LA PIÚ GRANDE
ANTOLOGIA VIRTUALE
DELLA POESIA ITALIANA
I grandi poeti contemporanei
Mario Luzi
Natura
- La terra e a lei concorde il mare
- e sopra ovunque un mare più giocondo
- per la veloce fiamma dei passeri
- e la via
- della riposante luna e del sonno
- dei dolci corpi socchiusi alla vita
- e alla morte su un campo;
- e per quelle voci che scendono
- sfuggendo a misteriose porte e balzano
- sopra noi come uccelli folli di tornare
- sopra le isole originali cantando:
- qui si prepara
- un giaciglio di porpora e un canto che culla
- per chi non ha potuto dormire
- sì dura era la pietra,
- sì acuminato l'amore.
- Da "Avvento Notturno"
- Avorio
- Parla il cipresso equinoziale, oscuro
- e montuoso esulta il capriolo,
- dentro le fonti rosse le criniere
- dai baci adagio lavan le cavalle.
- Giù da foreste vaporose immensi
- alle eccelse città battono i fiumi
- lungamente, si muovono in un sogno
- affettuose vele verso Olimpia.
- Correranno le intense vie d'Oriente
- ventilate fanciulle e dai mercati
- salmastri guarderanno ilari il mondo.
- Ma dove attingerò io la mia vita
- ora che il tremebondo amore è morto?
- Violavano le rose l'orizzonte,
- esitanti città stavano in cielo
- asperse di giardini tormentosi,
- la sua voce nell'aria era una roccia
- deserta e incolmabile di fiori.
- (Se musica è la donna amata)
- Ma tu continua e perditi, mia vita,
- per le rosse città dei cani afosi
- convessi sopra i fiumi arsi dal vento.
- Le danzatrici scuotono l'oriente
- appassionato, effondono i metalli
- del sole le veementi baiadere.
- Un passero profondo si dispiuma
- sul golfo ov'io sognai la Georgia:
- dal mare (una viola trafelata
- nella memoria bianca di vestigia)
- un vento desolato s'appoggiava
- ai tuoi vetri con una piuma grigia
- e se volevi accoglierlo una bruna
- solitudine offesa la tua mano
- premeva nei suoi limbi odorosi
- d'inattuate rose di lontano.
- Da "Poesie sparse"
- Nulla di ciò che accade e non ha volto
- Nulla di ciò che accade e non ha volto
- e nulla che precipiti puro, immune da traccia,
- percettibile solo alla pietà
- come te mi significa la morte.
- Il vento ricco oscilla corrugato
- sui vetri, finge estatiche presenze
- e un oriente bianco s'esala
- nei quadrivi di febbre lastricati.
- Dalla pioggia alle candide schiarite
- si levano allo sguardo variopinto
- blocchi d'aria in festevoli distanze.
- Apparire e sparire è una chimera.
- E' questa l'ora tua, è l'ora di quei re
- sismici il cui trono è il movimento,
- insensibili se non al freddo di morte
- che lasciano nel sangue all'improvviso.
- Loro sede fulminea è qualche specchio
- assorto nella sera, ivi s'incontrano,
- ivi si riconoscono in un battito.
- Sei certa ed ingannevole, è vano ch'io ti cerchi,
- ti persegua di là dai fortilizi,
- dalle guglie riflesse negli asfalti,
- nei luoghi ove l'amore non può giungere
- né la dimenticanza di se stessi.
- Da "Monologo"
- I
- Vita che non osai chiedere e fu,
- mite, incredula d'essere sgorgata
- dal sasso impenetrabile del tempo,
- sorpresa, poi sicura della terra,
- tu vita ininterrotta nelle fibre
- vibranti, tese al vento della notte...
- Era, donde scendesse, un salto d'acque
- silenziose, frenetiche, affluenti
- da una febbrile trasparenza d'astri
- ove di giorno ero travolto in giorno,
- da me profondamente entro di me
- e l'angoscia d'esistere tra rocce
- perdevo e ritrovavo sempre intatta.
- Tempo di consentire sei venuto,
- giorno in cui mi maturo, ripetevo,
- e mormora la crescita del grano,
- ronza il miele futuro. Senza pausa
- una ventilazione oscura errava
- tra gli alberi, sfiorava nubi e lande;
- correva, ove tendesse, vento astrale,
- deserto tra le prime fredde foglie,
- portava una germinazione oscura
- negli alberi, turbava pietre e stelle.
- Con lo sgomento d'una porta
- che s'apra sotto un peso ignoto, entrava
- nel cuore una vertigine d'eventi,
- moveva il delirio e la pietà.
- Le immagini possibili di me,
- passi uditi nel sogno ed inseguiti,
- svanivano, con che tremenda forza
- ti fu dato di cogliere, dicevo,
- tra le vane la forma destinata!
- Quest'ora ti edifica e ti schianta.
- L'uno ancora implacato, l'altro urgeva -
- con insulto di linfa chiusa i giorni
- vorticosi nascevano da me,
- rapidi, colmi fino al segno, ansiosi,
- senza riparo n'ero trascinato.
- Fosti, quanto puoi chiedere, reale,
- la contesa col nulla era finita,
- spirava un tempo lucido e furente,
- senza fine perivi e rinascevi,
- ne sentivi la forza e la paura.
- Una disperazione antica usciva
- dagli alberi, passava sulle tempie.
- Vita, ne misuravi la pienezza,
- Notizie a Giuseppina dopo tanti anni
- Che speri, che ti riprometti, amica,
- se torni per così cupo viaggio
- fin qua dove nel sole le burrasche
- hanno una voce altissima abbrunata,
- di gelsomino odorano e di frane?
- Mi trovo qui a questa età che sai,
- né giovane né vecchio, attendo, guardo
- questa vicissitudine sospesa;
- non so più quel che volli o mi fu imposto,
- entri nei miei pensieri e n'esci illesa.
- Tutto l'altro che deve essere è ancora,
- il fiume scorre, la campagna varia,
- grandina, spiove, qualche cane latra
- esce la luna, niente si riscuote,
- niente dal lungo sonno avventuroso.
- Da "Onore del vero"
- Uccelli
- il vento è un'aspra voce che ammonisce
- per noi stuolo che a volte trova pace
- e asilo sopra questi rami secchi.
- E la schiera ripiglia il triste volo,
- migra nel cuore dei monti, viola
- scavato nel viola inesauribile,
- miniera senza fondo dello spazio.
- Il volo è lento, penetra a fatica
- nell'azzurro che s'apre oltre l'azzurro,
- nel tempo ch'è di là dal tempo; alcuni
- mandano grida acute che precipitano
- e nessuna parete ripercuote.
- Che ci somiglia è il moto delle cime
- nell'ora - quasi non si può pensare
- né dire - quando su steli invisibili
- tutt'intorno una primavera strana
- fiorisce in nuvole rade che il vento
- pasce in un cielo o umido o bruciato
- e la sorte della giornata è varia,
- la grandine, la pioggia, la schiarita.
- Questa felicità
- Questa felicità promessa o data
- m'è dolore, dolore senza causa
- o la causa se esiste è questo brivido
- che sommuove il molteplice nell'unico
- come il liquido scosso nella sfera
- di vetro che interpreta il fachiro.
- Eppure dico: salva anche per oggi.
- Torno torno le fanno guerra cose
- e immagini su cui cala o si leva
- o la notte o la neve
- uniforme del ricordo.
- A mia madre dalla sua casa
- M'accoglie la tua vecchia, grigia casa
- steso supino sopra un letto angusto,
- forse il tuo letto per tanti anni. Ascolto,
- conto le ore lentissime a passare,
- più lente per le nuvole che solcano
- queste notti d'agosto in terre avare.
- Uno che torna a notte alta dai campi
- scambia un cenno a fatica con i simili,
- infila l'erta, il vicolo, scompare
- dietro la porta del tugurio. L'afa
- dello scirocco agita i riposi,
- fa smaniare gli infermi ed i reclusi.
- Non dormo, seguo il passo del nottambulo
- sia demente sia giovane tarato
- mentre risuona sopra pietre e ciottoli;
- lascio e prendo il mio carico servile
- e scendo, scendo più che già non sia
- profondo in questo tempo, in questo popolo.
- La notte lava la mente
- La notte lava la mente.
- Poco dopo si è qui come sai bene,
- file d'anime lungo la cornice,
- chi pronto al balzo, chi quasi in catene.
- Qualcuno sulla pagina del mare
- traccia un segno di vita, figge un punto.
- Raramente qualche gabbiano appare.
- Il Giudice
- "Credi che il tuo sia vero amore? Esamina
- a fondo il tuo passato" insiste lui
- saettando ben addentro
- la sua occhiata di presbite tra beffarda e strana.
- E aspetta. Mentre io guardo lontano
- ed altro non mi viene in mente
- che il mare fermo sotto il volo dei gabbiani
- sfrangiato appena tra gli scogli dell'isola,
- dove una terra nuda si fa ombra
- con le sue gobbe o un'altra preparata a semina
- si fa ombra con le sue zolle e con pochi fili.
- "Certo, posso aver molto peccato"
- rispondo infine aggrappandomi a qualcosa,
- sia pure alle mie colpe, in quella luce di brughiera.
- "Piangere, piangere dovresti sul tuo amore male inteso"
- riprende la sua voce con un fischio
- di raffica sopra quella landa passando alta.
- L'ascolto e neppure mi domando
- perché sia lui e non io di là da questo banco
- occupato a giudicare i mali del mondo.
- "Può darsi" replico io mentre già penso ad altro,
- mentre la via s'accende scaglia a scaglia
- e qui nel bar il giorno ancora pieno
- sfolgora in due pupille di giovinetta che si sfila il grembio
- per le ore di libertà e l'uomo che le ha dato il cambio
- indossa la gabbana bianca e viene
- verso di noi con due bicchieri colmi,
- freschi, da porre uno di qua uno di là sopra il nostro tavolo.
- L'India
- Tace ora, mi chiedo se oppressa dal suo Karma,
- (so della sua vita, del nome che le dà, e del senso)
- mentre mostra a lungo lo schermo
- sul selciato una moltitudine
- stecchita in una posa tra sonno e morte
- levarsi a stento in preghiera e spulciarsi nell'alba.
- Né forse la colpisce il primo aspetto
- ma un altro più recondito, e vede
- una giustizia di diverso stampo
- in quella sofferenza di paria
- orrida eppure non abbietta, e nella sua che le scende addosso.
- "Avere o non avere la sua parte in questa vita"
- riemerge in parole il suo pensiero - ma solo un lembo.
- E io ne tiro a me quella frangia
- ansioso mi confidi tutto l'altro,
- attento non mi rubi niente
- di lei, neppure l'amarezza, ed attendo.
- S'interrompe invece. Seguono altre immagini dell'India
- e nel loro riverbero le colgo
- un sorriso estremo tra di vittima e di bimba
- quasi mi lasci quella grazia in pegno
- di lei mentre si eclissa nella sua pena
- e l'idea di se stessa le muore dentro.
- "Perché porti quel giogo, perché non insorgi"
- mi trattengo appena dal gridarle,
- soffrendo perché soffre, certo,
- ma più ancora perché lascia la presa
- della mia tenerezza non saziata e piglia il largo piangendo;
- "Ascoltami" comincio a mormorarle
- e già penso al chiarore della sala dopo il technicolor
- e a lei che sul punto di partire
- mi guarda da dietro la lampada
- della sua solitudine tenuta alzata di fronte.
- "Mario" mi previene lei che indovina il resto. "Ancora
- levi come una spada, buona a che?,
- lo sdegno per le cose che ti resistono.
- Uomo chiuso all'intelligenza del diverso,
- negato all'amore: del mondo, intendo, di Dio dunque"
- e indulge a una smorfia fine di scherno
- per se stessa salita sul pulpito, e quasi si annulla.
- "Davvero vorrei tu avessi vinto"
- le dico con affetto incontenibile, più tardi,
- mentre scorre in un brusio d'api, nel film senza commento, l'India.
- Per mare
- Nel più alto punto
- dove scienza è oblìo d'ogni sapere
- e certezza, mi dicono,
- certezza irrefutabile venuta incontro
- o nel tempo appeso a un filo
- d'un riacquisto d'infanzia,
- tra sonno e veglia, tra innocenza e colpa,
- dove c'è e non c'è opera nostra voluta e scelta.
- "La salute della mente
- è là" dice una voce
- con cui contendo da anni,
- una voce che ora è di sirena.
- Si naviga tra Sardegna e Corsica.
- C'è un po' di mare
- e la barca appruata scarricchia.
- L'equipaggio dorme. Ma due
- vegliano nella mezzaluce della plancia.
- E' passato agosto; Siamo alla rottura dei tempi.
- E' una notte viva.
- Viva più di questa notte,
- viva tanto da serrarmi la gola
- è la muta confidenza
- di quelli che riposano
- si curi in mano d'altri
- e di questi che non lasciano la manovra e il calcolo
- mentre pregano per i loro uomini in mare
- da un punto oscuro della costa, mentre arriva
- dalla parte del Rodano qualche raffica.
- Da "Al fuoco della controversia"
- Ridotto a me stesso?
- Ridotto a me stesso?
- Morto l'interlocutore?
- O morto io,
- l'altro su di me
- padrone del campo, l'altro,
- universo, parificatore...
- o no,
- niente di questo:
- il silenzio raggiante
- dell'amore pieno,
- della piena incarnazione
- anticipato da un lampo? -
- penso
- se è pensare questo
- e non opera di sonno
- nella pausa solare
- del tumulto di adesso...
©1999 Il club degli autori, Mario Luzi- Per comunicare con il Club degli autori: info@club.it
- Prima di scrivere, please, consulta le FAQ, è possibile che trovi la risposta
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