LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA
I grandi poeti contemporanei
David Maria Turoldo
- Da "Io non ho mani",
- MEMORIA
- È la memoria una distesa
- di campi assopiti
- e i ricordi in essa
- chiomati di nebbia e di sole.
- Respira
- una pianura
- rotta solo
- dagli eguali ciuffi di sterpi:
- in essa
- unico albero verde
- la mia serenità.
- O GIORNI MIEI
- Solo a sera m'è dato
- assistere alla deposizione
- della luce, quando
- la vita, ormai
- senza rimedio, è perduta.
- Mio convoglio funebre
- di ogni notte: emigrazione
- di sensi, accorgimenti
- delle ore tradite, intanto
- che lo spirito è rapito
- sotto l'acutissimo arco
- dell'esistenza: l'accompagna
- una musica di indicibile
- silenzio.
- Invece dovere
- ogni mattina risorgere
- sognare sempre
- impossibili itinerari.
- IO NON HO MANI
- Io non ho mani
- che mi accarezzino il volto,
- (duro è l'ufficio
- di queste parole
- che non conoscono amori)
- non so le dolcezze
- dei vostri abbandoni:
- ho dovuto essere
- custode
- della vostra solitudine:
- sono
- salvatore
- di ore perdute.
- POVERA CHE DORME ENTRO I GIORNALI
- C'è una povera in via Ciovasso
- che non può più camminare,
- e dorme entro i giornali
- nessuno di quelli che stanno
- di sopra
- ha tempo di scendere e salutare.
- Per lei è di troppo
- un po' di scatole per guanciale
- e stare
- nel cuore di Milano.
- VIVI DI NOI
- Vivi di noi.
- Sei
- La verità che non ragiona.
- Un Dio che pena
- Nel cuore dell'uomo.
- Da "Udii una voce"
- Non per me il pulito verso.
- Uno scabro sasso la parola
- nelle mie mani.
- Intanto che gli effetti dissepolti
- marciscono come foglie staccate
- dalla pianta..
- Questi i miei giorni vuoti di pudore,
- i miei canti senza note
- la verità senza amore.
- Parole, inerti macerie,
- brandelli d'esistenze
- disamorate, panorama
- del mio paese
- ove neppure il gesto
- sacrificale più rompe
- la immota somiglianza dei giorni,
- né le vesti sante coprono
- la nudità degli istinti.
- E i poeti non hanno più canti
- Non un messaggio di gioia,
- nessuno una speranza.
- Da "Gli occhi miei lo vedranno"
- ITINERARI
- Liberata l'anima ritorna
- agli angoli delle strade
- oggi percorse, a ritrovare i brani.
- Lì un gomitolo d'uomo
- posato sulle grucce,
- e là una donna offriva al suo nato
- il petto senza latte.
- Nella soffitta d'albergo
- una creatura indecifrabile:
- dal buio occhi uguali
- al cerchio fosforescente d'una sveglia
- a segnare ore immobili.
- E io a domandare alle pietre agli astri
- al silenzio: chi ha veduto Cristo?
- DIO NON VIENE ALL'APPUNTAMENTO
- Ma quando declina questo
- giorno senza tramonto?
- All'incontro cercato
- nessuno giunge.
- E le pietre bevono
- Il sangue di questo cuore
- Ancora per miracolo vivo.
- ASCOLTA IL NOSTRO GRIDO, O GIOBBE
- Ma ora a noi avanzano
- Solo l'inverno e la notte
- E senza scampo sono le nostre vite
- In queste città maledette.
- La morte siede sugli usci delle case
- o con gli zoccoli di cavallo va per le strade
- in stridori di migliaia di trombe;
- o volteggia trionfante
- sul capo in risa di corvi a stormo.
- Invece fiorito è il deserto, popolata
- di uccelli e di alberi la tua solitudine.
- Angeli danzano al canto nuovo.
- ALLORA RIDERO' DELLA SUA DELUSIONE
- Armata di falce verrà
- pronta a ingaggiar battaglia.
- Altri forse avranno un gesto
- di pietà:
- fonde pensavano
- fossero le radici.
- E certo non sapevano
- che celavo una continua
- attesa d'andarmene.
- Da "Nel segno del Tau"
- È TEMPO, AMICO
- Certo per me, amico, è tempo
- di appendere la cetra
- in contemplazione
- e silenzio.
- Il cielo è troppo alto
- e vasto
- perché risuoni di questi
- solitari sospiri.
- Tempo è di unire le voci,
- di fonderle insieme
- e lasciare che la grazia canti
- e ci salvi la Bellezza.
- Come un tempo cantavano le foreste
- tra salmo e salmo
- dai maestori cori
- e il brillio delle vetrate
- e le absidi in fiamme.
- E i fiumi battevano le mani
- al Suo apparire dalle cupole
- lungo i raggi obliqui della sera;
- e angeli volavano sulle case
- e per le campagne e i deserti
- riprendevano a fiorire.
- Oppure si udiva fra le pause
- scricchiolare la luce nell'orto, quando
- pareva che un usignolo cantasse
- "Filii et Filiae", a Pasqua.
- E NON CHIEDERE NULLA
- Ora invece la terra
- si fa sempre più orrenda:
- il tempo è malato
- i fanciulli non giocano più
- le ragazze non hanno
- più occhi
- che splendono a sera.
- E anche gli amori
- non si cantano più,
- le speranze non hanno più voce,
- i morti doppiamente morti
- al freddo di queste liturgie:
- ognuno torna alla sua casa
- sempre più solo.
- Tempo è di tornare poveri
- per ritrovare il sapore del pane,
- per reggere alla luce del sole
- per varcare sereni la notte
- e cantare la sete della cerva.
- E la gente, l'umile gente
- abbia ancora chi l'ascolta,
- e trovino udienza le preghiere.
- E non chiedere nulla.
- Da "Ritorniamo ai giorni del rischio", 1985
- Siamo composti con brani di morti
- uguali a città
- rifatte da macerie di secoli.
- Allora al comune bivacco eravamo
- tutti disperati e volevamo
- morire per sentirci più vivi.
- Non questo certo era l'augurio!
- La nuova parola è stata uccisa
- Dal piombo sulle bocche squarciate.
- Una mediazione invocavano morendo
- tra l'avvenimento grande e la sorte di ognuno,
- l'avvento attendevano dell'uomo umile.
- Ma noi rimpiangemmo le vecchie catene
- come il popolo ambiva nel deserto
- l'ossequio al re per le sicure ghiande:
- non vogliamo il rischio di essere liberi,
- il peso di dover decidere da noi
- e l'amore di farci poveri.
- Da sotterra urlano i morti
- e per le strade vanno
- come nell'ora dell'agonia di Cristo.
- Per le strade vagano i fratelli
- senza casa, liberi
- d'ogni ragione d'essere morti.
- La notte è simile al giorno
- Il bene al male s'eguaglia,
- spoglio quale una pianura d'inverno.
- Era aperta solo al tuo occhio
- quella Notte oscura:
- e dunque perché non li uccidesti
- avanti che uccidessero?
- I grandi deliravano
- In parate e uniformi
- E noi non capivamo.
- Aquile e svàstiche
- e canti di morte
- salmi e canti e benedizioni
- di reggimenti col teschio
- sui berretti neri
- sulle camice nere
- sui gagliardetti neri..
- E discorsi fin o all'urlo
- accanito delle folle d'Europa,
- della saggia e civilissima
- e cristiana Europa.
- Così abbiamo tutti cantato
- almeno una volta
- i canti della morte.
- L'inizio è sempre uguale:
- "Nostra è la Ragione"! E poi,
- l'esaltazione degli eroi.
- Poi le medaglie
- e le corone e i monumenti
- e i momenti del silenzio
- all'Altare della Patria.
- Dio, cosa costano gli eroi!
- Torniamo ai giorni del rischio,
- quando tu salutavi a sera
- senza essere certo mai
- di rivedere l'amico al mattino.
- E i passi della ronda nazista
- dal selciato ti facevano eco
- dentro il cervello, nel nero
- silenzio della notte.
- Torniamo a sperare
- come primavera torna
- ogni anno a fiorire.
- E i bimbi nascano ancora,
- profezia e segno
- che Dio non s'è pentito.
- Torniamo a credere
- pur se le voci dai pergami
- persuadono a fatica
- e altro vento spira
- di più raffinata barbarie.
- Torniamo all'amore,
- pur se anche del familiare
- il dubbio ti morde,
- e solitudine pare invalicabile
- Mio papa, padre del mondo, Giovanni,
- ho visto le tue parole frangersi
- sulle gemme delle mitrie
- come luce dei fari
- sul prisma dei paracarri:
- Hitler e la Gestapo sono eterni,
- ora le vedo quelle tue parole
- gemme sull'arena.
- Da "Il grande male", Mondadori, 1987
- Ancora un'alba sul mondo:
- altra luce, un giorno
- mai vissuto da nessuno,
- ancora qualcuno è nato:
- con occhi e mani
- e sorride.
- Tutto deve ancora avvenire
- nella pienezza:
- storia è profezia
- sempre imperfetta.
- Guerra è appena il male in superficie
- il grande Male è prima,
- il grande Male
- è Amore-del-nulla.
- E i torturati
- in grumi neri
- inutilmente
- urlano.
- Perdona le chiese, i preti
- prima fra tutti:
- dei filosofi non cancellare il nome
- dalla tua anagrafe.
- Per favore, non rubatemi
- la mia serenità.
- E la gioia che nessun tempio
- ti contiene,
- o nessuna chiesa
- t'incatena:
- Cristo sparpagliato
- per tutta la terra,
- Dio vestito di umanità:
- Cristo sei nell'ultimo di tutti
- come nel più vero tabernacolo:
- Cristo dei pubblicani,
- delle osterie dei postriboli,
- il tuo nome è colui
- che-fiorisce-sotto-il-sole.
- Solo parole, o papa:
- parole, e di contro
- la irreparabile morte
- della Parola.
- Le chiese, un frastuono
- gli uomini sempre
- più soli
- e inutili.
- E il cielo è vuoto:
- Dio ancor più che morto
- assente!
- Da Canti ultimi, Garzanti, 1991
- Non so quando spunterà l'alba
- non so quando potrò
- camminare per le vie del tuo paradiso
- non so quando i sensi
- finiranno di gemere
- e il cuore sopporterà la luce.
- E la mente (oh, la mente!)
- già ubriaca, sarà
- finalmente calma
- e lucida:
- e potrò vederti in volto
- senza arrossire.
- Ieri all'ora nona mi dissero:
- il Drago è certo, insediato nel centro
- del ventre come un re sul suo trono.
- E calmo risposi: bene! Mettiamoci
- in orbita: prendiamo finalmente
- la giusta misura davanti alle cose;
- e con serenità facciamo l'elenco:
- e l'elenco è veramente breve.
- Appena udibile, nel silenzio,
- il fruscio delle nostre passioncelle
- del quotidiano, uguale
- a un crepitare di foglie
- sull'erba disseccata.
- Ti sento, Verbo, risuonare dalle punte dei rami
- dagli aghi dei pini dall'assordante
- silenzio della grande pineta
- - cattedrale che più ami - appena
- velata di nebbia come
- da diffusa nube d'incenso il tempio.
- Subito muore il rumore dei passi
- come sordi rintocchi:
- segni di vita o di morte?
- Non è tutto un vivere e insieme
- un morire? Ciò che più conta
- non è questo, non è questo:
- conta solo che siamo eterni,
- che dureremo, che sopravviveremo
- Non so come, non so dove, ma tutto
- perdurerà: di vita in vita
- e ancora da morte a vita
- come onde sulle balze
- di un fiume senza fine.
- Morte necessaria come la vita,
- morte come interstizio
- tra le vocali e le consonanti del Verbo,
- morte, impulso a sempre nuove forme.
- La sentenza che ora tu sai
- nulla di nuovo aggiunge a quanto
- già doveva esserti noto da sempre:
- tutto è scritto. Di nuovo
- è appena un fatto di calendario.
- Eppure è l'evento che tutto muta
- e di altra natura
- si fanno le cose e i giorni.
- Subito senti il tempo franarti
- tra le mani: l'ultimo
- tempo, quando
- non vedrai più questi colori
- e il sole, né con gli amici
- ti troverai a sera
- Dunque, per quanto ancora?
- Tu e lui,
- null'altro.
- Lui
- il Tu senza risposte.
- Amici, mi sento
- un tino bollente
- di mosto dopo
- felice vendemmia:
- in attesa del travaso.
- Già potata è la vite
- per nuova primavera.
- Anima mia, non pensare
- male di Lui: gli è impossibile
- fare altro.
- E &endash; vedrai &endash;
- il Male non vincerà.
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