LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA
I grandi poeti contemporanei
Franco Fortini
- Da Una volta per sempre, poesie 1938-1973
- Foglio di via
- Dunque nulla di nuovo da questa altezza
- Dove ancora un poco senza guardare si parla
- E nei capelli il vento cala la sera.
- Dunque nessun cammino per discendere
- Se non questo del nord dove il sole non tocca
- E sono d'acqua i rami degli alberi.
- Dunque fra poco senza parole la bocca.
- E questa sera saremo in fondo alla valle
- Dove le feste han spento tutte le lampade.
- Dove una folla tace e gli amici non riconoscono.
- Canto degli ultimi partigiani
- Sulla spalletta del ponte
- Le teste degli impiccati
- Nell'acqua della fonte
- La bava degli impiccati.
- Sul lastrico del mercato
- Le unghie dei fucilati
- Sull'erba secca del prato
- I denti dei fucilati.
- Mordere l'aria mordere i sassi
- La nostra carne non è più d'uomini
- Mordere l'aria mordere i sassi
- Il nostro cuore non è più d'uomini.
- Ma noi s'è letta negli occhi dei morti
- E sulla terra faremo libertà
- Ma l'hanno stretta i pungi dei morti
- La giustizia che si farà.
- Traducendo Brecht
- Un grande temporale
- per tutto il pomeriggio si è attorcigliato
- sui tetti prima di rompere in lampi, acqua.
- Fissavo versi di cemento e di vetro
- dov'erano grida e piaghe murate e membra
- anche di me, cui sopravvivo. Con cautela, guardando
- ora i tegoli battagliati ora la pagina secca,
- ascoltavo morire
- la parola d'un poeta o mutarsi
- in altra, non per noi più, voce. Gli oppressi
- sono oppressi e tranquilli, gli oppressori tranquilli
- parlano nei telefoni, l'odio è cortese, io stesso
- credo di non sapere più di chi è la colpa.
- Scrivi mi dico, odia
- chi con dolcezza guida al niente
- gli uomini e le donne che con te si accompagnano
- e credono di non sapere. Fra quelli dei nemici
- scrivi anche il tuo nome. Il temporale
- è sparito con enfasi. La natura
- per imitare le battaglie è troppo debole. La poesia
- non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.
- La partenza
- Ti riconosco, antico morso, ritornerai
- tante volte e poi l'ultima.
- Ho raccolto il mio fascio di fogli,
- preparata la cartella con gli appunti,
- ricordato chi non sono, chi sono,
- lo schema del lavoro che non farò.
- Ho salutato mia moglie che ora respira
- nel sonno sempre la vita passata,
- il dolore che appena le ho assopito
- con imperfetta, di sé pietosa, atterrita tenerezza.
- Ho scritto alcune lettere ad amici
- che non mi perdonano e che non perdono.
- E ora sul punto di dormire
- un dolore terribile mi morde
- come mille anni fa quando ero bambino
- e lo chiamavo Iddio, e Iddio è questo
- ago del mondo in me.
- Fra poco, quando dai cortili l'aria
- fuma ancora di notte e sulla città
- la brezza capovolge i platani, scenderò per la via
- verso la stazione dove escono gli operai.
- Contro il loro fiume triste, di petti vivo,
- attraverso la mobile speranza
- che si ignora e resiste,
- andrò verso il mio treno.
- Dopo una strage
- da Lu Hsun
- Le notti lunghe di primavera le passo ormai
- con moglie e figlio. Fragili alle tempie i capelli.
- Vedo in sogno imprecise lacrime di una madre.
- Sulle mura hanno mutato le grandi bandiere imperiali.
- Vite di amici diventano spettri, non resisto a vederle.
- In ira contro siepi di spade cerco una piccola poesia.
- Non lamentarsi. Chino il capo. Non si può scrivere più.
- Come acqua la luna illumina la mia veste oscura.
- Il seme
- Caduti i cartocci giù
- le foglie luccicano come piccioni
- della magnolia altissima. Sotto i cedri
- dove la luce del pomeriggio è fitta
- vedo l'erba crudele acida profonda
- e l'interrogazione ritorna
- ai colpi di vento si curva
- si divide ritorna ma dicono i merli di no
- camminando o fermi.
- Mio padre
- s'inteneriva sulla propria morte
- udendo l'allegretto della Settima.
- Negli angoli dove c'è a marzo maceria
- con gran pianti i bambini seppellirono
- gli uccelli caduti di nido. Ma nulla
- sa più di noi e discorre da sola
- coi suoi corni e le trombe la musica
- tra questi muri sudati.
- In luogo di lui ci sono io
- o mio figlio o nessuno.
- Tutti i fiori non sono che scene ironiche.
- Ormai la piaga non si chiuderà.
- Con tale vergogna scenderò
- i seminterrati delle cliniche
- e con rancore.
- Non è ancora luglio
- non ancora scaldato asciutto assoluto
- il seme.
- Il presente
- Guardo le acque e le canne
- di un braccio di fiume e il sole
- dentro l'acqua.
- Guardavo, ero ma sono.
- La melma si asciuga fra le radici.
- Il mio verbo è al presente.
- Questo mondo residuo d'incendi
- vuole esistere.
- Insetti tendono
- trappole lunghe millenni.
- Le effimere sfumano. Si sfanno
- impresse nel dolce vento d'Arcadia.
- Attraversa il fiume una barca.
- E' un servo del vescovo Baudo.
- Va tra la paglia d'una capanna
- sfogliata sotto molte lune.
- Detto la mia legge ironica
- alle foglie che ronzano, al trasvolo
- nervoso del drago-cervo.
- Confido alle canne false eterne
- la grande strategia da Yenan allo Hopei.
- Seguo il segno che una mano armata incide
- sulla scorza del pino
- e prepara il fuoco dell'ambra dove starò invisibile.
- ©1999 Il club degli autori, Franco Fortini
Per comunicare con il Club degli autori: info@club.it
- Prima di scrivere, please, consulta le FAQ, è possibile che trovi la risposta
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