla poesia di tema religioso, ambedue legati alla costruzione tradizionale della frase e del verso, senza particolari teorie estetiche movimentiste o di "scuola", ecc.). Ciò che li accomuna e che essi rappresentano in modo particolare (specialmente il Rebora (il primo Rebora, laico, e non il religioso, al quale tutto il '900 è debitore per questo aspetto) è l'uso di un linguaggio altamente espressivo (espressionistico), denso di spigolosità, metafore e immagini che urlano dentro la coscienza del lettore (e non nel segno o in fonemi reboanti, irati, stizziti come, ahime!, capita troppo spesso di leggere - annoiandosi) con il proposito di scuoterlo, di porre la sua coscienza alle corde davanti alle domande scomode della vita. Anche come poeta che parla al lettore dunque, oltre che come uomo e religioso, Turoldo è un autore spigoloso, dialettico, scandaloso, che non conforta certo una paciosità borghese ma impone alla coscienza una dura lotta che reclama una scelta di campo, etica se non religiosa. Si potrebbe però anche dire che Turoldo, nel secolo delle incertezze, è il poeta di quella certezza (pur se problematica e sempre precaria) che venga subito dopo il dubbio. E di una certezza che non trae consistenza dalla razionalità filosofica, ma dallo slancio poetico ad un amore assoluto, universale, per gli uomini, Dio, la natura. Non si può infatti eludere il dubbio filosofico, perché, com'egli spiega, "è difficile dire di credere: credere è un'autentica rivoluzione". Più che ermetico (anche se indubbiamente lo è, specie nelle prime raccolte) il suo linguaggio mi sembra dunque espressionista, se pur di un espressionismo particolare, concettuale più che iconico.
Fra i motivi ricorrenti della sua poesia (non solo delle ultime opere) è il sentimento della morte, in un tempo che fa di tutto per dimenticarla e fuggirla ("per me la morte è sempre stata una coinquilina … sentita come una presenza che aiuta a vivere" - dice in una intervista). La morte per Turoldo è "senso della vita e concretezza di tutto quello che ho cantato". La morte aiuta a vivere perché aiuta a misurare le cose, a ritrovare il senso della speranza - altro tema ricorrente: ("vorrei tramandare questo scandalo della speranza" dice, mentre è già minato dal cancro allo stomaco).
È il poeta del salmo e della lode nel secolo del rapporto conflittuale fra poesia e trascendenza (si pensi ad esempio a Testori, a Ungaretti, a Pasolini). A noi piace immaginare (senza per questo voler contraddire ciò che Abramo Levi nel breve saggio citato in bibliografia, esprime sul rapporto simbolico del nome "David" con il Golia del "grande male" del nostro tempo) che Turoldo si sia scelto il nome "David" pensando a Re-poeta dei Salmi (il suo nome di battesimo è infatti Giuseppe, cambiato al momento di esprimere i voti religiosi e, come ci riferisce l'amico di sempre, Camillo De Piaz, in seminario i confratelli veneti lo chiamavano affettuosamente Bepo Rosso, per via dei capelli, allora fulvi). Scrive ancora Zanzotto "La formazione di Padre David in quanto poeta è evidentemente biblica, è anzi un continuo confronto con la Bibbia, un continuo richiamarsi ad essa, ai suoi temi, valori e personaggi … ma è fondata in generale su una buona conoscenza dei classici e dei moderni". Come fecero i profeti, si affida a Dio con una sicurezza istintiva, una intuizione così limpida da apparire ingenua, nel secolo dello smarrimento di tutte le certezze. Ritrova così la serenità del salmo, della laude, della cantica, proprio nel secolo delle grandi sperimentazioni formali e linguistiche delle avanguardie. Tutta la vita di Turoldo è una pro-vocazione, fino a quella morte così penosa: muore infatti di cancro il 6 febbraio del 1992. Il telegiornale di quel giorno ci fece ascoltare le ultime parole della sua ultima omelia che pronunciò smagrito e consumato dal suo male, e ripresa appena alcuni giorni prima di morire: furono parole di incitamento ad assistere le persone più bisognose, i malati, i poveri, gli oppressi di tutta la società. L'ultima parola pubblica che pronuncia è "cantare … portando il Cristo fra le braccia". E mi pare che questa sia la sintesi di tutta la sua vita di grande mistico, predicatore e poeta. Il suo linguaggio dunque è unico, come unica, testarda e passionale fino all'ossessione è la direzione della sua vita (anche se, come ho scritto sopra,dal punto di vista dello stile, è evidente l'influsso del primo Ungaretti e dell'ermetismo, del gusto neorealista nel dopoguerra, ma anche talvolta di una passione espressionista e di una sensibilità esistenzialista). Ogni suo scritto rimanda a un esame della relazione interpersonale fra Dio e l'uomo. Turoldo diventa quindi, anche nei suoi versi, salmista, predicatore, poeta, uomo infatuato dal divino, lucido teologo, mistico, appassionati difensore dei poveri, coscienza critica dell'ingiustizia e dell' "Epulone".
Il verso di questo poeta è pertanto, in prima istanza, popolare, perché semplice nel linguaggio, immediato nella metrica, breve nel fraseggio, denso di significati e simbolismi. Anche se talvolta sembri che la poesia venga usata solo come forma per esprimere concetti teologici, in realtà la carica di sentimento, di incontenibile passione per Dio e l'uomo e l'emozione con cui vengono usate le figure retoriche, lo salva ampiamente dal pericolo di "fare della teologia" o, peggio, "predicare" usando il linguaggio della poesia. Nel leggere Turoldo bisogna essere consapevoli di questo trabocchetto che è anche un luogo comune - che il linguaggio mistico e religioso sia per forza di cose antitetico alla poesia: in effetti è vero che non è facile scrivere poesie su argomenti religiosi, ma nel caso di Turoldo la religione si fa poesia e la poesia si fa religione in un unico, straordinario linguaggio. Scrive ancora Zanzotto: "Anche di questo conflitto riappare lungo tutta l'opera di Turoldo la più sottile e tormentata consapevolezza. Una possibile valutazione in un certo senso limitativa… del poeta Turoldo, viene quindi immediatamente a cadere, data la potente "capacità inclusiva" dell'atto poetico in generale e del suo in particolare". È difficile trovare un verso più appassionato, più carico di sentimento e di emozioni, di eros &endash; neppur così sublimato - in tutto il nostro novecento letterario. La carne, il sangue, gridano assieme allo spirito, con tutto l'uomo, in questi versi.
Ma l'opera di Turoldo merita un particolare sguardo anche dal punto di vista filosofico. Non bisogna infatti dimenticare che la sua formazione culturale è teologica e filosofica: si laurea infatti in filosofia all'Università Cattolica di Milano e per un certo periodo è assistente di Bontadini all'Università di Urbino. Ma questo aspetto forse non è coscientizzato nella poesia di Turoldo, non è presente come obiettivo esplicito, ma come disciolto nell'orizzonte entro il quale i suoi temi si intessono e raccontano il nostro tempo. Egli può dunque essere considerato il poeta del Nulla, come sottolinea Luciano Erba, oltre che dell'Essere. Il Nulla opposto all'Essere è il grande Tema che da Nietzsche in poi appassiona la filosofia occidentale: l'angoscia dell'uomo è infatti angoscia del Nulla, del non-senso, del relativo che scardina ogni certezza e consegna lo spirito e la mente al caos dell'insignificanza. Turoldo affronta da poeta questo argomento non tanto con intento "speculativo" ma perché, da mistico, lo sente sulla propria pelle. La lotta contro il Nulla si risolve nella costante riaffermazione dell'Essere, che è emozione poetica prima ancora che certezza religiosa o slancio mistico. Scrive Erba: "Vi è una simbologia, una topografia addirittura, del Nulla… col risultato che l'immagine, proprio perché tale, finisce col mettersi al servizio dell'Essere che voleva negare". E questa scoperta emotiva non ha neppure bisogno di una certezza di questo Essere: poco importa se Egli sia certezza mentale o reale, "se tale presenza verbale non sia poi la vera, la sola Presenza, il Vivente che fa muovere tutte le cose, il Verbo. Quand'anche Dio non fosse che una consonante: "e neppure quella"". Più che l'influsso della filosofia heideggeriana o degli esistenzialisti cristiani, troviamo qui l'influsso di Meister Eckhart e della scolastica. O anche del Cusano.
L'opera di David Maria Turoldo potrebbe essere anche considerata, dal punto di vista formale, come un lunghissimo libro diviso in libri più brevi (a parte le ultime due raccolte che, come osserva acutamente Amedeo Giacomini, rappresentano "due vette letterariamente mai raggiunte all'interno della prolifica e spesso discontinua opera poetica" dell'autore). Pur nella discontinuità infatti, pochissime sono le differenze di tono e forse anche di stile fra le prime poesie e le ultime, e le più importanti tematiche sono presenti in ogni opera. Turoldo individua quasi da subito il "suo" stile vi rimane fedele; servendosene come strumento per costruire questo dialogo religioso (che non è solo misticismo ma attenta riflessione sulla vita culturale e sociale). Ed è una scrittura, immediata, viva, densa di rimandi e riprese delle Sacre Scritture (talvolta non solo come semplice allusione ma anche come esplicito richiamo intertestuale, come in Pianto della figlia di Iefte, Canto di Ruth, Mulieres nolite flere, ecc.), appunto perché venga usata anche da altri come uno strumento di meditazione e di ascesi. Dunque, un poeta che certo non ha l'ossessione dei perfezionismi, dei virtuosismi, ma punta sempre ai contenuti (dal carattere, quindi, concreto), usando un linguaggio fortemente allusivo, denso di simboli e archetipi che colpiscono per la loro pregnanza e lo spessore dei sentimenti evocati, ma nello stesso tempo comprensibile a tutti. Scrive a questo proposito Giudici: "… la sua opera si destina oggettivamente a un pubblico assai più vasto che il pur eletto "pubblico della poesia"". Se volessimo condensare in poche parole la sua poesia dovremmo dire: passione e insieme serenità, ricerca del silenzio per trovarvi la dimensione della trascendenza, abbandono di ogni velleità dell'Io e annullamento in Dio, sguardo fisso nel Nulla per evocare l'ineusauribilità dell'Essere, e una immensa carità (agàpe) per l'uomo: "per me la poesia è lo stesso che continuare a pregare, a vivere, a respirare". E, come afferma in un'intervista, "quando si inizia con una preghiera e si finisce con una preghiera, si può cantare tutti i drammi del mondo".
 
 
Opere di poesia di D.M. Turoldo
 
Io non ho mani, Bompiani, 1948
Udii una voce, Mondadori, 1952
Gli occhi miei lo vedranno, Mondadori, 1955
Preghiere tra una guerra e l'altra, Milano, Corsia dei servi, 1955
Se tu non riappari, Mondadori, 1963
Tempo dello spirito, 1966
Fine dell'uomo?, Scheiwiller, 1976
Il sesto angelo, Mondadori, 1976
Laudario della vergine, Dahoniane, 1980
Lo scandalo della speranza, Gianfranco Angelico Benvenuto, 1978 (raccolta antologica)
Laudario della vergine, Dahoniane, 1980
Impossibile amarti impunemente, Quaderni del Monte, 1982
Ritorniamo ai giorni del rischio, CENS, 1985
Il grande Male, Mondadori, 1987
O gente terra disperata, Mondadori, 1987
Come possiamo cantarti, o madre? Diakonia della Theotokos, 1988
Nel segno del TauI, Scheiwiller, 1988
Cosa pensare, La Rosa Bianca, 1989
O sensi miei, Rizzoli, 1990, 1997 (raccolta antologica),
Canti ultimi, Garzanti, 1991
Mie notti con Qohelet, Garzanti, 1992
 
Per questa presentazione mi sono in parte riferito alle seguenti pubblicazioni in volume, saggi, articoli su giornali e riviste:
AA.VV., Dialoghi durante la malattia, Diakonia della Theotokos, 1992
E. Ancona, Turoldo, la Croce e il nulla, su Avvenire del 10.11.1993
E. Balducci, In memoria di David Maria Turoldo, Piemme, 1993
C. Bo, Presentazione, in Il grande male, Mondadori, 1987
C. M. De Piaz, Storia di fedeltà, in AA.VV., David Maria Turoldo, frate dei Servi di Santa Maria, CENS, 1992
C. M. De Piaz, Un'eredità a rischio, in Servitium, nr. 84, nov-dic. 1994.
L. Erba, Nota introduttiva, in O sensi miei, RCS libri, 1997
A. Giacomini, Appunti per una lettura di: Mie notti con Qohelet, in Servitium, nr. 84, nov-dic. 1994.
G. Giudici, Quarta di copertina, in Canti ultimi, Garzanti, 1991
A. Levi, Cristo mia dolce rovina, Paoline, 1996
R. Lollo, La poesia di D.M. Turoldo, Neri Pozza, 1971
M. Luzi, Poeta di Dio, in David Maria Turoldo, frate dei Servi di Santa Maria, CENS, 1992
G. Luzzi, David m. Turoldo: la curiosità profana e il dubbio letterario, in Servitium, nr. 84, nov-dic. 1994
G. Mattana, Turoldo, Paoline, 1995
G. Ravasi, Servo e ministro sono della parola… in Servitium, nr. 84, nov-dic 1994
M. Rigoni Stern, Quel frate solitario curvo sulla terra, in Avvenire del 10.11.1993
G. Vigorelli, Spirituale e carnale la poesia di Turoldo, ne Il Giorno del 13.1.1991
V. Volpini, Benedetta povertà, intervista in Famiglia Cristiana, nr. 45 del 1989
A. Zanzotto, Nota introduttiva, in O sensi miei, RCS libri, 1997
 
 
Nota bibliografica
 
Su Turoldo poeta non è stato scritto molto. E anche quel poco che circola (gli studi più completi sono a mio avviso, quelli di G. Mattana e quelli comparsi sul nr. 84 di "Servitium", il volume di Levi citato in bibliografia) è di difficile integrazione in una presentazione che non vorrebbe occupare troppo spazio (gli interessi culturali e i campi di attività di Turoldo sono infatti molti, e sterminata è la sua produzione letteraria).
Turoldo ha scritto, nel corso di una attività letteraria di oltre 40 anni, un ragguardevole numero di poesie (oltre a 7 pièces di teatro, un romanzo, molti saggi di vario tema - in maggioranza teologici -, traduzioni dei testi sacri) ed è compito assai arduo selezionarne alcune da presentare su un sito Internet. Il mio criterio di scelta si è quindi orientato a rappresentare non tanto un possibile percorso "evolutivo" della sua arte dal punto di vista dello stile e della forma (che, si diceva, non presentano significative variazioni dalle prime opere alle ultime). Ho optato invece per una esposizione rappresentativa dei suoi temi, senza curarmi di una selezione basata sulle prosodie "meglio riuscite", senza adottare quindi criteri estetici. Una preziosa nota filologica in appendice a "O sensi miei" (dove ho trovato anche una esauriente indicazione bibliografica), Giorgio Luzzi avverte che le poesie di Turoldo sono state più volte ristampate e che alcune ristampe hanno indebitamente compromesso alcuni testi. Si è pertanto in attesa dell'edizione critica dei suoi lavori - nel frattempo è meglio quindi affidarsi alle edizioni originarie (esaurite però quasi tutte). Per la mia presentazione mi sono avvalso dell'edizione BUR di "O sensi miei", "Canti ultimi" e "Il grande male", citati sopra e, per gentile prestito dell'amico Valerio Dalle Grave, una raccolta curata dallo stesso Turoldo dal titolo "Ritorniamo ai giorni del rischio", CENS, 1985 &endash; un testo che raccoglie poesie che compariranno nelle raccolte successive, sul senso della libertà e della Resistenza (pubblicato appunto nel quarantennale della Resistenza, il sole 100 copie, regalate agli amici). Quest'ultima raccolta è stata, per mia scelta e per sottolineare l'impegno civile di Turoldo, considerata unitaria nella scelta dei brani che propongo alla lettura. Non ho invece citato poesie da "Il sesto angelo", troppo unitarie per essere divise, e da "Le mie notti con Qohelet"
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Inserito 22 gennaio 1999